Sofia aprì gli occhi con la luce che filtrava dalla finestra. Prese il telefono sul comodino per vedere l’ora e vide la notifica: una chiamata persa da Martina. Sbuffò piano, un po’ delusa di sé. La notte prima avevano promesso di collegarsi in video, di giocare a distanza come già facevano tante volte, gemendo e venendo guardandosi nello schermo. Ma il viaggio in macchina con i suoi, la stanchezza accumulata e l’agitazione per l’arrivo al mare l’avevano stroncata sul letto come una bambina esausta.
Prese il telefono, scrisse in fretta un messaggino di scuse: “Amore, mi sono addormentata, scusami. Ti penso, mi manchi. Mi farò perdonare.”
Martina rispose dopo pochi secondi, dolce come sempre: “Tranquilla, tesoro. L’importante è che ti diverti. Ma voglio ogni dettaglio… e ricorda che devi farmi rosicare di quanto sei troia.”
Sofia rise tra sé, con quel brivido nello stomaco che le saliva ogni volta che Martina la chiamava così: troia. Le scrisse: “Contaci, ti aggiornerò di tutto.” Poi lasciò il telefono, si stiracchiò nuda e andò in bagno.
I suoi dormivano ancora: li sentiva respirare dietro la porta della camera.
Seduta sul water a fare pipì, si morse il labbro e chiuse gli occhi: se lo vedeva davanti, nudo, grosso, con quello sguardo scuro che l’aveva già sorpresa mille volte a studiargli il corpo. Lo desiderava. Non come un capriccio: lo voleva davvero, voleva che fosse lui il prossimo a spaccarla dentro, che fosse lui a ridurla ad un corpo usato e riempito. E più ci pensava, più le sembrava inevitabile.
Entrò in doccia. L’acqua tiepida le scivolò sulla pelle chiara e liscia, accendendo ancora di più la sua eccitazione. Si insaponò lentamente, lasciando che le mani indugiassero sui seni, stringendoli, pizzicando i capezzoli finché non furono duri e dolenti. Avrebbe voluto scivolare subito tra le cosce, ma si costrinse a rallentare, a far crescere il fuoco senza spegnerlo troppo presto.
Eppure la fantasia le bruciava già: Gianni che la prendeva di sorpresa, che la piegava e la scopava senza darle scampo. Marianna che guardava, che le sussurrava “Impara, puttanella, impara da tua madre”. Era un pensiero che la faceva vibrare, che le allagava la fica al punto da dover serrare le cosce.
Si chinò a raccogliere il flacone del bagnoschiuma e colse l’occasione: con le dita insaponate cominciò a giocare con l’altro buco. Lo chiamava il “buchino segreto” quando ne parlava con Martina, ma ormai non era più un vezzo innocente: stava diventando un’ossessione. Ci affondò un dito, poi due, godendo del bruciore dolce, di quella sensazione che la faceva sentire sporca, preparata a lui.
Era un allenamento, se lo diceva ogni volta: “Se riesco ad allargarmi per bene, allora il cazzo di papà entrerà tutto, anche quando mi aprirà da dietro come mamma.” La frase le esplose in testa e le fece uscire un gemito che si perse nel rumore dell’acqua.
Affondò tre dita, spinse, si dilatò, sentì il corpo tremare. Il cuore le batteva in gola, la fica le pulsava. Avrebbe potuto venire lì, piegata in doccia con le dita che la allargavano, ma si fermò, ansante, le gambe molli. Sapeva che se si fosse lasciata andare avrebbe urlato, e non voleva rischiare che i suoi la sentissero.
Rimase qualche secondo immobile, le dita ancora dentro, respirando forte. Poi le tirò fuori lentamente, osservando come il buchino restava un po’ aperto, rilassato. Ci passò sopra il pollice insaponato e sorrise sporca, eccitata all’idea che, quando sarebbe arrivato il momento, il suo corpo sarebbe stato pronto a riceverlo davvero.
Uscì dalla doccia con le cosce che tremavano e il cuore che martellava. Si guardò allo specchio: i capelli umidi incollati al viso, i capezzoli gonfi, la pelle arrossata. Si vide e si piacque: non era più una ragazzina, era una troia in allenamento, e quella vacanza sarebbe stata il suo debutto.
Quando uscì dal bagno, ancora calda e umida, sentì il profumo intenso del caffè nell’aria. Qualcuno si era alzato. Si strinse meglio l’asciugamano legato sopra il seno e, a passi lenti, raggiunse la cucina.
Gianni era lì, con la moka che borbottava sul fornello. Si voltò e la guardò: un sorriso breve, naturale, quasi paterno. “Buongiorno, piccola. Vuoi il solito caffellatte?”
Sofia ricambiò il sorriso, dolce, finto ingenuo. “Sì, papà, grazie.” La voce le tremava appena, ma non per timidezza: era eccitazione.
Si diresse verso il mobile dei biscotti, l’asciugamano che le scivolava un po’ ad ogni passo. Si allungò sulle punte per prendere la scatola in alto e, con un gesto studiato, lasciò che la stoffa si “impigliasse” al pomello del cassetto. Bastò un attimo: l’asciugamano scivolò lungo il corpo, cadendo a terra in silenzio.
