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il figlio di Catilina

By 4 Ottobre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Il giovane uomo, avvolto nella sua candida toga listata di porpora, segno della sua recente nomina al Senato di Roma, i calzari con la fibbia a mezzaluna e l’anello di ferro all’anulare sinistro, altri segni del suo rango nobiliare, camminava svelto tra le ville del colle Palatino, all’apparenza insensibile a tutto tranne a quel che aveva in mente. ‘Affari urgenti’, di certo avrebbe pensato la gente che lo vedeva camminare a quell’andatura per niente agevole quando si vestiva quell’ingombrante, latteo segno della propria romanità. Era un uomo affascinante, quel giovane: alto, per essere un romano, capelli corvini, fisico asciutto da atleta, o da soldato (il che era più o meno la stessa cosa), braccia muscolose, la espressione del volto correttamente austera, colma di quella gravitas che tutti si aspettavano da una persona nella sua posizione. Quel che rendeva il giovane molto famoso, però, non era la sua altezza, la sua vigoria, la sua aria azzimata. No. Quello che rendeva il giovane famoso, o famigerato, era il suo nome. Si chiamava Lucio Lutazio Catulo, figlio minore del grande e famoso Quinto Lutazio Catulo, colonna del Senato. In realtà, figlio adottivo, e questa era una cosa che tutti, a Roma, sapevano, anche se facevano finta di ignorare questa verità scabrosa. Il nome del giovane Lucio, in origine, era Lucio Sergio Catilina il Giovane, figlio primogenito di quel Lucio Sergio Catilina che si era messo a capo di quella famosa congiura. Il suo padre naturale e quello adottivo erano stati molto amici, prima dei fatti che avevano portato alla morte Catilina, e quest’ultimo, prima della fine, aveva scritto a Catulo per affidargli il figlioletto ancora piccolo. L’amicizia &egrave un legame forte, così Catulo accettò con convinzione, e dopo qualche anno adottò il giovane Lucio Sergio, trasformandolo in Lucio Lutezio. Questo aveva attirato sul neo padre gli strali del pater patriae, quel viscido verme tremebondo di Marco Tullio Cicerone, che aveva osteggiato l’adozione del figlio del suo nemico. Tuttavia, grazie anche all’influenza di Cesare, non l’ebbe vinta.
Il suo legame con Catilina era evidente a tutti, stampato per sempre nei tratti del viso: netti, decisi, virili. Due occhi enigmatici come quelli del padre naturale, una bocca carnosa, mascella volitiva, una carnagione olivastra che le donne trovavano estremamente attraente.
Quel giorno, tuttavia, Lucio non era né il figlio di Catilina, né il figlio di Catulo, né tantomeno un senatore della Repubblica. Era solo Lucio, che si recava svelto e guardingo a trovare la sua amante, la figlia di certo Marco Tullio Gallo, liberto di Cicerone. Se ci pensava, Lucio ancora sorrideva, sebbene fossero passati ormai due anni’.

In quel periodo, era il giovane Lucio, orgoglioso del suo padre adottivo e fiero del suo padre naturale. Girava per i circoli dei giovani romani, e si stava costruendo un seguito che gli avrebbe giovato nella sua futura carriera. I vari Claudii, Cecilii, Servilii, erano tutti presi dal suo carisma naturale, dalla sua visione politica, dal suo futuro luminoso. Il suo scopo principale era quello di farla pagare a Cicerone, in un modo o nell’altro. Aveva deciso, con sua somma disperazione, che avrebbe dovuto aspettare di essere console, per agire legalmente, processare il grand’uomo per aver condannato cittadini romani senza processo, e spedirlo in esilio senza un soldo. Ma l’impazienza &egrave logorante, in un ragazzo appena uscito dall’adolescenza, pieno di energia e vigore, alimentato dal suo solido sogno di vendetta. E così girava in tondo come una bestia del circo, incapace di dare sfogo alla sua brama’finché il mezzo non gli fu suggerito dal suo amico Caio Longino, un plebeo della Suburra. ‘Prendi esempio da Cesare’, gli disse. ‘Lui si fotte le mogli dei suoi avversari politici. Ma mi rendo conto che la moglie di Cicerone &egrave un mostro’in tutti i sensi!’. Rise. ‘Però c’&egrave sua figlia Tullia, che deve ancora sposarsi, &egrave vergine, e miracolosamente &egrave bella. Pare che sia segretamente innamorata di te, e non &egrave nemmeno troppo sveglia. Io ci proverei”. Il giovane Lucio ci provò. Che bell’idea, scoparsi la figlia del suo nemico, sverginarla prima del suo promesso sposo! Che dispetto, che dolce vendetta!
Partì così la carica a Tullia: appostamenti, biglietti furtivi, messaggi recati dai propri schiavi, fiori posati sulla porta di casa sua. La fortuna di Lucio fu che non solo Tullia, ma anche le sue ancelle non erano particolarmente sveglie, cosicché non riferirono niente al padrone e a Terenzia il mostro.
Da lì a portarla in un appartamento preso in affitto sull’Aventino, in un isolato pieno di casermoni di proprietà dei Marco Crasso, il passo fu breve.
Si incontrarono in un caldo giorno di aprile, lei scortata dalla sua ancella greca, lui da solo, che già la attendeva. Tullia era bella sul serio, non cera che dire: capelli ricci, folti e luminosi, occhi profondi ed ingenui, una boccuccia a cuore che attirava i baci, e l’espressione eccitata e spaventata. Sotto la tanta stoffa della sua veste colore azzurro e bianco, si intravedevano forme sode, piene, generose, un ventre piatto e due gambe affusolate. Era anche piuttosto alta, cosa che non guastava.
‘Sarà un piacere vero, prendermi la mia vendetta!’, pensava il giovane Lucio, rapito dalla bellezza di Tullia. Peccato, in fondo. Sarebbe stata una moglie deliziosa, se fosse stata figlia di qualcun altro. Con una scrollata di spalle mentale, si avvicinò a lei, le sorrise, le prese le mani e la condusse all’interno, dove aveva preparato personalmente le cose in modo da farla sentire a suo agio. Erano nel soggiorno, un ambiente ampio ma non enorme, arredato con gusto e semplicità da Lucio, che aveva un certo gusto per l’arredamento: uno scrittoio in legno di cedro molto costoso, riempito con documenti e fogli messi in bell’ordine, tre o quattro sedie finemente intagliate, un mobile per i rotoli dei libri anch’esso in cedro. Alle pareti, non gli affreschi priapici soliti nella case romane, ma scene dall’Iliade, e dal mito di Medea facevano bella mostra. Lei era spaventata, timida, con gli occhi da cerbiatta cercava l’uscita, come se, adesso che si doveva arrivare al dunque, lei avesse cambiato idea. Lucio, avvertendo il pericolo, le si accostò ancora di più, sorridendo nel suo modo più seducente, e mandò via l’ancella con un gesto. La giovane greca fu ben felice di obbedire, fin troppo. Tullia non lo sapeva, ma al piano superiore l’attendeva uno schiavo di Lucio, che il giovane si era preoccupato di farle conoscere. I due avevano una relazione, quindi la greca era ben felice di accompagnare la padrona e lasciarla sola’
‘Tullia, amore mio, cosa c’&egrave?’ chiese lui.
‘Oh, Lucio, non lo so. Da una vita ti sogno, ti desidero, ma ora ho paura’cosa stiamo facendo?’.
‘La cosa giusta, amore. Ti giuro che sarò dolce, premuroso, gentile”. Dicendo questo, cominciò a baciarle il collo. ”Tenero’, bacio, ” Delicato’. Le prese il viso, e le diede quello che fu il primo bacio, per Tullia. Un bacio appassionato, vorace, vero. Lucio era un amante premuroso, indipendentemente dal suo coinvolgimento, e Tullia straordinariamente appassionata. Le loro lingue si intrecciarono, frenetiche, saettando ed attorcigliandosi nelle bocche. Lui le succhiò le labbra tenere, scese al collo, la baciò stando ben attento a non lasciare segni, poi, sempre baciandola, la condusse nel cubicolo adibito a camera da letto, illuminato da lampade ad olio, arredato col solito gusto, con un letto morbido e profumato, cosparso di petali. Si staccò da lei, e prese a spogliarla, lentamente, con gusto. Cominciò sciogliendole l’acconciatura, liberando la massa di riccioli castani, lunghi fino al sedere, mordendole e torturando i suoi lobi con la lingua, facendola gemere. Staccatosi di nuovo, scorse i capezzoli inturgiditi, il tremore delle sue braccia, e soddisfatto, le tolse i veli superiori della veste, ed infine la veste stessa, ammirando la sua nuda bellezza. Era bella, bella, bella! Era verace, genuina, generosa come la terra di Arpino che aveva dato i natali a suo padre Cicerone. Le gambe tornite e slanciate, i seni prosperosi e sodi, con quei capezzoli turgidi e cicciotti, il suo pube con il pelo folto quanto i capelli, e tuttavia curato con attenzione, tutto in lei emanava seduzione.
‘Sei bella’, le disse, semplicemente, poi si avvicinò ancora, e prese ad accarezzarle i seni, duri e cedevoli allo stesso tempo sotto le sue mani esperte, palpando e carezzando in egual misura, torturando i capezzoli con i polpastrelli prima, con la lingua e con i denti poi. Sentiva Tullia gemere forte, ora, finalmente coinvolta e senza remore, così con la mano sinistra scese a carezzarle le natiche, a stringerle, a sfiorare con le dita il solco ed il buco dell’ano. Con la destra intanto continuava il lavoro sul seno, mentre era tornato a baciarla.
‘Lucio’Lucio’Ahhh’AAAhhh’ amore, amore!’ diceva intanto lei, che godeva di quelle carezze, di quei baci così a lungo desiderati. Lui con la bocca scese di nuovo sui seni, leccandoli, inumidendoli di saliva, mordendoli e facendo salire il piacere di lei. E scese ancora, all’ombelico’e ancora, affondando il viso in quei ricci folti e curati, assecondato da Tullia, che aveva divaricato le gambe, e gemeva forte, senza più controllo, o ritegno. Con la parte della sua mente che manteneva il distacco, Lucio Sentiva dei rumori forti provenire dal piano di sopra’bene, il suo uomo si impegnava. Perfetto! Rassicurato, si immerse nel piacere di Tullia ancora più a fondo, leccando il clitoride, stringendolo fra i denti, gonfio ed ingrossato, bevendo il suo orgasmo giunto nel momento stesso in cui penetrò con la lingua nella sua carne. Aveva un buon sapore, leggermente salato, corposo, schietto come un buon vino.
A Tullia girava la testa, dalla gioia e dal piacere. Non aveva mai osato sperare che il sesso sarebbe stato così’.magnifico. Aveva pensato, nella sua inesperienza, che il meglio che avrebbe potuto dirne sarebbe stato che non la disgustava. Pensava che fosse una cosa che le donne dovevano subire, non di più invece, stava scoprendo un mondo di piacere mai sognati, per merito di un giovane che lei aveva desiderato con tutta se stessa. Non si faceva illusioni sul suo amore, sebbene lo desse ad intendere. Sapeva di chi era figlio lui, e perché la cercava, ma questo non la faceva sentire umiliata. Era consapevole di essere bella, e sapeva che Lucio non avrebbe fatto quel passo, se non l’avesse trovata attraente. E così si era buttata a capofitto, incurante delle conseguenze, in fondo sperando in cuor suo che alla fine il suo amore l’avrebbe chiesta in sposa. Ora però, si concentrò sulla meraviglia che stava provando, e lo invitò a spogliarsi, con un sorriso languido e seducente.
Con noncuranza, lui si liberò della toga, della tunica, facendo cadere tutto ai suoi piedi, e rimanendo nudo di fronte a lei, col pene eretto e turgido, svettante da un fitto cespuglio di peli neri. Anche lui era consapevole di essere bello, ben fatto, piacente. Era orgoglioso del suo corpo e del suo membro, non eccezionalmente lungo, ma ben grosso’l’ideale per le donne, le aveva detto una volta una sua amante occasionale. Tullia lo guardò, fissandolo curiosa, poi disse: ‘Non &egrave come quello di Priapo’. Sembrava dubbiosa. Lucio rise di cuore, ma in un modo che non la fece sentire stupida, e poi replicò: ‘Beh, amore, Priapo &egrave Priapo. Noi comuni mortali ci dobbiamo accontentare, ma sono sicuro che io, sebbene non sia il dio Priapo, potrò soddisfarti a dovere’. Lei sorrise, e al suo invito, si accostò al pene, lo toccò. Lo trovò sconcertante nella sua consistenza, l’erezione di Lucio la faceva sentire un po’ a disagio, non per le dimensioni, ma per l’intensità che avvertiva nel desiderio di lui. Provò a muovere la mano sull’asta, gratificata dal mugolio del suo amante, e così si mosse con più vigore, imparando presto il modo giusto per dargli piacere. Lucio, avvertendo il culmine avvicinarsi, la bloccò e, senza dire una parola, ma solo sorridendo in quel suo modo particolare, la fece sdraiare sul letto. Ricominciò a baciarla, a leccarla, toccarla, carezzarla, accompagnato dai suoi gemiti di nuovo forti, di nuovo vicini all’orgasmo. Continuò per un poco, poi di colpo lei, fattasi intraprendente, lo scostò e, con un movimento veloce, lo fece rivoltare e gli fu sopra. Cominciò a baciarlo con la sua solita foga, poi scese a leccare il suo petto, i suoi capezzoli, accompagnata in questo da un mugolio di apprezzamento, il che le fece capire che anche gli uomini erano sensibili in quel punto. D’un tratto, fu incerta sul da farsi. Si bloccò a metà, confusa, poi decise da sola, e scese con la bocca fin sul pene di lui. Lo baciò, leccò l’asta per un tempo che le sembrò lunghissimo, accompagnata dai gemiti forti di Lucio, che la pregava: ‘Prendilo in bocca, Tullia, prendilo in bocca!’. Lei obbedì, dopo una certa esitazione, e accolse il membro nella sua cavità. Aveva un sapore pungente, ma molto gradevole. Decise che era’aristocratico, come il suo Lucio. Cominciò istintivamente un lento movimento in su e giù, imparando molto in fretta, tanto che Lucio gemeva così forte che nemmeno lui si era aspettato, per merito della sua coetanea nobile ed isolata.
‘Tullia, sei fantastica, Tullia’Tullia..Aahhhhh!!!’. Sentiva arrivare il piacere, lo sentiva gonfiarsi, e lo fermò, con uno sforzo di volontà che quasi lo ferì fisicamente.
‘Amore, non ancora, &egrave troppo presto per me’, le disse. ‘Devi ancora provare il VERO piacere’. Detto questo, fu di nuovo sopra di lei, a carezzarle il sesso bagnato e pulsante, ascoltando soddisfatto il suo respiro roco, osservando le sue labbra da baci farsi più turgide, i capezzoli diventare come due ciliegie mature.Le divaricò le gambe, teneramente, sempre carezzandola, e le sollevò i fianchi, accostando la punta all’apertura della vagina. Non le disse niente, non sarebbe servito. Entrò finché non trovò resistenza, poi diede un colpo secco e deciso, ma non violento. L’imene si ruppe, con un leggero rivoletto di sangue che bagnò le lenzuola. Tullia lanciò un piccolo grido di dolore, subito soffocato dal suo bacio, poi si rilassò e prese a gemere forte, sempre più forte: ‘Ahhh’Sìì, Lucio, sì’Ah, spingi, amore, ti prego’AAAAAAAAAAAAAAAAAAAhhhhhhhhhhhh’. Il suo piacere si tramutò in un grido a pieni polmoni, liberatorio, seguito da un altro grido, e poi un altro ancora, mentre Lucio spingeva, soddisfatto, e spingeva ancora, e ancora ‘Questa &egrave per te, brutto, altezzoso testa di cazzo!’, pensava il giovane. ‘Mi sto fottendo tua figlia, la sto facendo urlare di piacere. TU, sei mai riuscito a far gridare così una donna? Questa giovane donna &egrave qui, con me, che mi urla il suo apprezzamento, mentre tu, suo padre, maledetto verme arpinate, sei al Foro a pavoneggiarti su come hai salvato la Repubblica. Stronzate’Stronzate, stronzate, stronzate!!! IO sono il padrone vero, e attraverso di me mio padre finalmente vendicato’.
Continuò a spingere, con foga e pazienza, attento al piacere di Tullia come al suo. Uscì da lei, osservando soddisfatto il suo aspetto sfinito e sazio, la sollevò e la mise contro il muro. Le sollevò la gamba destra e la penetrò ancora, prendendola poi in braccio, baciandola tutta, leccandola, godendo tanto quanto godeva lei. Venne in lei con un grido strozzato, chiudendo gli occhi, sentendo le gambe cedere la riportò sul letto e si abbandonò sul suo seno generoso, mentre Tullia sfogava gridando il suo ultimo orgasmo. Si addormentarono, e furono svegliati dalla greca che bussava alla porta.
Rivestiti, si salutarono con un bacio appassionato, e da quel giorno si rincontrarono molte volte. Una di quelle volte, di settembre, conobbe Tullia Galla, che lui soprannominò Diana.

sono nuovo, qui, e questo &egrave il mio primo racconto. spero vi piaccia, davvero.
sono graditi commenti e critiche al mio indirizzo
bluebard@hotmail.it
Tullia Galla’ Tullia Galla. Quel nome gli era perfettamente sconosciuto, quando conobbe la figlia di Cicerone. Figurarsi, una liberta che conosceva un uomo aristocratico fino al midollo, un uomo che avrebbe avuto il sangue giusto per essere re di Roma, se Roma avesse avuto un re! Eppure, le vie del Fato sono misteriose, imprevedibili, mostruosamente contorte. Ci pensava, mentre dal Palatino si dirigeva a passo spedito, avvolto nel segno della sua nobiltà, verso il suo appartamento sull’Aventino, quello dove aveva conosciuto la Tullia di nobili origini. Quasi due anni prima’

Erano passati alcuni mesi dal suo primo rapporto con Tullia. Mesi che avevano visto il nobile Lucio incontrare ripetutamente la sua conquista, farla sua in mille modi diversi, darle piacere, facendola vivere in quella specie di Campi Elisi che &egrave il sesso di una vergine col suo primo uomo, quando l’uomo in questione &egrave già abbastanza esperto. L’aveva iniziata al sesso orale già dal primo incontro, gli piaceva vederla leccare e succhiare il membro, l’eccitava vederla arrossata, affannata, golosa del suo sesso. Con il passare del tempo era diventata brava, molto brava. Lucio pensava che ormai avrebbe potuto far concorrenza alle più famose fellatrici di Roma. Nel mese di Giugno l’aveva iniziata anche al sesso anale, nonostante le titubanze della ragazza, che aveva paura del dolore e rimorsi di coscienza, segno della sua educazione fortemente conservatrice. La giovane Tullia aveva consentito alla penetrazione solo dopo numerose rassicurazioni di Lucio, promesse d’amore, matrimonio, figli. E l’aveva infine posseduta anche lì. Ormai niente era rimasto per il futuro genero dell’arpinate, niente che Lucio Sergio Catilina (così pensava a se stesso, quando faceva sesso con Tullia) non avesse già esplorato. Era appagante, liberatorio, animalesco, tremendamente giusto.
Tuttavia, dopo quell’esperienza, e nonostante la bellezza e la passione di Tullia, Lucio si stancò della sua vendetta. O meglio, il senso di soddisfazione che veniva dal possesso gli era venuto a noia. Lui possedeva Tullia, corpo e anima, l’aveva sverginata, l’aveva disonorata, aveva gettato tanto di quel fango sul nome di Cicerone che il grand’uomo ne sarebbe uscito a pezzi. Qualcosa, però, mancava.
E l’idea gli venne quando seppe del fidanzamento della ragazza, con il mobilissimo Sesto Pompeo, il figlio minore di Pompeo Magno. La sua parte cinica e vendicativa gli suggerì il piano finale.
Mettila incinta!, si disse Lucio. Mettila incinta e Sesto non vorrà più nemmeno vederla! Mettila incinta e Pompeo abbandonerà la protezione su Cicerone, lo distruggerà! Così fece. Ad Agosto Tullia era incinta e tutta Roma lo sapeva. Pompeo ruppe il fidanzamento e disintegrò Cicerone, alleandosi con Cesare e Crasso. Il triumvirato l’avrebbe, entro un anno, fatto esiliare. Perfetta vendetta!
Cicerone era furioso, ma non sapeva chi fosse il padre del bambino. Tullia, da brava romana innamorata, non fece parola del suo approfittatore. Lucio però sapeva, perché lo sentiva nelle ossa, che il bimbo sarebbe stata l’immagine sputata del suo nonno Catilina. Oh, Dei del cielo, c’era gioia più grande? Cicerone avrebbe sostenuto da carriera del nipote del suo avversario! Ah, per Giunone e Venere, era il trionfo!

