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Racconti Erotici

Essenze euforizzanti

By 8 Giugno 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

Ero ritornato per frequentare l’ambiente universitario, questa volta però non da studente, bensì da collaboratore per una serie d’accordi e di convenzioni, che l’impresa per la quale lavoravo aveva in ultimo firmato perfezionandole con l’università. Ricordando i miei anni trascorsi fra quei banchi accademici, un brivido aveva percorso rapidamente il mio corpo e al tempo stesso sollecitamente pure la mia mente, entrando per quell’occasione nell’ingresso di quella facoltà. In verità erano stati anni piuttosto duri, per il fatto che non potevo contestarlo né negarlo, giacché ero sempre diviso e immancabilmente smembrato fra la fame di conoscenza e la fatica dello studio costante da una parte, accompagnato da quel desiderio d’evadere, di divertirmi e di sperimentare, che colora inevitabilmente l’età dai venti ai ventisette anni dall’altra.

Io mi ero laureato sufficientemente in fretta, poiché il massimo dei voti era sempre stato nelle mie possibilità, eppure la mia mente e soprattutto il mio carattere non avevano mai accettato né concesso di dare quel qualcosa in più necessario per raggiungere la cima più alta, anche se il prezzo da pagare era quello di limitarsi e di ridurre le esperienze ricreative quotidiane. Lo sport, la fotografia, la lettura, i circoli culturali, la chitarra, le bevute con gli amici, ma soprattutto il sesso, perché in effetti gl’interessi fuori dall’università erano stati molti e giustificavano onestamente il voto finale di laurea: cento su centodieci. Attualmente a fatti e a cose avvenute guardando indietro mi dico sempre a ragion veduta:

‘Alessandro, bravo, hai fatto bene a godertela e a spassartela al meglio che potevi’.

D’altronde adesso avevo un lavoro che mi dava soddisfazione ed ero diventato una pedina preziosa nella squadra aziendale. Questi pensieri frullavano nella mia mente quel giorno all’arrivo in facoltà, perché ero venuto per discutere lo schema finale del progetto esecutivo, che sarebbe stato reso pubblico se approvato da lì a poche settimane, eppure ero in ritardo come sempre. Per fortuna, madre natura m’aveva dotato di quella giusta faccia tosta e di quell’insostituibile atteggiamento necessario per comprovare i frequenti ingressi nella sala delle riunioni, quando tutti erano da tempo seduti e pronti per iniziare la discussione. Raggiunsi sennonché in fretta il terzo piano salendo le scale di quel magnifico edificio medievale che m’aveva ospitato in una delle sue antiche stanze durante lo svolgimento della tesi. Io dovevo incontrare il professore e il suo gruppo di ricerca, in quanto il docente tra l’altro era stato il mio relatore della tesi e m’aveva stabilmente seguito in tutti quei lunghi mesi assieme a una dottoressa altrettanto molto graziosa.

I miei pensieri erano su di lei dalla sera prima mentre preparavo l’abito per l’incontro. Avevo scelto un completo di lino color blu che intonasse il colore dei miei occhi, una camicia bianca, un paio di mocassini leggeri e una cintura in cuoio leggero. Quest’ultima scelta però, non era stata casuale, dato che volevo colpirla, in definitiva stenderla con un solo particolare nondimeno noto a entrambi, giacché volevo vedere la sua reazione quando sarei entrato nell’ufficio. Dal suo viso, infatti, avrei immediatamente capito se le porte della percezione fra noi erano chiuse definitivamente, o se invece erano rimaste ancora aperte a quelle esperienze quasi estreme, che ci avevano visti protagonisti dall’inverno fino al giorno della mia laurea di quella torrida estate. Quel ventuno di luglio mi laureai, con lei in commissione, vicini per l’ultima volta, fino a oggi, giorno in cui l’avrei rivista dopo quattro anni d’assoluta e massima separazione. Lei era una donna non bellissima, ma decisa, impetuosa e molto intelligente, perché quando cominciai la relazione mi fu indicata e alla fine mi fu proposta dal docente che mi disse battendomi benevolmente una pacca sulla spalla:

‘Lei sarà per te come una guida per tutti questi mesi. Da lei imparerai parecchie cose, che non hai mai studiato in tutti questi anni d’università, credimi’.