Gianni rimase immobile, lo sguardo incollato. Un respiro appena più forte tradì la sua sorpresa. Davanti a lui la figlia era completamente nuda, pelle umida di doccia, i capezzoli duri, il culo pieno e liscio che tremava leggermente.
Sofia fece la parte della brava attrice: occhi spalancati, volto rosso, una smorfia di finto imbarazzo. “Oddio… scusa!” abbassò la voce, raccolse in fretta l’asciugamano, ma non senza piegarsi fino in fondo, offrendogli senza pietà la visione del suo culetto perfetto, aperto quel tanto da mostrare anche il buchino segreto ancora arrossato dal suo “allenamento” in doccia.
Il silenzio era denso, rotto solo dal gorgoglio della moka sul fuoco. Gianni non disse nulla, ma i suoi occhi parlavano chiaro: aveva visto tutto, e lei lo sapeva.
Sofia si avvolse di nuovo l’asciugamano, con lentezza, come se fosse davvero agitata. “Forse è meglio che mi vesta prima di fare colazione…” disse, abbassando lo sguardo ma lasciando trapelare un mezzo sorriso malizioso. Poi, voltandosi verso il corridoio, gli concesse ancora un’ultima inquadratura del suo corpo bagnato.
Uscì dalla cucina con passo sicuro, diretta in camera sua, lasciando dietro di sé il profumo di sapone e la scia del suo peccato.
Sofia entrò in camera col cuore che batteva forte. Non ci credeva ancora di averlo fatto davvero. Quella mossa era stata un azzardo, ma l’espressione di Gianni, il modo in cui l’aveva fissata senza riuscire a staccare gli occhi dal suo corpo nudo, era un’immagine che le sarebbe rimasta dentro a lungo. Si tolse l’asciugamano e, completamente nuda, aprì la valigia per cercare il costume da bagno.
Ne trovò uno colorato, con fantasie quasi infantili. Lo indossò davanti allo specchio: il pezzo sopra copriva il seno, ma il tessuto chiaro lasciava intravedere i capezzoli, gonfi e durissimi, che spingevano contro la stoffa. La parte sotto, invece, era molto più audace: sgambata davanti e praticamente un tanga dietro. Si girò, osservando come il tessuto si infilava tra le natiche, facendole un culo da impazzire. Scoppiò a sorridere: era perfetta così, provocante al punto giusto.
“Così non potrà resistere”, pensò, immaginando il padre che la fissava di nuovo, più a lungo, più vicino, fino a toccarla. Sentì un brivido scivolarle lungo la schiena. Quella vacanza sarebbe stata il suo campo di gioco: magari avrebbe conosciuto anche qualche ragazzo, avrebbe assaggiato altri corpi, ma il vero premio, quello che desiderava con tutta sé stessa, restava Gianni.
Prese il telefono e scrisse a Martina raccontandole, con ogni dettaglio sporco, cosa aveva appena fatto in cucina: l’asciugamano lasciato cadere, il culo mostrato senza pudore, lo sguardo del padre bloccato su di lei. La risposta arrivò subito, velenosa e dolce allo stesso tempo: “Troia, sei peggio di me. Voglio i dettagli, tutti. Ti immagino a quattro zampe sul tavolo della cucina con lui che ti scopa come una bestia.”
Sofia rise, eccitata, e si strinse le cosce. Le dita volarono veloci: “Presto, amore, ci arrivo. Lo sto preparando. Intanto beccati questa.” Si mise in posa davanti allo specchio, scattò una foto in costume e gliela mandò. Dopo pochi secondi arrivò il cuore e l’emoji con la lingua di Martina.
Con ancora quel sorriso sporco sulle labbra, indossò il copricostume leggero e uscì dalla stanza. Tornò in cucina: Marianna era già lì, intenta a sistemare tazze e piattini, con l’aria della madre affettuosa. Sofi, che bella che sei,” le disse, guardandola con orgoglio e complicità.
Sofia la ringraziò con un sorriso angelico, ma dentro sentiva la fiamma che ardeva sempre più. Sul tavolo c’era la sua tazza di caffellatte, ancora calda, che Gianni aveva preparato per lei. Lui però non era lì. La porta della camera dei genitori era socchiusa: probabilmente si era ritirato dentro, forse per calmarsi, forse per pensare.
Marianna la guardava pensierosa mentre beveva il suo caffèlatte. Era stata una notte agitata e si era svegliata con la figa che pulsava e il lenzuolo zuppo sotto di sé. La sera Gianni l’aveva scopata come una bestia, l’aveva aperta e riempita fino a lasciarla senza fiato, eppure non bastava. Era ancora bagnata, il corpo in fiamme, la testa infestata da sogni luridi che la facevano ribollire.
