Skip to main content

GIOCO AL MASSACRO

By 8 Maggio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

GIOCO AL MASSACRO

‘Le sue delicatezze misteriose m’avevano sedotta e rapita. Ho dimenticato tutto il mio dovere umano per seguirlo. La mia stessa vita. Ma quale vita? La mia vita &egrave assente. Ed ora io vado solo dove lui va, lo devo. Un Demonio… &egrave varamente un Demonio, lo sai? Lui non &egrave affatto un uomo…”
(Rimbaud, Una Stagione all’Inferno, 1873)

OTTOBRE 2043
Il tempo ci libera dalla nostre condanne e dalle nostre ossessioni. Diluisce nella carne le più profonde ferite, lasciando del dolore passato solo insensibili cicatrici.
E’ stata pura autodistruzione il filo che, tanti anni fa, ha legato le nostre vite. Prima del piacere. Prima del desiderio. Prima ancora di quello stesso libro che tanto ha fatto convergere i nostri destini.
Il teatro si sta sfollando, dopo la fine dello spettacolo. Ho speso una follia per prendere questo posto. Per capire se potevi essere davvero tu quella donna che ho visto in televisione. Sei con quel regista di cui tutti stanno parlando. Mi avvicino a voi, lentamente. Ti guardo. Sei proprio tu, senza alcun dubbio. Non sembri quasi accorgerti di me. Ma non ti potrei confondere con nessun’altra. E dire che dall’ultima volta che ci siamo visti sono passati trentacinque anni.

MAGGIO 2008 (trentacinque anni prima)
Ti cerco negli occhi della gente che popola Piazza Maggiore. Tra mille facce di sconosciuti riconosco il tuo sorriso. Ingenuo. Ammirato. Pieno di vita. Sei davanti all’edicola. Mi faccio riconoscere alzando RACCONTI SEGRETI. Ti ho portato l’ultima copia personale che mi &egrave rimasta. Me ne libererò volentieri. Mi ringrazi. Ci tenevi molto a conoscermi di persona. Mentre mi paghi mi dici che per te &egrave un dono quello che ti ho portato. Sei emozionata. Il “Ramo Rubato”. In persona. Mi segui ogni giorno da mesi. Ti brillano gli occhi, come se io fossi in qualche modo una celebrità.
Prendiamo un caff&egrave. Mi chiedi quanto ci sia di vero nei miei racconti. Se vivo davvero quegli appuntamenti nel buio. Se porto davvero, dentro di me, quel demone che trabocca dalle righe. Ti attira morbosamente quel diavolo,amica mia. Te lo leggo negli occhi, dietro a quello sguardo innocente. Il lato oscuro e suadente della nostra coscienza che porta, attraverso i sensi, alla dissacrazione della morale. L’attrazione per la caduta nel vuoto. Lo smantellamento della coscienza, il piacere oscuro del proibito.
Fino a poco tempo fa, stavo scrivendo il secondo libro su queste cose. Credo si sarebbe chiamato “Maestro d’amore”. Ma non lo finirò. In RACCONTI SEGRETI ho messo davvero l’anima, e solo poche persone l’hanno davvero considerato un libro. Non ho più voglia di rimettermi in gioco. Ma vorrei davvero essere, anche per una sola volta, uno scrittore…