Oggigiorno quando ci ripenso, mai dichiarazione fu così esatta e veritiera quella indicatami all’epoca. Dopo le prime settimane trascorse a casa cercando di leggere montagne d’articoli sul tema della tesi, io mi ero quasi perso d’animo, in quanto una mia beneamata amica me l’aveva detto:

‘All’inizio ti renderanno la vita difficile, soprattutto le assistenti. Io non ne posso più, fidati’.

Avevo però troppa voglia d’imparare, di mettermi alla prova, lavorando per la prima volta su questioni e su tematiche originali, rispetto a tutti quegli anni vincolati ai testi e ai programmi proposti nei diversi corsi d’insegnamento. Io ero disciplinato, accurato e puntuale alle indicazioni della mia guida, dopo quella lunga lettura primaverile, avevo iniziato a lavorare a più stretto contatto con la professoressa e le cose cambiarono in fretta. I tigli iniziavano a profumare l’aria dell’intera città e quell’essenza che battezza l’arrivo dell’estate riempiva la mia mente, il mio cuore e il mio corpo, durante tutte quelle ore passate alla postazione che mi era stata assegnata dal dipartimento. Lei m’istruiva, mi guidava e mi modellava a suo piacimento, capiva la voglia di sapere di quel giovane studente che tra non molto sarebbe uscito da lì e si sarebbe affacciato sul mondo del lavoro. Lei voleva addestrarlo di proposito, approntarlo alla vita più che alla professione, poiché questo coinvolgimento comune nell’attività di lavoro si convertì ben presto in un altro tipo di rapporto. Era iniziato tutto con una carezza sulla coscia, che io avevo nervosamente azzardato in laboratorio, quando seduti l’uno accanto all’altra attendevamo eccitati che sul monitor del PC apparissero i grafici conclusivi d’un esperimento durato diversi giorni. Io avevo compiuto quel gesto agguantato dall’eccitazione del momento sapendo che lei non avrebbe potuto reagire, essendo immersi in una sala piena d’altri numerosi laureandi e di professori. La sua reazione mi lasciò disorientato e sbalordito, in quanto invece di sorprendersi mi guardò, mordendosi il labbro superiore e sussurrandomi all’orecchio:

‘Stasera verrai a casa mia. So molto bene che sai dove abito, perché m’hai seguito, me ne sono accorta. Alle ore ventuno, non tardare, mi raccomando’.

Quella sera fu un logorante aggrovigliamento di significati, uno spossante e svigorente intreccio di corpi, di pulsioni e di sensi, perché da quel giorno fu per me tutto un crescere d’esperienze inedite, un’insolita elevazione personale, un gagliardo apprendimento del piacere, una comprensione dissoluta e lasciva fatta d’amplessi guidati minuziosamente da quella donna, che per me era una sorgente di sapienza, di femminilità e di puro piacere. Al presente, invero, eccomi di nuovo qui di fronte alla porta del dipartimento. Tiziana la segretaria all’ingresso, dal momento che il primo caloroso saluto fu il suo, visto che mi rimproverò con il suo sorriso sincero per essere sempre in ritardo come ai vecchi tempi, dicendomi che tutti aspettavano me nella saletta delle riunioni. Io giocavo proprio su questa circostanza, giacché mi piaceva pensare che tutti fossero lì in apprensiva e trepidante attesa del ‘dottore’ continuamente fuori orario.

A dire il vero m’aspettavo un richiamo furioso da parte del professore come accadeva spesso durante le frequentazioni da studente, invece fu l’opposto. Dopo un deciso bussare alla porta, entrai nella sala e fui accolto da un esultante gioire che quasi mi commosse. Prima fui abbracciato e stretto con forza dal professore che mi baciò per ben tre volte, in seguito si fecero avanti due nuovi collaboratori di cui avevo letto il nome sullo schema che mi regalarono una formale stretta di mano, infine s’alzò lei venendomi incontro con il passo determinato, armata del suo seducente sorriso e del suo magnetico sguardo. Io tentai d’allungare la mano, però lei infilò il suo braccio sotto il mio e m’abbracciò con garbata e gentile energia. Un brivido percorse lestamente la mia schiena, in quanto era magnifica in quel tailleur color cuoio di stoffa morbida, la giacca sempre di taglio maschile e i morbidi pantaloni più aderenti sul bacino e più larghi sulle caviglie, le scarpe color crema con la punta stretta e il tacco d’altezza media sottile. Il tutto era affascinante, arricchito da una camicia bianca leggera che in modo allettante e provocante lasciava intravedere le forme d’un seno piccolo ma sodo, lei mi baciò sulla guancia, un unico bacio e una sola frase:

‘Bentornato Alessandro’.

