Skip to main content

Dal diario di Marco Everhard Dupont

By 16 Febbraio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Dal diario di Marco “Everhard” Dupont, italo-francese giramondo

Ero a Sydney da una settimana. Fino a quel momento mi ero limitato a vagabondare per le strade sempre troppo nuove, scrutando da dietro i miei ray-ban le schiere di bionde pettorute con la pancia in vista. Passando dall’inverno europeo all’estate australiana, mi ero trovato nel pieno di un’ondata ormonale da scuola media. Fatto sta che quel giorno decisi finalmente di presentarmi all’università dove avrei dovuto cominciare di lì a poco il mio dottorato di ricerca. Mi ritrovai a vagare per corridoi biancoazzurri con un plico di fogli nella mano destra, la sinistra che gesticolava per aiutare il mio inglese assai povero. Solo dopo un quarto d’ora trovai finalmente l’ufficio di Mrs. Wilkinson.
Mrs. Wilkinson era una donna sui quaranta, che scarabocchiava arabeschi su un bloc notes mentre parlava al telefono. Quando mi vide esitò per qualche istante, mi fece un cenno e salutò il suo interlocutore. Poi mi accolse cordialmente nell’ufficio, si alzò in piedi per stringermi la mano e cominciammo a parlare. Nel mio stato confusionale di viaggiatore in cerca di emozioni, la studiai con discrezione, senza però trovarla particolarmente attraente. Aveva un paio di occhiali spessi sugli occhi azzurri, i capelli biondi troppo sottili nella coda di cavallo e un paio di orecchini con la clip. Portava un paio di pantaloni blu e una polo bianca in dotazione allo staff universitario. Si potevano intravedere due tette su cui fantasticare, ma il suo corpo pareva allargarsi senza ragione appena sotto la vita. Per cui sembrava avere una discreta pancia, il culo grosso e le cosce tozze. Diciamo che non mi impressionò, e ancor meno restò nella mia mente nelle settimane successive quando finalmente cominciai a portare nel mio appartamento ragazze mezze brille incrociate sull’Opera Quay.

La signora Wilkinson però era la mia relatrice, e dopo quel primo, breve incontro, prendemmo a vederci settimanalmente per discutere della mia idea di tesi sul relativismo delle abitudini sessuali. Era una donna intelligente, molto semplice, spontanea, il tema della mia tesi lasciava ampi spazi per battute, fantasie e confidenze. Fu così che dopo sei mesi la chiamavo Sandy e capitava che andassimo a teatro o a qualche concerto insieme.

Poi arrivò il concerto degli Hijack, gruppo post-rock sperimentale di Melbourne. In giornata, avevo bevuto un paio di birre, fatto tre canne in compagnia del mio amico africano Mamadou e mangiato una fetta di pane con il vegemite. Sommate tutto ciò al bloody mary che scolai mentre aspettavo al bar e capirete lo scombussolamento generale in cui navigavo. Sandy arrivò dieci minuti in ritardo, avvolta in un fasciante vestito nero che a stento conteneva le sue anche generose, mentre il seno, tenuto su da qualche sorta di wonderbra, emergeva fiero da una scollatura un filo os&egrave. Un paio di scarpe da schiava con un filo di tacco mi fecero lanciare in una delle mie rare fantasie su di lei. Ma non ebbi tempo di pensarci troppo, alle sue spalle c’era suo marito Kean, che avevo visto solo una volta, incrociandolo nell’ufficio di lei un martedì mattina. Kean era un fanatico di ciclismo, basso, tozzo, rasato, mascella forte, una camicia leggermente pacchiana e un paio di lunhgi pantaloni neri di cotone, sandali birkenstock ai piedi. Mi salutò stringendomi la mano con forza, un sorriso largo sul viso abbronzato. Gli Hijack erano una merda. Inascoltabili, impossibili da ballare, dissonanti, terribilmente noiosi. Dopo un paio di bottiglie di vino decidemmo di andare da qualche altra parte.