Nonostante la gravidanza, Tullia lo vide ancora un paio di volte, fino a metà settembre, quando fu promessa in sposa ad Elvio Tuberone, un campagnolo ricco sfondato che non vedeva l’ora di sposare una donna famosa, non importa se incinta di un altro. Lucio era contento. Suo figlio sarebbe stato ricco. La figlia di Cicerone, una volta incinta, era anche più appassionata. Urlava il suo piacere in modo che la sentissero in tutto il quartiere, si esprimeva in pratiche amorose impressionanti, la sua vagina era sempre fradicia di umori. Confessò a Lucio persino che una volta, presa dalla voglia, aveva fatto l’amore con la sua ancella greca’
Tuttavia, a settembre, la vigilanza di Cicerone si era fatta serrata, e Tullia aveva problemi di nausea, cosicché non poterono più vedersi. Poco male, in fondo, pensò Lucio, il mio scopo &egrave raggiunto. La ragazza, però, non voleva abbandonare il suo amore, nemmeno dopo sposata. Cominciò così la fitta rete di messaggi che Tullia inviava a Lucio ogni giorno, ogni ora, per mezzo della sua liberta, Tullia Galla.

Settembre era arrivato, l’anno del consolato di Caio Giulio Cesare e Marco Calpurnio Bibulo’o, come l’avevano scherzosamente definito, il consolato di Giulio e Cesare. Il console Bibulo si era chiuso in casa in cerca di presagi per annullare gli atti di Cesare, scrutando il cielo, così il governo era di fatto nelle mani di un unico console. Lucio era diventato questore, carica di minore importanza, ma il primo vero passo verso il consolato. Tutto preso dai suoi impegni, aveva abbandonato la presa su Tullia, anche se ormai tutta Roma vociferava su chi fosse il padre della creatura. Era stato lo stesso Lucio, tramite i suoi servi, a mettere in giro la voce, discretamente, appena accennandola. E tutte le serve dell’Urbe presto avevano amplificato la notizia. Il suo nemico era livido, ogni volta che vedeva Lucio cominciava a sputacchiare insulti e maledizioni, dimenticando il suo latino tanto perfetto. Lui rispondeva alzando le spalle, esponendo tutta l’aristocrazia del suo lignaggio, affermando che non poteva controllare le voci di Roma. E poi, chi era quello zotico italico, per offendere così il figlio di Catulo, e discendente di una delle tre famiglie più antiche di Roma? Ah, il suo gusto saliva alle stelle. Alla brama di possesso si era sostituita la voglia di umiliare Cicerone, e come ci riusciva, col suo aspetto, la sua gioventù, i suoi natali impeccabili! Tullia, però, aveva deciso che il suo amore per lui era una cosa seria, dannate le donne!
Prese così a mandargli messaggi, prima attraverso le sue domestiche, non ottenendo nessuna risposta. Lucio non voleva correre il rischio che il padre di lei avesse conferma dei suoi sospetti, altrimenti l’avrebbe fatto processare’ poi, a metà mese, Tullia ebbe l’idea di chiedere l’aiuto di Tullia Galla (Galla, per semplicità). Le chiese, da amica, confidente, sorella, di portare un biglietto al suo amore, giù nel foro, presso l’Erario dove svolgeva il suo incarico, comunicando a lui tutto l’amore che Tullia provava. Galla era buona di cuore, e discreta. Accettò prontamente, e così conobbe Lucio.
Lo scovò appena fuori del tempio di Saturno, intento a dettare una lettera allo scrivano, vestito della bianca toga bordata, circondato dagli assistenti, concentrato sul suo dovere. Era bello! Galla lo aveva sempre apprezzato, trovandolo nobile, virile, attraente, mentre lo adocchiava al Campo Marzio, o nelle zone balenabili del Tevere. Sapeva chi era, e cosa aveva fatto con Tullia, e la cosa la turbava. Se da un lato non approvava il comportamento della sua amica d’infanzia dall’altro, ogni volta che ci pensava, un languore ben noto la prendeva tra le gambe, i capezzoli si indurivano, e sentiva l’impellente bisogno di toccarsi. Era vergine anche lei, appena diciottenne, promessa sposa ad un ragazzo di dodici anni, quindi era nella situazione di avvertire i normali impulsi sessuali, avvertendo nel contempo che non avrebbe potuto soddisfarli ancora per quattro anni almeno. La notte mordeva il cuscino, e si masturbava allo sfinimento, in silenzio, soffocando i gemiti, sognando il suo virile amante che di volta in volta era Lucio, o Cesare, o Pompeo, o un attore famoso, o un auriga’
Vedendolo impegnato, si mise silenziosa in un angolo, attendendo che si liberasse dalla ressa di clienti, assistenti e semplici curiosi, preparandosi a varie ore di attesa. Non dovette aspettare molto, invece. Lui si voltò nella sua direzione qualche minuto dopo il suo arrivo, e incrociò il suo sguardo. Un lampo, solo quello, poi distolse gli occhi. Un lampo solo, ma cosa aveva visto! Ah, Dei, chi era mai quella donna, lì nell’angolo? Era abbagliante, straordinaria! Alla prima occhiata aveva notato subito la sua altezza (parecchio sopra la media, il che denunciava le sue origini non romane), l’ovale perfetto del suo volto, i lunghi capelli biondi e lisci, i grandi occhi che lo fissavano, azzurri e schietti come il cielo delle Gallie. Era lì per lui, non cerano dubbi. Forse un’altra messa di Tullia? Non importava, stavolta. Stavolta avrebbe letto il messaggio, decise, avrebbe parlato con la ragazza. Fece in modo, in apparenza casualmente, di tornare a guardarla, e la contemplò per un paio di momenti. Alta ed esile, con lunghe, lunghe gambe affusolate che si indovinavano dalla veste color zafferano, un seno piccolo e alto, un viso quasi perfetto, con i lineamenti regolari, gli occhi sconvolgenti ben distanziati e grandi il giusto, un naso decisamente gallico, tirato all’insù, così diverso dai nasi romani, ma così attraente! Le labbra erano rosse, sanguigne, generose, il collo sottile. Sotto l’occhio sinistro aveva una piccola voglia, un dettaglio intrigante, stuzzicante, desiderabile. Aveva una bellezza eterea, come a volte hanno le donne, una venustà fragile e delicata, che accendeva negli uomini desiderio e affetto contemporaneamente, un aspetto nobile, con gli zigomi ben pronunciati. Lucio decise di smettere il lavoro, per quel giorno. Si liberò con consumata abilità della folla, e si incamminò in direzione di Galla, accennandole di seguirlo mentre la superava. Lei fece passare un tempo opportunamente decoroso per muoversi, e lo seguì a distanza, fino al colle Celio, dove aveva un piccolo studio. Non sarebbe stato opportuno che lo vedessero dirigersi al quartiere dell’Aventino, dove avrebbero facilmente immaginato le sue intenzioni.
Arrivato, condusse Galla nello studio, e la fece accomodare davanti al tavolo che fungeva da scrivania. La ascoltò a metà, tutto preso a scrutarla, analizzando ogni aspetto della ragazza. Come erano diverse lei e Tullia! La figlia di Cicerone era florida, generosa, imponente, con quell’aspetto sano da ragazza di paese che Lucio, nonostante i suoi scopi di vendetta, aveva trovato interessante e desiderabile. Galla, invece, era esile, sottile, delicata, aggraziata, nobile, naturalmente aristocratica, nonostante fosse figlia di un liberto. Ah, Giove! Una donna adatta ad un re, questa Galla.
”così, vedi, Lucio Lutazio’, stava dicendo intanto Galla, usando il suo nome adottivo ‘la mia Tullia non può stare senza di te, ti ama follemente, e non vive più, sapendo che non rispondi ai suoi messaggi. Così mi prega di chiederti una risposta, implorandoti’.
Lui borbottò qualcosa, a proposito di serve pettegole e rischi personali, poi mugugnò, quasi con malgarbo, una fredda dichiarazione per Tullia. Si alzò da dietro lo scrittoio, e accompagnò Galla alla porta, pregandola di una cosa, questa volta con tutto il suo fascino: ‘Se Tullia decidesse di contattarmi ancora, ti prego, Galla, di venire tu stessa. Vieni direttamente qui, per piacere, ed attendimi con comodo’. Le consegnò le chiavi dello studio, avvertendola: ‘Non dare mai, ripeto..MAI’queste chiavi ala tua amica. Non gliene parlare del tutto. Sono stato chiaro?’. Lei annuì, e uscì. Non le era sfuggito però l’atteggiamento di Lucio nei suoi confronti, ed era sveglia abbastanza per capire che il giovane era genuinamente attratto da lei. Quella notte, sognò Lucio, e il suo clitoride gonfio non le diede tregua fino all’alba, che la colse con una mano tra le cosce, i capezzoli duri come la pietra, senza che avesse dormito un solo minuto. La sua soluzione ai problemi che implicava il fidanzamento con un dodicenne, li aveva risolti nel modo più facile: Si era innamorata di un altro.

Due giorni dopo, Roma era sotto un temporale imponente e tremendo. Giove sembrava voler riversare sulla città tutto il suo furore. I tribunali erano chiusi, gli affari cancellati, il Senato non si era riunito. Tutta Roma era in casa, all’asciutto. Tutta Roma tranne due persone.
Lucio era dovuto uscire di casa per affari inderogabili che lo avevano portato fino alla casa del Pontefice Massimo, Giulio Cesare. Infatti, nella Domus Publica il Pontefice viveva insieme alle Vergini Vestali, che custodivano i testamenti dei romani. Lucio era l’esecutore testamentario di un certo Ortensio Fimbria, morto il giorno prima. I parenti avevano insistito per vedere il testamento subito, nonostante il diluvio. Lucio aveva fatto il suo dovere e svolto le pratiche, poi, bagnato fradicio, era andato verso il suo studio, per cambiarsi d’abito e sbrigare qualche documento in sospeso. Era appena cambiato d’abito, quando sentì la serratura che veniva aperta. Entrò Galla, zuppa, infreddolita, malinconica. Non aveva notato la sua presenza, subito, quindi quando lui la chiamò, lei lanciò un grido, con la sua voce roca e sensuale.
‘Non volevo spaventarti, scusami’, disse lui.
‘No, Lucio, scusami tu’sono piombata qui, ho approfittato delle chiavi’ ma volevo ripararmi dalla pioggia, ero dovuta uscire con questo tempaccio, e questo era il posto più vicino per ripararmi. Sei in collera?’. Ah, come poteva essere in collera? Come poteva, vedendo quei seni adolescenziali spuntare dalla veste bagnata, con i capezzoli lunghi e duri, l’aderenza degli abiti intorno alle forme adorabili? No, non poteva esserlo, non con lei. Era Diana dei boschi, non aveva dubbi, era la dea incarnata per lui! Così bella! Così eccitante! Prese a rassicurarla, dicendole che aveva fatto bene a recarsi allo studio, che avrebbe potuto ripararsi quanto voleva. L’avrebbe lasciata in pace, se ne sarebbe tornato a casa’
‘No, ti prego, Lucio, no”
‘cosa?’
‘Non voglio che tu vada via, te ne prego. Resta con me’vuoi?’
‘e perché, Galla? Non vorrai che ti guardi mentre ti spogli e metti gli abiti ad asciugare?’
‘Ecco’io’Lucio, io’non voglio che tu vada via, ti prego.’. lo disse con le lacrime agli occhi, implorandolo mentalmente di prenderla, e soddisfare il suo desiderio. Lo voleva, lo voleva come l’aria! E lui la desiderava. Desiderava la sua Diana, avrebbe voluto stringerla, e baciarla, e penetrarla. E alla fine, si avvicinò a lei, che ancora tremava, abbracciandola. ‘hai freddo’, le disse. ‘Stai tremando. Vieni al braciere’.
‘Sto tremando, sì’ma non dal freddo, Lucio’, si sorprese a dire lei. ‘Sto tremando dal desiderio’.
Lui la avvicinò al braciere, facendole avvertire il calore dei carboni, poi le prese il mento, e la girò verso il suo viso. Non si dovette chinare, per baciarla, lei era alta come lui, o poco meno. La baciò piano, delicatamente, assaporando le sue labbra tumide e bagnate, la sua passione che sapeva di dolce, di donna, di desiderio. Forzò con la lingua la bocca di lei, e la scoprì pronta, vorace, assetata del suo sapore. Aveva un buon sapore, di menta e salvia, e aveva avvicinato il suo corpo. Lucio poteva sentirlo premere sul suo petto, sul suo sesso’ebbe un’erezione imponente, alimentata da un sentimento che non aveva pensato di poter provare, un’attrazione enorme lo spingeva verso le sue curve, il suo corpo, la sua bocca. Le tolse i vestiti in fretta, sorridendole, e mettendoli ad asciugare su una sedia, vicino a due bracieri. Solo dopo si concesse di guardarla, e scoprì che quello che immaginava era solo parte dello splendore che vedeva. I suoi seni erano piccoli e sodi, della misura giusta per la sua mano, con i capezzoli rosati e lunghi, invitanti; il ventre piatto, con i muscoli degli addominali bene in risalto, sebbene non esercitati, e due gambe infinite, sode, delicate. Diana! La toccò, le toccò il seno, prendendo tra le dita i suoi capezzoli, succhiandoli alternativamente, mentre la giovane mugolava di piacere. Mise la mano libera sulle natiche, scoprendole tonde, alte, perfette, e passò il dito nel solco, fino all’ano, come sapeva che Tullia apprezzava. Galla non fu da meno, emettendo gemiti forti, contorcendosi addosso al suo corpo fino a che non si fece penetrare l’ano dal suo dito. Lucio, allora, spostò la mano che aveva sul seno giù, fino al pube, che la ragazza accuratamente depilava del tutto (aveva avuto problemi igienici per le condizioni del quartiere, una volta, le disse in seguito, e il medico le aveva consigliato di depilarsi completamente), scoprendo il suo clitoride gonfio, caldo, pulsante di desiderio. Lo sfregò col dito, e ne ricevette in risposta un gemito incontrollato, un tremore che indicava l’avvicinarsi di un orgasmo. Allora la penetrò con un dito, incontrando il mare dei suoi umori che risucchiavano la sua estremità dentro, sempre più dentro, fino all’imene ancora intatto. Si fermò lì, movendo il dito in circolo, venendo ricompensato dal suo grido liberatorio, dal suo orgasmo palpitante, dalla bocca di lei di nuovo incollata alla sua.
Si spogliò a sua volta, in fretta, mostrando la sua poderosa erezione allo sguardo eccitato di lei. Non si stupì come Tullia, anzi volle toccarlo, sentire il rilievo delle grosse vene, scoprire il glande, toccare delicatamente i testicoli. Lui la baciava ancora, ma lei si staccò, e prese a scendere, baciandolo lentamente, leccando il suo petto, lasciando scie infuocate con la sua saliva, fino a baciare e leccare l’asta del pene.
‘Aaaahhh’, mugolò Lucio. ‘Aahh, mia Diana.’ Lei, incoraggiata dall’evidente piacere di lui, scese ancora, a leccargli i testicoli, prendendoli delicatamente in bocca. Succhiandoli piano. Scariche elettriche percorsero il corpo di Lucio, che continuò a incitarla, chiamandola col nome della Dea dei boschi. Galla risalì, prendendo in bocca il suo pene, succhiandolo forte. Lui le prese la testa, guidandola nei movimenti, decisa a dargli piacere, poi imparò e continuò da sola, infuocando le vene di lui. ‘mmhhh, sì, Galla, sì’aaahhhhh, amore, daiii!’ sentiva il suo piacere montare dentro di lui, lo sentiva travolgerlo, e l’avvisò di questo. Lei diede mostra di non averlo sentito, e continuò il suo lavorio, finch&egrave Lucio non sentì giungere l’apice e, chiudendo gli occhi, non pensò più a niente. Svuotò tutto i suo seme nella bocca di Galla, la sentì deglutire più volte, poi passare la lingua sulla punta, per ripulirla. ‘Ha un buon sapore’, gli disse sorridendo, la piccola voglia sotto l’occhio sinistro a conferirle quel fascino misterioso che lo aveva tanto colpito. Lui aveva la testa che girava, il rombo nelle sue orecchie che non smetteva, e nemmeno si accorse che lei era andata al catino e vi aveva versato un po’ d’acqua, sciacquandosi la bocca. La sentì solo dire ‘E’ un po’ appiccicoso, però’, poi avvertì che si avvicinava di nuovo a lui, e si ritrovò ancora eccitato, eretto, vigoroso. La baciò con foga, esplorandola con la lingua, poi la prese per mano, sfoderando la principesca erezione, sorridendole, accompagnandola alla scrivania. Con una manata mandò all’aria tutti i rotoli, e la fece sedere sul tavolo. ‘Non &egrave comodo come un letto’, le disse, ‘ma trovo che sia ancora più eccitante’. Lei annuì, tremando ancora, con le labbra socchiuse, gli occhi azzurri spalancati, in attesa del piacere. Lucio non aspettò oltre, e senza preamboli si gettò con la bocca sul sesso di lei, assaporando ogni centimetro delle sue grandi labbra, ogni centimetro del clitoride, in quel sesso glabro come quello di una Dea. Le infilò la lingua nel buco, ottenendo in risposta un grido, un grido vero, a pieni polmoni. Subito dopo sentì un getto caldo sulla lingua, e per la prima volta assaggiò il sapore del suo piacere. Asprigno, pungente, speziato. Piacevolissimo. Lei continuava a contorcersi, sotto i colpi della sua lingua, con le mani che si carezzavano i seni, ed ebbe presto un altro orgasmo, forse meno intenso. ‘Non resisto più, amore, ti voglio dentro’ORA!’. Fu quasi un ordine, e da bravo soldato Lucio obbedì. La baciò ancora, la stese per bene e, afferrati i suoi fianchi, la penetrò, stando molto attento al dolore di lei. Che quasi non ci fu. L’imene era chiaramente molto sottile, cosicché Galla quasi non perse sangue, e non avvertì niente di più che un leggero lacerio, subito seguito da una marea montante di piacere che mai, mai, mai avrebbe creduto possibile.
‘ah’Ahh’Aaaaaaaahhhh’.oh, sì, Lucio, sì’mhhh’, mugolava, a pieni polmoni, sotto le spinte profonde e pazienti di lui. Ora che il suo piacere era stato sfogato, Lucio poteva permettersi di essere paziente, instancabile, resistente. Pompò dentro di lei con profondi colpi di reni, che la facevano ora gridare, ora mugolare, ora implorarlo per un bacio. Sentì di nuovo la consistenza della lingua di lei, vellutata, morbida, agile, e sentì il suo membro indurirsi ancora, mentre lei si contorceva nell’ennesimo orgasmo. Alla fine, preso dal piacere, esplose dentro di lei, spruzzando il suo sperma nelle sue cavità, abbattendosi sul corpo di Galla come fulminato.
‘rimani dentro’rimani dentro di me ancora un poco, ti scongiuro’, gli disse Galla. Lui baciò la piccola voglia sotto il suo occhio, sentendo anche le lacrime di lei. Non gli passò nemmeno per un momento l’idea che le aveva fatto male. Non era possibile. Era gioia, pura ed incontaminata, primigenia, animalesca, istintiva. Alle lacrime di lei si unirono quelle di lui, che scesero sulla bocca di Galla col loro sapore salato. Lei gli sorrise, con un sorriso speciale, che avrebbe riservato solo a lui, e gli disse, semplicemente: ‘ti amo, Lucio’.
‘ti amo, mia Diana’, rispose lui, ed era vero.

