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Giorno diverso

By 14 Giugno 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

A quei tempi facevo l’ultimo anno del liceo, i miei valori erano quelli di tutti i ragazzi della mia età: vestirsi bene, apparire forte e sicuro di sé, badare sempre alla propria immagine e reputazione, detto in una parola essere un ‘fico’. Dire che mi riuscisse bene &egrave un eufemismo, tra i ragazzi ero considerato il punto di riferimento (lanciavo mode e tendenze) e tra le ragazze non ce n’era una che, se solo avessi voluto, avrebbe opposto la minima resistenza. Ero desiderato e sapevo di esserlo, per farla breve non fatico a ricordarmi come il classico stronzo. Una barriera di insensibilità e cinismo mi impediva di comprendere la poca giustizia del mio agire, tant’&egrave che non ci pensavo due volte quando dovevo far soffrire una ragazza tradendo i suoi sentimenti, ogni qual volta sull’altro piatto della bilancia c’era il mio egoismo e la mia immagine vincente che, nel mondo dell’adolescenza fa del più forte il migliore e non il più cattivo. Nella mia classe c’erano 11 ragazze, le 4 più carine le avevo prese in giro in modo pressoché perfetto alternandole a mio piacimento e facendomi bello di questo ‘turn over’ con i miei amici i quali non potevano che sentire una forte ammirazione per la mia persona. Le altre sette non le consideravo minimamente, rientravano in quella schiera che amavo definire nel nostro slang ‘catenacci’. Questa particolare categoria non era da me minimamente considerata ed aveva nei miei confronti una sorta di timorosa riverenza, poiché non di rado una di esse si era trovata schernita e umiliata da miei commenti a distanza di cui percepiva solo la rumorosa risata di chi mi stava intorno.
Quell’anno nella mia classe era arrivata Margherita, la dodicesima ragazza, che non impiegai molto per catalogare appartenente alla triste schiera dei catenacci. Margherita non era grassa ma tuttavia dotata di una stazza mascolina, che ne rendeva l’aspetto poco aggraziato e, per certi versi, troppo deciso. Sarà stata alta un metro e ottanta, con spalle troppo larghe per una ragazza, lunghe gambe piuttosto tornite e capelli bruni che gli scendevano fino alle scapole. I suoi lineamenti duri e poco attraenti, in perfetta armonia con la sua anatomia, i suoi occhi perennemente arrabbiati, come se ce l’avesse con il mondo intero. Forse proprio questa fermezza, questo carattere così forte che anche se non conoscevo traspariva da ogni suo movimento, mi convinsero che non era il soggetto giusto per le mie battute e le mie provocazioni, così, semplicemente, la ignorai. Questa mia distanza mi dava la sensazione fosse da lei percepita, ed ogni tanto, quasi di nascosto, la scorsi rivolgermi delle specie di ghigni, che, lungi dall’impaurirmi, mi lasciavano però una sorta di inquietudine. Come spesso accade in questi casi, il fato ci mise lo zampino, e questa mia strategia di indifferenza fu improvvisamente non più attuabile. Un venerdì mattina qualsiasi, arrivai in classe con venti minuti di ritardo, il danno era fatto: la prof. d’arte aveva assegnato delle ricerche di gruppo da svolgere a casa, essendo in classe 27 venni accorpato all’unico gruppo rimasto in mia assenza da due e cio&egrave Margherita, l’ultima arrivata, e Sonia, isolata dal gruppo delle così dette fighette per colpa mia (che, fra l’altro, l’avevo brutalmente scaricata). Margherita mise a disposizione casa sua per lunedì pomeriggio il compito andava consegnato mercoledì mattina. Mi feci coraggio, in fondo non c’era alcun problema, avrei mantenuto un’aria seria e controllata, non permettendo troppo confidenze all’una né inutili polemiche e rancori all’altra e, a lavoro ultimato, me la sarei svignata senza tanti complimenti.
