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Educazione al volante

By 20 Giugno 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi piace guidare e mi piace la mia auto nuova.
è un SUV, ma non di quelli enormi.
L’ho scelto di proposito perché non volevo un affare difficile da parcheggiare. è alto ed imponente, come tutti i SUV, ma è lungo poco più di un’utilitaria.
è bello guidare in città un mezzo che ha l’aria solida di un fuoristrada, perché gli altri automobilisti in genere si scansano, e poi mi piace il posto di guida rialzato, perché guardo gli altri guidatori dall’alto in basso e mi trovo alla pari con i furgoni.
A proposito di furgoni, ma guarda che cessi che devono girare.
è un vecchissimo Transit, il pianale pieno di materiali edili, con una carriola rovesciata piazzata in cima ad una pila di blocchetti di tufo.
Cammina piano e se ne sta in mezzo alla strada.
Quando poi inizia la salita rallenta vistosamente, costringendomi a frenare.
Gli suono spazientita e la sua risposta è una bella grattata quando cerca di infilare la seconda, seguita da una nuvola di fumo nero e puzzolente.
A questo punto scalo marcia pure io e lo supero.
Il potente turbodiesel del mio SUV reagisce prontamente alla pressione sull’acceleratore e lo passo in un baleno, poi però sono costretta a rientrargli proprio davanti perché sta arrivando una macchina dall’altra parte.
Il suono sordo e stonato del clacson del furgone mi fa capire che gli ho tagliato la strada.
Si fottesse lui e quel cesso di Transit.
Lo mando dove si merita con un gesto ampio del mio braccio sinistro, sporto fuori dal finestrino, e lo distanzio.
Con il senno del poi potrei dire che sarebbe stato meglio aspettare la fine della salita, perché dopo duecento metri la strada si allargava ed il sorpasso sarebbe stato molto più agevole.
Un paio di chilometri dopo, sono ferma al semaforo e non penso certo al furgone.
Nello specchietto lo vedo indietro, tra me e lui ci sono diverse auto, in mezzo.
Lo sportello di destra si apre e ne scende correndo un tizio.
Ricollego questo fatto solo quando sento aprire la portiera del mio SUV ed il tizio entra e si siede al mio fianco.
Non dice nulla e intanto il semaforo è scattato.
Dietro a me suonano.
‘Seguilo’, mi dice indicando il furgone che ci ha appena superato.
Mi rendo conto di essere nei guai, infilo la prima e mi piazzo dietro al Transit.
Il tizio è grosso, robusto, indossa una tuta blu sporca di calce, puzza di sudore ed ha un’aria per niente raccomandabile.
Mi sono veramente cacciata in un bel guaio.
Penso ad una via d’uscita ma non ne vedo.
Dovrei inchiodare e scappare fuori dell’auto gridando, ma non mi va di lasciargli la macchina nuova, così mi limito a seguire il furgone, che si allontana dal centro della città su una strada di campagna secondaria.
Mentre superavo il furgone, sulla salita, ricordo di aver visto che aveva la cabina doppia, con due file di sedili, quindi a bordi ci possono essere diverse persone.
Ci fermiamo in colonna davanti ad un cancello arrugginito, dal furgone esce un altro tizio, apre il lucchetto della catena ed entriamo.
Oltre il cancello c’è una tettoia con sotto del materiale edile ammucchiato ed un vecchio capannone.

Sono in cinque, dal furgone ne sono scesi quattro, mentre quello che era con me faceva il giro e mi apriva lo sportello.
Non ci vuole molta immaginazione per pensare cosa possono fare cinque tipi del genere con una donna giovane e carina, in un posto isolato, in mezzo alla campagna.
Il tipo mi strappa letteralmente dal sedile di guida e mi trascina verso la porta di ferro del capannone.
Percorro il lastricato sconnesso dello spiazzo antistante inciampando e saltellando a causa dei tacchi alti e degli strattoni che mi da.
Ora ho veramente paura anche se il mio panico è accompagnato da una certa eccitazione.
Non l’ho fatto mai con cinque uomini.
Sonia, sei impazzita?
Beh, l’ho fatto con due, nel senso contemporaneamente, ma con cinque ‘