Aveva sognato le vecchie compagne di scuola, quelle che da ragazzina chiamava “amiche per la pelle”. Nel sogno erano nude, sudate, la schiacciavano sui banchi di legno, le allargavano le gambe e leccavano la fica senza lasciarle respiro. Ricordava i loro gemiti, le lingue ruvide che l’affondavano dappertutto, il sapore dolciastro delle loro fiche rasate che le veniva spalmato sul viso e spinto in bocca a forza. Una di loro le aveva infilato tre dita nel culo, affondando fino al palmo, mentre un’altra – Angelica, la biondina dagli occhi di ghiaccio che tutti i maschi volevano scoparsi – le si era seduta sulla faccia e l’aveva costretta a bere tutto il suo orgasmo, a ingoiarlo fino a soffocare.
Marianna non era sicura: non ricordava se fossero solo umori o piscio caldo quello che Angelica le aveva fatto bere. Forse entrambe le cose. Ma ricordava bene il piacere di berlo, di affogare in quel sapore acido e salato. Si era svegliata lì, con il cuore impazzito e le dita già affondate tra le cosce fradice.
Rimase qualche istante immobile, in trance, con quelle immagini stampate negli occhi. Poi, come scossa, finì di sistemare le tazze quasi in automatico e si diresse verso la camera.
Gianni era davanti all’armadio, infilando il costume sul cazzo già mezzo duro, la forma tesa che spingeva contro il tessuto. Lei lo guardò, il corpo massiccio e maturo, le spalle larghe, le vene sulle braccia gonfie, e si morse il labbro. Non disse niente: si spogliò lentamente, lasciando cadere i vestiti sul pavimento, restando nuda a pochi passi da lui. Il capezzoli erano già tesi, la fica lucida, le cosce leggermente macchiate dei suoi umori notturni.
Scelse un costume scuro, un due pezzi che esaltava il culo rotondo e le tette pesanti. I capezzoli gonfi si intravedevano netti sotto la stoffa tirata. Sopra si infilò un copricostume di lino bianco, trasparente e lasciato aperto sul davanti. Le grosse tette ondeggiavano sotto la stoffa sottile, morbide e sfacciate.
Parlavano del più e del meno, della giornata al mare. “Meglio stare vicini oggi…” disse Gianni, “non ho voglia di prendere la macchina.” Lei annuì distratta, la mente ancora immersa nei suoi sogni. Rivide Angelica farla inginocchiare, aprirle la bocca a forza e prima sputarci dentro un filo di saliva calda, poi pisciarle addosso ridendo, costringendola a berla tutta come un cane assetato. Si morse il labbro, gli occhi persi, mentre il cuore le batteva sempre più forte e la figa le colava di nuovo.
Quando furono pronti uscirono dalla camera. In sala li aspettava Sofia: telefono in mano, piccola borsa mare sull’altra, il costume che le disegnava addosso curve fresche e già provocanti. Gianni, nel vederla, non poté trattenere un sorriso sporco: il cazzo gli tirava dentro il costume, ma sollevò lo sguardo e prese sulle spalle la borsa grande con gli asciugamani e il necessario.
Sofia camminava davanti a loro verso la porta, i glutei giovani che ballavano a ogni passo, e Marianna sentì un fremito acido nello stomaco: gelosia, eccitazione, desiderio. La sua “famiglia perfetta” era pronta a scendere in spiaggia.
Uscendo dall’albergo, la receptionist li salutò con voce allegra: “Buona giornata!”
Gianni le rispose con un cenno di testa, ma fu Marianna a fermarsi un istante in più. La ragazza, giovane e dalla pelle color latte e con i capelli neri così lunghi che le cadevano fino sotto al fondoschiena, le rivolse un sorriso complice. Sembrava quasi un invito. Si sporse appena in avanti sul bancone, la camicetta bianca leggermente sbottonata che lasciava intravedere la curva del seno, le labbra rosse e carnose tirate in un sorriso che sapeva di malizia.
Marianna la scrutò di sfuggita, il cuore che le accelerava: è interessata a me, o sono solo io che vedo perversione ovunque? Forse erano i sogni luridi della notte a distorcerle la mente, o forse quella ragazzina stava davvero mandando segnali. Scosse la testa, quasi per liberarsene, e raggiunse gli altri.
Dopo pochi minuti di camminata arrivarono in spiaggia e pagati a caro prezzo due lettini e un ombrellone, si sistemarono. Marianna e Sofia presero posto sulle sdraio, mentre Gianni preferì stendersi sulla sabbia, il corpo massiccio in piena vista.
Si tolsero i copricostumi. Marianna rimase in bikini, le tette gonfie e pesanti che quasi scappavano dal reggiseno. Sofia invece, con il suo costumino chiaro e quasi infantile, metteva in risalto curve fresche e acerbe: le cosce bianche che brillavano al sole, il ventre piatto, i capezzoli che si intravedevano sotto la stoffa sottile, il culo giovane che lo slip ridotto lasciava praticamente scoperto.
Intorno a loro, famiglie, coppiette, bambini che correvano sulla battigia: gente normale, ignara. Ma lì sotto l’ombrellone aleggiava un’aria diversa, densa, segreta.
