Sofia era a letto, ma il sonno non arrivava. Troppo eccitata all’idea della partenza per il mare la mattina dopo. Aveva già compiuto diciotto anni, eppure i suoi non volevano ancora lasciarla andare in vacanza da sola con gli amici. Così anche quell’estate, sperando fosse l’ultima, avrebbe seguito i genitori nella solita meta.
Possedevano un appartamento in un residence a pochi passi dalla spiaggia, anche se di solito preferivano le calette più isolate, dove potevano stare tranquilli. C’era però un dettaglio che rendeva il tutto più interessante: in quel residence passava l’estate anche un’altra famiglia, con due gemelli della sua età, Chiara e Luca.
Luca era carino, anche se un po’ troppo timido. Sua sorella Chiara, allo stesso modo, non era niente male e con lei non mancava mai di ridere. Magari, pensò Sofia, quell’anno sarebbe riuscita a spingersi un po’ oltre con loro, qualcosa di più intrigante delle solite partite a carte.
Il solo pensiero le accendeva un pizzicorino sotto pelle, che le correva lungo il seno facendole indurire i capezzoli e scivolava tra le cosce, fino alla piccola fica liscia che già pulsava di calore.
Sofia scostò il lenzuolo, lasciando che l’aria fresca le accarezzasse il corpo nudo. Si prese i seni tra le mani, li strinse piano, godendosi la sensazione della pelle tesa sotto le dita. Le piacevano: rotondi e pieni, ancora non grandi come quelli di sua madre — che aveva un seno grosso e perfetto — ma comunque belli da guardare e da toccare. Sfiorò i capezzoli, li strizzò con un brivido, poi con la mano scese lentamente tra le cosce.
Subito sentì la pelle calda e liscia, e ancora più giù le labbra che si schiudevano al tocco, bagnate e morbide. Era da un po’ che non scopava: l’ultima volta qualche settimana prima, a una festa. Ora le mancava quel contatto, la presenza di un fidanzatino o almeno di un cazzo vero. Nessun dito, nessun giocattolo, poteva sostituire quella sensazione.
Il pensiero della mancanza di un ragazzo, però, le portò addosso una punta di tristezza, e insieme le fece passare la voglia di continuare. Sospirò, si tirò su dal letto e guardò l’ora: quasi l’una. Decise di andare in cucina a bere un bicchiere d’acqua.
Quando però passò davanti alla porta della camera dei genitori, socchiusa, i gemiti e l’ansimare la fecero fermare di colpo. Rimase immobile, sorpresa, il cuore che accelerava, mentre l’orecchio si tendeva a captare meglio quei suoni.
Sofia spinse appena la porta, piano, quel tanto che bastava per aprirsi uno spiraglio. Il cuore le batteva forte, quasi temesse di essere scoperta, ma la curiosità era più forte di tutto. L’occhio si infilò nella fessura e la scena che le apparve davanti le fece trattenere il respiro.
Marianna era piegata carponi sul letto, le mani affondate tra le lenzuola stropicciate. I capelli lunghi, sciolti, le ricadevano attorno al viso e ondeggiavano a ogni colpo. Dietro di lei, massiccio, c’era Gianni, che la teneva stretta per i fianchi e la penetrava con spinte lente ma profonde. Ogni affondo faceva ballare il grosso seno della donna avanti e indietro, con un ritmo ipnotico.
Il suono dei loro corpi che si urtavano, gli schiocchi umidi, si mescolavano ai gemiti della madre. Non erano lamenti soffocati, ma grida di piacere, libere, piene. “Oh… sì… più forte…” lo incitava, spingendo indietro il bacino per prenderlo ancora più dentro.
Sofia deglutì a vuoto, incollata a quello spettacolo. Non aveva mai sentito sua madre lasciarsi andare così, non in quel modo. Sempre elegante, sempre misurata davanti agli altri, e ora ridotta a una femmina che ansimava come un animale, con la faccia stravolta dal piacere.