Siamo dentro. La porta di ferro si è appena chiusa con un gran fragore ed io sono al centro di uno stanzone, con le braccia tenute dietro la schiena dal tizio che è salito in macchina con me.
Quello che deve essere il capo, visto che è più grosso, più sudicio e più puzzolente degli altri, almeno mi sembra, mi si piazza di fronte ad un metro di distanza ed inizia ad aprirsi i pantaloni.
La parte peggiore di me, quella zozza, ha il sopravvento per qualche secondo e sento il calore in mezzo alle gambe che aumenta insieme alla mia eccitazione.
Accidenti che bell’arnese che ha, è già così grosso ora che è ancora moscio, figuriamoci dopo ‘
Lo zampillo mi prende di sorpresa, vedo la macchia che si allarga sulla mia gonna, proprio in mezzo alla pancia, e cerco di scansarmi, ma quello che mi tiene da dietro, si aspettava la mia reazione e non mi fa muovere.
Io scalcio, sgambetto e lui si diverte, impugnando il suo uccello come se fosse un tubo per innaffiare, a bagnarmi le gambe.
L’urina calda mi inzuppa le calze e scende gocciolando sulle mie gambe, arrivandomi fin dentro le scarpe.
‘Giù!’, mi grida quello che mi tiene, accompagnando la parola con una spinta consistente che mi costringe a piegare le ginocchia.
Io mi abbasso, ed il getto, tenuto sempre alla stessa altezza, mi colpisce più in alto.
Durante la breve lotta in cui ho cercato di non farmi portare dentro, un paio di bottoni della mia camicetta di seta sono saltati, mettendo in evidenza il reggiseno.
Maledetto bastardo, mi sta pisciando sulle tette.
Il getto mi colpisce proprio sotto il collo ed il liquido caldo e giallastro scorre sui miei seni e sulla mia pancia.
‘Basta, per favore, non potete farmi questo …’
L’ultima parola mi si è strozzata in gola perché il maledetto lo ha puntato più in alto.
Sputo e tossisco disperatamente mentre lui continua ad irrorarmi la faccia ed i capelli.
Quando finalmente si ferma e si rimette l’uccello nei pantaloni con aria soddisfatta, la mia autostima è calata di molti punti.
Ero (abbastanza) pronta a farmi scopare da cinque uomini sconosciuti, ma questa non me l’aspettavo proprio.
Sporca, umiliata, inzuppata di piscio, circondata da quest’odore forte e nauseabondo, mi rendo conto che non ho la forza per tentare la benché minima reazione, ammesso che servirebbe a qualcosa.
Ora sono in due, i loro zampilli si incrociano sul mio corpo e non occorre più che qualcuno mi tenga ferma, visto che me ne sto in ginocchio, immobile, a subire la punizione.
‘Apri la bocca!’
L’ordine è tagliente ed imperioso. Io ubbidisco, sento il liquido caldo che mi riempie la bocca e mi scende per l’esofago, mentre quello in eccesso mi scola sul mento.
Hanno finito anche loro, lo sgrullano vigorosamente e lasciano il posto agli ultimi due.
‘Sollevati la gonna e tirati giù le mutande.’
Ormai sono una specie di automa, alla loro mercé, così ubbidisco ancora e rimango ferma, in ginocchio, a gambe larghe, con lo slip e le calze abbassate, mentre mi tengo la gonna completamente sollevata.
Si divertono ad indirizzare i loro getti proprio sul mio sesso.
Si sono avvicinati ad una ventina di centimetri ed il massaggio a cui sottopongono la mia fica comincia ad avere effetto, dai versi che non riesco a trattenere
‘Guarda che luridissima troia, guarda come gode, ancora un altro po’ e sarebbe venuta.’
Hanno finito.
Riapro gli occhi che avevo chiuso in quest’ultima fase e mi guardo la fica bella aperta, poi le mie mani si staccano dalla gonna e la stoffa fradicia e macchiata torna a coprirmi.
Mi rialzo a fatica, puzzo da fare schifo ed i vestiti completamente inzuppati mi fanno sentire freddo.
‘Allora, bella signora, com’è andata la prima lezione di educazione stradale?’
‘Per favore, non lo farò più, vi chiedo scusa …’
‘Ho siamo sicuri che non lo farai più, quando avremo finito con te, guiderai tranquilla come quelle monachelle che vanno a fare la spesa con il vecchio pulmino Volkswagen, ora vai in bagno e datti una bella lavata che puzzi da far vomitare.’
Mi indicano una porta ed io mi alzo a fatica e mi incammino.
Il bagno è sudicio.
Chiudo la porta i mi libero dei vestiti.
C’è un cesso senza tavoletta, un lavandino crepato ed una vasca vecchissima, tutta scorticata.
Decido di entrare nella vasca ed apro l ‘acqua calda.
Dal rubinetto esce una robaccia giallastra ed io aspetto, aspetto, aspetto.
Dopo qualche minuto mi rendo conto che resta giallastra e gelida, così mi rassegno ad usare l’acqua fredda, almeno quella sembra pulita.
Resto sotto il getto della doccia per molti minuti, perché non ho il coraggio di tornare nello stanzone dove mi aspettano quei cinque.
Alla fine mi asciugo con un vecchio asciugamano, macchiato e strappato e mi rendo conto di avere un grosso problema: non avrebbe senso, dopo la doccia, rimettermi gli abiti sporchi, ma nel bagno non ci sono altri vestiti.
Forse non ha importanza perché, come esco dal bagno, sono sicura che quei cinque mi prendono e mi scopano, non stanno aspettando altro, però, se evito di presentarmi nuda, forse ho qualche possibilità in più di cavarmela.
Alla fine decido di mettermi l’asciugamano intorno alla vita, come se fosse una gonna, meglio di niente.
Mi guardo nello specchio prima di andare, in capelli rossi e mossi mi coprono a malapena le tette ed il mio culo, strettamente fasciato dall’asciugamano bianco, sembra ancora più rotondo ed invitante.
Preparati Sonia, che questi ti fanno il servizio completo.
Mentre io mi facevo la doccia si sono spogliati, sono tutti e cinque completamente nudi e se ne stanno in fila, uno a fianco a l’altro, tenendosi l’uccello in mano.