Dietro gli occhiali da sole, Gianni fissava la figlia. Non solo le gambe aperte senza malizia, ma il modo in cui respirava, i piccoli movimenti del bacino, il corpo che sembrava chiedere di essere toccato. Il cazzo gli pulsava sempre più duro, schiacciato contro il tessuto del costume.
Marianna, sdraiata accanto a Sofia, osservava la stessa scena. Guardava il corpo della figlia che brillava di giovinezza, la pelle liscia, i capezzoli che spingevano sotto il top bagnato di sudore. Sentiva la fica bruciarle sotto lo slip, i sogni della notte ancora vivi, e sapeva che anche Gianni stava pensando a lei. Non servivano parole: li univa la stessa fantasia oscena, la stessa attesa.
E Sofia, lì con gli occhi chiusi, non era innocente come sembrava. Mentre il sole le scaldava la pelle, immaginava le sue fantasie oscene con Gianni. Si mordeva appena il labbro, lasciando che i suoi pensieri scorressero sporchi, inconsapevole che il padre e la madre, a pochi centimetri, stavano già divorandola con gli occhi.
Le prime ore passarono rapide: un po’ di chiacchiere leggere, qualche bagno nell’acqua ancora fresca del mattino, il sole che si alzava piano. Sofia, dopo un po’, iniziò a spazientirsi. Restare ferma sul lettino non faceva per lei, non quando un gruppo di ragazzi e ragazze si stava divertendo a pallavolo poco più in là. Con un sorriso rapido e senza chiedere il permesso, si alzò, aggiustò il costume e corse verso il gruppo, lasciando la pelle liscia e bagnata brillare sotto il sole.
Gianni seguì ogni suo passo. Guardò il culo rotondo che ondeggiava nello slip stretto, le cosce bianche che si muovevano scattanti, i seni che saltavano nel top troppo leggero. Ogni gesto innocente diventava un invito. Il cazzo gli pulsava sotto il costume e dovette tossicchiare per riportare lo sguardo sulla moglie.
Approfittò della partenza di Sofia per stendersi al suo posto: spostò il lettino più vicino a quello di Marianna e si sdraiò accanto a lei. La donna si girò verso di lui con un mezzo sorriso, gli occhiali scuri a nascondere la luce perversa negli occhi.
Il discorso iniziò banale, con i soliti commenti: il mare splendido, la sabbia calda, la fortuna di quella vacanza. Poi Marianna, con un sorrisetto tagliente, infilò la lama: “Stanotte ho sognato cose strane… sporche.” Gianni sollevò appena un sopracciglio dietro gli occhiali. Lei abbassò la voce: “Ragazze nude, che mi aprivano, che mi facevano bere… cose che non ti dico.”
Gianni sorrise, la mascella contratta. “Sempre vogliosa…,” mormorò. “Sembra che non ti basti mai.”
Marianna si voltò di lato, il seno che le scivolava fuori dal reggiseno del costume, e lo guardò fisso. “Non mi basta mai, Gianni. E sai bene cosa vorrei davvero…”
Non servivano spiegazioni. Il pensiero di Sofia aleggiava tra loro come una presenza viva, ingombrante. Bastò quello scambio per accendere la miccia.
Marianna abbassò la mano, sfiorò il costume di Gianni, sentì subito il rigonfiamento duro. Il cazzo pulsava sotto la stoffa. Si guardò intorno, il cuore che batteva forte, la paura di essere scoperta che le faceva colare la fica ancora di più. Poi iniziò a muovere la mano piano, attraverso il tessuto, come se stesse sistemando la piega del costume. Ma in realtà lo stava segando lentamente, strusciando il palmo su quel cazzo gonfio, sentendo il calore che le bruciava contro.
Gianni socchiuse le labbra, trattenne un gemito. Si limitò a girare la testa come se osservasse il mare, ma allungò a sua volta la mano. Con un gesto rapido, preciso, spostò leggermente il bordo del costume di Marianna tra le cosce. Le dita scivolarono subito contro la fessura umida. Bastò sfiorarla perché si accorgesse di quanto fosse fradicia.
Marianna sussultò, trattenendo il fiato. Si mordeva il labbro mentre Gianni le infilava appena due dita, scavandola piano. Si guardava intorno come una pazza, sperando che nessuno la vedesse. C’erano famiglie a pochi metri, ragazzi che ridevano, bambini che urlavano vicino alla riva. E lei lì, sdraiata come una signora rispettabile, che si faceva segare il marito e allo stesso tempo si faceva penetrare con due dita grosse e ruvide.
La figa le pulsava forte, il clitoride gonfio, il succo che bagnava il tessuto del costume. “Dio…” sussurrò appena, chiudendo gli occhi. Sentiva le dita di Gianni lavorarla piano, aprirla, accarezzarle l’interno con calma.
E intanto lei, con la mano più decisa, segava il cazzo duro. Strinse forte, lo strusciò attraverso la stoffa, immaginando di averlo già fuori, immaginando di guidarlo dentro la figlia che giocava a pochi metri, ignara del fatto che in quel momento i suoi genitori si stavano toccando come due ragazzini arrapati.