Ad un certo punto Marianna si girò a metà, guardando il marito da sopra la spalla. Gli occhi lucidi, le labbra bagnate di saliva, e la voce roca. “Ho voglia…” sussurrò, quasi ringhiò.
Gianni rallentò, si fermò appena dentro di lei. Un mezzo sorriso comparve sul suo viso segnato. “Di cosa hai voglia?”
“Lo sai bene…” ansimò lei, mordendosi il labbro, poi più decisa: “Voglio che mi scopi il culo.”
“Chiedilo meglio.”
Marianna gemette, scosse i capelli sudati, e con un filo di voce rotta gridò: “Fottilo… voglio che mi fotta il culo come una troia. Sono la tua troia, fammi quello che vuoi.”
Quelle parole colpirono Sofia come uno schiaffo. Non aveva mai immaginato di sentir parlare la madre in quel modo. Sentì un brivido salirle lungo la schiena e, senza quasi accorgersene, la mano le scivolò di nuovo tra le gambe. Le dita trovarono la fessura calda e bagnata, il clitoride già teso che pulsava contro il tocco leggero.
Gianni rise piano, soddisfatto, e le mollò una pacca sul culo che risuonò netta nella stanza. Poi si sfilò da lei e Sofia vide, per la prima volta, il cazzo del padre. Rimase senza fiato. Non era solo lungo, ma grosso, spesso, con le vene in rilievo e il glande scuro e imponente. Quasi venti centimetri di carne che brillavano di umori. Era enorme, sproporzionato rispetto a qualunque cosa lei avesse mai provato.
La gola le si seccò, gli occhi incollati a quell’asta mentre Gianni allungava la mano verso il comodino. Prese una boccetta d’olio, svitò il tappo e ne versò sul cazzo, massaggiandoselo lentamente dalla radice al glande. Le dita grandi lo accarezzavano come fosse un’arma da preparare, e il rumore viscido dell’olio si mescolava ai sospiri di Marianna.
Sofia infilò due dita tra le labbra bagnate della fica, spalancandole piano, lasciando che il pollice le accarezzasse il clitoride. Guardava rapita, eccitata e incredula. Non aveva mai pensato di poter provare quel genere di piacere solo osservando. Ogni volta che Gianni stringeva la mano intorno al cazzo, lei si toccava più veloce, con la figa che colava e le cosce che tremavano.
Marianna si mise in ginocchio, allargando bene le natiche. “Dai… fammi sentire il tuo cazzo… fammi urlare.”
Gianni si chinò sopra il corpo carponi di Marianna e le passò una mano tra i glutei, aprendole le natiche. Il buchino tremava, piccolo e serrato, e bastò un tocco a farla gemere come se fosse già penetrata. Aprì la boccetta sul comodino e lasciò colare un filo d’olio scuro, che scese lento lungo la fessura fino a insinuarsi dentro. Con due dita grosse glielo spalmò con calma, lavorando il cerchio contratto, premendo e girando piano, allargando e massaggiando fino a farlo cedere un poco.
Marianna gemeva a ogni movimento, il viso stravolto appoggiato al cuscino. “Sì… così… preparami bene… fammi tua… aprimi il culo come sai fare.”
Sofia trattenne il fiato. L’occhio incollato alla fessura della porta vedeva tutto: il buchino lubrificato che brillava, le dita del padre che entravano e uscivano con calma, la madre che spingeva indietro il bacino come una cagna in calore. Sentì le unghie graffiarle la pelle della coscia mentre la mano le scivolava tra le gambe. Non resisteva più: si stava toccando senza freni, cercando di restare muta.
Gianni tolse le dita, ormai lucide, e puntò la testa del cazzo proprio lì, al centro dell’anello che pulsava. La dimensione era spropositata: il glande scuro premeva contro quel buchino minuscolo e sembrava impossibile che potesse entrarci.
Marianna gridò, ma non di dolore. “Sì… fallo entrare… spingilo dentro tutto, fammi sentire che mi spacchi!”
Sofia tremava. Vedeva quella massa enorme schiacciare, forzare, fino a far cedere piano la resistenza. Si morse le labbra, soffocando un gemito, mentre il clitoride gonfio le pulsava sotto le dita.