Finimmo nel loro appartamento nella zona di The Rocks, dove Kean stese qualche striscia di nevischio sul tavolino di cristallo in salotto. E fu in quel momento che Sandy, con un sorriso malizioso, mi disse:
-Hey, dì a Hank di quella tua fantasia di triangolo…-
-Quale?- feci io, annebbiato come non mai. -Ah, ma perch&egrave, scusa?-
Hank rideva sotto i baffi mentre la sua mastercard precisava le righe di coca. Sandy non riuscì a trattenere una risata. Per un attimo una parte di me pensò che mi stessero prendendo per il culo. Poi Kean arrotolò una banconota giallastra da cinquanta dollari e me la porse col suo sorriso perenne. Annusai il cristallo e passai il tubicino a Sandy. Mentre arricciavo il naso e l’amaro mi scendeva nella bocca, Kean mi mise una mano sul ginocchio, si fece un po’ più serio e mi disse:
-Ci farebbe piacere, a me e a Sandy, realizzare quella fantasia. Quando ti ho visto nel suo ufficio mi sei subito piaciuto.-
Deglutii con fatica la mia saliva fattasi spessa. Dovevo avere una faccia da ebete perch&egrave Sandy con un sorriso mi si avvicinò, camminando sensuale sui suoi brevi tacchi. Si mise a cavalcioni su di me, quasi sbattendomi le tette in faccia. La guardavo negli occhi e mi eccitavo, lei rideva sotto le labbra sottili e mi carezzava la nuca. Io ero fatto perso e non pensai.

Un attimo dopo, stavo sbottonando il suo vestito davanti agli occhi di Kean che si fregava le mani sorridendo laido. Le tette di Sandy mi si adagiarono davanti agli occhi, la sua pancia calda mi toccava gli addominali contratti mentre lei già ondeggiava il bacino strusciandosi contro la mia subitanea erezione. Kean si tolse la camicia e si avvicinò, alle spalle di Sandy le leccava il collo e le palpava il seno.
-Succhiagli il cazzo, amore…- disse Kean. E Sandy mi si inginocchiò davanti e cominciò a leccarmi i coglioni, carezzandomi il buco del culo. Poi me lo prese in bocca e cominciò a succhiarmi senza mai smettere di guardarmi negli occhi. Kean, sempre alle sue spalle, le leccava la figa e la sculacciava sulle chiappe tonde. Poi si alzò, mi guardò, e mentre sua moglie continuava a succhiarmi il cazzo, Kean si tolse gli slip e mi fece apparire davanti ventidue-ventitre centimetri di minchia in tiro. Era circonciso e la cappella svettava rossa e turgida. Se lo teneva in mano e mi guardava, annuendo con un sorriso. Presi a leccarglielo, leccargli i coglioni mentre lo segavo, poi risalii lungo l’asta e finalmente glielo presi in bocca, stupito di quanto fosse facile e naturale. Nel frattempo Sandy, che mi spompinava con raro talento, prese a spalmarmi della glicerina sul buco del culo. Io ero allibito dalla mia fantasia e abilità e curiosità e voglia di succhiare il cazzo di Kean, che mi teneva la testa con una mano spingendola adesso su e giù sul suo cazzo. Dopodich&egrave sentii il dito di Sandy farsi