“Guarda come si muove,” sussurrò Marianna. “Guarda quel culo. È una bambina, eppure ha il corpo di una troia. La nostra troietta da plasmare…”
Gianni si coprì il viso con un braccio, cercando di mascherare la reazione. “Cristo, Marianna…”
“Cristo un cazzo,” sibilò lei, stringendo ancora, più forte. “Vuoi scoparla tanto quanto me. Ammettilo. Ammetti che vuoi riempirle la bocca di sborra, che vuoi farle urlare il tuo nome mentre le apri il culo. Ammetti che vuoi usarla come usi me.”
Il cazzo gli pulsava come se stesse per esplodere. Guardava Sofia che saltava nella sabbia, le cosce lisce che brillavano, il sorriso inconsapevole. Fantasie sporche gli invadevano la testa: piegarla dietro la rete della pallavolo, spingerle via il costumino e fotterla davanti a tutti.
Marianna rise, un suono basso e osceno. “Ti stai immaginando di sfondarla, vero? Guarda che viso pulito. Guarda che corpo fresco. Vuoi venire dentro tua figlia, Gianni, dillo.”
“Sì…” uscì un sussurro dalle labbra dell’uomo, quasi controvoglia. “Sì, cazzo.”
Continuò a massaggiargli il cazzo sotto il costume, la mano lenta ma decisa, mentre lui ansimava piano. Attorno a loro la spiaggia era piena di gente, e proprio per questo il brivido era ancora più intenso: nessuno sospettava che lì, sotto l’ombrellone, marito e moglie stessero parlando di fottere la figlia che correva a pochi metri di distanza.
Marianna aprì di più le cosce, offrendo lo spazio alle dita di Gianni. Sentiva la sabbia graffiarle la pelle sotto la sdraio, il sole che la faceva sudare, ma tutto questo la eccitava ancora di più. Ogni volta che lui affondava un dito, un gemito le saliva in gola e lei lo trasformava in un colpo di tosse, in un sospiro finto, sperando che nessuno a pochi metri notasse quella scena lurida sotto l’ombrellone.
“Ti piace, vero?” Gianni mormorò senza voltarsi, gli occhi fissi sull’orizzonte come se nulla stesse accadendo.
Marianna serrò i denti, ma la voce le uscì sporca, calda: “Sì, cazzo… mi piace farmi aprire così, con due dita… qui, davanti a tutti, col rischio che ci vedano, che ci scoprano.”
Un brivido le attraversò la schiena. La fantasia esplose in testa: Sofia che tornava all’improvviso, li coglieva sul fatto, non diceva nulla ma si abbassava lo slip, mostrando quella fica liscia e giovane pronta per il cazzo di suo padre. La vide piegarsi, aprirsi davanti a loro con un sorriso malizioso, chiedendo la sua parte. L’idea fu come una scarica elettrica che la fece tremare.
Gianni sentiva la fica di Marianna pulsare, il calore bagnargli le dita. Le spinse più dentro, fino a stringerle il clitoride tra pollice e indice, muovendolo in cerchi lenti e precisi. Marianna sussultò, gli occhi chiusi, il ventre contratto, le cosce tese. Era a un passo dall’orgasmo, lo sapeva, bastava che lui affondasse ancora un poco e sarebbe venuta li, bagnando la sdraio, urlando come una cagna.
“Sto per venire…” gemette a denti stretti, con la voce spezzata. “Fammi venire, Gianni, ti prego…”
Ma proprio quando il corpo iniziava a contrarsi, Gianni si fermò. Ritirò lentamente le dita, lasciandola aperta, gonfia, affamata. La guardò di sbieco, un sorriso tagliente nascosto dietro gli occhiali.
“Non ancora amore…” disse quasi ridendo l’uomo “Ti voglio sul filo del piacere…”
Marianna ansimò, incredula, le mani che tremavano. Il suo sguardo cadde subito sul cazzo di lui, duro e teso dentro il costume, una bestia pronta a esplodere. Non resistette: abbassò la mano e lo strinse forte, un colpo secco, uno struscio deciso sul glande che palpitava sotto la stoffa. Lui trattenne un ringhio.
Quello fu il loro patto muto: niente lì, non ancora, ma dopo si sarebbero sfogati. Marianna lo promise con lo sguardo e con quella stretta, Gianni lo confermò con un respiro profondo, pieno di rabbia trattenuta.
Restarono così qualche istante, il cuore che batteva forte, i corpi accesi. Poi, pian piano, recuperarono il respiro. Si sistemarono i costumi come se nulla fosse, si scambiarono un sorriso complice, che diceva tutto senza bisogno di parole.
Sofia nel frattempo si era buttata nel gioco con entusiasmo. La sabbia calda sotto i piedi, il sole addosso, le risate dei ragazzi: tutto le faceva sentire leggera, libera. Il gruppo era misto, alcuni poco più grandi di lei, altri della sua età. Tra questi, uno in particolare attirò la sua attenzione. Alto, spalle larghe, pelle dorata dal sole, un sorriso sicuro. Non smetteva di guardarla, e ogni volta che i loro sguardi si incrociavano sembrava quasi che il tempo si fermasse un attimo.