Gianni serrò la presa sui fianchi della moglie e iniziò ad avanzare. Lentissimo, centimetro dopo centimetro, il cazzo si faceva strada, aprendo quel buco stretto. Marianna si inarcava, le braccia che tremavano, i seni enormi che ballavano in avanti a ogni affondo. “Ohhh… sì… Dio, quanto mi riempi… quanto è grosso… più dentro, scopami tutta!”
Sofia gemeva in silenzio, le gambe divaricate, le dita che correvano veloci sulla fica inondata. Non aveva mai immaginato che la madre potesse parlare in quel modo, e sentirlo la faceva esplodere di eccitazione.
Gianni rise piano, un ruggito basso. “Ti piace, eh? Troia… col culo pieno del mio cazzo”
Marianna ansimò, scuotendo la testa come in trance. “Sì… fammi tua… sfondami… sono la tua troia, usami come vuoi. Spaccami il culo davanti a tutti, fammi gridare!”
Quelle parole oscene si piantarono nella testa di Sofia. La mano le scivolò ancora più in basso: prese un po’ degli umori caldi che colavano dalla fica e li spalmò dietro, sul buchino stretto. Tremando, spinse piano il dito, entrando poco a poco. Il corpo le si accese in un piacere nuovo, mai provato, acuto e perverso. Spingeva avanti e indietro, imitando ciò che vedeva sul letto.
Con l’altra mano si massacrava il clitoride, senza riuscire a distogliere gli occhi. Ogni colpo di Gianni dentro il culo della madre le faceva vibrare il corpo, ogni grido di Marianna era come un ordine diretto a lei: toccati, goditi lo spettacolo, sii una troietta come tua madre.
La stanza era piena di schiocchi umidi, del rumore della pelle contro la pelle, del respiro spezzato e delle urla sconce. Gianni la penetrava sempre più forte, il cazzo enorme che spariva e riemergeva lucido d’olio, mentre Marianna si lasciava andare a versi animaleschi.
Sofia si spinse il dito più a fondo, aprendosi sempre di più, bagnando tutto con i propri umori. Il doppio piacere la travolgeva: davanti la fica che pulsava sotto le carezze, dietro il buchino che imparava a cedere. Era incredibile, proibito, sporco, e proprio per questo la faceva godere come non mai.
Marianna urlava: “Sì… più forte… spaccami! Non fermarti, cazzo, scopami come una cagna, voglio tutto!”
Gianni le mollò uno schiaffo sul culo, secco, e affondò ancora più deciso. “Eccoti servita, troia. Ti apro il culo come piace a te.”
Sofia non resse. Un gemito le sfuggì dalle labbra mentre le gambe le cedettero. Il corpo venne scosso da tremiti violenti, le dita che affondavano nella fica colante, il buchino che stringeva il dito in una stretta calda. L’orgasmo le esplose addosso come un’ondata, strozzato, nascosto, ma devastante.
Restò lì, piegata contro la porta, il respiro che le sfuggiva a scatti, gli occhi lucidi e persi. Guardava ancora: il cazzo enorme del padre che entrava e usciva dal culo della madre, le urla oscene, l’odore di sesso che sembrava impregnare l’aria.
Poi, tremando, si staccò piano dalla fessura. Tornò in camera barcollando, con le cosce bagnate, e si lasciò cadere sul letto nuda. Chiuse gli occhi, il cuore ancora in gola, e si addormentò col sorriso sporco sulle labbra, l’immagine di quel cazzo enorme che la tormentava e la eccitava come mai prima.
La mattina Sofia si svegliò stranamente carica, il corpo ancora saturo di quel piacere rubato poche ore prima. Si infilò una canottiera leggera e un paio di pantaloncini e scese in cucina.
Lì trovò i genitori: Marianna indossava una vestaglia leggera, sottile, quasi trasparente, che lasciava intravedere le curve nude sotto il tessuto; Gianni era seduto in pantaloncini, muscoli rilassati, una tazza di caffè tra le mani. Stavano chiacchierando a bassa voce della valigia e delle ultime cose da mettere in macchina.