Arrivai a casa di Margherita alle 16 e 40 (l’appuntamento era alle 4 in punto) era un modo per prendere le distanze e ricordare ad entrambe la poca considerazione che avevo di loro. La porta era accostata, bussai ed entrai, la voce della padrona di casa dal fondo dell’appartamento, che mi apparve subito grande e lussuoso, mi invitava ad accomodarmi ed a raggiungerla. La camera era spaziosa con al centro un tavolo rotondo ed un letto ad una piazza e mezzo situato a meno di un metro dal tavolo. Sonia era seduta nella mia direzione mi guardava con aria severa, Margherita assorta nella lettura di un’enciclopedia, vestita con un pantaloncino una magliettaccia e dei calzini disse:
-A cosa dobbiamo questo ritardo?-
-Avevo da sbrigare un impegno urgente- mentii senza scompormi anche se turbato da un fare così deciso ed aggressivo. – il signorino &egrave molto impegnato – commentò sarcastica Sonia.
Non si poteva iniziare così bisognava abbassare subito i toni e far calare la tensione, così dissi – non vi preoccupate recupererò in un attimo il tempo perduto – e feci per sedermi alla scrivania ma Margherita mi inchiodò – vedi se lo recuperi andando a prenderci qualcosa di fresco in frigo, la cucina &egrave dalla parte opposta della casa i bicchieri stanno nella credenza sopra il lavello -. Restai interdetto, non sapevo che fare, avrei potuto assecondare con ironia la situazione oppure prendermela, prevalse il mio orgoglio: – non sono venuto qui per fare il camerie’ –
Margherita mi interruppe immediatamente con un tono che non ammetteva repliche: – senti, ti sei presentato con quaranta minuti di ritardo senza neanche uno straccio di giustificazione, non ho voglia di arrabbiarmi, per cui fila in cucina e fai veloce che ho molta sete -.
Una scossa mi attraversò tutto il corpo, un brivido che, partito dal cervello, scivolava lungo la colonna vertebrale, propagandosi ad entrambe le gambe dandomi addirittura l’impressione di cadere. Era qualcosa di sconosciuto,
di insospettabile, sentii mancarmi le forze, il mio corpo, prima che il mio cervello decodificasse, si diresse in cucina. Afferrai una bottiglia di aranciata, riempii due bicchieri per evitare che mi venisse chiesto in seguito, posai tutto su un vassoio e tornai in camera. Appena appoggiato il vassoio mi resi conto di ciò che avevo fatto: avevo preso solo due bicchieri(auto-escludendomi come un vero maggiordomo), così cercai di buttarla a ridere: – Le signore sono servite, ed abbozzai un ridicolo inchino -, Sonia si sforzò di sorridere, Margherita, come se se lo aspettasse, replicò – vedo che ti sei calato immediatamente nel ruolo, bravo schiavo, ora mettiti sul letto in attesa di nuovi ordini -; come nulla fosse entrambe le ragazze ricominciarono la loro attività di ricerca, Sonia aveva trasformato il suo sorriso in un ghigno di soddisfazione, Margherita sembrava si stesse comportando nel modo più naturale del mondo. Mi sentii svuotato e, seppure non riuscivo ad ammetterlo a me stesso, eccitato. Sapevo cosa significasse tutto ciò per la mia reputazione ed il mio orgoglio, eppure non riuscivo a ribellarmi, dovevo ubbidire. Mi sedetti sul letto con le mani nella faccia rapito dall’assurdità di quella situazione, dopo pochi istanti sentii picchiare due volte con il bicchiere sul tavolo, mi alzai e sommessamente riempii nuovamente il bicchiere di Margherita. – Io e Sonia non ti reputiamo all’altezza di partecipare alla ricerca con noi, per cui cerca di essere utile facendo il bravo schiavetto, ora vai a prendere il gelato in frigo-.