Io ero emozionato e scosso da quel turbinio di forti sensazioni, in quanto non m’aveva fatto notare un suo discreto e misurato, ma importante particolare. Ero convinto che indossando quella cintura avrei avuto in mano la chiave per avere una risposta a quegl’interrogativi che la mia mente da giorni si poneva, al contrario, quel fazzoletto che stringeva con eleganza il suo collo mi spogliò rivelandomi quei segreti pensieri. Non riuscii a dire il vero a staccare gli occhi da quel vezzoso accessorio che aveva sempre accompagnato i miei pensieri erotici, non soltanto per il periodo della tesi, bensì anche per tutti gli anni successivi. La mia esposizione fu brillante, da applauso, giacché feci di tutto per farle notare il mio d’accessorio, mi tolsi la giacca in modo che la cintura fosse evidente, eppure lei non fece altro che tenere gli occhi fissi e concentrati sullo schermo dove venivano proiettate le tracce della mia presentazione. La riunione si concluse in meno di un’ora, salutai i due collaboratori e il caro professore che dopo qualche complimento si congedò rivolgendosi nella mia direzione:

‘Adesso lascio la scena ai giovani. E’ da parecchio che voi due non vi vedete, chissà quante cose avrete da raccontarvi. Sei libera di chiudere qui la tua giornata lavorativa, non vorrai costringere Alessandro alle tue solite sedute d’analisi davanti al computer come facevi un tempo, vero?’.

Lui sorridendo se ne andò, io rimasi da solo con la professoressa in quella sala vuota in un silenzio quasi fantastico e irreale, in seguito lei m’agguantò per la cintura con un modo di fare deciso e sorridendo mi riferì:

‘Devi ancora imparare molto a quanto vedo. Pensavi che indossando questa cintura sarei caduta ai tuoi piedi come una giovane vergine vogliosa? Invece ti sei comportato come un innocente bimbo alle prime armi alla sola vista del mio fazzoletto. Ti sei dimenticato proprio tutto?’.

Lei mi sorrise ancora, io risposi abbassando la testa per nascondere quell’evidente rossore.

‘So bene che non hai scordato nulla. So che avevi architettato tutto, per capire se le famose porte erano ancora aperte. Vedo che sei sempre più uomo’ – aggiunse in maniera maliziosa.

Io tentai di risponderle, però mise il suo dito indice sulle mie labbra sussurrandomi:

‘Stasera a casa mia. Tu sai dove abito, no. Porta quello che serve. Ore ventuno, non tardare’.

Lei uscì dalla stanza lasciandomi lì a mezz’aria fra un sorriso e un sussulto. Io ero in ritardo, come sempre, dato che lei sapeva di questo mio irremovibile e ostinato difetto. L’ansia per quell’incontro tanto sperato m’aveva fatto guidare per i pochi chilometri che separavano le nostre case a velocità sostenuta. I viali della circonvallazione erano vuoti in quella sera di luglio, i finestrini erano abbassati, la radio che suonava e la mia mente ormai completamente proiettata sull’immagine del suo corpo, in quanto l’odore dei tigli ne esaltava il tramontare della sera. Immerso a fondo in quei pensieri dopo aver parcheggiato, uscii dalla macchina con in mano l’unica cosa che sapevo di dover portare. Suonai il campanello, entrai nel portone di quel condominio che ben conoscevo, l’ascensore saliva rapido quei quattro piani che io ignaro contavo alla rovescia, impensierito d’arrivare all’ultimo. Il suo appartamento non era molto grande, tuttavia era arricchito da una terrazza che dominava tutta la città, lì non c’erano occhi che t’osservavano dall’alto, poiché sapevo che quel ballatoio sarebbe stato presto la nostra camera nuziale, dato che era sempre stato così in tutti quei mesi estivi trascorsi assieme.