Appena entrò, alzarono lo sguardo.
“Buongiorno, amore,” disse Marianna con un sorriso, versandole il caffè e allungandole il bicchiere con il latte.
“’Giorno,” rispose Sofia, prendendo posto. Cercava di sembrare normale, ma non riusciva a staccare gli occhi dal seno della madre, intravisto attraverso la stoffa leggera, e dal petto largo del padre che ancora le riportava alla mente le immagini della notte.
Gianni la osservò un attimo, con quello sguardo profondo che sembrava leggerle dentro. “Hai dormito bene?” chiese.
Sofia deglutì, abbassando lo sguardo sulla tazza. “Non molto… e poi mi sono anche svegliata presto.”
“L’agitazione per la partenza,” commentò Marianna, accavallando le gambe e lasciando che la vestaglia si aprisse appena sulle cosce. “È sempre così, i primi giorni.”
Sofia annuì, sorseggiando il caffè. Cercava di concentrarsi sulle parole, ma nella testa continuava a girare l’immagine del cazzo del padre che spariva dentro sua madre, i gemiti sporchi, le frasi oscene. Le guance le si accesero senza motivo apparente, e sperò che nessuno se ne accorgesse.
“Finisci di fare colazione e poi vai a prepararti,” disse Marianna, alzandosi e stirandosi pigramente. La vestaglia si sollevò un po’, lasciando intravedere la curva del fianco. “Fatti una bella doccia, che tra meno di due ore dobbiamo partire, e il viaggio sarà lungo.”
“Va bene, mamma.”
Gianni posò la tazza e si passò una mano sulla barba. “Controlla bene la tua valigia… Non si sa mai. E non perderti via a scegliere vestiti inutili, dobbiamo partire puntuali.”
“Sì, papà.”
Il tono era secco, deciso, ma a lei parve di sentire un’eco di quella voce roca e imperiosa che la notte prima aveva comandato Marianna, facendole dire quelle parole sporche. Un brivido le percorse la schiena, e serrò le cosce sotto al tavolo.
Finito di mangiare, salutò con un cenno e andò in bagno. Chiuse la porta a chiave, si spogliò lentamente, fissando il proprio corpo nello specchio: i capezzoli già tesi sotto la canottiera, la pelle ancora calda di eccitazione. Entrò sotto il getto della doccia, lasciando che l’acqua le scivolasse addosso.
Il vapore si alzava piano e, mentre si insaponava le braccia e il ventre, i pensieri tornarono inevitabilmente a quella porta socchiusa, a Marianna piegata carponi, al padre che le spingeva dentro quell’asta mostruosa. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente e si lasciò andare a quel ricordo, le mani che scendevano sempre più giù.
L’acqua calda le colava addosso, scivolando lungo le spalle, tra i seni, fino a perdersi sul ventre e sulle cosce. Sofia passava le mani insaponate sul corpo, in un gesto che era mezzo cura e mezzo carezza, e più si toccava più sentiva che non si stava davvero lavando: si stava eccitando di nuovo.
Il ricordo della notte la investiva come un’ondata continua. Bastava chiudere gli occhi e rivedeva la madre carponi, le tette che dondolavano sotto i colpi del padre, il cazzo enorme che spariva nel suo culo mentre lei lo incitava come una puttana. Quelle frasi sporche, quella voce roca, l’odore di sesso che le era arrivato fino al corridoio. Tutto le tornava in mente con una nitidezza che la faceva tremare.
Le mani indugiavano sempre negli stessi punti: il seno, con i capezzoli tesi che premevano contro il palmo; il ventre morbido che scendeva verso il monte di Venere; le cosce che si aprivano da sole. Quando fu il momento di lavarsi dietro, però, la tentazione fu troppo forte. Infilò le dita tra le natiche insaponate e spinse piano. Il dito entrò senza fatica, e quel contatto la fece sussultare.