ecco qui il secondo capitolo… spero vi piaccia. sono gradite critiche e commenti…. bluebard@hotmail.it Due anni. Erano passati due anni dal loro incontro, dall’unione dei loro corpi per la prima volta. Ma dove finiva il tempo? Mesi di passione, amore, piacere intenso, attività furtive, nascosti dagli sguardi pettegoli di Roma, dalla presenza asfissiante di Tullia, che aveva continuato a mandare messaggi tramite Galla un giorno sì e l’altro no, messaggi tutti bruciati sul braciere dell’appartamento sull’Aventino, o nel piccolo studio sul Celio. Lucio non osava, ovviamente, portare Galla a casa, nemmeno di nascosto. Catulo era un buon padre, e suo fratello adottivo Quinto il giovane era un fratello amorevole. Tuttavia, lui sapeva benissimo che lo avrebbero cacciato di casa, se lo avessero scoperto a letto con una ragazza libera, non importava di quale rango fosse. Oltretutto, Lucio rispettava troppo entrambi per mancare di rispetto in quel modo. Era in definitiva molto più comodo trovarsi nei suoi rifugi, lontani dalla famiglia, lontani da Tullio Gallo, il padre di lei, lontani dal suo fidanzato ragazzino che cominciava a crescere, e cercava di stare più vicino possibile alla sua Diana.
Per quanto riguardava Tullia, il tormento che gli causava con i continui bigliettini era sparito all’indomani del suo matrimonio con Elvio Tuberone, il quale l’aveva impalmata e portata in Campania. Si era alla fine di ottobre, nell’anno di consolato di Giulio e Cesare (che splendida battuta! La gente ancora rideva!), e lui era finalmente libero di amare Diana, come aveva preso a chiamarla, appagandosi delle sue forme esili ed appassionate, dei suoi baci voraci e delicati, carezzando quella deliziosa voglia sotto l’occhio sinistro. Furono mesi felici, in buona sostanza. Tuttavia, alla fine di quell’anno, fu mandato come proquestore in Macedonia, il suo primo incarico all’estero. Non poteva evitare quel viaggio di un anno, né d’altra parte voleva. Faceva parte dei suoi doveri di uomo pubblico, ed era una buona occasione per fare soldi, e farsi un nome con una qualche guerricciola. Sembrava che i Bessi stessero dando rogne, e che il governatore in carica non fosse proprio un tipo marziale. Una buona occasione davvero. Ricordava l’espressione di Diana, quando lui le comunicò la notizia’.
(piccola precisazione: mi rendo conto della difficoltà rappresentata dall’uso di 3 nomi, e soprannomi, per ogni persona citata. Da adesso mi limiterò a citare solo il cognomen, per esempio cesare, dei personaggi di contorno, mentre chiamerò Tullia Galla solo con il soprannome di Diana. Sarebbe stato più facile chiamarla Galla, ma rende molto di più l’idea del rapporto tra i due il soprannome Diana. Spero che questo non crei confusione’.Sappiatemi dire, grazie)

‘ Era nel suo appartamento sull’Aventino, intento a leggere un rotolo con alcune istruzioni del governatore della Macedonia, che lo aveva richiesto personalmente, quando Diana era entrata usando le chiavi che lui le aveva dato, oltre a quelle del Celio. Lucio alzò la testa di scatto, al rumore, piuttosto sorpreso e seccato. Non era da lei fare rumore entrando. Lì per lì pensò che fosse suo fratello, ma un istante dopo accantonò l’idea. Non solo Quinto non sapeva dell’appartamento, ma non aveva le chiavi. Poi la vide, e di colpo sorrise, nonostante l’interruzione della sua concentrazione. Diana era così: lo faceva sentire sereno, a dispetto dei problemi, delle preoccupazioni, delle ansie. Ah, il suo profumo naturale e delicato, i suoi capelli dorati’ L’amava, questo lo aveva capito non appena aveva preso la ragazza tra le braccia. L’aveva capito perché, in fondo, non si poteva non amarla, perché era sensuale, delicata, donna e fanciulla insieme, amante e amica. La conoscenza gliel’aveva fatta apprezzare ancora di più: era intelligente, rapida a capire, colta nonostante la sua classe sociale fosse bassa (questo, riconobbe a malincuore, era merito di Cicerone’come padre e patrono era irreprensibile. Amoroso, presente, affezionato), curiosa e perspicace. Un tesoro vero, una donna degna di un re’ non di un moccioso ancora impubere, che aspettava di mettere quelle mani infantili sul suo corpo delizioso, di baciarla con quel volto brufoloso’no! No, doveva impedirlo. E l’avrebbe, fatto, si giurò, al suo ritorno dalla Macedonia’
Fu riportato alla realtà dalla voce di lei, che lo chiamava. Allora si concentrò sul presente, e notò il suo aspetto: affannato, leggermente scarmigliato, con un’espressione preoccupata e triste. Indovinò subito cosa non andava. Aveva saputo del suo incarico, prima che glielo potesse dire lui.
‘E’ vero quello che si dice in giro?’, gli chiese.
Lui non finse di ignorare la cosa. La rispettava troppo. ‘Sì’, rispose con voce piatta, incolore, distante.
‘Perché?’, chiese lei.
‘perché non te l’avevo detto? O perché mai parto?’
‘Perché non me lo avevi detto’non prenderti gioco di me, so benissimo che devi andare, e perché ci vai’
‘Non te l’ho detto prima, amore’, rispose lui, ‘Perché solo una settimana fa ho avuto la conferma dell’incarico, in Senato, dato che il governatore Aquilio (piccola licenza’non ricordo chi fosse il governatore allora’sob!) mi ha richiesto personalmente. Te l’avrei detto oggi, ti giuro.’
‘Dici sul serio?’
‘Certo Diana, ti ho mai mentito, finora? Sai benissimo che mi sei troppo cara per mentirti’
‘Giurami che non ti scorderai di me, amore mio!’, lo supplicò lei, affranta. Oh, Dei di ogni luogo, come poteva starsene lì seduto, mentre lei era così affranta? Come si poteva evitare di abbracciarla, baciarla su quelle labbra rosse, e dirle che no, mai e poi mai si sarebbe dimenticato di lei? Ed era vero, lo sapeva, e cercava con tutto il suo essere di farle intuire quella verità, tendendo allo scopo con ogni fibra di sé. Perché, se Diana avesse smesso di amarlo, lui sarebbe potuto morire. E anche questo era vero.
Così si alzò, la tenne stretta a sé, premendo il suo corpo contro il suo, scaldandola col suo calore interiore, e fu ricompensato dall’abbandono di lei contro la sua tunica, dal suo sospiro, dal profumo dell’oro dei suoi capelli. La fece girare, e le baciò dolcemente la bocca, poi le disse: ‘Non partirò prima della primavera, Diana, questo &egrave sicuro. Il viaggio per la Macedonia, in questo periodo dell’anno, &egrave impossibile. Abbiamo qualche mese, per noi.’
Lei gli sorrise, con quel suo sorriso speciale che riservava solo a lui, sensuale, innocente e malizioso insieme. Come ci riuscisse, sfuggiva alla comprensione di Lucio.
‘Allora’, gli disse, ‘Meglio approfittare di ogni momento libero, giusto?’. Improvvisamente, vivace, gli mandò una linguaccia, e sfuggì al suo abbraccio, rifugiandosi nella camera da letto, buttandosi sul letto pulito e comodo che ormai conosceva così bene.
‘Oh, Diana, ti voglio, ti voglio da morire!’, rantolò Lucio, improvvisamente dimentico delle istruzioni di Aquilio, conscio soltanto di lei, e del gonfiore poderoso che lei gli suscitava, ad ogni minima occasione. Per la mia vita!, pensò. Possibile che mi faccia ogni volta questo effetto? Lei potrà non esserne consapevole, ma con il suo corpo mi tiene per le palle. Se fosse un poco più maliziosa, o interessata, dovrei ballare al ritmo dei suoi strattoni, e ballerei pure volentieri. Non so se potrei mai negarle niente. Oh, amore mio!
Si gettò su di lei, preso dalla frenesia, cominciando a divorare la sua bocca, mentre slacciava i suoi abiti, e buttava la tunica in un luogo imprecisato. Lei intanto aveva preso a sospirare, come al solito. Le piacevano i baci di Lucio, la facevano eccitare più di ogni cosa che le facesse. Erano forti, penetranti, languidi, teneri. Sembrava sapesse in anticipo quale bacio lei volesse, mentre facevano l’amore. E lei ricambiava con foga, attorcigliando la sua lingua a quella di lui, succhiandola come faceva col suo membro, assaporandone il sapore così aristocratico. Ah!, quello era il re non incoronato di Roma! Lui, non altri, era la quintessenza della nobiltà, dell’ascendenza millenaria, era il ricettacolo di ricordi ancestrali, quando Roma era solo un villaggio di pastori sulla via del sale, e i Sergi erano già re, nel Lazio! Lui era il suo Lucio, il suo re, e lei doveva essere degna di rimanere, per lui, Diana dei boschi.
Si spogliò completamente, dimentica di ogni altra cosa sul disco della terra, il mondo ridotto alle pareti della stanza, il sole chiuso negli occhi di lui, e la terra nel sesso che teneva in mano, ora, vivo, vibrante, con le vene in rilievo, pronto per lei. E Diana si bagnò’ No, non si bagnò. Semplicemente, fu allagata dai suoi umori, un mare intero di desiderio intorno al suo clitoride gonfio, che proseguiva nella sua cavità vaginale, e le faceva fremere l’ano. Tullia non aveva mai provato quelle sensazioni, con lui, ne era certa. Lui, si rese conto con un senso di trionfo, &egrave appassionato quanto me, l’urgenza del suo amore &egrave tangibile, solida, quasi soffocante. Mi ama, come mai avrebbe potuto amare la mia povera, infelice amica.
Prese a massaggiargli il pene, con movimenti ormai esperti, ascoltando giubilante il suo rantolo, il suo piacere, e godendo nel sentirsi penetrata da due dita tra le labbra vaginali, direttamente, quasi brutalmente. Come al solito, lui indovinava i desideri della sua Diana. Non le andavano, quel giorno, i preliminari lenti e delicati. Quel giorno voleva essere posseduta, voleva mostrargli quanto lei fosse sua, e sua solamente. Era presa da un desiderio viscerale, primitivo, quasi volgare nella sua crudezza. Ma era quello, che voleva. Voleva essere presa, amata’. No, voleva essere scopata, scopata, e poi ancora sbattuta in ogni posizione, essere sua proprietà. Per la dolcezza ci sarebbe stato tempo, in seguito. Lui avvertì con chiarezza tutto questo, e prese a masturbarla con una foga inusitata, per lui, inserendo le dita e facendole uscire quasi del tutto, ad una velocità pazzesca. Dei, come era bagnata! Le sue dita venivano letteralmente risucchiate nella sua vulva, si muovevano liberamente dentro di lei, senza incontrare ostacoli. Inserì altre due dita, incoraggiato dai gemiti di lei, dalle suppliche: ‘Lucio, ti prego, aprimi’aprimi’aprimiiiiiiii’.aaaaaaaaaaaahhhhhhh’. esplose nel suo primo orgasmo, urlando e contorcendosi sotto il movimento delle sue quattro dita, godendosi ogni singolo sussulto del suo ventre, le sue dita in lei. Calmatasi, gli prese la mano e la fece uscire, poi si portò le dita di lui alla bocca, leccò il suo sapore pungente, trovandolo gradevole.
‘ehi, no, non si fa così!’, le disse Lucio, divertito. ‘Devi lasciarne un poco anche per me”
‘Peccato, amore mio. Ormai l’ho assaggiato tutto. Credo che dovrai sentirlo di’ seconda mano!’, rispose lei, maliziosa. Gli circondò il collo con le braccia, e lo attirò a sé, baciandolo, scambiando il suo sapore nell’intreccio delle lingue voraci. Lui accostò il suo pene, sul punto di esplodere, alla sua vagina, e spinse con forza, quasi con violenza, tanta era la sua fretta.
‘Oooohhhh’. Gemette Diana. ‘Oh, Lucio, sì’ così’ fottimi, dai, spingi forte. Sono tua, tua tuaaaaaa!!!’. Il calore sul pene si intensificò, mentre lei stringeva i muscoli vaginali con tutte le sue forze, e gli avvinghiava i lombi con le gambe infinite. Il suo orgasmo successivo precedette di pochi secondi quello di lui, che le spingeva dentro con una frenesia inconcepibile, preso solo dallo scopo di schizzarle nel ventre ogni goccia del suo seme antico e regale. Il mondo sembrò svanire, Diana stessa scomparve dentro la nebbia che gli assalì gli occhi, uno stordimento mai provato, mentre colpiva, e colpiva ancora con tutta la sua forza, in ondate di sperma che si andavano placando.
Crollò su di lei, esausto, impressionato dalla sua stessa irruenza, e rotolò sul fianco sinistro, ansante, guardandola ricomparire attraverso strati di nebbia che si diradavano, andando con lo sguardo a cercare quella piccola voglia adorata, per baciarla. Si strinsero stretti, troppo esausti per parlare. Le tenerezze avrebbero dovuto aspettare, così come i dispacci e le istruzioni di Aquilio’