strada fra le mie natiche, agevolato dalla glicerina fresca entrarmi in culo e solleticarmi la prostata. A quel punto mi chiesero di inginocchiarmi, e mentre loro si baciavano e si toccavano e si leccavano, il mio compito era di succhiare il cazzo di lui mentre le titillavo il clitoride. E quando si furono eccitati abbastanza, Sandy si stese a gambe aperte sul tappeto spesso del salone, col respiro accelerato. Kean mi gaurdò e disse -falla godere, adesso, scopatela.- Io guardavo la carne di Sandy densa e spessa e sexy, il cazzo duro pulsava di eccitazione. Era già bagnata fradicia, le entrai dentro senza fatica, aveva la fica larga e capiente e calda, ci volle poco per farlo entrare tutto e martellarla fino in fondo. Poi sentii Kean mettermi un dito in culo, poi due, spingere con convinzione fino a che non fui rilassato. Non riconoscevo Sandy, che già mugolava dicendo -Si, si, scopami, scopami, Marco.- Kean mi appoggiò la cappella sul buco, mi sussurrò all’orecchio -Adesso ti spacco il culo, bello mio.- Chiusi gli occhi e lo sentii avanzare centimetro dopo centimetro fino all’apertura del sipario.
A quel punto cominciò a pompare secco e la situazione perse ogni contorno reale.
-Scopami più forte, fammi godere, Marco,- diceva Sandy.
-Ti piace, nel culo? Ti piace, eh?- incalzava Kean alle mie spalle, che tenendomi per i fianchi mi piantava il suo cazzone fino in fondo al culo facendolo uscire quasi del tutto dopo ogni spinta. I suoi colpi mi squassavano, mi sentivo come aperto in due, e scoprii in un istante quanto sensibile sia la prostata. Sandy guardava nello specchio e si eccitava alla vista del groviglio di corpi.
-Spaccagli il culo, amore, scopalo a sangue,- diceva, in preda alla coca. -E tu spaccami la figa, dai, più forte, fammelo salire in gola, cristo.-
E tutto quel parlare, gli incitamenti e i rimproveri e le semi-minacce mi eccitavano da matti. Poi Kean prese un popper dal tavolino e fece una tirata, me lo passo velocemente, inspirai il nitrito e mentre il cuore accelerava ancora e mi sentivo esplodere, mentre Kean ormai mi pompava il culo con tutta la sua forza, le mie chiappe che risuonavano contro i suoi addominali ben epilati, Sandy sniffò un po’ d’etere anche lei e la sentii aprirsi ancora, e poi contrarsi e cominciare ad urlare. -Siii, godo, dai, più veloce. Ahhhh, ahhh, ahhh…- Urlava come una pazza, e mi eccitò a tal punto che aumentai il ritmo e le venni dentro cercando di andare a sbattere contro la parete più remota della sua figa capiente. E il mio venirle dentro mi fece stringere il culo, così che anche Kean prese a tirarmi per i capelli e impennò l’andatura della sua inculata, trapanandomi in profondità fino a che non sentii i suoi colpi ficcanti spargermi dentro la sua sborra calda. Per una decina di minuti non fummo altro che un’unica montagna di carne sudata e soddisfatta.