Non si era mai spinta così a fondo lì, eppure il piacere che provò fu immediato e violento. Spinse ancora, più dentro, e il corpo le rispose con un brivido che la fece gemere a denti stretti. Aggiunse un secondo dito, tremando, e quasi crollò contro il vetro appannato della doccia. L’orgasmo era lì, pronto, ma lei non voleva fermarsi. Voleva di più, molto di più.
La mente correva veloce, come se fosse posseduta da un bisogno primitivo, urgente, qualcosa che non poteva ignorare. Non era più solo masturbazione: era una fame che le divorava la pancia. Aprì la porta della doccia, il vapore che si spandeva in bagno come una nube. Gli occhi le caddero sul lavandino, e lì la vide: una spazzola, con il manico grosso in legno. Bastò quell’immagine a scatenarle un pensiero perverso.
Con un gesto rapido la prese. Tornò sotto l’acqua, la insaponò bene, rendendo il legno scivoloso e lucido, e senza esitare la portò dietro. Posa la punta del manico sul buchino e iniziò a spingere piano, il cuore che le batteva a mille. La carne cedette, l’anello si dilatò e il legno cominciò a entrare. Un gemito le scappò dalle labbra, strozzato ma carico di piacere.
“Ahhh… sì…” sussurrò, mentre il corpo si piegava in avanti e l’acqua le colava tra i capelli e giù lungo la schiena. Ogni centimetro che entrava era un colpo elettrico, un misto di bruciore e goduria che la faceva stringere le cosce e inarcare la schiena. Più spingeva, più ne voleva.
E nella sua testa non c’erano immagini di ragazzi, non c’era il suo ex né i compagni di scuola. No. Lì, in quell’orgasmo sporco e proibito, c’era solo lui: Gianni. Il padre.
Lo immaginava dietro di lei, in doccia, come quando da piccola le lavava i capelli e le passava il sapone sulla schiena. Ma ora era diverso. Ora lei era grande. Ora non sarebbe stato un gesto innocente. Lo vedeva avvicinarsi, prendere la spugna, accarezzarle i seni insaponati, stringerle i capezzoli tra le dita. La voce roca che le diceva: “Stai diventando una donna, Sofia. E le donne vanno trattate come meritano…”
Lei si sarebbe voltata, con lo sguardo sporco che aveva visto negli occhi della madre la sera prima. “Allora fallo, papà. Fai a me quello che hai fatto a mamma. Io lo voglio.”
Un brivido la scosse. La fantasia si mescolava al gesto reale: il manico della spazzola che penetrava il suo culo, il corpo che lo accoglieva sempre più, e la mano libera che si muoveva sulla fica con dita veloci e spietate. Immaginava il cazzo grosso di Gianni al posto di quel legno, quella carne viva e pulsante che la sfondava senza pietà.
Si piegò in avanti, appoggiando una mano al muro, mentre continuava a spingere la spazzola dentro e fuori. Ogni affondo più profondo, ogni volta un gemito più alto. “Oh Dio… sì… più forte… dammelo… scopami papi…” sussurrava, e nella testa era Gianni a sentirla, era lui che la prendeva, che la usava.
Il piacere si gonfiava, insopportabile. La spazzola entrava con facilità ormai, e lei la spingeva più a fondo, mentre la mano sull’altro buco non si fermava un attimo. Le gambe le tremavano, il respiro era rotto, il cuore impazzito.
Poi arrivò, improvviso e devastante. L’orgasmo le esplose addosso con una violenza mai provata. Il corpo intero si contrasse, la fica pulsò colando umori sulle cosce, il culo strinse il legno con spasmi continui. Urlò, soffocando il suono contro il vetro della doccia appannato, mentre tremava da capo a piedi.
Rimase così a lungo, piegata, l’acqua che scivolava addosso, il manico ancora dentro. Gli occhi chiusi, la mente persa in quell’immagine proibita: Gianni, con quel cazzo enorme, che la prendeva in doccia senza pietà.