Lucio fu svegliato da un calore inatteso alle parti intime. Il suo pene si era svegliato dal sonno un po’ prima di lui, perché era di certo teso e pronto all’uso. Aprendo gli occhi, vide che Diana era intenta a succhiare e leccare il suo sesso, con la consueta voracità, cui si aggiungeva una bravura acquisita con l’esperienza, una combinazione che la rendeva unica, agli occhi innamorati di lui. Tullia era brava, nella pratica del sesso orale, c’era da ammetterlo, e lui personalmente aveva conosciuto ogni famosa fellatrice della città, dalle nobili e sguaiate Clodia e Clodilla, sorelle del giovane e pericoloso Clodio, fino alla popolana Lucia Palla, che lavorava in un bordello della Suburra dove per pochi sesterzi si poteva ottenere un servizietto di prim’ordine. Ma Diana’ Diana era unica. Non nella tecnica, per così dire, e nemmeno nella passione che ci metteva, nonostante fosse brava e ci mettesse tutta la passione del mondo. No, lei era unica per il modo in cui guardava il suo sesso, per il modo in cui si fissava negli occhi di lui, cercando i segni del piacere, con quello sguardo puro e limpido come i cieli della Gallia da cui proveniva suo padre, ma al tempo stesso profondo e passionale come la lotta per la vita nelle arene dei gladiatori. Era quello sguardo che gli procurava il maggiore piacere, con quella piccola voglia violetta sotto l’occhio (ma perché un particolare così piccolo mi dà tanto piacere?, si chiese) che lo attirava a spirale verso la sua bocca, intenta al lavorio che gli procurava fitte di godimento. Lei si accorse che era sveglio, così lo guardò beffarda, come per dire: ‘Ah, lo sapevo!’, poi fece uscire il pene dalla sua bocca, e scese ai testicoli, leccando l’asta, e li prese in bocca coma sapeva che lui apprezzava. Ripagata dai suoi mugolii, tornò ad occuparsi del pene, riprendendolo in bocca, accettando le mani che lui le pose sul capo. Lui cominciò a dare il ritmo frenetico che voleva, incurante che lei soffocasse o meno, preso dal piacere di quella bocca generosa e saporita che ormai lui conosceva così bene, e che gli aveva esplorato ogni centimetro del suo corpo. Lei non protestò, né cercò di rallentare. Si fece letteralmente scopare la bocca, avvertendo il suo sesso che la soffocava un momento, per poi uscire, e rientrare, e riuscire. Era quello che voleva lei pure, quello che desiderava quel giorno, e non solo. Lo avrebbe sorpreso.
Presa così, con le mani di lui a darle il ritmo, lei prese con le sue mani, improvvisamente libere, a strofinarsi il clitoride di nuovo gonfio, gemendo un poco, provando piacere dal piacere di Lucio e dal suo. Venne quasi in silenzio, continuando a pompare, o meglio, ad essere pompata, in quella maniera, ma lui si accorse di tutto e, sorridendo, lasciò la sua testa e le sorrise: ‘Amore, così non va bene. Adesso ti insegno una cosetta”, le disse. Poi, con un sorriso provocante, le chiese di girarsi, e di mettersi carponi. Quando lei ebbe obbedito, scivolò sul lenzuolo, fino a portarsi sotto la sua vagina glabra, poi cominciò a leccare, mordicchiando di quando in quando il clitoride, saettando la lingua dentro di lei più a fondo che poteva, aiutandosi con un paio di dita, che prese ad alternare tra la vagina e l’ano.
‘ooohhhh, questo &egrave’.aaaaaahhh’aaahhh’, gemette lei, poi prese di nuovo a leccare, e succhiare, con più foga di prima, provando un piacere inedito, singolare, quasi irreale, con la testa di lui tra le sue gambe, e la sua tra le gambe di lui.
Ah, sono sua, completamente!, pensava. &egrave il mio amore, il mio padrone, la mia divinità, il mio sposo vero. Se per lui sono Diana, lui per me &egrave il grande Marte, re della virilità e del piacere! Oh, &egrave mai possibile provare un tale, immenso, straripante piacere? Sì, &egrave possibile, sì! Con Lucio, ogni cosa &egrave possibile, per me. Venne urlando, dimentica per un momento del pene di lui, che aveva lasciato nell’impeto dell’orgasmo. Fu così forte che si divincolò, colando e spruzzando i suoi umori nella bocca di lui, e sul lenzuolo, poi si accasciò, ansimante, e gli rivolse quel sorriso speciale. ‘Ah, per gli Dei’, disse ‘E’ stato’ &egrave stato’ immenso!’. Non c’erano altre parole per descriverlo, e nessun altro commento da fare.
‘Sono contento che non mi hai fatto venire, Diana. Il mio vigore &egrave rimasto intatto per poterti possedere ancora’, disse lui, eccitato ed eretto come le colonne del tempio di Saturno.
‘Oh, sì, sono felice anche io, amore’ma stavolta ho una sorpresa’, rispose lei, sorridendo. Scattò in piedi, e si diresse nell’altra stanza, dicendogli di aspettarlo lì, poi si immerse in un fruscio continuo, per tornare dopo pochi momenti, spettacolo abbagliante, con i piccoli seni eretti e sfrontati, che solo allora lui si accorse di non aver nemmeno toccato. Nascondeva qualcosa dietro la schiena, ma a Lucio per ora non importava. Appena gli si avvicinò, cominciò a tastarle i seni, leccandole i capezzoli eretti, facendola mugolare di piacere, di nuovo. Ah, le fonti del piacere di Diana! Possibile che fossero così infinite, pronte per lui, in ogni occasione?
Dopo qualche istante, però, la sua Diana dei boschi lo allontanò, guardandolo illuminata da una luce divertita che lui trovò non eccitante, ma’ magnetica. La voleva subito, ma decise che sarebbe stato al suo gioco.
‘Cosa nascondi lì?’, le chiese.
‘ Una cosa” rispose lei, facendogli la linguaccia. Detto questo, tirò fuori da dietro la schiena una piccola ampolla.
‘Diana! Non sarà mica”, chiese lui, che cominciava a capire.
‘Sì, Lucio, sì. Hai capito bene. Voglio che mi prendi anche dietro. Te l’ho già detto, sono tua in ogni senso’. Lucio non seppe cosa dire. Nel tempo che avevano passato insieme. Più volte aveva sognato di possederla anche lì, entrare tra quelle natiche sode, tonde, adorabili. Aveva forzato con le dita, vedendo che a lei piaceva, ma non aveva mai provato a prenderla da dietro. Gli era balenata l’idea che, se ci avesse provato, lei non l’avrebbe amato più. Così era stato paziente, tranquillo, rassegnato. E invece, ora’ ora era proprio lei a chiederglielo! Lei gli porse la boccetta, tranquilla, gli occhi ancora divertiti, le labbra tumide e rosse, i seni con i capezzoli eretti e fieri. Lucio la stappò, annusandola. Si era aspettato di trovare l’odore forte degli unguenti, invece le sue narici colsero il profumo delicato dell’olio d’oliva. Al suo sguardo interrogativo, lei spiegò: ‘Gli unguenti puzzano troppo, non mi piacciono’. Beh, pensò Lucio, in fondo otterremo lo stesso risultato. Sorrise ancora di più, felice, pregustando la marcia trionfale in quell’ano agognato, il piacere unto e sacrilego della penetrazione ‘contro natura’. La fece sedere sul letto, cominciando di nuovo a baciarla, col vigore e la voracità consuete, quel giorno. Lei rispose alla stessa maniera, con partecipazione encomiabile, assaporando ogni istante in cui la lingua di lui toccava la sua, ogni centimetro di pelle che il suo Marte, dopo averla saziata di baci, percorse sul corpo di lei, lasciando strade di sensazioni larghe e durature come le vie consolari, si perse di nuovo nei baci di Lucio sulla sua vagina, godette del clitoride strofinato tra le sue dita, gemendo e sussurrando il suo nome, e quello di Marte, finch&egrave non si trovò carponi, sul bordo del letto, avvertendo il gentile odore dell’olio aleggiare nella stanza, e le dita di lui entrare, umide e unte, nel suo ano. Una, dapprima, poi due. Il suo sfintere si rilassò, accogliendo il piacere che quelle dita ben note le portavano, poi le sentì uscire, con un senso di perdita quasi doloroso, fino a quando non vennero sostituite dalla punta del sesso di lui, turgida, ingrossata, quasi enorme, paragonata al forellino che pretendeva di violare. Lui colse un mutamento nell’espressione di Diana, un avvertimento che lo fece esitare. ‘Diana, cosa c’&egrave? Hai cambiato idea? Dimmelo, e la smetto subito’. Lucio stesso fu sorpreso delle sue parole. Mai, mai avrebbe detto una cosa del genere ad una donna. Lui, il figlio di Catilina e Catulo, fermarsi davanti alle fisime di una donna? Eppure, lo aveva appena fatto, e questo era la misura di quanto lui l’amasse.
‘No, amore mio no, ti prego’continua. So che non mi succederà niente, niente, con te. Ti prego, prendimi’, rispose lei, ora più decisa. Lo smarrimento iniziale era passato, ora lo desiderava più che mai, il suo ardente, focoso, gentile e dolce Marte! Avvertì di nuovo il suo pene che si poggiava sull’ano, spingendo un poco,forzando la sua apertura che, piano piano, cominciava ad adattarsi, per ogni centimetro che entrava. Quando fu dentro con tutta la punta, lui si fermò per qualche secondo, dandole il tempo di abituarsi, mentre nel frattempo distoglieva la sua mente dal dolore titillandole i capezzoli, il clitoride, sussurrandole all’orecchio il suo amore, il suo desiderio per la sua altissima Diana. Quando vide che il suo volto si rilassava, spinse un po’ di più, stavolta incontrando molta meno resistenza, e accompagnato dai gemiti di piacere di Diana.
‘Oh, Lucio, lo sapevo, lo sapevo che non mi avresti fatto male! Oh, Marte mio, &egrave così’.bello! spingi forte, ti prego, spingi forte!’, diceva, inarcando la schiena, movendosi all’indietro per impalarsi da sola. Ma Lucio sapeva che non bisognava aver fretta, non voleva farle male, così le tenne i fianchi, impedendole di tornare indietro, e si spinse lui stesso in avanti, con gradualità, tornando indietro ed entrando ogni volta di più, ascoltando i gemiti di Diana salire al cielo, trasformandosi in un grido di puro, puro piacere quando sentì i testicoli di lui sbatterle sulla vagina. Lucio allora cominciò a pompare con tutta la forza che aveva, godendo del possesso puro e selvaggio, scevro da secondi fini, depurato da ogni malizia, libero da condizionamenti sociali. Era un uomo che possedeva la donna più bella del mondo, in modo completo e totale. Assaporò questa gioia nascondendo in un angolo anche il suo lato razionale, quello che non lo abbandonava mai, e divenne soltanto un pene, anzi no’ un cazzo, solo un cazzo che entrava ed usciva dallo sfintere della donna più bella del mondo. Schizzò nelle sue viscere una quantità di sperma che non sapeva di poter produrre, avvertendone l’odore asprigno che si mescolava a quell’ dell’olio d’oliva, affondando gli ultimi colpi dentro di lei, uscendo da quell’involucro accogliente a malincuore.
Non si era accorto del piacere di Diana, non stavolta, almeno. La gioia dell’amplesso era stata soverchiante. Non sapeva cosa avesse provato, quando si era scatenato ma, a giudicare dal suo sguardo, doveva esserle piaciuto. Non si domandò altro, per il momento. Ora era giunto il tempo delle coccole e delle carezze, degli sguardi teneri e dei baci su quella voglia deliziosa sotto l’occhio sinistro’.

Quando si svegliò, era già quasi buio, e Diana non c’era già più. La mancanza lo colpì quasi come un pugno, ma la parte razionale di lui era riemersa, e riconobbe che la ragazza aveva fatto più che bene. Sul cuscino di lei, trovò un piccolo foglietto ripiegato e, quando lo aprì, lesse i suoi caratteri minuti ed ordinati: ‘ Ecco qualcosa da portarti dietro in Macedonia, mio Marte’che sia solo il primo di numerosi ricordi preziosi. Con amore, tua Diana’.

il terzo capitolo &egrave pronto, spero che il racconto vi piaccia, e che non vi annoiate. come al solito, commenti e critiche a bluebard@hotmail.it
Era partito all’inizio della primavera, per quel suo primo incarico da proquestore in Macedonia, agli ordini di Aquilio. I mesi passati con Diana gli erano sembrati soltanto poche ore, trascorse troppo in fretta, mentre i suoi preparativi procedevano rapidi e decisi, verso il suo mandato. A Marzo, quando si accinse a partire per Brindisi, si accomiatò da lei, ormai diventato padre del figlioletto di Tullia (Elvio Tuberone il giovane, per l’anagrafe dei cittadini, ma per tutta Roma la copia sputata di Lucio Sergio Catilina, a sua volta copia esatta di Catilina il congiurato), e la città era piegata in due dalle risa. Lo scherzo perfetto era riuscito, addolcito ancora di più dall’esilio di Cicerone il quale, nella città che aveva il dubbio onore di ospitarlo, si intristiva ogni giorno che passava, scrivendo lettere frenetiche ai suoi amici, pregandoli di schiacciare quel verme di Lucio, e quell’infame di Cesare (il quale, peraltro, era partito per la Gallia, dando il via al suo quinquennato di imprese mirabolanti). I suoi amici, Attico in testa, leggevano e scuotevano la testa, sogghignando, poi decidevano di aiutarlo standosene in panciolle a casa, e salutando Lucio cordialmente quando questi si presentava al Foro. Lo spasso continuava in Senato, tra le risate sommesse di tutti i senatori di tutte le fazioni. Lucio intanto, aveva assunto un’aria sorpresa, che mostrava a tutti dicendo che lui non avrebbe mai mancato così di rispetto all’augusto pater patriae! Non c’era niente da fare, Roma adorava gli scandali, specialmente quando si ammantavano di ridicolo per coloro i quali ne erano oggetto’
Quando partì, si sorprese molto affranto, più di quanto si aspettasse. L’idea di lasciare Diana gli risultava fastidiosa, quasi dolorosa. Era solo un anno, ma era una anno lontano da lei, dal suo corpo, dai suoi baci. Oh, come poteva sopportarlo? La giovane sembrava distrutta, quando si salutarono, il giorno prima della partenza. Era un po’ giù da qualche tempo, in effetti, più o meno da quando Tullia era tornata a Roma, col figlioletto ed il marito. Non che temesse l’assalto della sua amica a Lucio, beninteso. Lui si era negato dall’inizio, finch&egrave lei non capì l’antifona, e smise di tormentarlo.
Quel giorno di Marzo lei finalmente si sfogò: ‘Tu mi lasci a Roma, amore mio, e lo capisco. Ma cosa sarà di me? Tu sarai lontano, ed io non ho nemmeno un figlio tuo. Ah, come vorrei essere incinta! Perché mi hai sempre fatto prendere le erbe?’. La sua tristezza era palpabile, massiccia. Allora era questo il punto. Era invidiosa di Tullia, perché la sua amica, nonostante tutto, aveva avuto quella ricompensa che lei si era vista rifiutare. Oh, perché ora, proprio ora, tirava fuori quell’argomento? Sospirando, Lucio prese a spiegarle i suoi motivi, blandendola, giurandole il suo amore inestinguibile, garantendole che in quell’anno avrebbe trovato un modo per farle rompere il fidanzamento con il ragazzino, e poi avrebbe trovato il modo di sposarla.
Fecero l’amore con la solita passione, ma questa volta lui non le venne dentro, ma le spruzzò il seme nell’ano, una cosa che Diana aveva imparato ad apprezzare, da quella prima volta ad ottobre. Il mattino dopo, di buon’ora, Lucio partì. E tornò un anno dopo, carico di decorazioni e di bottino, un buon gruzzoletto racimolato nella campagna militare. Era stato un anno proficuo.
Quando si erano incontrati di nuovo, un paio di giorni dopo il suo ritorno, nel suo studio al Celio, lei gli si aggrappò al collo, come posseduta, ricoprendolo di baci, abbracciandolo forte, strusciando i suoi seni virginali sul suo petto, cercandogli il pene con la mano. Lui ricambiò con lo stesso, allegro entusiasmo, e poco dopo si ritrovarono nudi, poggiati ad una parete, con lo studio che rimbombava delle alte grida di lei, mentre lui la prendeva e, con la mente ancora presente, uscì da lei nel momento dell’orgasmo, non essendo sicuro che lei prendesse le erbe.
Calmatisi, si sedettero su un piccolo triclinio fatto portare lì da Lucio proprio in previsione delle sue evoluzioni con Diana, e lui le mostrò un piccolo involto.
‘Per te’, le disse, sorridendole. Lei aprì il pacchetto, con cautela, quasi non credendo che il suo Marte si fosse ricordato di portarle un regalo. E poi, quando guardò il contenuto, si immobilizzò, trattenendo il respiro. ‘Oh, per Minerva!’, riuscì ad alitare, gli occhi sgranati, la piccola voglia deliziosa quasi illuminata dal suo stupore. ‘Amore mio, ma &egrave’ &egrave bellissima!’, rantolò, prendendo in mano una collana d’oro sottile, delicata, formata dall’inviluppo di quattro collane più sottili unite e fuse alle estremità. Ad intervalli regolari, un piccolo rubino, grande davvero quanto un chicco di riso, era incastonato sulla maglia, lanciando sguardi carmini all’intorno. Il ciondolo, una figura umana femminile, alta e sottile, d’oro anch’essa, poggiava i suoi piedi su una perla rotonda e perfetta, di un tenue colore rosato.
‘E’ l’immagine di Venere, così come la vedono i Bessi. Beh, in realtà la loro Venere &egrave un misto tra la nostra dea dell’amore e la nostra Diana dei boschi’. Sorrise, poi aggiunse: ‘mi &egrave piaciuta subito e, scoprendone il significato, ho pensato che fosse un regalo appropriato per la mia Diana’dea dell’amore’. Lei gli rispose col suo sorriso tutto speciale, poi si girò, al suo invito, per permettergli di fissargliela al collo. Poi si voltò, per farsi ammirare. ‘Oh’Non’non trovo le parole, Diana. Non &egrave possibile che tu sia così bella!’, rantolò Lucio. Il metallo nobile le donava, abbinandosi alla pelle candida, mandando riflessi sul suo seno nudo, mentre i rubini, creando un contrasto purpureo, le davano un’aria quasi’sovrannaturale, facevano correre gli occhi sulla serie di riflessi, che terminavano sulla Venere poggiata alla perla, perfettamente a suo agio nell’incavo tra i seni perfetti, con la perla dello stesso colore dei capezzoli turgidi. Lei era bella, lo sapeva, e le piaceva essere bella, per lui. Vederlo in quella contemplazione estatica le fece il solito effetto, anche a distanza di un anno. Si sentì bagnare le gambe in un fiotto copioso, sentì i suoi capezzoli tendersi ancora di più, l’aria intorno a lei crepitare, i suoi occhi mettere a fuoco solo Lucio, e il suo corpo, e il suo membro adorato. Si avvicinò a lui, sedendosi accanto, poi gli prese il pene in mano, e cominciò il lento, ritmico lavorio che lui apprezzava, mentre gli mordicchiava il lobo sinistro, accompagnata dai suoi sospiri, e dalla nuova erezione del pene. ‘Oh, amore, deve esserti costata una fortuna. Perché hai speso così tanto? Per me?’
‘E’ stato”, rispose lui, ansimando, ‘Uno’aaaahhh’scambio’di’bottino..Ohhhh’ il mio collega’Mhhhh, Ligario’voleva un’. Mobile che avevo’Uno scambio’Equo’almeno per me’.Oh, sì, Diana, Ahhh’. Gli era difficile parlare, con quella mano abile che lo torturava, facendolo impazzire, così ci rinunciò, abbandonandosi al piacere che lei gli dava, baciandola sulla bocca, su quella voglia deliziosa sotto l’occhio sinistro. Poi non resistette più, e la brancò, voltandola con la schiena sul divano, ponendosi su di lei, leccandole di nuovo i capezzoli, carezzando il seno libero, ascoltando il tintinnio della collana che così bene adornava quelle forme conosciute. Si dedicò alla vagina, leccandola e penetrandola con la lingua, con le dita, assaporando il succo del suo orgasmo, tendendo le orecchie alle sue grida, finalmente portandosi dentro di lei col pene, quasi risucchiato all’interno del sesso di Diana, che gli si apriva vogliosa. ‘Oh, amore”, diceva lui, ‘Per un anno ti ho sognata, ti ho vista in ogni donna che incontravo, ed ero squarciato dal dolore ogni volta che tornavo alla realtà. Ma adesso sei con me, con me’Ahhhhhh’.
‘Zitto’ooooohhhhhhh, zitto amore’aaaahhhhh. Non dirmi’.mhhhh, niente. Sei qui, mi basta. AAAAAAAAhhhhhhhhhhh’, gridò lei, un altro tremito che annunciava il suo nuovo orgasmo, che la squassava sotto i colpi del pene di Lucio, quel membro che lei conosceva così bene. Avvertì distintamente le spinte di lui farsi più serrate, più forti, avvertì il suo peso contro le sue cosce, e distrattamente pensò che a sera le gambe le avrebbero fatto male. Poi si perse nell’affondo finale, avvertì il suo seme caldo riempirla di nuovo, dopo tanto, tanto tempo, e desiderò ardentemente concepire un figlio’