GIUGNO 2008
Entri silenziosamente nel mio laboratorio artistico. Lo fai con il devoto rispetto che si tributa ad un tempio. Resti in piedi, in attesa come a chiedere il permesso di salutarmi. Io non ti guardo. Continuo a scrivere. Per una scusa o per l’altra, stai venendo qui ogni giorno, ormai. Mi dedichi ogni minuto che hai libero. Trascuri i tuoi amici, il tuo lavoro &egrave diventato un peso. Sto diventando a poco a poco una religione. Il vizio a cui non sai rinunciare. La droga che io non voglio essere.
Ti saluto e dopo un po’ di convenevoli, gentilmente ti dico di uscire più spesso con i tuoi amici. Di dedicarmi meno attenzioni. Ti faccio intendere, senza dirtelo esplicitamente, che non sono quello giusto per te. Io lo so, amica mia, che tu ami il deserto che sto coltivando. Lo senti tuo e ti fa piacere farne parte. Ma in questo periodo ho bisogno di stare da solo.
Sorridi, ma ti senti il vuoto sotto i piedi, a queste parole. Ti uccide l’idea di perdermi, per quanto tra noi non ci sia mai stato nulla. Prendi tempo, poi mi dici che ti piacerebbe posare per me. Conosco la tua timidezza, e non ti credo nemmeno per un secondo. Ti pesa moltissimo anche solo l’idea di mostrarti nuda. Sorrido. Mi piace l’idea di giocare con il tuo imbarazzo. Assecondo la tua posizione. Assisto divertito a questa tua sfida con te stessa. Vieni con me. Mi segui, con il passo dell’agnello sacrificale verso il suo altare.
Ti siedi sul divano. Accendo le luci. Posiziono la macchina fotografica sul cavalletto. Mi chiedi, con malcelata naturalezza, se ti devi spogliare. Rimango in silenzio. Gioco alla provocazione, con impassibile professionalità. Non spogliarti, amica mia. Lo farò io. Capita spesso con le mie modelle. E’ come un rito preliminare. Plasmo con le mie stesse mani, i corpi e le anime a cui voglio dar voce. Mi chino davanti a te. Ti guardo negli occhi ti inizio a sbottanare la camicetta. Tu rimani zitta. Ferma. Impietrita. Questo gioco mi diverte. Soprattutto per vedere come gestisci una situazione che ti sta sfuggendo. Apro il terzo bottone all’altezza del reggiseno. Degluttisci. Involontariamente. Guardi in basso. Fai finta di niente. Respiri più forte. Il quarto bottone. Avrei scommesso che te ne saresti già andata, a questo punto. E invece sei ancora qui. A lottare con il tuo pudore. A dimostrarmi di essere all’altezza. Ti tolgo la camicetta. Impassibile. Ti volto la schiena e ti apro il ferretto del reggiseno. Mentre lo sfilo, la tua pelle &egrave una distesa di brividi. Hai un corpo bellissimo. Il tuo seno sodo rapisce magneticamente i miei occhi. Mi delizia e al tempo stesso mi strega. Ti dico di sederti. Ti sottraggo lentamente prima le scarpe, e poi le calze. Non stacco mai gli occhi dai tuoi. Sei tesa come una corda di violino. Stai per cedere. Lo so.
Sento la tua mano gelata sul mio polso. Gli occhi sono piccoli, le tue mani quasi stanno tremando. Ti guardo. Mi dici di fermarmi. E io mi alzo in piedi, come per andarmene. Dici che vorresti fare una cosa per me, prima di continuare.
Prendi dalla borsetta un nastro rosso. Lo leghi alla caviglia. Come se fosse il fiocco di un pacco da aprire, da scoprire. Mi dici che vuoi essere molto più di una modella per me. Tu vuoi entrare, corpo ed anima, dentro ai miei libri. Il tuo corpo, da oggi in poi, &egrave un dono per me. Posso farne quello che più desidero. Da questo momento la tua carne, la tua mente e la tua vita stessa mi appartengono. Sono al servizio della mia scrittura, della mia fotografia, della mia fantasia. Posso usarli come strumenti.
Mi guardi, tesa, come in attesa di un giudizio che non ti darò. Come se dalla tua bocca fosse uscita una follia più grande di te, e te ne fossi già pentita.
Resto zitto. Ascolto quello che sento dentro. E’ la voce di un Dio crudele ed impaziente. Rivendica quell’onnipotenza delirante che sa accomunare arte e pulsione. E’ uno smisurato desiderio di possesso, che alimenta la propria fame della stessa sazietà.
Mi allontano da te. Mentre balbetti qualcosa, come a tornare sui tuoi passi. Ma io ti interrompo prima. Mi metto davanti alla macchina fotografica, fissando ancora il nastro che tieni alla caviglia.
Non rispondo alla tua frase. Finisci di spogliarti, amica mia. Fallo per me, fallo come mai non l’hai fatto prima…