– Ora mi sembra che stai esagerando ‘ replicai – ma chi ti credi di essere, chi ti ha dato queste confidenze?-, scattando in piedi Margherita mi stampò all’istante una sberla sulla guancia che mi fece barcollare – ti ho detto che non volevo alterarmi ma ci sei riuscito non ti permettere mai più di rivolgerti a me in questo modo sennò ti faccio lucidare tutta casa con la lingua, vai immediatamente a prendere il gelato e ricordati i cucchiaini – con un sentimento misto di rabbia ed eccitazione feci quello che mi fu ordinato e mi rimisi sul letto. Avevo un’erezione assolutamente inconsueta, una vampata interna mi fece capire che non mi sarei più ribellato ero in suo totale potere, riuscivo a guardare Margherita solo attraverso lo sguardo ammirato di Sonia che la fissava come si osserva un Guru indiano depositario di ogni sapere. Mi stava trattando assai peggio di come io avevo trattato lei, e, assistere a quello spettacolo, fu una piccola rivincita anche per lei. Dopo una ventina di minuti, Margherita ruotò la sua sedia e posò il piede sinistro sul letto al mio fianco e ricominciò a scrivere, la vampata che avevo sentito si fece ancora più forte, stavo sudando come mai, sentii un impulso, un impulso fortissimo. Cercai di rilassarmi e di prendere tempo, ma dopo un tempo che mi sembrò interminabile ma che non superò i cinque minuti mi tuffai. Iniziai, senza alcuna richiesta, a massaggiare il piede di Margherita (doveva essere un 40) con una dolcezza e delicatezza di cui mi stupii io stesso, Sonia alzò lo sguardo e restò atterrita, non credeva a ciò che stava vedendo, Margherita si girò solo dopo una decina di secondi: – sfilami il calzino per favore, preferisco sentire il contatto diretto sulla pelle -. Abbozzai un – certo – e tolsi il calzino blu che ricopriva quella meraviglia. Non sapevo neanche che fosse, allora, il feticismo, ma quel piede era la sintesi perfetta dell’essere che trasportava. Grande, affusolato, armonicamente regolare con un alluce imponente e perfettamente disegnato che dava un’idea di forza, sicurezza e decisione, mi sentii perso in quella parte anatomica fino ad allora così insignificante ed oggi carica di un simbolismo tanto forte da essere una bomba erotica. Iniziai a massaggiare ma fui subito ripreso – asciugati le mani per cortesia, non mi insudiciare il piede -, imbarazzatissimo, mi asciugai le mani addosso, e così feci a più riprese dato che il mio stato emotivo non permetteva alla mie mani di rimanere asciutte, quello stato confusionale doveva piacere molto a Margherita, che ogni volta che mi asciugavo mi donava un smorfia tra approvazione ed appagamento. Sonia a quel punto chiese quasi sottovoce: – ma come fai? –
-Guarda – rispose l’amica- volevo solo farlo scendere dal suo piedistallo ma non pensavo neanche io di ridurlo così, da quel che vedo il bello deve ancora arrivare -. Dopo oltre mezz’ora allentai forse un po’ il ritmo, Sonia si rivolse a me con tono davvero umiliante – non so se te ne sei accorto ma Margherita di piedi ne ha due -. Margherita scoppiò a ridere e fece una mossa come a comunicare che non poteva torcersi per posare entrambi i piedi sul letto perché così facendo non avrebbe potuto continuare a scrivere. Immediatamente estrassi quattro libri dalla cartella e li posai di fronte al tavolo in modo che Margherita potesse distendere il piede destro su di essi, lei lo fece immediatamente ed aggiunse – &egrave un po’ duro – senza farmelo ripetere due volte presi un cuscino appoggiato su un divanetto in corridoio e lo avvolsi con la mia felpa in modo che il tallone di Margherita potesse stare a contatto con il cotone e non con la stoffa grinzosa del cuscino. Poi mi inginocchiai per terra tolsi il secondo calzino e iniziai il massaggio in modo ancora più delicato di quello precedente. Le ragazze ricominciarono a confabulare, Sonia: – Non ci posso credere, non l’ho mai visto così lo sciupafemmine, &egrave totalmente cotto, ha perso la testa!