Il giovane avvolto nella candida toga bordata di porpora, segno distintivo della sua nobiltà, aveva camminato in fretta, perso nei ricordi, e da quella notte era ormai passato un anno, o poco più. Aveva raggiunto il suo appartamento sul colle Aventino, dove attese paziente l’arrivo di Diana. Aveva ricevuto un bigliettino, col solito sistema collaudato, in cui lei lo avvertiva che quel giorno, nel suo appartamento, avrebbe ricevuto una sorpresa. Lucio era dubbioso, e forse era preparato a notizie non proprio buone, essendo a conoscenza degli ultimi sviluppi. Tre mesi prima il fidanzato ragazzino di lei era morto, a causa di una febbre incurabile, e Lucio temeva che lei, nonostante i suoi ammonimenti, avesse smesso di prendere le erbe. Non lo dava a vedere, davanti alla sua Diana, ma quel discorso sul figlio ancora lo preoccupava. Oh, non che riempire Roma di figli fosse un problema, per un aristocratico, lui stesso ne aveva avuti altri due o tre, oltre al piccolo Tuberone. Quello che lo preoccupava, piuttosto, era il disonore che avrebbe causato a lei. Se fosse stata sposata, lei avrebbe potuto far passare suo figlio per il rampollo del marito, ma così, nubile, presumibilmente vergine, col fidanzato morto prima di diventare uomo, il futuro di lei era rovinato. Quello che era peggio, era che Diana sembrasse non capire’
Sentì bussare piano alla porta. Strano, pensò. Diana ha le chiavi, le porta con sé ed entra da sola, leggera e silenziosa. Chi sarà? Si mosse verso l’uscio, infastidito dalla persona dietro la porta, sperando di mandarla via prima che arrivasse la sua amante, e aprì con un certo malgarbo. ‘Allora chi &egrave che”, cominciò a dire, quando puntò lo sguardo su una donna, bella, prosperosa, sebbene non grassa, con una massa di capelli rossi che si avvolgevano in spirali capricciose, ad incorniciare un visetto pieno di lentiggini, ed un naso non piccolo, con una classica gobbetta tipicamente romana, un paio di labbra carnose, invitanti, e due sconvolgenti occhi verdi, luminosi, puntati di pagliuzze dorate. Non fece in tempo a finire la frase, troppo stupito dall’apparizione, che la donna gli si avvinghiò al collo, quasi arrampicandosi perché non era alta, e incollò le labbra carnose alle sue. La sentì forzare con la lingua, e per un momento fu tentato di rispondere. Poi, istintivamente, la staccò da sé, con forza, e si allontanò di un passo, dentro l’appartamento. La fissò accigliato, con lo sguardo ‘da rimprovero’ che Catulo usava con lui da bambino, quando faceva le marachelle.
‘Ragazza, in nome di tutti gli Dei, si può sapere che cazzo fai?’, fu la sua domanda, schietta e brutale. Vide la rossa quasi accartocciarsi, di fronte al suo rifiuto, e fare un passo indietro, poi udì una risata squillante, familiare, e la nota voce roca e sensuale che diceva: ‘Oh, Lucio, amore! Non la sgridare, &egrave con me! Era un piccolo scherzo!’. Lui fu colto alla sprovvista, incapace di pensare, e non riuscì a rispondere. Semplicemente, vide Diana sbucare da dietro l’angolo, sorridendo col suo modo tutto speciale, il viso che attirava il suo sguardo su quella voglia deliziosa, e sul collo sottile cinto dalla collana che lui le aveva regalato, e che lei teneva nascosta appositamente per i loro incontri. Superò la rossa, la prese per mano ed entrò nell’appartamento, chiudendosi la porta alle spalle. Quando il catenaccio fu fissato, si avvicinò a lui e lo baciò, intrufolando la sua lingua di seta tra le sue labbra. Lui rispose in modo meccanico, ancora stupito dalla vicenda, e quando i saluti furono completi, le chiese: ‘Allora, vuoi spiegarmi?’.
‘&egrave la tua sorpresa, amore. Il piccolo scherzo di prima &egrave il mio modo di vedere quanto sei sincero. Ti ricordi che l’anno scorso mi hai giurato che in Macedonia non avevi avuto altre donne? Volevo vedere se era vero. Così’ti presento Ecuba. Come la regina di Troia!’. Rise ancora. Lucio non la vedeva così felice da molti, molti mesi. Era allegra, sorridente, viva e vitale. Un piacere, ammirarla in quello stato, gli era ancora più preziosa. Lui si volse verso Ecuba, e le sorrise, stavolta. ‘Un’amica di Diana &egrave un’amica mia. Piacere, Ecuba’. Fu ricompensato dalla vista di una bella chiostra di denti bianchi e regolari, un bel sorriso, in una ragazza sicuramente simpatica, oltre che attraente.
‘Lei non &egrave proprio una mia amica, sai?’, le disse Diana. ‘L’ho comperata ieri al mercato degli schiavi, come domestica, anche se non l’ho portata a casa. Perché, sai, volevo’farti una sorpresa, ed un regalo’.
‘un regalo? Intendi Ecuba?’.
‘Sì, &egrave una bella ragazza, ed un’ottima cuoca. Voglio che la porti con te in Gallia’. Oh, no! Era successo di nuovo! Aveva ancora saputo del suo incarico prima che potesse dirglielo lei! Ah, ma come diavolo faceva a saperlo? Il Senato non aveva ancora reso pubblico niente! Lei sembrò leggergli nel pensiero, perché gli sorrise di nuovo e, facendo spallucce, disse: ‘No, non l’ho saputo da nessuno. Anzi, non lo sapevo affatto, anche se ora me lo hai confermato. Ho solo immaginato che Cesare ti avrebbe richiesto, dato che hai fatto tanto bene lo scorso anno. Così, eccoti il regalo. Con Ecuba, potrai sfogarti in santa pace, senza sentirti in colpa perché non sono io. Essendo il mio regalo per te”. Sorrise ancora di più, poi assunse un’aria maliziosa. Lucio cominciava ad indovinare dove Diana voleva andar a finire, ma non disse niente, tranne ‘Grazie’.
‘Ed ora, amore mio, mio splendido Marte, la sorpresa’, annunciò lei, trionfante. Lo prese per mano, e lo fece sedere sulla sedia più vicina, poi prese Ecuba per mano e la condusse accanto alla scrivania, a nemmeno mezzo metro da Lucio. Lui stette immobile, attento, vigile come un leone che fissa la gazzella, e cominciò a vedere realizzata una fantasia che covava da tempo. Osservò Diana baciare avidamente Ecuba, infilarle la lingua in bocca, ricambiata da lei, che sembrava gradire, mentre Diana, con la destra, le toccava il seno, manipolando la mammella di Ecuba, strappandole gemiti attraverso le loro bocche unite. Con la sinistra, scese a sollevarle la veste verdognola, scoprendo una coscia piena e vigorosa, irrobustita di certo dai lavori domestici, e tuttavia, attraente, morbida, golosa. Vide la mano di Diana scomparire sotto la veste, e cominciare un movimento lento ed aggraziato, come aveva imparato da lui, e Lucio vide la rossa gettare la testa all’indietro e gemere forte. Diana la toccò per qualche istante, poi tolse la mano, con un certo disappunto da parte di Ecuba, e cominciò a sfilarle la veste, piano piano, lasciando intravedere a Lucio pochi centimetri di pelle alla volta. Così, lui scoprì poco alla volta, mentre Diana man mano baciava la pelle nuda di Ecuba, le mammelle gonfie e grosse di lei, con i capezzoli scuri e larghi, con areole infinite, dello stesso colore scuro. Non erano seni sodi e quasi adolescenziali come quelli di Diana, che spuntavano sfrontati da sotto la veste turchese, con i capezzoli duri, lunghi e più sottili, ma dei seni materni, gonfi, che invitavano la bocca a succhiarli, per strappare un luccichio a quegli sconvolgenti occhi verdi. Scoprì un centimetro alla volta l’addome di Ecuba, morbido, voluttuoso, simile a quello delle statue di Venere, un ventre adatto a dei figli, e la folta peluria rossa del suo pube, un triangolo ben curato, ma folto, riccio, rosso come il fuoco. Notò un clitoride particolarmente sviluppato, gonfio per l’eccitazione, che però venne nascosto da Diana, che tuffò la testa in quella foresta ricciuta. ‘Ah’AAAhhh’, gemeva Ecuba, coinvolta e consenziente, mentre la lingua abile e veloce di Diana la leccava nei punti che lei stessa sentiva come i più sensibili, strappando gemiti ulteriori alla schiava, mentre le infilava anche un dito nella fessura tra le natiche ampie, ma non grasse, e poi nell’orifizio dell’ano. Lucio avvertì distintamente l’orgasmo della serva, accompagnato non da un grido, ma da un gemito strozzato, e da un tremore delle gambe particolarmente violento. Gli sembrò di vedere i succhi di Ecuba schizzare il volto della sua Diana, come un getto di sperma, poi Diana si voltò verso si lui, e sorrise, la piccola voglia sotto l’occhio sinistro imbrattata di umori vaginali, come le sue labbra rosse. ‘mi sono sempre chiesta cosa provi tu quando mi lecchi lì. Ora credo di saperlo’, gli disse, soddisfatta. Lucio sedeva immobile, come pietrificato dall’audacia di lei, e non riuscì a commentare niente, solo a guardarla con uno sguardo stupito che la fece ridere di gusto. Sempre guardandolo, si spogliò per lui, sensuale e deliziosa, con la collana che lui le aveva regalato ad impreziosirgli il petto bellissimo. ‘Allora, la mia sorpresa comincia a piacerti?’
‘Oh, sì, amore’, rispose lui, finalmente in grado di parlare. Si alzò di scatto, e si spogliò velocemente, il pene in erezione, orgogliosa prua della nave del suo corpo, poi prese per mano le due donne, e le portò in camera da letto. Baciò prima Diana, con passione, voracità, mulinando la lingua con quella di lei ad una velocità folle, mentre per la prima volta saggiava il petto di Ecuba, quel petto verace e sano da bambinaia che gli faceva venire voglia di suggerne del latte, poi si staccò da Diana, e prese a baciare Ecuba, come a scusarsi dell’equivoco di prima. Sentì davvero la sua lingua morbida, stavolta, la sentì penetrare nella sua bocca ed esplorarla. Il suo alito sapeva di menta e salvia, come quello di Diana. La gettò sul letto, e fece altrettanto con Diana, poi prese a toccarle e baciarle, e leccarle alternativamente, tra i loro gemiti rochi che si confondevano. Poi infilò la testa tra le gambe della sua amante, leccando avidamente quelle labbra lisce, vellutate, succhiando il clitoride eretto come un piccolo pene, e con un gesto invitò Ecuba a dedicarsi alla sua padrona. La rossa si gettò sulla bocca di lei, mordendole un labbro, leccandole via il succo che lei stessa le aveva schizzato in viso, poi le succhiò i capezzoli eretti e turgidi, mentre Diana con una mano aveva preso i capelli neri di lui, incitandolo a leccarla come solo lui sapeva fare, e con l’altra aveva infilato un dito nella fessura di Ecuba. Diana venne con un grido a pieni polmoni, spingendo il dito dentro Ecuba con tutta la sua forza, fino a strappare un gridolino di dolore alla serva.
‘Aaaaaaaahhhhhhhhh, Oh, mio Marte, sìììììì!!!!!! Dei del cielo, continua, mi fai impazzireeeee!’, gridava la giovane, incapace di trattenersi, e dopo il primo orgasmo, ne giunse un secondo, ed un terzo seguì il secondo, poco dopo. Ad ogni orgasmo Diana infilò un dito in più nella vagina di Ecuba. Quando lei, sfinita, tolse la mano dalla testa di Lucio, tirò un sospiro immenso, e fece piegare Ecuba su di lei, spingendole la testa sulla vagina che il suo uomo aveva appena abbandonato, e mettendo la testa sotto quella della rossa. Disse a Lucio: ‘Amore mio, ora prova il calore di questa caverna di fuoco’. Lui non se lo fece ripetere due volte, e si gettò con la bocca, dapprima, sull’apertura vaginale, e sul clitoride grosso e sviluppato di Ecuba, mentre questa si dedicava alla padrona, passando la lingua in ogni punto, come un pennello, saettandola dentro la cavità come un pene. Mordendo il clitoride con voluttà. Dopo qualche secondo, durante il quale lui assaporò il sapore di Ecuba, simile ma diverso da quello di Diana, poggiò il pene e spinse, trovando una strada aperta ed invitante. Arrivò in fondo, per tutta la lunghezza del pene, e indietreggiò, avvertendo distintamente la lingua di Diana che gli leccava l’asta, ed i testicoli, nel movimento di spinta. ‘Oooooohhhhh’.’, gemeva intanto Ecuba, ‘Oh, per Giunone, padrone, spingi, ti prego, spingiiiiii!!!’, gridò. Erano le prime parole che diceva. Lucio spinse, e spinse ancora, dimentico del tempo che passava, consapevole solo della lingua di Diana sul suo pene, e delle sua mani sulle natiche generose di Ecuba, che da un tempo che gli parve infinito stava leccando la sua padrona, procurandole un orgasmo dietro l’altro. Avvertendo il piacere montare, spinse di più, finch&egrave arrivò al punto di non ritorno. Allora uscì da Ecuba, e puntò il pene sulla bocca aperta di Diana, che lo accolse, e ricevette un fiotto del suo seme che quasi la strozzò. Ingoiò ogni singola goccia, accogliendo in bocca il suo membro finché non perse la sua rigidità. Dopodiché si dedicò ad urlare l’ultimo orgasmo che Ecuba le stava procurando.
Come al solito, andò a sciacquarsi la bocca, ed al suo ritorno trovò Lucio che aveva ripreso vigore, sotto le cure della bocca di Ecuba. Lui la guardò, e la invitò ad unirsi a loro. Diana, così, assaggiò il pene del suo amante condividendolo con la rossa, quasi lottando per il possesso di quel membro eretto e voglioso. Fece spostare Ecuba, e si penetrò, guardandolo negli occhi, sorridendogli nel suo modo tutto speciale, facendo fremere la voglia sotto l’occhio.
‘Adesso..Ahh’ Il tuo coso &egrave’Aaaaaahhhh’Tutto mio’Ohhhh’. Tu sai’..Mhhh….. cosa voglio, vero ? Aaaaaahhhhh!’. Sì, Lucio lo sapeva, eccome! Cominciò ad assecondare i movimenti del corpo di Diana, procurandole un piacere che saliva, saliva, saliva, aumentato dalla vista di Ecuba che si stava masturbando furiosamente, torturando il clitoride gonfio. Vedendola, Diana ebbe un orgasmo incontrollato, che sfogò chinandosi su di lei, e baciandole i seni. Poi la invitò ad accostare il sesso alla bocca di Lucio, il quale si trovò ancora una volta a leccare, succhiare, lottando per respirare in quell’intrico di peli rossi, avvertendo nel contempo i movimenti di Diana sul suo membro, provando una fitta di gratitudine così sconvolgente da accecarlo. Oh, gran Giove, perché mai mi hai mandato Diana? Possibile che IO mi meriti questa donna incredibile? La sua sollecitudine nel darmi piacere &egrave commovente, irresistibile, ed io ne sono soggiogato. Oh, l’amo così tanto, tanto tanto! Fu riportato al presente dai movimenti convulsi delle due donne, che nel frattempo si erano accostate l’una all’altra, riprendendo a baciarsi, ed avvertì distintamente i due orgasmi contemporanei, quello di Diana ululato, quello di Ecuba un grido strozzato. Oh, era troppo, il piacere! Dopo pochi momenti esplose anche lui, completamente dentro il ventre di Diana, che lo accoglieva con parole d’amore, avvertendo il suo seme caldo irrorarle l’utero.
Era venuto di nuovo il momento delle tenerezze, alle quali Ecuba partecipò orgogliosa, presa nel mezzo tra loro due. Si baciarono e coccolarono per ore, poi si addormentarono grati, entrambi avvinghiati alla rossa.
A sera, Lucio si svegliò da solo, con una lanterna ad olio che ardeva fioca nella stanza, ed un foglio di pergamena sulla scrivania nella stanza a fianco.