Durante la partita lui non perse occasione per avvicinarsi: una pacca sulla spalla quando faceva un bel punto, una mano che la sfiorava mentre si muovevano per prendere la palla, una battuta sussurrata che le faceva ridere e arrossire allo stesso tempo. Sofia sentiva il sangue scorrerle veloce, il corpo che reagiva a quei gesti. Non era più un gioco da ragazzini: sotto c’era qualcos’altro, un filo sottile che li stava già tirando uno verso l’altra.
La partita finì tra applausi e risate. Sofia, accaldata e sudata, si passò le mani tra i capelli bagnati e si voltò verso di lui. Lui le rivolse quel sorriso aperto, quasi da complice. “Ti va un the freddo?” propose, con un tono che non lasciava spazio a fraintendimenti.
“Volentieri,” rispose lei senza pensarci troppo, con la voce che le tremava leggermente.
Camminarono insieme verso il bar, i piedi che affondavano nella sabbia, le spalle che a tratti si sfioravano. Si sedettero all’ombra, ordinando due bicchieri pieni di ghiaccio. Sofia si rese conto che il cuore le batteva forte quasi quanto durante la partita. Si sentiva osservata, e non solo con gli occhi: era come se lui la stesse già spogliando con lo sguardo.
Bevve un sorso e si leccò lentamente le labbra, un gesto che le uscì naturale, senza neppure volerlo. Lui la fissò un attimo più a lungo, poi abbassò lo sguardo sul suo corpo ancora bagnato di sudore, il costume che si era incollato alla pelle.
Sofia arrossì, ma dentro sentì il solito brivido: la voglia di essere desiderata, guardata, presa. E anche se nella sua testa il “premio finale” restava Gianni, non poteva negare che quel ragazzo la stava facendo fremere, accendendo la sua parte più calda.
Restarono a chiacchierare qualche minuto, frasi leggere, battute semplici, ma gli sguardi dicevano molto di più. Ogni volta che ridevano, le ginocchia di lui si avvicinavano alle sue, fino a sfiorarle. Ogni volta che lei si piegava sul bicchiere, sentiva i suoi occhi che la seguivano, indugiando sulle cosce, sul seno, sul ventre liscio.
Finito il the freddo, lui le propose un bagno. Sofia annuì subito, con quel sorriso malizioso che si portava addosso da quando avevano cominciato a guardarsi durante la partita. Corsero insieme verso l’acqua, tuffandosi tra gli schizzi e le risate. La sensazione dell’acqua fresca le fece bene, ma dentro era già calda, accesa da quella tensione che tra loro cresceva senza bisogno di parole.
Nuotavano uno accanto all’altra, avvicinandosi e allontanandosi come in un gioco. Poi fu lui a proporre di andare più al largo, “dove l’acqua è più fresca e non c’è nessuno”. Sofia finse un attimo di esitare, guardò verso la riva per assicurarsi che Gianni e Marianna non si stessero preoccupando, poi annuì e lo seguì.
A ogni bracciata, i loro corpi si sfioravano. Lei faceva apposta a ridere, a spingerlo leggermente, lasciando che le mani di lui trovassero la scusa per toccarla, afferrarle un fianco, stringerle un polso. Il cuore le batteva forte, non per la fatica ma per l’eccitazione.
E fu lì che iniziò il suo gioco. Mentre fingeva di sistemarsi i capelli bagnati, infilò le mani dietro la schiena e slacciò piano il nodo del costume. Lo lasciò penzolare appena, quel tanto che basta perché ad ogni movimento si muovesse un po’ di più. Lui non sembrava accorgersene subito, ma gli occhi tradivano la tensione crescente.
Continuarono a ridere, a schizzarsi acqua, finché Sofia, riemergendo dopo un tuffo, lasciò che il reggiseno le scivolasse via del tutto. Rimase nuda, i seni freschi e sodi che galleggiavano in parte sull’acqua salata, i capezzoli duri come pietre.
Lui si immobilizzò per un attimo, lo sguardo incollato a quella visione. Sofia sorrise con aria innocente, come se fosse stato un incidente. “Ops…” mormorò, portandosi una mano al petto senza vera convinzione.
Il ragazzo si avvicinò subito. Le mise una mano sul seno, lo strinse forte, il pollice che strofinava il capezzolo. Lei gemette piano, inclinando la testa verso di lui. Poi fu questione di un attimo: le loro labbra si trovarono, si baciarono con foga, lingue che si intrecciavano salate, respiri corti.
Sotto l’acqua, Sofia fece scivolare le mani sul suo costume da uomo. Lo sentì subito, duro, pulsante, che premeva contro il tessuto. Lo liberò con abilità, facendo scivolare giù l’elastico e stringendo il cazzo caldo tra le dita. Non era grosso, anzi piuttosto corto, ma comunque pieno e duro, e le mani le si muovevano intorno facendolo scorrere piano, godendosi la sensazione proibita.
Lui gemette dentro la sua bocca, stringendola di più, afferrandola per la vita. Sofia allora fece un passo ulteriore: gli passò le gambe intorno ai fianchi, stringendolo contro di sé, il cazzo che le premeva già tra le cosce. Il contatto la fece tremare, la fica bagnata che pulsava pronta a farsi aprire.