Per prima cosa mi fanno togliere l’asciugamano, poi mi fanno inginocchiare davanti a due di loro.
Gli succhio il cazzo finché non gli diventa abbastanza duro, alternandomi ora con uno ora con l’altro.
Quando gli sembra che possa bastare il primo si sdraia su un vecchio tavolo, mentre l’altro mi fa salire sopra a gambe larghe.
Mi entra subito dentro, mentre il secondo mi spinge in avanti.
La mia pancia e le mie tette aderiscono al torace nudo dell’uomo sdraiato, mentre l’altro mi allarga le chiappe e me lo ficca dentro brutalmente.
‘Allora, bella rossa, che dici, ti piace? Non capita certo tutti i giorni di prenderlo contemporaneamente davanti e di dietro, vero?’
Io non riesco a parlare, mi sento completamente riempita e poi il movimento che mi imprime quello che me lo ha infilato dietro, mi fa strusciare i capezzoli sul petto dell’altro., così ad un certo punto non resisto più e comincio a gemere.
Lo faccio per poco, perché un altro decide di tapparmi la bocca.
è troppo, mi sento quasi soffocare, ma sono completamente nelle loro mani.
L’unica cosa che posso fare è fargli il miglior pompino possibile, così viene più presto e mi fa respirare.
Quello dietro mi spara una quantità industriale di sperma nel culo, seguito prontamente dall’altro, sdraiato sul tavolo, poi è la volta del terzo.
Molto meglio lo sperma, di quello schifo di prima, penso, mentre mi tirano su e si cambiano di posizione.

Sono passati e ripassati più volte, tutti e cinque, nei miei poveri buchi.
Quando alla fine hanno deciso che la lezione era sufficiente, è notte fonda e non mi reggo in piedi.
‘Allora, ti abbiamo sfondata per bene o dobbiamo continuare?’
Ho il terrore che decidano di ricominciare, ma non ho letteralmente il fiato per parlare e mi limito a fare cenno di no con la testa.
‘Diamogli solo un ultimo ricordino di noi in modo che non dimentichi questa serata.’
Non ho idea cosa abbiano in mente, ma temo nulla di buono.
Ora fanno sdraiare a me sul tavolo e si mettono tutti intorno.
Mi toccano le tette e le gambe per eccitarsi, poi iniziano a masturbarsi.
Quando alla fine mi permettono di alzarmi, il mio corpo è ricoperto del loro sperma, dalle spalle alla pancia.
Mi incammino verso il bagno, con l’intenzione di lavarmi di nuovo.
‘Dove vai troia, niente doccia, è tardi a dobbiamo andare via, tutti.’
Mi hanno dato una tuta delle loro, mi va enorme, ma sempre meglio che tornare a casa nuda, o, peggio, con i vestiti inzuppati della loro urina.
Usciamo tutti dal magazzino, mi sento strana, con la pelle piena di sperma che si sta essiccando e con addosso quella tuta enorme.
Certo le mie scarpe con il tacco alto, non vanno molto d’accordo con una tuta da operaio, ma non posso guidare scalza.
‘Ciao rossa’, mi fa il capo, mentre si mette al volante del furgone, ‘se hai bisogno di qualche altra lezione, puoi passare quando vuoi, e, mi raccomando, guida con prudenza.’
Ho messo in moto il mio SUV e sono andata dritta a casa, guidando piano e con molta prudenza.

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