“Amore, questo era il mio regalo per la tua partenza. So che non partirai ancora per qualche tempo, quindi credo che lo terrò in custodia…non abituarti troppo, ai suoi capelli rossi!
Oh, mio Marte, m mancherai terribilmente, lo so. Due o tre anni almeno, immagino. Ma tant’&egrave, dovrò abituarmi. Se mai ti fossi chiesto (e so che lo hai fatto, conoscendoti) se mio padre abbia già predisposto un nuovo fidanzamento, per me, ti rispondo di no. Qualcuno, chissà chi!, gli deve aver riferito che sono sterile. Lui si &egrave infuriato con me, ma mi ama troppo, per cacciarmi di casa. Ovviamente, non si &egrave mai domandato se la sterilità fosse vera, così sono una promessa zitella! Abbiamo il tempo per elaborare un piano, amore mio. Chiedi consiglio a Cesare, se puoi. Nel frattempo, io ti aspetterò, paziente e fedele. Credo però che quando sarai partito chiederò a mio padre una domestica personale, tanto per non essere del tutto sola. Credo, con un po’ di impegno, di poter trovare un’altra Ecuba…”

L’avventura di Lucio continua…spero vi stia appassionando tanto quanto io mi sto divertendo a scriverla… come al solito, commenti e critiche a bluebard@hotmail.it Tornò dalla Gallia dopo i due anni previsti, carico di onore, e di bottino. Bottino che non avrebbe incassato fino al trionfo di Cesare ma che, tuttavia, era già stato debitamente registrato presso l’Erario, grazie ai conti che proprio Lucio aveva portato. Tutti sapevano che la parte spettante ad ognuno era giusta, forse anche qualcosa in più: Cesare era un uomo generoso. Il giovane aveva sperato di potersi candidare come pretore, per l’anno in corso (come indipendente, dato che un uomo di Cesare era già candidato), ma la proverbiale fortuna del suo generale non si era estesa anche a lui. Era arrivato esattamente tre ore dopo la chiusura delle candidature e l’ufficiale preposto alle pratiche elettorali era un cliente di Cicerone, peraltro già tornato dal breve esilio. Gli fu impossibile candidarsi. Mossa poco pulita, da parte di Cicerone, ma una mossa entro i limiti dell’agone politico. Lucio non poteva avercela con l’arpinate, per questo. Oltretutto, pensò con un certo divertimento, &egrave il nonno di mio figlio, non posso certo volergli male!
Dopo lo scacco elettorale, per Lucio venne il tempo del ricongiungimento. Due anni! Due anni, erano passati, da quando aveva visto per l’ultima volta Diana. Ah, il tempo spariva sotto i suoi piedi. Però aveva da Cesare avuto un’idea su come poter sposare la giovane. Rincuorato dalle lettere che lei gli mandava, assicurandogli piena di trasporto tutto il suo amore e, cosa più importante, la sua forzata libertà, Lucio si decise a chiedere consiglio a Cesare. Sentito il problema, il grand’uomo si era fatto una risata squillante, divertito. Non dalla passione per Diana, pensò Lucio il quale, conoscendo la leggendaria lussuria cesariana, mai avrebbe pensato che il generale si sarebbe preso gioco di lui. Principalmente, sembrava divertito dalla soluzione.
“Oh, Lucio, la soluzione &egrave di una semplicità evidente!”, esclamò. “Oltretutto, sarà uno scherzo delizioso, per tutta Roma e per Cicerone. Oh, tuo padre Catilina lo avrebbe apprezzato da morire, fattelo dire da uno che lo ha conosciuto bene. Sai anche chi lo avrebbe apprezzato? Silla. Ti dice niente, questo?”. Lucio lo aveva guardato confuso, poi aveva risposto di no. Al che Cesare, ancora ridendo, lo aveva mandato via ordinandogli di pensarci. Lui non avrebbe detto altro. Il giovane si arrovellò per giorni, riflettendo. Cosa avrebbe fatto piacere a quel vecchio acido di Silla? Per giorni si perse in riflessioni, che ripeteva tra sé persino mentre possedeva Ecuba la quale, ragazza appassionata ed attenta al piacere di lui, cercava con ogni mezzo di aiutarlo, rilassandolo con lunghi e ripetuti giochini con la bocca, il cibo, le bende, i profumi. Lui la prendeva, le donava il piacere come era solito, si prendeva il suo, e tornava a pensare. Niente.
Una notte, a Narbona, dove Cesare ed il suo stato maggiore stavano svernando, mentre si riposava dalla solita maratona che la rossa Ecuba gli aveva imposto, sentì la schiava (la quale era brava a cucinare sul serio, tra l’altro) che gli parlava di un teatrino di mimi che era giunto dalla Gallia cisalpina il giorno precedente. Divertentissimi, diceva. Lui fu come fulminato, e la soluzione gli apparve chiara, lampante, e colse tutto, tutto il divertimento di Cesare, in ogni sfumatura. Si piegò in due dalle risate, con le lacrime agli occhi, ridendo ancora di più quando vide l’espressione stupefatta di Ecuba. Poi, calmatosi, le disse: “Ecuba, mi hai dato la soluzione al problema! So cosa voleva dirmi Cesare, che gli Dei lo benedicano! E che benedicano te! Avrai la libertà il giorno stesso che torneremo a Roma, ti giuro!”. Detto questo, la abbrancò con forza, strappandole un gridolino deliziato, e prese a succhiarle i capezzoli, ricompensato dal gemito della rossa, mentre con le mani le titillava il clitoride sviluppato, e le infilava un dito nell’ano, preparandola al piacere, nuovamente, appena la sentì bagnata, la penetrò con passione, con forza, fino in fondo, poi prese a spingere con costanza, con colpi profondi e regolari, come sapeva che a lei piaceva.
“Oh, padrone…Oh…..mmmmhhhhhh, sììììì, padrone….non mi importa….aaaaaahhhh, della libertà….. se mi prometti di…..aaaaaaaaaahhhhh…. tenermi con te e Diana…OOOOOOOOOOOHHHHHHH!!!”, disse lei, venendo. Al primo, seguì un secondo orgasmo, poi un terzo, col letto che cigolava e scricchiolava in modo allarmante. Non pago, la prese e la fece girare, facendole esporre così le natiche materne, morbide, avvolgenti, ed il buco dell’ano, dilatato per l’eccitazione, ormai assuefatto al suo membro. Lo inumidì con la lingua, infilando dentro due dita, poi, quando sentì che era pronta, entrò in lei in un colpo solo, affondando fino a far sbattere i testicoli sulla vagina, strappandole un grido di dolore, subito sostituito da mugolii soddisfatti, presto trasformati in grida roche quando con le dita prese a masturbarla e toccarle il seno generoso. Stantuffò per un tempo lunghissimo, prima di svuotarsi dentro di lei, e ad ogni colpo, in quell’amplesso, gli sembrò di possedere Diana, la sua Diana, che gli aveva regalato quel gioiello di ragazza.
Il mattino dopo era negli uffici di Cesare, con un paio di occhiaie notevoli ed un sorriso a trentadue denti che solo in parte era dovuto alla notte passata con Ecuba.
“Lo sai che stanotte ti ho sentito, vero Lucio?”, gli domandò Cesare accogliendolo. “Per non sentirti più ho dovuto chiamare due servette brune, e fare più chiasso di te”, aggiunse sogghignando. Vecchio satiro! Non si smentiva mai.
“Resoconti della notte a parte, Cesare, sono qui perché ho trovato la soluzione. Avevi ragione, &egrave uno scherzo delizioso. Tutte le implicazioni! Ah, solo tu potevi pensarci”.
“Dimmi”.
“A Silla piaceva il teatro, la commedia. E il tema principale della commedia &egrave sempre il giovane o la giovane schiava che, poi, si scopre essere la figlia perduta di un nobile. Fin qui &egrave giusto?”.
“continua”, disse Cesare, sorridendo.
“Allora, io non devo far altro che trovarmi un vecchietto di famiglia dignitosa, ma povero, un plebeo come se ne trovano molti, in questi giorni, e dargli un buon gruzzoletto per fargli dichiarare che Diana &egrave sua figlia. Poi, con un riconoscimento del pretore urbano, sarò libero di sposarla senza scandali. Ah, Cesare, ma ci pensi? Faremo ridere Roma come mai aveva riso: un matrimonio come quelli di Plauto, il padre del nipote bastardo di Cicerone, figlio del suo nemico peggiore, che dopo aver sedotto la figlia, si sposa la figlia del suo liberto! Oh, devi esserci, al matrimonio, ti prego. Sarà una cosa deliziosa!”.
“Bravo ragazzo, sei intelligente. E la cosa ha un suo aspetto divertente che mi attira al punto che parteciperò…se aspetterai qualche anno per attuare il tutto. Sai bene che la situazione politica &egrave grave”, disse Cesare, tornando serio.

Già. La situazione politica volgeva verso la guerra civile, in quell’anno del suo ritorno. Il mandato di Cesare stava per scadere, e Catone e Pompeo volevano rovinarlo. Lucio era sicuro che avrebbe passato il Rubicone, e che avrebbe vinto. Non erano dello stesso parere i due Quinto Lutazio Catulo, padre e fratello di Lucio, i quali propendevano per Pompeo. L’argomento era stato foriero di dissapori accesi, in casa. Quinto il vecchio sapeva che Lucio non avrebbe mai consentito a combattere per la fazione di cui faceva parte Cicerone, ma aveva tentato lo stesso. Quinto il giovane aveva esacerbato gli animi, con la sua intransigenza. Alla fine aveva vinto l’affetto, e si era giunti ad un compromesso. Lucio non avrebbe combattuto contro Cesare, ma nemmeno a favore dello stesso. Lui non poteva saperlo, ma era la stessa soluzione cui si era arrivati tra Marco e Quinto Cicerone, quest’ultimo tra i migliori ufficiali di Cesare in Gallia.
Quanto a Diana…. Diana, in due anni, non era cambiata affatto. Sempre bellissima, sempre regale, sempre di più una donna adatta ad un re. Lucio non smetteva mai di ringraziare Giove, Minerva, Diana, Apollo e tutti gli Dei per averla incontrata. Così bella, intelligente, appassionata. Aveva riso fino alle lacrime quando lui le aveva prospettato la soluzione, poi aveva acconsentito, a due condizioni: la prima, che avrebbero parlato della cosa col padre di lei, e che Lucio gli avrebbe dato una somma di denaro adeguata, ed una villa in Gallia per potercisi trasferire e tornare nella sua patria; la seconda, che si sarebbero dovuti mettere d’accordo col padre adottivo per farla subito emancipare, e che lei avrebbe mantenuto il nome di Tullia Galla. Lucio non ebbe obiezioni, e decisero che avrebbero fatto i necessari passi quando le acque politiche si sarebbero calmate.
Dal ritorno a Roma di lui avevano fatto l’amore centinaia di volte, con la solita passione, il solito entusiasmo. Ogni volta era una scoperta, per entrambi, ed il piacere saliva, saliva….

Un giorno di Agosto, si erano incontrati all’Aventino, in una giornata calda ed appiccicosa, lieti che il quartiere fosse fresco a sufficienza per poter avere un poco di sollievo. Quando entrò, la veste di Diana era appiccicata alle sue forme esili e magnetiche, creando un effetto che a lui ricordò il giorno di pioggia in cui l’aveva fatta sua, per la prima volta. Riusciva a cogliere i segni dei capezzoli turgidi, intravedeva le areole dei seni, intuiva la lunghezza delle gambe e le natiche perfette in quel corpo così conosciuto, così sorprendentemente nuovo ad ogni incontro. La catena d’oro che le aveva portato dalla Macedonia faceva bella mostra di sé, perfetta nell’effetto che produceva, quasi fosse stata pensata per lei. Gli orecchini delicati ed i braccialetti di squisita fattura che le aveva portato dalla Gallia, invece, erano stati creati appositamente per lei, a Narbona, dal miglior orafo del posto. I Galli avevano un’oreficeria straordinaria, doveva ammetterlo. Eppure, dovette riconoscere che quell’oggetto proveniente dalla tribù dei Bessi, seppure non squisito nella fattura come gli altri, le stava meglio, come una parte ulteriore di quel corpo magnifico. La baciò teneramente, coccolandola fino a portarla sul triclinio, dove scambiarono quattro chiacchiere, estremamente rilassati dalla reciproca familiarità, consci del piacere che di lì a poco si sarebbero dati, senza fretta di raggiungerlo.
Non appena si sentirono pronti, le effusioni si fecero più audaci, i baci più penetranti, le carezze furono più profonde. Lucio sentì la mano di lei infilarsi sotto la tunica, e prendergli il membro già teso e pulsante, poi sentì le sue dita affusolate sfiorargli i testicoli, mentre la lingua morbida esplorava la sua bocca, succhiandola avidamente. Le mani di Lucio si mossero sui seni, racchiudendo le mammelle nelle mani, notando per l’ennesima volta come fossero perfette per la sua mano, e tastò, da sopra la stoffa leggera, la durezza dei capezzoli, erti e duri, i quali sembravano voler bucare il tessuto. Si alzarono, e si spogliarono in fretta, continuando a toccarsi. Ancora una volta, Lucio rimase stupito dalla bellezza di lei, così perfettamente proporzionata, con l’unica imperfezione che costituiva il suo carattere più eccitante. Si avvicinò, e baciò con delicatezza il viso di lei, la piccola voglia sotto l’occhio sinistro, poi cominciò a masturbarla, imitato da Diana, e fusero i loro gemiti, uniti dalle bocche incollate tra loro. Diana si stupiva di come il sesso di lui fosse duro, ogni volta che si vedevano. Era mai possibile che lui la trovasse così attraente? Oh, certo, sapeva di essere bella, ma si sentiva troppo alta, con troppo poco seno, e si sentiva molto meno desiderabile di donne come Tullia, o Ecuba. Invece lui sembrava preferirla, non solo sentimentalmente, ma fisicamente, e l’urgenza che ogni volta avvertiva nel suo pene le confermava tutto questo, aumentando il piacere che provava, indurendo i suoi capezzoli all’inverosimile, fino a farle male. A quel punto il dolore passava solo se lui li leccava, e li succhiava, oh!, come stava facendo ora! Dopodiché, il dolore pulsante passava all’inguine, alla vagina. E pure lì, per passare, doveva essere Lucio a…Ahhh, Leccarla…Oh, sì!, come aveva appena iniziato a fare, assaporando le grandi labbra, lisce e senza ostacoli, umide del suo amore, allagate dalla saliva di lui, e dagli umori che Diana colava. Oh, sì, così! Non sapeva nemmeno lei di poterne produrre tanti! Venne penetrata sul triclinio, distesa di traverso, con lui che la spingeva stando in piedi, guardando il suo viso adorato negli occhi, ascoltando i suoi gemiti, il suo sforzo, annusando il suo alito fresco di salvia, mescolato agli umori che aveva appena assaporato dal centro del piacere di lei.
“Oooohhhh, amore….sìì, spingi…..daiiiiiii…aaaaaahhhhhh. Lucio….Ooohhhh, spingi, aprimiiiiiiiiiiiiiiiiii!”, urlò, sentendo l’orgasmo montare dentro di lei a velocità allarmante, sommergendo la sua coscienza, facendole chiudere gli occhi, e stringere le gambe lunghe intorno alle natiche del suo amante. Lui non si svuotò dentro di lei, ma uscì dalla sua vagina, e la fece inginocchiare, accostò la sua bocca al pene. Lei cominciò a succhiarlo, assaporando il suo stesso orgasmo, trovandolo come al solito dolciastro ed asprigno al tempo stesso. Il sapore di lui la investì convulsamente, in fiotti infiniti e caldi, invadendo la sua bocca come una marea montante, mentre lei si sforzava di ingoiarne il più possibile, lasciandone cadere qualche goccia agli angoli della bocca. Lo lasciò quando sentì il membro perdere consistenza, quindi come al solito si sciacquò la bocca, e si strofinò i denti e la lingua.
Lucio la aspettava in camera da letto, tra un numero imprecisato di candele, e piatti carichi di prelibatezze: ostriche di Baia, gamberetti, vongole, salse di ogni tipo, e poi dolci, panna, creme, miele, olio d’oliva…fu stupita dalla scena, e chiese: “Hai fame?”.
Lui le sorrise, un sorriso simpatico, complice, un sorriso che lei aveva imparato a riconoscere, e che in genere le donava qualche sorpresa. “Sì, diciamo che ho fame. Avvicinati”. Diana si portò al bordo del letto, e si sedette. Dal tavolino lì accanto, lui prese un gamberetto, accuratamente sgusciato, lo intinse in una salsa dal colore rosso, poi le fece aprire la bocca, e la imboccò. “mmhh, delizioso!”, disse Diana, guardandolo.
“Già. Avevi ragione, Ecuba &egrave una cuoca stupenda. Sai che volevo liberarla ma non ha voluto? Dice che vuole stare con noi….sai perché”.
“E cosa le hai detto?”, volle sapere lei.
“Che non dovevo decidere io, ma tu. Tu l’hai acquistata, e tu devi scegliere se la vuoi ancora o no. Io le ho detto che personalmente non vorrei dividerti con nessuno…o nessuna, anche se quella volta &egrave stato fantastico, e potrebbe accadere in futuro, ma non di frequente”.
“Hai detto bene, amore. Nemmeno io voglio dividerti con nessuna…almeno non troppo spesso!”, commentò lei, ridendo.
“Comunque, l’ho presa come cuoca, agli ordini di mia madre, e le ho ordinato severamente di non venirmi a cercare, la notte. Ora che sono a Roma, voglio solo te”.
Lei lo abbracciò, grata, colma di amore. Si baciarono, e dopo qualche secondo lui la fece stendere sul letto. “Ora facciamo un gioco, amore”. Da sotto il cuscino tirò fuori una benda nera, e le avvolse il panno sugli occhi. Quando fu certo che lei non vedesse, prese un piatto di ostriche e vongole, e cominciò ad imboccarla, alternando con i gamberetti. Ad ogni boccone, lui infilava un dito nella sua vagina, la stuzzicava, poi prendeva il cibo con la mano, e le faceva sentire l’odore del suo piacere. Lei mugolava, eccitata dalle dita di lui, deliziata dal cibo, intrigata dalla temporanea cecità. Si abbandonò completamente a lui, inarcando la schiena ai suoi affondi, aprendo la bocca con voluttà, leccandosi le labbra in modo provocante. Lucio prese un vassoio di gamberoni e, sogghignando, le disse: “Ora qualcosa di diverso”. Detto questo, prese il più grosso, e lo infilò per metà nella fessura di lei, che diede un gridolino sorpreso. “Oh…Ah…Amore, cosa fai?”, disse, a mezza strada tra il piacere e la sorpresa. “Shhh, ora vedrai”, rispose lui. Mosse il crostaceo un paio di volte dentro di lei, poi lo tolse, e lo intinse nella salsa, quindi lo portò alla bocca di Diana. Lei avvertì nettamente il suo sapore, mescolato al sapore del condimento, e si leccò i baffi, eccitata. Cominciava a bagnarsi sul serio e, dopo un paio di altri gamberi, il suo piacere si mostrò sotto forma di un fiotto di liquidi abbondante e odoroso, che Lucio si affrettò ad assaggiare.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh”, esplose lei, non appena le labbra del suo amante si poggiarono sul clitoride, esplodendo in un orgasmo debilitante. Si dimenò, si agitò, finch&egrave la benda non cadde, e si scoprì con le gambe oscenamente aperte, i seni turgidi da farle male, e la sua voce che chiedeva: “ancora”. Fu accontentata. Lucio prese un vaso di miele, dorato, liquido, profumato, e con le dita lo raccolse, spalmandole i seni, incoronandole le areole, le mammelle, il collo dai contorni delicati. Un altra raccolta, ed il miele fu sulle sue labbra, col divieto tassativo di leccarlo via, poi fu il turno del ventre, delle ascelle, delle gambe, della vagina…. cominciò a leccarla, in ogni centimetro di corpo ricoperto dal miele, cominciando dalle labbra. Leccò via il nettare, dalla bocca di lei che intanto si era aperta, con le labbra morbide e gonfie che cercavano la lingua di lui, e il miele che veniva passato dalle bocche. Fu il turno del collo, delle ascelle, dei seni dai capezzoli infiniti, che le provocarono tanto piacere da risultare fastidioso. E l’ombelico, il ventre piatto e ben formato, le gambe lunghissime sulle quali Lucio lasciò scie bollenti, scendendo dalla coscia sinistra, risalendo dalla destra, per finire con la faccia sul pube, e la lingua che leccava via il miele dal nucleo del piacere di lei, rovistando tra le pieghe della sua carne, provocando un grido indefinibile, un piacere che lei avvertì come un punto, bianco su nero, mentre teneva gli occhi chiusi. Il punto si ingrandiva, si ingrandiva, fino a prendere tutto il suo campo visivo, per esplodere nell’orgasmo più imponente della sua vita, facendosi rosso e poi ritirandosi piano, fino a tornare un punto. Non si accorse nemmeno che Lucio l’aveva penetrata, troppo eccitato per aspettare oltre, che spingeva come un ossesso dentro di lei, mentre il puntino bianco dentro gli occhi di Diana si ingrandiva ancora, e tornava piccolo, poi di nuovo grande, e piccolo ancora, fino all’esplosione finale. Avvertì distintamente il seme di lui dentro il ventre, un fiotto dietro l’altro, in numero impressionante. Fu riempita talmente tanto che rivoli si sperma le uscirono dalla vagina, imbrattando il lenzuolo ormai lurido di cibo, miele e sesso. Si sdraiarono, stremati, per un po’ di riposo…Dopo un’ora fu lei a ricominciare il gioco, a parti invertite….