-, – come schiavetto mi va benissimo ‘ puntualizzò Margherita – ma come ragazzo, scusa se te lo dico, uno così proprio non mi interessa, io voglio un uomo vero non una pezza da piedi, ora ti faccio vedere a cosa può arrivare un essere in questo stato-; poi, alzando la voce – così però mi raffreddo, cazzo – tuonò Margherita. Immediatamente mi accorsi dell’errore, non avevo rimesso il calzino al piede di cui avevo finito di occuparmi 10 minuti prima, – scusa Margherita, non accadrà più -, pronunciai le parole in modo spontaneo e velocissimo quasi non vedessi l’ora di farle uscir di bocca. Con il tono e l’atteggiamento della maestrina comprensiva Margherita ruotò la sedia verso di me e posò entrambi i piedini a terra tra i libri ed il letto mettendosi con i gomiti sopra le ginocchia: -Allora schiavetto credo che ormai siamo arrivati al punto in cui tu non ti rivolga più a me chiamandomi per nome bensì Padrona, puoi continuare a darmi del tu a meno che non ti trovi più a tuo agio con il lei, sarebbe comprensibile data la venerazione che mi hai dimostrato questo pomeriggio’in quanto al piede lasciato scoperto, sarebbe forse il caso che tu gli chiedessi scusa’.- Probabilmente avevo già varcato il punto di non ritorno nel momento in cui dopo aver ricevuto un ceffone avevo assecondato l’impulso di massaggiarle il piede, senza per altro ciò mi venisse richiesto. Quello che stavo per fare sarebbe stato però il primo e vero atto di totale sottomissione, quel gesto avrebbe cambiato la mia vita. Ero sempre in ginocchio guardai il suo piede sinistro con desiderio, con rapimento, ma anche con dolore e sacrificio. Avevo solo pochi secondi per decidere, il fuoco che avevo dentro sembrò bruciarmi, mi sentivo infiammare, come in un processo di autocombustione; la guardai dritta negli occhi con sguardo caritatevole quasi ad implorarla di non chiedermi così tanto, il suo volto, incorniciato dai capelli bruni, assunse un’espressione di comprensione e di imperturbabile fermezza allo stesso tempo, Sonia aveva gli occhi sgranati per non perdersi neanche un millesimo di secondo di quanto stava accadendo, chiusi gli occhi, chinai lentamente il capo come il condannato davanti alla ghigliottina, appoggiai le mie morbide labbra, bramate da tantissime ragazze, sul liscio e possente collo del piede della mia Padrona e mi lasciai andare nel bacio più innamorato che avessi mai dato fino allora, Margherita si girò superba verso Sonia: -Certo che avevi ragione, bacia proprio bene’-.

Uno scoppio di risa ridicolizzò ancora di più la mia condizione, ma la mia scelta era stata chiara, mi sarei abbandonato totalmente lasciando che il volere di quella diciottenne divenisse l’unica cosa realmente importante, quell’essere che non potei che considerare superiore mi stava regalando sensazioni ed emozioni nuove e meravigliose, pensai dentro di me che se l’amore non era quello esisteva qualcosa di più intenso dell’amore stesso. -Ok, ti ha perdonato, puoi staccarti adesso, io e Sonia vorremmo un caff&egrave’- , non avevo il coraggio di alzare lo sguardo, risposi, con un filo di voce – solo qualche minuto Padrona – e mi voltai facendo per rialzarmi, – te ne concedo 5 sguattero, corri!- in quel momento sentii una pedata sul sedere che mi fece quasi ricadere con il volto in avanti, ormai ubbidivo ciecamente bloccando i pensieri e lasciandomi guidare dall’istinto. – Se sto sognando non mi svegliare – commentò Sonia -non pensavo che nessuno potesse scendere così in basso, figuriamoci Renato, il fighetto della nostra scuola’-, – mi fa più rabbia che pena ‘ ribatt&egrave Margherita – con tutto quello che mi hai raccontato su di lui mi aspettavo un tipo tosto di quelli che ti fanno perdere la testa, invece &egrave il più misero vermiciattolo che abbia mai incontrato, non &egrave degno neanche di strisciarmi sotto i piedi ma hai visto che ha fatto?