LUGLIO 2008

Mentre agito la bomboletta energicamente mi chiedi cos’&egrave questo rumore. Sei distesa sul letto. Hai le gambe aperte come se dovessi partorire. Ti dico che &egrave una sorpresa per te. Dietro la benda i tuoi occhi stanno sorridendo curiosi.
E’ lenta e combattuta la seduzione che amo. Un lungo assedio alla mente, prima che al corpo. Un improprio rituale che richiama alla totalità, passando per la sua stessa negazione. La lotta degli opposti che si fondono in un corpo solo. Stai diventando ogni giorno di più, come per magia, la protagonista del mio libro. La sua voce narrante sta diventando la tua voce, mentre io mi inabisso nei lati più oscuri dei miei pensieri.
Con una spugna calda preparo la tua pelle. Tampono delicatamente il tuo sesso, mentre trattieni il respiro. La tua obbedienza alla mia mente ha qualcosa di soprannaturale. Ti stai trasformando in lei, senza nemmeno averne mai letta una riga. O forse, senza accorgermene io sto trasformando il mio libro attraverso di te.
Esegui ogni mio ordine con rispettosa disciplina. Non esiste delizia amorosa che tu non sia pronta a porgermi. Ogni fantasia che ti presento, la vivi in perfetta empatia. Mai nessuna donna mi &egrave appartenuta così integralmente. La tua dedizione assoluta e incondizionata sta aprendo in me nuove vive porte del mio inferno.
Tieni gli occhi chiusi, mentre percorro dolcemente con la lama il tuo ventre. Adoro sentirti fremere, mentre lo faccio. Gioco sul tuo sesso con la punta di un rasoio a serramanico. Ne accarezzo la delicatezza con talento artistico. Resti sospesa in un combattuto equilibrio tra tensione e desiderio. Apro le tue labbra, delicatamente, con la lama. Stanno sudando piacere.
L’appagamento &egrave sempre fatto anche di lacerazioni. Di contrasti. Noi siamo come statue. Abbiamo bisogno di vuoti e di pieni per trovare la nostra forma. Di scalpellate.
Voglio portarti all’estremo desiderio. Di essere presa violentemente. Mi implorerai di farlo. Non avrai vergogna di chiedermi le cose più turpi. Le desidererai.
Massaggio con le mie dita la schiuma da barba attorno al tuo sesso. Mentre bendata ridi, e mi chiedi divertita cosa sto facendo. Faccio scorrere la lama, delicatamente. Taglio i tuoi sottili peli, con l’idea di farti ancora più bella. Voglio che tu sia ovunque come la protagonista di “maestro d’amore”.
Appoggio il pollice sul tuo monte di venere. Lo uso come riferimento per le simmetrie. Alzo gli occhi a te. Hai il respiro affannoso di chi prova piacere. Ami vivere in questo mondo, così lontano dalla realtà. Così imprevedibile e assetato di vita. Mi dici che mi vuoi bene. Che ti sto traghettando in un universo nuovo ed emozionante. Vedo la benda che si bagna, come se ti fossi commossa nel dirmelo.
Non ti ascolto neppure. Sono troppo preso dalla mia opera. Smusso gli angoli. Finisco di tracciare simmetrica fiamma di peletti. Mentre sfilo l’ultimo taglio vedo affiorare sulla tua pelle una linea rossa. E’ solo un graffietto, ma trabocca del tuo sangue. Mi avvicino. Bacio il tuo sesso, poi la tua ferita. Assaporo il tuo sangue. Sento vivo il piacere di un nuovo sapore.