Ha passato il Rubicone! Ha passato il Rubicone! Questo grido percorse le strade di Roma, dal Palatino alla Suburra, annunciando al mondo l’inizio della guerra civile. Il Senato si riunì di corsa nella Curia di Pompeo, l’unica sede appropriata, in quel periodo, dopo l’incendio della Curia Ostilia, antica sede del Senato. La scelta del luogo era oltremodo opportuna, perché essendo fuori dal pomerium permetteva a Pompeo, ufficialmente governatore della Spagna, ufficiosamente il gatto che aspettava il topolino Cesare al varco, di partecipare. Non che nessuno si fosse stupito della guerra, in fondo. Era nell’aria da un paio d’anni e quando, ad aprile, era davvero iniziata, ormai tutti si erano rassegnati. Tutti tranne Lucio, che vedeva sfumare di nuovo l’elezione a pretore, e che non riusciva a rassegnarsi al modo in cui quella crisi aveva condotto alla guerra. Un modo assurdo, rancoroso, pieno di risentimento personale, più che di rivalità politica. Catone ce l’aveva con Cesare perché si era scopato la sua prima moglie ed entrambe le sorelle, mentre gli altri, Pompeo in testa, erano invidiosi del suo successo, temevano di essere oscurati.
Quale che fosse l’inizio, il prosieguo della vicenda fu ben più drammatico e quel giorno, la Curia di Pompeo era gremita, nessuno mancava all’appello. Si conferì il comando della fazione repubblicana a Pompeo, quell’uomo ormai grasso e tronfio che gongolava alle prospettive invitanti della guerra civile, mentre Catone si prodigava a convincere gli indecisi, e Cicerone come al solito si rannicchiava in un angolo. Oh, bisognava ammetterlo, si era industriato per evitare la guerra, ma Lucio aveva la sensazione che lo avesse fatto più per avere il discutibile privilegio di essere l’unico salvatore della patria della sua generazione, per aver sconfitto Catilina, che per motivazioni realmente patriottiche. Qualunque fosse la sua motivazione, però, quel giorno era muto, ripiegato su se stesso, tremante, succube dei potenti veri, come al solito. Puah! Vecchia merda arpinate! Nemmeno il coraggio di scendere in battaglia a Pistoia contro Catilina aveva avuto…si era solo preso il merito.
Il Senato si sciolse dopo una dichiarazione votata dalla fazione pompeiana e dagli indecisi, che dichiarava Cesare nemico pubblico, poi i senatori scapparono a casa come vecchie galline, pronti alla partenza. Non Lucio, però. Lui sarebbe rimasto a Roma, ligio al patto fatto con Catulo il vecchio. E nel frattempo si sarebbe industriato per sposare Diana. Perché Cesare avrebbe vinto, non aveva dubbi. E con Cesare vittorioso, lui aveva il futuro spianato…
Quella notte, tuttavia, andò a letto con un pensiero doloroso, in testa. Il Senato di Roma, da quanto tempo non era più un organo sacro, degno di rispetto, capace di incutere reverenza? Da tanto, troppo tempo. E Lui, Lucio, non rispettava più quell’organismo, non dopo la seduta di quel giorno. La vena iconoclasta del suo padre naturale si fece strada nel suo animo, e gli fece partorire un’idea straordinariamente…irriverente.
Al mattino, fece recapitare a Diana un biglietto. Non avrebbero dovuto incontrarsi al pomeriggio, come al solito, ma di notte. L’avrebbe aspettata dietro il tempio di Castore e Polluce, a mezzanotte. Doveva esserci. Lei lesse il messaggio provando una certa sfumatura di preoccupazione. Non era l’idea di dover scappare dalla sua casa in piena notte, no. Quello lo aveva fatto spesso, per incontrarsi con la sua amica Marzia, andando a zonzo per la Roma notturna, sfidando il pericolo di venire aggredite. Quello che la preoccupava, in realtà, era Lucio. Sentiva che aveva in mente qualcosa di strano.
A sera, si ritirò presto, adducendo la scusa di una emicrania, poi si preparò con calma, in silenzio, indossando una veste comoda, raccogliendo i setosi capelli dorati in una crocchia, mettendo la collana che lui le aveva dato, non altro. Poi, poco prima della mezzanotte,sgattaiolò fuori di casa con una certa agilità, corrompendo la sua ancella Lucilla (una nera dal nome originale impronunciabile che le aveva tenuto compagnia durante il mandato in Gallia di Lucio), e corse al tempio di Castore e Polluce, seguendo la strada buia che conosceva così bene. Appena lo vide, fece per parlare, ma fu zittita da lui, che la condusse a passo rapido fuori dal Foro, verso le mura, in silenzio. Appena furono fuori delle mura, rallentarono, e Lucio le disse, il volto a stento visibile: “Amore mio, ho deciso di farti vedere il Senato di Pompeo”.
“Cosa? Lucio, sei impazzito? Sai bene che le donne non possono entrarci! Di notte, poi? Ci getteranno dalla rupe Tarpea!”, disse lei, scandalizzata. Lo sapeva! Lo sapeva che stava macchinando qualcosa. Fece per resistere, ma lui la trascinò di peso con se, finch&egrave lei smise di tirare, e accostandosi a lui, sussurrò: “Amore, siamo ancora in tempo…”
“No!”, rispose lui in un sibilo. “Non devi temere, ho pensato a tutto. Entreremo dal retro, un ingresso poco sorvegliato sempre, ed oggi in particolare. Tutti sono pronti a partire, ma voglio farti vedere il Senato stasera”.
Continuarono la discussione, sibilando, bisbigliando, finch&egrave non giunsero alla Curia. Come previsto, non c’era nessuno, e la luna era adesso visibile per metà, essendosi diradate le nubi. Entrarono, silenziosi, chiudendo il portone dietro di loro. Diana, per la prima volta, vide la sala rettangolare, con i gradoni, la grande statua di Pompeo sul suo basamento, i mosaici lavorati sul pavimento appena visibili, illuminati da una luce circolare della luna che penetrava dalla apertura in alto, protetta da un vetro trasparente. Si girò, guardandosi intorno, finch&egrave non vide il sorriso di Lucio, alla luce fioca, il suo sguardo illuminato da una vena di follia che non gli conosceva. Lo vide afferrarla, sorriderle ancora, sussurrarle il suo amore. Era tornato il suo amore, ma quella luce la inquietava. La baciò, con irruenza, cercando avido la sua lingua, e notò che lei stentava a rispondere. La sollevò, portandola sul seggio curule del console anziano, facendola sedere, inginocchiandosi davanti a lei, baciandole il collo, palpando il seno sinistro, mentre con la mano libera scendeva sotto la veste, carezzando le cosce vellutate. Era tornato straordinariamente delicato, tenero, attento, appassionato. Quando la baciò ancora, lei rispose con più convinzione, sciogliendo ogni remora quando il dito medio di lui le passò dentro la vagina, facendole scorrere il solito, adorato fiume di umori. Sospirò, stando attenta a non fare rumore, quando lui infilò la testa sotto la stoffa, cominciando a leccarle il sesso come sapeva fare così bene, ormai. Gli prese la testa, spingendolo verso il suo inguine, sospirando un po’ più velocemente. L’orgasmo arrivò come un fulmine, inaspettato, violento, accompagnato da un tremore inconsueto, e Diana si morse le labbra per non gridare. Quando Lucio sollevò la testa e la guardò, lei sorrise, si alzò e si spogliò, poi sciolse i lacci dell’abito di lui, e si chinò per prendere in bocca il suo sesso, in silenzio. Lavorò con calma, pazienza, passione, sul membro duro e vibrante di Lucio, assaporando il suo gusto aristocratico, pensando stranamente che quello era proprio il posto giusto, per il suo seme. Succhiò e leccò con tutta la sua forza, e quando lui la staccò dal sesso per lei fu quasi uno schiaffo. Si trovò di nuovo sollevata, presa in braccio da lui, che si sedette sul seggio, e la penetrò facendola sedere su di sé.
“aaaaaahhhhhh”, sibilò Diana. “Oh, Lucio, Lucio, Lucio!”. Si muoveva cercando di assecondare i movimenti di lui, disegnando delle figure col suo bacino, per facilitare la profondità della penetrazione, si sollevava aiutata dalle mani di Lucio sulle natiche, si riabbassava quasi cadendo sul suo pene, ansimando in modo frenetico, tremando in modo incontrollato, sotto lo sforzo di reprimere i sospiri. Venne ancora, aggrappandosi a lui, mordendogli un orecchio mentre gli alitava il suo piacere, la collana della Macedonia che strusciava sui due petti, i capezzoli di lei come dei chiodi sulla pelle di lui.
Sì, &egrave questo quello che serve, al Senato! Questa dissacrazione in nome dell’amore, questo sputo in faccia a tutto ciò che rappresenta, fatto col sistema più bello e puro del mondo. Ho infangato l’istituzione romana amando la donna più bella di Roma qui, nel Senato, infango questi bastardi vili e vendicativi ad ogni affondo nel corpo di lei, in ogni gemito di Diana c’&egrave una coltellata a questo organismo inutile. Ah, come vorrei che non avesse preso le erbe! Le farei concepire un figlio qui dentro! Spinse, e spinse ancora, resistendo oltre quello che giudicava essere il limite del suo piacere, accompagnato dai sospiri di lei, dal suo tremore per gli orgasmi in sequenza. La sollevò ancora, tenendosi dentro di lei, e in silenzio la poggiò addosso al basamento della statua di Pompeo.
Pompeo il grande, figuriamoci!, pensò sprezzante. Questo vecchio rincoglionito &egrave il generale più sopravvalutato di Roma, in ogni tempo. Scopare qui, addosso alla sua statua… ecco un insulto sufficientemente grande, vero Pompeo il grande? Accelerò le spinte, sentendo montare il suo orgasmo, poi nella nebbia del piacere e dei pensieri, sentì la voce di Diana, rotta dai suoi sospiri, che lo avvertiva che da un settimana non prendeva le erbe. Ah!, Dei! Il segno del vostro favore! Accelerò ancora, schiacciando Diana contro il marmo freddo del basamento, affondando ogni colpo con furia selvaggia, animale. “Amore, &egrave giunto il momento”, le disse. “Il momento di concepire un figlio”. Non notò l’espressione stralunata di lei, la sua smorfia di stupore. Le morse il collo e, soffocando un grido, le spruzzò dentro il suo seme.
Si accasciarono a terra, sfiniti, increduli per quello che avevano fatto, appagati. Quando lei gli carezzò il braccio, lui si voltò verso il suo volto a stento visibile.
“Lucio”, le chiese. “Davvero vuoi un figlio da me?”.
“Sì, amore, lo voglio. Sono sicuro che stanotte hai concepito. &egrave giunto il momento di prenderti in moglie”.
Quando si rivestirono ed uscirono, mancavano due ore all’alba. Rientrarono silenziosi nelle rispettive case, e dormirono fino a tardi. Solo nel pomeriggio vennero a sapere che al mattino uno schiavo pubblico, avvertendo l’odore del sesso sul seggio del console, aveva dato a tutti la notizia che la curia era stata profanata, mettendo Roma ancora più in subbuglio. Non si seppe mai chi fosse stato…

il quinto e penultimo capitolo di Lucio, il filgio di Catilina… come al solito, commenti e critiche a bluebard@hotmail.it nota: le strofe della canzone della Decima sono presi da “Le idi di Marzo”, C. McCoullogh. l’ultima strofa &egrave dalle fonti storiche.

L’annuncio della battaglia di Farsalo aveva colto di sorpresa una Roma presa tra la morsa di Marco Antonio, vice di Cesare in Italia, e Dolabella, il quale era magistrato eletto per l’anno successivo, e aveva cominciato a smaniare e brigare per farsi annullare tutti i debiti. La guerra civile aveva toccato Roma solo relativamente, mentre aveva distrutto la Grecia, e l’Epiro. La disfatta di Pompeo era stata completa, dicevano i dispacci al Senato, ed i capi repubblicani morti o graziati. Quei pochi che erano riusciti a fuggire si erano diretti in Africa. Tutti tranne Pompeo il quale, si seppe solo alcuni mesi dopo, era morto in Egitto. Egitto dove Cesare era passato, sperando di intercettare il suo ex compagno di merende, e riportarlo a Roma, nel Senato. Egitto dove si era impantanato in una guerricciola per l’amore di Cleopatra la quale, così pensava la città, di sicuro aveva stregato il dittatore. Non era bella, no, e nemmeno formosa. Aveva un naso a becco impressionante, così riferivano i bene informati, niente seno ed era alta meno della donna più minuta di Roma. Cesare era impazzito!
Lucio e Diana, tre mesi dopo l’avventura in Senato, prima di Farsalo, prima dell’Egitto e di Cleopatra, si erano sposati. Lucio aveva trovato un vecchietto piuttosto bisognoso, tale Marco Camillo Strabone, un discendente del famoso Furio Camillo (o almeno così sosteneva). La sua era una famiglia di rango consolare, sebbene caduta in miseria da molte generazioni. Davanti al gruzzolo che Lucio gli presentò davanti, gruzzolo che lo avrebbe riportato di corsa nella prima classe, il vecchio Camillo fu disposto a giurare su tutti gli Dei che Diana era davvero sua figlia, la sua Camilla persa tanti anni prima. Avrebbe giurato pure di aver copulato con Venere in forma di fiore, se Lucio glielo avesse chiesto.
Tullio Gallo pure fu facilmente convinto. Non era stupido e, dopo aver conosciuto Lucio, aveva capito subito che Diana non era affatto sterile, come qualcuno di certo vicino alla ragazza aveva bisbigliato. Semplicemente, non era più vergine. Uomo pratico, accettò il denaro e la terra che Lucio gli offrì, e uscì dalla città di notte fonda, portando moglie e servi in Gallia, per diventare un cittadino eminente di Narbona. Il giorno delle nozze, l’Urbe si scompisciava, vedendo la faccia viola di Cicerone, e la disperazione di Tullia, conoscendo il contorno farsesco della storia. Oh, Plauto non avrebbe saputo trovare di meglio!