Le porte dell’ascensore s’aprirono e la vidi sulla porta ad attendermi, mentre dietro di lei la luce del sole al tramonto sui colli dipingeva il suo profilo. Io entrai in quell’ambiente accolto come in una nuova dimensione, lei era scalza e vestita d’un completo color azzurrino trasparente, largo e scollato e sotto era nuda, i suoi seni erano visibili e il contrasto con l’imperiosa luce del sole calante permetteva di distinguere mentre era ferma di spalle anche il profilo del suo tenero sesso, giacché indossava il fazzoletto. M’afferrò subito per mano, prese la scatola che avevo portato e la ripose dove si doveva, mi sfilò la cintura che strinse fra i denti come se fosse un’arma bianca, mi tolse la camicia e mi sfilò i pantaloni di lino. Io ero nudo di sotto, perché lei voleva così, slacciò le due spalline che reggevano il suo completo e lo lasciò cadere per terra rimanendo spoglia di fronte ai miei occhi, dato che soltanto il fazzoletto copriva il suo collo. Lei m’accompagnò sul terrazzo dove sotto un padiglione erano sistemati in ordine sparso diversi cuscini rossi adagiati su d’una morbida stuoia. Io ricordavo quella camera nuziale e sapevo la funzione del palo centrale che sosteneva l’intera struttura, placidamente mi fece sdraiare di schiena, mentre io favorivo i suoi movimenti ricordando bene la posizione che dovevo assumere. Allungai le braccia all’indietro, lei si sfilò il fazzoletto, lo avvolse attorno ai miei polsi e lo annodò bloccandomi le mani attorno a quel palo, mi diede in mano la cinghia e iniziò a viaggiare con la lingua sul mio corpo.

Io ero invaso da un’eccitazione energica e rabbiosa, avrei voluto accarezzarla, però non potevo, perché ero legato. Il mio cazzo s’innalzava impaziente e inquieto a causa di quella lingua famelica e da quelle labbra carnose che si stavano avvicinando, lo agguantò in bocca e iniziò a lavorarlo con la lingua, io m’inarcai dal piacere, mentre lei con un segnale noto m’invitò a usare dolcemente la cinghia sui suoi glutei. Il primo colpo la fece sussultare, al secondo gemette di piacere, infine al terzo rise come in preda a un’eccitazione perfida, mentre io stavo vaneggiando dal piacere. Lei liberò il mio cazzo da quella rigorosa stretta e salì fino a baciarmi la bocca golosamente, io la volevo fortemente possedere, glielo dissi e lei sciolse la stretta dai miei polsi, si mise al mio posto, mi chiese di legarla al palo e le cedetti la cintura. Lei aprì le gambe e m’invitò a leccare la sua pelosissima fica assaporandone con cupidigia quel frutto, inebriato dal suo profumo che si mescolava con quello dei tigli, mentre nel frattempo i suoi fluidi riempivano la mia bocca intanto che lei gemeva per il piacere che provava.

In seguito m’acciuffò per i capelli e mi tirò su verso di lei, io affondai il mio cazzo teso in quella carne accogliente, calda e tenera. Lei urlò sottovoce e iniziò a comandare il ritmo dell’amplesso con un gemito gutturale che gonfiò la mia eccitazione, mentre con la cintura percuoteva i miei glutei sodi e altrettanto tesi. Eravamo arrivati quasi al culmine della passione, dato che sapevo che quello era il momento per separarci e finire l’amplesso come lei voleva, uscii desolatamente da lei che s’alzò e fece scorrere il foulard sul palo, l’aiutai per girarsi, lei allargò le gambe e piegò il busto invitandomi a concludere come prestabilito, perché voleva essere dominata. Io la penetrai con dolcezza da dietro accarezzando la sua schiena che si fletteva sotto i colpi della passione, mentre venimmo in gemito congiunto, lungo e profondo su quella terrazza sotto il cielo ormai scuro. Più tardi la liberai, s’alzò e dopo un bacio pieno d’amore e di gratitudine andò a prendere ciò che le avevo portato. Io ero arrivato in ritardo, malgrado ciò ero tornato in tempo e dopo diversi anni l’avevo trovata lì ad aspettarmi, per il fatto che avevamo attraversato e superato di nuovo assieme le porte della conoscenza e della percezione.

Al momento, seduti l’uno accanto all’altra, gustavamo indeboliti e sfiniti quel gelato, quando contenti e soddisfatti ci gustavamo dall’alto tutte quelle luci della città, assieme a quel gradevole e continuo profumo dei tigli in fiore.

{Idraulico anno 1999}

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