Il ragazzo, ormai perso nell’eccitazione, con una mano spostò di lato il costumino sottile di Sofia e si guidò dentro, affondando con un colpo secco.
Sofia gemette forte, tanto da doversi mordere le labbra per non urlare. Il cazzo la riempì subito, le pareti della fica che si aprivano, accogliendolo caldo e scivoloso. Si aggrappò alle sue spalle e mosse i fianchi, cavalcandolo lì, in acqua, con il mare che nascondeva i movimenti ma non la verità di quello che stavano facendo.
Ogni affondo era un brivido, le gambe che lo stringevano alla vita, il cazzo che entrava e usciva scivolando nell’acqua salata e nei suoi umori. Lui la prendeva con forza, le mani che le stringevano il culo, che le afferravano i seni nudi, che la scuotevano come se fosse già sua.
Sofia sentiva tutto: il cazzo che le batteva dentro, i capezzoli che bruciavano sotto le dita di lui, il rischio di essere scoperti. Bastava che qualcuno si fosse avvicinato un po’ troppo e li avrebbe visti. Questa paura la eccitava ancora di più, la faceva bagnare al punto che il cazzo di lui scivolava dentro e fuori senza fatica.
Le onde li coprivano, il sole batteva alto, e loro due continuavano a scopare come due animali, lontani solo di pochi metri da chiunque avrebbe potuto accorgersi di tutto.
Sofia non riusciva più a trattenersi: gemiti spezzati, il corpo che si contraeva, la fica che stringeva forte il cazzo del ragazzo. Veniva, tremando contro di lui, mordendogli la spalla per non urlare, lasciando che l’orgasmo le scuotesse ogni fibra.
Lui non resse oltre: un colpo più profondo, un ringhio sommesso, e si scaricò dentro di lei, pompandole sperma caldo mentre la teneva stretta contro il suo corpo.
Restarono così, aggrappati, ansimanti, l’acqua che li accarezzava mentre i loro corpi si calmavano. Poi Sofia sorrise complice. “Adesso…dovremmo tornare…”
Il ragazzo annuì, imbarazzato, sistemando in fretta lo slip che ancora gli segnava il cazzo mezzo duro. Sofia si ricompose con calma, infilò il pezzo sopra, tirò su lo slip, ma sapeva benissimo che il seme le stava ancora colando dentro. Mentre nuotavano piano verso riva gli chiese se sarebbe rimasto anche nel pomeriggio. Lui abbassò lo sguardo: “No… devo tornare in città.”
Quella risposta fu come uno schiaffo. L’aveva scopata come una troietta qualunque, si era scaricato dentro e adesso via, come niente. Non si arrabbiò, non era sorpresa. Le venne quasi da ridere: in fondo era quello che meritava, quello che voleva davvero. Essere usata, sporcata, abbandonata.
Arrivati al bagnasciuga si salutarono come se nulla fosse. Lei si voltò verso l’ombrellone, lui dall’altra parte. Amici, sconosciuti, come due che non si erano mai nemmeno sfiorati.
Sofia tornò dai suoi, l’asciugamano caldo sotto il corpo bagnato. Si mise sdraiata fingendo normalità, ma il cazzo del ragazzo lo sentiva ancora dentro, mentre la riempiva di sborra che il mare non aveva lavato via. Tamponò i capelli, evitando lo sguardo della madre.
Marianna la osservò con calma, occhi che scrutavano più del dovuto. “Ti sei divertita?” chiese, con quel tono innocente che era tutto fuorché innocente.
“Sì…” rispose Sofia a bassa voce, senza guardarla.
Gianni guardò l’ora, si stiracchiò. “Io ho fame.”
“Effettivamente è ora di pranzo,” aggiunse Marianna. Poi, con finta naturalezza, voltandosi verso Sofia: “E tu, amore? Cosa vuoi mangiare?”
“Non lo so…” borbottò la ragazza.
“C’è un ristorantino sul lungomare, poco distante,” propose Gianni. “Andiamo lì.”
Marianna annuì subito. Sofia tentò un ultimo: “Vorrei restare ancora un po’ ad asciugarmi.”
Gianni tagliò corto, secco: “Puoi venire così, sei già in costume. Non c’è problema, siamo al mare.”
Senza replica, Sofia si tirò su. Gianni infilò una maglietta leggera e si avviò con calma verso l’uscita. Marianna raccolse le loro cose. Quando si voltò, la vide in piedi che si stiracchiava sotto il sole.
E lì lo notò.
Il costumino chiaro, tirato sul ventre giovane, segnato da una macchia scura proprio sulla fica. Più in basso, lungo l’interno coscia, un filo lattiginoso colava lento, spesso, lucido, il seme caldo che la figlia stava ancora perdendo a gocce dopo la scopata clandestina.
Marianna restò immobile, il cuore che le esplose in petto. Un sorriso le si stampò sulle labbra. Un sorriso le increspò le labbra. La figlia era lì, appena tornata da una nuotata e da una scopata clandestina con un ragazzotto qualsiasi. Il primo giorno di mare e già perdeva sperma dal costume. Che piccola troia che era.