AGOSTO 2008
Hanno alterna sorte le nostre vicende, come se si fossero invertite, incrociandosi. Da quando ti ho incontrata per una specie di magia, sono rinato dalle ceneri di me stesso. “Racconti Segreti” ha stranamente iniziato a vendere in quantità industriale. Prima dieci copie al giorno. Poi cento. Ora sono su tutti i giornali. Gli editori si stanno sgomitando per l’esclusiva del romanzo a cui sto lavorando. Mi offrono condizioni che nemmeno avrei osato sognare.
Consumo con energia il piacere, dentro di te. Esplodo di fuoco, dentro all’inferno della tua carne. La mia voce accompagna la raggiunta estasi con un verso che sembra più animale che umano. Mentre i tuoi polsi legati al letto ancora sanguinano. Mentre il tuo corpo sembra ormai un campo di battaglia. Tagli e di bruciature lasciati come carezze. Impronte di morsi riposti come baci. Cerco il tuo dolore, ormai, con la dedizione dell’amante premuroso che vuol regalare piacere.
Di dolci strazi &egrave fatto il nostro rapporto. Oltre il piacere ed il dolore. Laddove la sola ragione non può arrivare. Laddove la mia anima neppure aveva pensato di potersi mai spingere. Il nostro diventa ogni giorno di più un sottile gioco al massacro, dal quale usciremo nello stesso tempo sconfitti e vittoriosi. Mi nutro avidamente del tuo star male, svuotandoti di esso. Appropiandomi dell’integrità della tua anima.
Mi guardi, piangendo. Accarezzo la tua caviglia. Sempre porta lo stesso nastro rosso, quasi fosse una fede al dito. Ti lascio legata al letto. Alle mie spalle. Vado davanti al pc. Ho un’irrefrenabile desiderio di scrivere. Quasi come se qualcosa, dentro di me, spingesse per uscire. Quasi come se io non fossi neppure più padrone di quello che sto scrivendo.
E’ cresciuta a dismisura, dentro di me, una strana forza. Ogni giorno di più. E assieme ad essa il mio desiderio per te. Tutto il giorno ti muovi nei miei pensieri. Sei diventanta la mia dolce ossessione. La condanna dei miei pensieri. Ogni minuto penso solo a quando giocherò con il tuo corpo. A cosa farò per dar vita al mio diavolo.
Divido con te qualcosa di infinitamente intenso e unico. Non ne posso più fare a meno. E tu non puoi fare più a meno di me. E’ come una corda, dolorosa e stretta. E quanto più ci divincoliamo da essa, tanto più stretti ce ne troviamo legati.
E io ogni giorno scrivo, scrivo, scrivo. Le parole escono ogni giorno di più, da sole. Si cristallizzano in articolati monumenti di parole. Hanno la fluidità del genio, l’inquietudine interiore del grande artista. Mi accompagna nello scrivere, onnipresente, un’accresciuta percezione della bellezza. Un’inquietante impressione di maturata eternità. Mentre tu appari, ogni giorno di più, vittima di questo gioco. L’attesa struggente di ogni nostro incontro &egrave diventata una prigione di lacrime.
Ti guardo. Nel letto, mentre non sai più chi sei. Mentre non so più chi sono. Io so bene, bambina mia, che questo nostro incantesimo &egrave destinato a spezzarsi. A morire nello stesso impeto con cui &egrave stato generato. Siamo andati davvero troppo lontani. Ma non mi importa. Perch&egrave la morte, sempre, &egrave necessaria per dare senso alla vita.

OTTOBRE 2008
Ho finito di scrivere il libro da una settimana. L’editor &egrave entusiasta, e nel giro di un mese sarà nella vetrina di ogni libreria d’Italia. Non ho più avuto notizie di te, amica mia, da quel giorno. Non so dove tu sia finita. Per la prima volta, in questi mesi, sento uno strano vuoto dentro di me. Come se, per qualche motivo a me ignoto, non ti dovessi vedere mai più.

OTTOBRE 2043 (trentacinque anni più tardi)
Del dolore e dell’amore che ci hanno legato, amica mia, non &egrave rimasta più traccia in me. Lo stupore, da quel giorno, non mi &egrave più appartenuto. Nemmeno rivederti in questo modo, oggi, dopo così tanto tempo.
“Maestro d’amore” ha avuto un successo enorme. Spropositato. Ma dopo quel libro non sono mai più riuscito a scrivere nulla. Nemmeno un racconto. Nemmeno una riga. Non sono più riuscito ad amare altre donne, dopo di te. E’ come se il tuo passaggio avesse lasciato dentro di me un deserto. Come se avessi tirato fuori il lato oscuro della mia anima, e te ne fossi appropriata.
Non mi stupisce certo vedere che non sei cambiata. Non sei invecchiata di un solo giorno. Sei esattamente la stessa donna che ho amato in quei mesi. Guardo l’uomo che hai accanto. Un regista. Porta ora negli occhi tormenti che stanno scavando in lui. Li riconosco. Ho creduto di possederti anche io, mentre invece mi stavi divorando. Sono qui per rendermi conto di cosa sei stata. Sono qui per fermarlo, finche può. Prima che tu lo consumi, come hai consumato me. Apro la bocca, ma la mia lingua non si muove. Non riesco a proferire alcuna parola. Il tuo amico mi guarda, come se fossi un pazzo. Sorride e si allontana.

Ve ne andate. Tu guardavi altrove, e facevi finta di non conoscermi. Ma sai chi sono. Sai tutto di me. Ne sono certo. Da qualche parte hai messo la mia anima, assieme a chissà quante altre. Guardo i tuoi piedi, mentre te ne vai al fianco della tua nuova vittima. Non so se tu sia una musa o un demone. So solo che ti nutri di chi pensa di nutrirsi di te. Vedo alla tua caviglia lo stesso fiocco rosso con cui mi hai legato a te, e che ogni giorno hai portato. Per un attimo, quel nastro, mi appare come la coda del diavolo.

il racconto &egrave tratto dal blog : IL RAMO RUBATO

Leave a Reply