Quando finalmente estrasse la spazzola, barcollò all’indietro e si sedette sul piano della doccia, ansimante, il petto che si sollevava rapido. La guardò tra le mani: il manico bagnato, lucido, sporco testimone del suo delirio. Un sorriso le si disegnò sulle labbra.
Sapeva che stava andando troppo oltre. Sapeva che pensare al padre in quel modo era perverso, osceno. Ma proprio quella consapevolezza la faceva fremere. Si rivestì lentamente, con le gambe ancora molli, e un pensiero fisso che non la lasciava: prima o poi, quel cazzo doveva essere suo.
Sofia finì di lavarsi, il corpo ancora scosso dai tremiti del piacere. Prese la spazzola, la risciacquò accuratamente e la asciugò, come se nulla fosse accaduto, eppure mentre la posava di nuovo sul lavandino la guardò con un sorriso storto. La pelle delle gote era arrossata, non solo per il vapore, ma per quell’orgasmo che ancora le ronzava nelle vene. Si fissò allo specchio: i capelli bagnati le incorniciavano il volto, gli occhi brillavano come se nascondessero un segreto sporco.
Si avvolse in un asciugamano stretto attorno al seno e uscì dal bagno. I genitori parlavano in sala, discutevano della partenza imminente. Lei passò davanti alla loro camera e si fermò, con il cuore che accelerava. Una piccola idea le attraversò la mente, sporca e irresistibile.
Entrò rapida, quasi trattenendo il respiro, e si diresse al comodino. La boccetta d’olio era lì, esattamente dove l’aveva vista la sera prima. La prese con mani veloci, svitò il tappo e ne versò un po’ sul palmo. Subito il liquido scivolò caldo, vischioso, e senza pensarci se lo spalmò sulla fica, tra le labbra gonfie e già umide. Poi lasciò che colasse dietro, tra le natiche, e spinse dentro un dito, lento, sentendo il buchino cedere ancora sensibile. Il bruciore si trasformò subito in un piacere pungente che la fece gemere piano.
“Mmmm…” sussurrò, guardandosi riflessa nello specchio dell’armadio. “Se papà entrasse ora mi troverebbe qui, con il suo olio addosso, già pronta…” Il cuore le batteva così forte che temette di farsi sentire. Ripose la boccetta, si pulì le dita alla meglio e corse via, in camera sua.
Aprì l’armadio e scelse cosa mettere. Una minigonna leggera che appena le copriva il culo e una canottierina scura. Perfetti per un viaggio in auto: comoda, sì, ma anche… accessibile. Sotto infilò un perizoma nero sottilissimo, più che biancheria un invito. Si guardò allo specchio e sorrise: “Sembro proprio una porcellina pronta a farsi guardare.”
Restava solo da mettere i sandali. Si inginocchiò accanto al letto, cominciando a tirar fuori le scatole fin sotto la rete. Era china, piegata in avanti, la minigonna che saliva sempre più, scoprendole le natiche rotonde e lasciando in vista il filo nero del perizoma.
Fu in quella posizione che sentì la voce di Gianni alle sue spalle.
“Allora, sei pronta?”
Sofia trasalì, il cuore che le balzò in gola. Voltò appena la testa, facendo finta di niente. “Quasi, papà. Mi mancano solo i sandali…”
Poi lo realizzò. La posizione in cui si trovava. Era piegata in avanti, con il culo in piena mostra. Il pensiero la fece vibrare di eccitazione. Gianni era lì, in piedi, dietro di lei. Immaginò il suo sguardo posarsi esattamente dove voleva: sulla fessura del culo, sul triangolo del perizoma che lasciava intravedere la fica ancora senza peli.
“Sono troppo in fondo…” si lamentò, fingendosi frustrata. E per rendere la scena ancora più evidente si piegò di più, abbassandosi fin quasi a sfiorare il pavimento, così che la minigonna si sollevò completamente. Le cosce si aprirono appena, dando una visuale perfetta a chiunque fosse dietro.