Era tutto ottimo materiale per la mia tesi sul relativismo della abitudini sessuali.
Dal diario di Marco Everhard Dupont, italo-francese giramondo

Erano passate un paio di settimane dal misero concerto degli Hijack e da tutto quel che ne seguì. Ero all’università che parlavo con Sandy della mia tesi, lottando contro tutta quell’enorme parte di me stesso che continuava a mandarmi in onda flashback delle sue tette ballonzolanti sotto i miei colpi e dei suoi occhi da troia mentre me lo succhiava. Lei però sembrava non avere problemi, era la solita Sandy, insospettabile nella sua polo con lo stemma dell’ateneo.
Quando stavo per andarmene, con i suoi suggerimenti annotati sui bordi delle mie pagine confuse, mi disse di aspettare e mi porse un biglietto da visita.
-E’ una coppia con cui abbiamo fatto un paio di scambi, Kean ed io. Ti piaceranno, vedrai…-
Sorpreso, tirai fuori un sorriso d’ordinanza e feci scivolare il biglietto nel mio tascapane. Sulla lunga via di casa riflettevo, o meglio il mio superio cercava di inibirmi. Ma in fin dei conti avevo una gran voglia di provare qualcosa di simile al triangolo con Sandy e Kean. Per cui chiamai. Andammo a cena. Venne fuori che Rosy e Peter erano una coppia assai più matura, sulla sessantina. Lui pelato, ben vestito, fisico non malaccio per la sua età, lei bassina e oberata da una ventina di chili di troppo che data l’età tendevano ad afflosciarlesi addosso. Aveva un vestitino giallo a fiori che si sarebbe potuta evitare, spietato sulle rughe del suo seno copioso e delle sue cosce che sfregavano una contro l’altra. Bevemmo qualcosa all’Oyster Bar e poi finimmo nel loro appartamento. Scoprii così che Rosy, affabile bionda tinta e quasi nonna, non disdegnava mettersi stivali alti con tacchi appuntiti e legare il povero Peter come un agnello sacrificale. Il mio era un ruolo intermedio. Rosy era la padrona incontrastata, nuda con gli stivali ed una mascherina carnevalesca nera, inesplicabilmente sensuale in quel suo ruolo che faceva apparire la sua pelle cadente e i rotoli di grasso e la cellulite come doni di generosissimi dei del piacere. Io indossavo un cappuccio ma non ero legato, e mi fu dapprima ordinato di leccare Rosy, bere il suo succo dall’odore acre. Ad un certo punto mi fermai per deglutire, e lei mi appioppò uno schiaffo in pieno volto per il quale fui obbligato a ringraziarla. A quel punto tolse la benda dagli occhi del marito e gli disse:
-Guarda, Peter, guarda l’italiano che si fotte la troia di tua moglie…- e senza attendere oltre mi avvicinai a Rosy che si era messa a pecorina sul letto king size e metteva in mostra il suo culone pesante e sudato. Cominciai a scoparla di gusto, mentre lei implacabile continuava a dare ordini. Uno dei quali fu -Adesso voglio che spacchi il culo a quella puttana di mio marito…-
Controllò che Peter fosse legato a dovere e poi gli spalmò della vaselina sul culo. Lui sporgeva il culo in avanti come una puttana, l’ano scuro e di certo abituato a prenderne. Ebbi un attimo di esitazione, alla vista del culo peloso e disarmonico di quel vecchio, ma una frustata di Rosy, accompagnata dal suo perentorio incoraggiamento, mi distolse da quella stasi. -Che c’&egrave, fai lo schizzinoso? Spaccagli il culo, ho detto.- Così mi misi in ginocchio dietro a Peter e lo afferrai per le maniglie flaccide, piantandoglielo nel culo a tradimento. Lui fece un urlo e Rosy si mise a ridere, gli disse -Ti piace, eh, puttana?- Lui disse sì, e mentre lo scopavo con sempre più foga, Rosy lo schiaffeggiava e lo frustava, gli prendeva in bocca il cazzo fino a farglielo divetare di pietra e poi ricominciava ad insultarlo. Rosy sembrava godere con gli occhi. Ansimava e di tanto in tanto tremava alla vista del marito messo a novanta con un giovane italiano a pompargli il culo. Non riuscivo a venire, e allora Rosy aprì un cassetto dal quale estrasse un grosso cazzo di gomma, mi si avvicinò e mi spalmò in culo con la vasella, per poi cominciare a sodomizzarmi con quel mostruoso dildo color carne. E le bastarono due o tre affondi per farmi impennare il ritmo e farmi venire nel culo caldo del marito. Nella stanza c’era odore di sesso e sudore. Peter, sempre legato, fu costretto a scopare Rosy finche lei non venne, io facevo la comparsa solleticando i punti erogeni ora di lei, ora di lui. Rosy sembrava non avere limiti, -Scopami, frocio, scopami. Voglio godere!-, gli diceva. E ancora: -Ce la fai a farmi godere o sei solo capace di prenderlo nel culo?- Poi, finalmente, vennero, simultaneamente, e poi si abbracciarono teneramente in un contrasto enorme con quel che era accaduto finora.
E da quel giorno, il mio nome prese a girare fra gli scambisti del club priv&egrave di Fernside in maniera esponenziale. Incontrai Theo, che mi stava a guardare fumando mentre mi scopavo sua moglie Lana, una tailandese dalle mille voglie. Ci furono Key e Kevin, una coppia di broker. Lei mi scopava con un dildo da trenta centimetri infilato nelle mutandine strap-on mentre io succhiavo il cazzo spesso del marito, il quale adorava vedermi coperto della sua sborra calda. C’era Liz che adorava la doppia penetrazione, ed ebbe sei orgasmi mentre io le pompavo il culo e suo marito la figa. Insomma, la mia tesi stava prendendo forma, il mio ano la stava perdendo e io stavo capendo tante cose sul relativismo dei comportamenti sessuali.

Leave a Reply