- -si, riprese Sonia, ho visto ed ho osservato anche il suo sguardo, sarebbe capace di scendere anche più in basso se tu lo volessi’- – ma certo che lo voglio, &egrave una legge di natura, come tra gli animali esistono i predatori e le prede così &egrave tra gli uomini, lui mi &egrave succube per natura ed io non voglio che sopraffarlo-. Rientrai nella stanza servii il caff&egrave e mi risedetti sul letto,vidi immediatamente la mia padrona poggiare con la punta degli alluci i piedi sul pavimento e voltarsi a guardarmi come in attesa, realizzai immediatamente il desiderio della padrona, tanto ormai avevo già raschiato il fondo, così in un attimo mi trovai disteso sotto il tavolo a svolgere la funzione di zerbino umano, Sonia non riusciva più a bloccare la propria risata, ogni tanto si sporgeva per osservare meglio la mia condizione ed allora Margherita spostava la sua pianta proprio sopra la mia testa facendo una lieve pressione quasi a ricordarmi il mio ruolo succube. Poi si rivolse a Sonia -adesso guarda bene come finisce il tuo play boy- rimise i piedi sul letto e mi ordinò di mettermi di fronte alle splendide estremità -ehi schiavetto credo che la pianta dei miei piedi sia leggermente sporca, dato che ormai ti ho ridotto peggio di un verme, che ne dici’e così facendo incurvò le punte esponendo meglio piante e talloni, Sonia soggiunse -no, questo proprio non lo può fare- ma era già troppo tardi avevo iniziato dal basso del piede destro a lappare avidamente cancellando del tutto quel briciolo di dignità che mi era restata’, quando Margherità disse – va bene così verme – mi limitai a dire – vi ringrazio Dea – porgendo i miei capelli per asciugare la saliva gocciolante. Sonia a quel punto esplose probabilmente riaffiorano i suoi vecchi sentimenti: -Basta adesso ma cosa stai facendo Renato, alzati in piedi e riacquista la tua dignità, dove &egrave finito il ragazzo ambito e fiero che tutti conosciamo!- si alzò mi dirò su per un braccio e mi condusse alla porta per uscire con lei, io assecondai la sua decisione lasciandomi trasportare ormai stordito ma di nuovo in me, Margherita, calmissima, pronunciò questa frase: -ti dò una notte per riflettere verme, domani, all’ora di nuoto, pretenderò una risposta definitiva, se sceglierai la tua dignità io non dirò mai niente a nessuno e questo per te resterà solo un brutto incubo ma io non ti rivolgerò mai più la parola, se sceglierai me ti farò diventare lo zimbello del liceo, questo &egrave il prezzo dei miei piedi-. Uscii dalla stanza e Sonia passò tutta la serata a rinsavirmi giurandomi che lei non avrebbe mai raccontato niente ma io non l’avrei mai più guardata in faccia quella arpia. Nella notte mi ripresi del tutto vergognandomi
per quanto avevo fatto. Il giorno dopo da uomo andai a scuola deciso a riprendere un rapporto con Margherita basato sulla totale indifferenza. All’ora di nuoto Margherita si presentò per la prima volta rinunciando al suo esonero, come arrivò in vasca mi si gelò il sangue, quei piedi meravigliosi simbolo di forza e superiorità, erano ora curati e limati più che mai, pronti per un rito. Venne da me prima che entrassimo in vasca e con una semplicità straordinaria con due amiche al fianco disse: -Renato, 10 flessioni una per dito!- e con la mano indicò di farle davanti a lei-, fu un lampo, un attimo, mi ritrovai davanti a tutti a fare 10 flessioni sulle braccia col piccolo particolare che al termine di ognuna baciavo un dito diverso del suo piede. Le lacrime di Sonia mi dissero che era la fine!

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