Dentro di sé rise, un sorriso malizioso che non lasciò mai trapelare. “Guardami, papà… guardami bene… questo culo aspetta solo il tuo grosso cazzo…”
Dietro di lei sentì un colpo di tosse, breve, quasi forzato. Poi la voce roca di Gianni, leggermente incrinata.
“Va bene, sbrigati. Fra poco dobbiamo partire.”
Sofia restò immobile qualche secondo in più, ancora piegata, ancora esposta. Sentiva i suoi occhi addosso, immaginava il cazzo che aveva visto la notte prima gonfiarsi sotto quei pantaloncini. Poi i passi si allontanarono lungo il corridoio.
Lei sospirò piano, eccitata, e finalmente afferrò i sandali. Si alzò, le gambe molli, e mentre li indossava si disse: “Sei entrato nella trappola, papà. Ti sei fermato a guardare, lo so. E io voglio che tu mi guardi ancora.”
Marianna entrò in camera per abbassare la tapparella. Mentre tirava la corda, un odore dolce e familiare le solleticò il naso. Si fermò, inspirò piano, poi si voltò. Sul comodino notò la boccetta d’olio, il tappo mezzo svitato, e un paio di gocce scivolate sul legno lucido.
Inarcò un sopracciglio. Era certa che la sera prima Gianni l’avesse chiusa bene, come faceva sempre. E non poteva essere stato lui ad aprirla quella mattina: da quando si erano alzati era rimasto con lei in sala, a bere caffè e discutere della valigia.
Un sorriso lento le piegò le labbra. “Mh…” pensò, mordendosi appena il labbro inferiore. Un brivido caldo le attraversò la pancia. L’idea che qualcun altro l’avesse usata la eccitò più di quanto volesse ammettere. E in quella casa c’era solo una persona che poteva averlo fatto.
Abbassò del tutto la tapparella, lasciando la stanza in penombra, e uscì. Appena nel corridoio, incrociò Sofia che stava uscendo dal bagno, già pronta, vestita con una minigonna leggera e una canottierina scura. Aveva i capelli ancora umidi e tra le mani stringeva… una spazzola.
Marianna la guardò con un lampo di ironia negli occhi. “La porti con te?” chiese con tono leggero.
Sofia annuì di scatto. “Sì… è comoda, mi fa i capelli belli. Non la trovo uguale da nessuna parte.” La voce era rapida, quasi giustificata.
Marianna sorrise. Non disse altro, ma dentro si compiacque di quella piccola bugia. La osservò un attimo di più: le guance appena arrossate, lo sguardo che cercava di sembrare normale. Sì, era stata lei. La sua bambina non era poi così innocente.
“Va bene, portala pure,” disse alla fine, accarezzandole appena la spalla mentre passava. Il tocco fu rapido, ma bastò a sentirle la pelle calda, vibrante.
Pochi minuti dopo, finalmente, la famiglia fu pronta. Le valigie caricate in auto, i finestrini abbassati per far entrare l’aria fresca. Gianni al volante, Marianna al suo fianco, e Sofia dietro, con la spazzola nello zainetto che teneva sulle ginocchia.
– Fine capitolo –
Ciao a tutti! Vi è piaciuto? I miei racconti sono tutte esperienze di vita vissuta in prima persona e non, ovviamente romanzati o alterati così come nomi e simili. Se questo vi è piaciuto fatemelo sapere, così saprò se continuare. Se non vi è piaciuto, fatemelo sapere lo stesso! ;) Suggerimenti e idee mi piacciono sempre e scusate se su alcuni aspetti psicologici dei personaggi mi dilungo ma mi piace sia il corpo che la mente e odio i personaggi piatti.
Se volete vedere anche il mio lato artistico, faccio parte del Kollettivo Zookunft!
Cercate online e mi troverete.
A presto, Cherise!



scusa, al quarto sono bloccato!
ti ringrazio, mi fa molto piacere sapere che ti sia piaciuto! il secondo capitolo l'ho completato. nel terzo sono bloccato.…
ne ho scritti altri con altri nick...spero ti piacciano altrettanto.
Vedi la tua posta indesiderata
Ti ho scritto, mia Musa....attendo Tue...