Si morse il labbro. Sentì la propria figa bagnarsi di colpo, il clitoride pulsare duro sotto il costume già umido. Non disse nulla: si limitò a guardare quella goccia scivolare giù lungo la coscia liscia, lenta, fino quasi al ginocchio. Quella vista la fece tremare, come se fosse lei ad avere ancora lo sperma che le colava dalle gambe.
Raccolse la borsa, trattenne il brivido e seguì la figlia e il marito sulla sabbia.
Il pranzo fu rapido, distratto. Sofia a malapena toccò qualcosa, ancora satura di cazzo e di piacere. Ogni tanto si passava le mani tra i capelli bagnati, senza parlare molto, con lo sguardo perso. Gianni, insospettito ma silenzioso, la osservava di tanto in tanto, domandandosi a cosa stesse pensando. Marianna invece si godeva lo spettacolo, i dettagli che nessuno notava tranne lei: le cosce che continuavano a brillare, lo slip del costume che non riusciva a mascherare la macchia.
Dopo pranzo tornarono verso i lettini, ma il caldo era insopportabile. Marianna si passava la mano sulla fronte, il corpo acceso non solo dal sole ma dal fuoco che le bruciava tra le gambe. “Rientriamo? Fa troppo caldo… Torniamo dopo magari…,” disse, con quel tono che voleva sembrare normale e che invece tradiva la sua smania.
Sofia scosse la testa, i capelli bagnati che le ricadevano sulle spalle. “Io resto. Voglio fare ancora un bagno.”
Gianni la guardò serio: “Da sola non resti.”
Lei abbassò appena le palpebre, sorrise storto. “Allora resta con me.”
Era una provocazione, una fitta nel ventre di Gianni che Marianna non si lasciò sfuggire.
Rise piano. Perfetto. Padre e figlia soli. Lei mezza nuda, lui col cazzo che non aspetta altro. Basterà uno sguardo, una scusa… e la scopata succederà. Lo so.
Il cuore prese a martellarle forte. La fica, già gonfia da ore, pulsava. Non vedeva l’ora di tornare al residence, spogliarsi e scoparsi da sola senza fretta e senza pietà. Aveva portato qualche giocattolino in valigia, robetta da poco. Già immaginava di cercare qualcosa di grosso, di pesante, da ficcarsi in fica e nel culo insieme, spingerselo fino a colare.
Non aveva neppure bisogno di porno: le bastavano i pensieri sporchi. Sua figlia gocciolante sperma di uno sconosciuto, Gianni che glielo spingeva in gola, lei stessa inginocchiata con loro a raccogliere tutto con la lingua.
Marianna si avvicinò alla figlia prima di andare via. Si chinò, abbastanza da sentire l’odore salmastro e dolciastro che ancora le saliva dalla pelle. “Fai un altro bagno, tesoro…” mormorò piano, con tono caldo e sporco. “Il tuo costume e le gambe sono ancora sporche. Non vorrai che tuo padre si accorga di qualcosa, vero?”
Sofia trasalì, arrossendo, gli occhi che si spalancarono. Il cuore le martellava forte.
Marianna sorrise, oscena, e le stampò un bacio lento sulla guancia, un gesto che sembrava affettuoso ma che in realtà era un marchio. Subito dopo le fece l’occhiolino: non c’era giudizio in quello sguardo, solo complicità sporca.
Per un istante, Sofia rimase pietrificata. Poi abbassò lo sguardo, mordendosi il labbro. Dentro sentì la figa stringerle, un fremito caldo che le scivolava lungo le cosce. La mamma lo sa. Mi ha vista. Ma non si è arrabbiata… anzi!
Marianna si raddrizzò, il sorriso ancora sulle labbra. Si girò e baciò suo marito poi si avviò lungo la passerella, le anche che ondeggiavano lente sotto il copricostume trasparente.
Sofia restò ferma, il cuore che batteva a mille, con l’eco di quelle parole che le rimbombava nella testa.
– Fine capitolo –
Ciao a tutti! Vi è piaciuto? I miei racconti sono tutte esperienze di vita vissuta in prima persona e non, ovviamente romanzati o alterati così come nomi e simili. Se questo vi è piaciuto fatemelo sapere, così saprò se continuare. Se non vi è piaciuto, fatemelo sapere lo stesso! ;) Suggerimenti e idee mi piacciono sempre e scusate se su alcuni aspetti psicologici dei personaggi mi dilungo ma mi piace sia il corpo che la mente e odio i personaggi piatti.
Se volete vedere anche il mio lato artistico, faccio parte del Kollettivo Zookunft!
Cercate online e mi troverete.
A presto, Cherise!



scusa, al quarto sono bloccato!
ti ringrazio, mi fa molto piacere sapere che ti sia piaciuto! il secondo capitolo l'ho completato. nel terzo sono bloccato.…
ne ho scritti altri con altri nick...spero ti piacciano altrettanto.
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Ti ho scritto, mia Musa....attendo Tue...