La cerimonia durò poco. Non era romano perdere troppo tempo in cerimoniali elaborati, così i due si sposarono alla presenza dei testimoni prescritti, con le formule previste, scambiandosi i giuramenti prescritti. Fu invece lungo il banchetto, offerto da Lucio agli invitati, che durò fino all’alba successiva, con la casa del vecchio Quinto Lutazio frequentata da ospiti per tutta la notte. Il padre adottivo di Lucio era in Epiro con Pompeo, in quel periodo, ma mandava le sue felicitazioni.
Ovviamente, a metà banchetto, gli sposi uscirono dalla sala, per avviarsi nella loro stanza da letto. Furono accompagnati dalle solite battute oscene, dalle risate sguaiate e dagli incoraggiamenti al giovane sposo. La stanza era piuttosto grande, con un letto più ampio del normale, alto, soffice, immacolato. Sul pavimento, petali sparsi un po’ ovunque e, sulle lenzuola, piccoli doni costituiti da dolciumi e biscotti. Diana, nel suo abito rosato, in più veli di diverse tonalità, i capelli raccolti in una elegante acconciatura, semplice e sensuale, poco trucco intorno agli occhi e sulle labbra, unghie laccate, la collana ed i gioielli che lui le aveva regalato dalle sue campagne, era radiosa. Sensuale, attraente, semplice, alta. Ah, sembra nata, per essere il centro del mondo!, pensò Lucio. Si accostò a lei, abbracciandola piano, facendola sorridere quando le baciò la piccola voglia, mentre con le mani saliva ad accarezzarle il viso. Si baciarono sulle labbra, delicatamente, sentendo mescolato al sapore delle loro lingue quello del trucco di lei, e si lasciarono cadere sul letto, dove continuarono a baciarsi, sempre più avidi. Lucio si spogliò della toga, della tunica, dei sandali, mandando tutto in un angolo con un calcio, e si accostò alla moglie, baciandole il collo, le orecchie, succhiando le sue labbra così carnose, rosse, desiderabili. “Non ti spogliare”, le disse lui, con voce rotta, la sua erezione poderosa bene in vista. “Non ti spogliare, moglie. Ti voglio così”. Si tuffò sotto la veste, togliendo la semplice biancheria di Diana, esponendo il suo sesso nudo, palpitante, ed accostò le labbra alle grandi labbra di lei, schioccando un bacio sonoro, che le strappò una risata. Dopo il bacio, però, fu il turno della lingua, che cominciò a rovistarle le carni, e dei suoi denti, delle sue labbra. Diana si sentì esplorata, assaporata. “Ah….”, gemette. “OH, amore….aaaaahhhhhh, sì, così, mmmhhhh….oh, mi fai impazzire, continua, ti prego”. Gli prese la testa, sentendo la stoffa del suo abito da sposa che si frapponeva tra le sua mani ed i capelli di lui, e chiuse gli occhi, immaginando di poter vedere quello che Lucio le faceva. “Oooooooooooooohhhhhhhhhh”, urlò, quando lui le morsicò il clitoride, infilando due dita nel suo pertugio. Lo sentì muovere le dita dentro di lei furiosamente, mentre con la lingua aveva portato la sua attenzione al forellino dell’ano, e venne, in spasimi dolorosi, mentre la lingua di Lucio la penetrava in profondità, e le sue dita la esploravano senza pausa, o pietà. Urlò a pieni polmoni, incurante di quanta gente avrebbe sentito il suo piacere. Fu ricompensata dall’applauso che udì dalla sala della festa, e rise di cuore. Vide suo marito riemergere da sotto la veste, e gli sorrise. “Pare che di là apprezzino”, gli comunicò.
“Allora non dobbiamo deluderli, ti pare?”. Si alzò, e la afferrò per le caviglie, tirando. Il sedere di Diana fu sul bordo del letto, e le sue gambe poggiate alle spalle di lui. Non poteva vedere il suo pene, ma non ne aveva bisogno. Poteva benissimo figurarsi il pulsare delle vene, l’asta gonfia, dura, oh, quanto era dura!, la punta rossa e vogliosa. Lo sentì poggiarsi sul suo sesso, e udì lo sciabordio della sua vagina che risucchiava Lucio dentro di sé. Poi fu piena, completa, estraniata dall’universo, concentrata soltanto sul ritmo delle spinte di lui, potenti ed instancabili.
“Ah…Aaaaahhhh, sì, amore, spaccami! Spingi di più, di più! Non fermarti, amore, non fermarti maiiiiii!!!!!”. Lucio, incoraggiato dalle grida, spinse più forte, a fondo, godendo nel vedere il vestito della sposa infradiciarsi di umori, il viso di lei stravolto da piacere, udendo con godimento moltiplicato quanto lei apprezzava il suo pene. Fu colto dal pensiero che le piacesse l’idea di sapersi, in qualche misura, osservata. Urlava senza ritegno, come mai aveva gridato, assecondando i suoi movimenti, dicendogli cose che mai aveva sentito da lei.
“Sììì, sfondami la fica, Lucio, sì. Sono la tua puttana, amore, lo sai. Oh, mi piace il tuo cazzo…aaaaaahhhhhhh, spingiiiiiiii”. Lucio avvertì l’orgasmo di Diana un bel po’ prima che arrivasse. I suoi tremori erano violenti, le sue labbra gonfie, i capezzoli che sembravano voler bucare il tessuto. L’esplosione del piacere di lei lo fece godere a sua volta, inondandola di sperma, facendole avere un secondo orgasmo, gridato, accompagnato da un fortissimo applauso da fuori. Lucio si abbatté su di lei, stremato, chiudendo gli occhi, baciandole la bocca. Quando rotolò di fianco, lei si portò la mano tra le gambe e raccolse un po’ di seme, mescolato al suo orgasmo. Leccò le dita, golosamente, poi gli sorrise e disse: “Mmmmhhh, così il sapore &egrave davvero buono!”. Poi si spogliò, mostrando a Lucio il suo corpo delizioso, e si accoccolò su di lui, ricominciando a baciarlo. Il membro di Lucio, dotato quasi di vita propria, si ridestò di colpo, cercando l’ano di Diana. Lei gli leccò il fallo, a lungo, per facilitare la penetrazione, poi si portò la punta al forellino, e scese di colpo, strappandosi un gridolino di dolore. Per Lucio, sentire il pene avvolto da quella guaina stretta ed elastica, fu il colpo finale. Di nuovo possente, la penetrò facilitandole i movimenti, godendo nel vederla così impalata su di lui. Le prese i seni sodi, strizzandole i capezzoli, e le disse: “Ah, ti piace, vero, porca? Il mio cazzone nel tuo culo ti piace, eh? Allora da, prendilo, &egrave tutto tuo!”.
“Mmmhhh, oh, sì, Lucio, mi piace, mi piace. Aprimi il culo, amore, aprimelooooo!!!!”.
Lui prese la toccarle il clitoride, facilitato da lei, che di era portata col busto un po’ indietro, e così Lucio poté di nuovo sentirla venire, gridando, strappando applausi dall’esterno. Oh, era così diversa dal solito! Appassionata come sempre, ma del tutto priva di inibizioni, eccitata in modo animale. La sentiva godere infoiata, gemendo e chiedendo ancora di più, pregandola di lasciargli il suo pene dentro di lei per sempre. Ebbe almeno altri quattro orgasmi, prima che il pene di Lucio le riversasse il suo seme nell’intestino.
Tempo di carezze. Tempo di baci, e coccole, e domande sul figlio che lei portava in grembo, ancora senza mostrarlo. L’avevano concepito nel Senato, lui lo sentiva, e ne era orgoglioso. Ora aveva tutto, e tutto andava come lui desiderava. Era felice
“Sai, credo che essere incinta mi faccia eccitare di più”.
“davvero?”. Lei annuì. Gli carezzò il petto, ed il pene, cominciando una lenta masturbazione. “sono attenta ad ogni centimetro del tuo pene, non l’avevo mai sentito così, prima. Mi sembrava un trave, credevo di morire dal piacere, amore. E poi, ho sempre voglia. Durante il giorno…mmmhhh, mi masturbo in continuazione. Ora forse lo farò un po’ meno, visto che posso averti quando voglio. E ti voglio sempre. Ora”. Il pene di lui era tornato rigido. Rovesciandola, riprese il suo dovere coniugale. Quella sarebbe stata la prima di molte, molte lunghe notti…

Altri due anni erano passati, dal suo matrimonio. Lucio era padre di un piccolo Lucio con i capelli biondi della madre, che cominciava a scorazzare in giro per la casa sul Palatino che la coppia aveva comperato. Quinto Lutazio il vecchio era morto a Farsalo, mentre Quinto il giovane era scappato in Spagna con Labieno, una grana che Cesare avrebbe dovuto risolvere, un giorno. Per il momento, però, Cesare era tornato dall’Asia, e preparava i suoi trionfi. Soprattutto quello sulla Gallia, al quale avrebbe dovuto partecipare anche Lucio. Per il giovane, però, la cosa non era così semplice. Cesare gli aveva ammazzato il padre adottivo, in fondo, e suo fratello era un ribelle. Le opportunità politiche avrebbero voluto che lui partecipasse lo stesso, ma il cuore gli diceva di no.
Il suo atteggiamento recalcitrante aveva offeso il grand’uomo, che gli aveva detto senza mezzi termini che poteva andare dove voleva, quel giorno. La sua parte del bottino sarebbe stata ritirata da un suo liberto, che poi gliel’avrebbe consegnata.
Lucio fu offeso dall’atteggiamento di Cesare. Offeso e stupito. Non aveva compreso che la guerra civile, l’atteggiamento di Roma, le preoccupazioni, avevano indurito il dittatore, l’avevano portato alla intransigenza. Così, Lucio decise che era arrivato il momento di dire due paroline alla Decima legione…
Arrivò il giorno, un assolato giorno di luglio, caldo, con la città tirata a lucido, giochi in programma al Circo, teatro, buon cibo, e la prospettiva di una trionfo grandioso. La casa di Lucio dava proprio sulla Via Sacra, dalla quale il trionfo partiva, e godeva di una buonissima visuale di tutto il corteo, nel suo svolgimento per la città. Anche l’acustica non era male. Verso metà mattina, il corteo partì.
Lucio e Diana erano rimasti soli, in casa, perché lui aveva dato ai servi il permesso di andare a divertirsi in quel giorno di festa, e così portò sua moglie, bella come sempre, per nulla sformata dalla gravidanza, nel giardino, dal quale si poteva vedere il corteo, sporgendosi oltre il basso muro di cinta. Ah, le sue gambe affusolate e toniche, i suoi fianchi proporzionati, le natiche tonde e perfette! Lucio fu preso da una eccitazione incontrollata, e afferrò Diana per i fianchi, facendola ridere. Donna meravigliosa, se era delusa per non aver potuto vedere il trionfo, quel giorno, non lo dava a vedere, e si girò per baciare suo marito con la solita, inestinguibile passione.
“Non ti interessa il trionfo?”, gli chiese tra un bacio e l’altro.
“Mi interessa di più il trionfo che posso trovare dentro di te”, le rispose Lucio, chinandosi a baciarle il collo. Lei sospirò, sentendo l’eccitazione montare, rapida e decisa come sempre. Avvertì la mano di lui toccarle il seno, appena un po’ più gonfio dopo la gravidanza, ma sempre eretto fieramente, e sentì il capezzolo indurirsi impertinente, tendendo la stoffa del vestito. “Mmhhh”, gemette, sentendo il languore spostarsi verso il basso ventre. Da fuori, le musiche della parata cominciavano a suonare….
Diana fu liberata in fretta dei suoi abiti, ed esposta al sole di Luglio, perfetta come Diana dei boschi, tesa al piacere che solo il suo amore poteva donarle. Quando anche lui fu nudo, gli si avvicinò, e prese in mano il membro duro e pulsante. “ma non si stanca mai?”, chiese, sorridendo. “No, se gli fai così”, rispose lui, sorridendo a sua volta. Diana cominciò una lenta, soffice masturbazione, che lo fece sospirare e gemere. Come mi conosce bene, ormai!, pensò Lucio, attratto sempre di più dalla spirale di godimento che lei gli procurava. Sa benissimo quello che mi piace, e sa quando &egrave il momento di farlo, AAAAhhh, come Ora! Lei gli aveva preso il membro in bocca, ed aveva cominciato a succhiare con il vigore che lui apprezzava tanto, mentre con una mano si masturbava frenetica. “Ah, amore mio….continua…sssììììì, ahhhhhh!!!”, gemette lui, sentendo montare il piacere, in una spirale sempre più veloce, continua, sotto l’effetto delle sue labbra, concentrate solo sul suo orgasmo. Niente giochini di contorno, quella mattina! Un pompino fatto per farlo venire in fretta, e diminuire l’urgenza del suo desiderio. Oh, gli leggeva nel pensiero? Quando venne, riversando nella sua gola tutto il suo seme, soffocò un grido, e si mise a sedere sull’erba, sentendo le gambe cedere. All’esterno, la musica aveva cominciato ad aumentare. Diana si allontanò, come al solito per sciacquarsi la bocca, e lui ne approfittò per stendere un mantello, a terra, e posare un vasetto d’olio ed un pacchettino, a terra.
Quando diana tornò, fuori era il tempo dei prigionieri di guerra, con Vercingetorige per ultimo, vestito dei suoi abiti migliori, con i gioielli tribali, il fisico ben curato, con catene ai polsi, diretto al Tulliano. Diana notò subito che il membro di Lucio era di nuovo in erezione, e rise. “non mi dà tregua!”, disse. Lui rispose ridendo, e la fece stendere sul mantello. Cominciò a leccarle il collo, lasciando scie di fuoco sulla pelle di lei, toccando i seni con le mani, palpando le mammelle ora gonfie, materne, dalle quali ogni tanto, mesi addietro, aveva rubato un po’ di latte. Con la bocca, scese a leccare i seni, torturando i capezzoli duri ed eretti, così lunghi e rosa.
“mhhhh”, gemette Diana, al contatto delle sue labbra sui capezzoli. La sensibilità al seno era aumentata, dopo la gravidanza, così lei si bagnò subito, avvertendo il ben noto fiotto assalirle la vagina come una marea. Lucio se ne avvide, e si gettò con la lingua su quegli umori, assaporandone il sapore asprigno, procurandole un orgasmo. La penetrò, con forza e decisione, strappandole un gridolino, e prese a spingere, spingere, spingere, accompagnato dalle grida di lei, dai suoi incitamenti e, dal di fuori, dal rumore di quello che aspettava:
Fate strada al signor d’ogni puttana,
e guardate che gran testa di capelli.
Eccoti il primo, vecchio bastardo pelato!, pensò Lucio, spingendo dentro Diana. La canzone che aveva proposto alla Decima per il trionfo, che metteva a nudo tutto ciò che di Cesare a Cesare non piaceva. Una bella vendetta, rovinargli la festa. Continuò a chiavare, spostandosi sotto sua moglie, che intanto gemeva: “Oh, amore…Ahhhhh, mio Marte… Instancabile….Oddio, Lucio, mi fai impazzire…AAAaaahhhhh!”. venne in un fiotto di liquidi che schizzò il basso ventre di Lucio, che la prese per i fianchi, accompagnando i suoi movimenti, mentre fuori la Decima cantava:
Tutte le infilza, sul letto o l’ottomana
Con l’altra testa, che bussa nei bordelli.
Per l’ammiraglio ch’era senza navi
Non ha esitato ad aprire il deretano.
“Ah, Lucio, Ahhhhhh…vengo ancoraaaaaaaaaaa”, urlò lei, coprendo per un momento le grida di cinquemila uomini che citavano la bisessualità di Cesare. Il secondo, stronzo altezzoso. Non hai ancora finito, ci puoi giurare. Si mise seduto, portando la bocca al seno di Diana, mentre spingeva, e succhiò con avidità, con le mani di lei, delicate, nei suoi capelli. Diana venne ancora, sotto i colpi del suo pene e della sua lingua. Lui uscì dalla sua vagina, e la fece girare, a quattro zampe. Diana, inutendo, si predispose, e subì con piacere la lubrificazione dell’ano effettuata dal marito. Era giunta ad amare il sesso anale tanto quanto quello classico. Anche soltanto la lubrificazione, che erano soliti fare con l’olio, la faceva godere, e spesso raggiungeva l’orgasmo solo così.
Che classe, Cesare, i vascelli che cacavi
In Bitinia, fra i lenzuoli del sovrano!
E tre, brutto frocio!, pensò Lucio, mentre penetrava l’ano di Diana, accompagnato dal suo gemito soddisfatto. Il vecchio ragazzo non amava che si ricordasse il trascorso omosessuale tra lui ed il vecchio re Nicomede. “Aaaaaaah, amore mioooooooooo”, gemeva intanto Diana, sotto le sue spinte, sempre più profonde, sempre più veloci. Si accostò al pacchetto, e ne estrasse un oggetto che fece spalancare gli occhi di lei, la piccola voglia quasi scomparsa dal suo viso, con quella espressione. Era un fallo in bronzo, liscio, specchiato, lungo almeno due palmi, perfetto in ogni dettaglio, comprese le venature che coprivano l’asta. “Un piccolo scambio di bottino”, sorrise Lucio, mentre spingeva dentro l’ano della moglie. “Su,dai, sai dove metterlo”. Diana accostò la punta alla vagina, approfittando della pausa che Lucio le concedeva dalle sue spinte, e infilò il fallo di bronzo, piano piano. Il metallo era freddo, dentro di lei, il che la fece eccitare ancora di più….”Oh, Lucio, &egrave….freddo….mmhhh, mi piace!”. Spinse ancora di più, finch&egrave non fu penetrata dal membro di suo marito e da quello di bronzo. Era piena, riempita in ogni pertugio, e sentiva i due peni divisi solo dalla sottile striscia di pelle che divide l’ano dalla vagina. Gridò, seguita da Lucio, che aveva ripreso a spingerla da dietro, mentre lei aveva iniziato a muovere il fallo dentro di lei. Un orgasmo, un secondo, un terzo ancora. Le sue grida sovrastarono la Decima che intanto intonava:
Di battaglie non ne perde neanche una,
più di 50 e ancor lui le regge
ma com’&egrave belo il re di Roma che raduna
la folla qui a belare come un gregge!
Lucio nemmeno sentì la parte finale della canzone, ormai preso dalle sensazioni che gli dava penetrare Diana da dietro, e sentire qualcos’altro che la penetrava davanti. Il rombo delle sue orecchie sovrastava quello della folla, i gemiti e le urla di Diana coprivano i suoi come mille corni da guerra dei Galli, il suo orgasmo lo stordì, mentre riversava tutto il suo seme, che sembrava non finire mai, negli intestini di lei, che intanto gridava il suo piacere, cospargendo il fallo in bronzo dei suoi liquidi, copiosi come un mare.
Trionfa Cesare, che ha sottomesso la Gallia,
ma non trionfa Nicomede, che ha sottomesso Cesare!
Si staccarono, sfiniti, sotto gli ultimi colpi della Decima all’orgoglio di Cesare, mentre i loro personalissimi colpi avevano sfiancato i due contendenti nel giardino della villa sul colle Palatino.
Tempo di coccole, ancora. A volte Lucio pensava che la vita non contenesse altro che sesso e coccole con Diana, i baci alla sua piccola voglia, le carezze sul suo ventre, i giochi di luce sulla sua pelle, gli occhi più azzurri dei cieli della Gallia.
In fondo, pensò, perché no? Non mi interessa più la vita pubblica, a Roma. Sono nauseato, stanco anche di vendicarmi. Un giorno, lascerò la città per sempre, e con Diana ed il piccolo Lucio ci ritireremo nella nostra tenuta in Sicilia, a guardare il mare dalla scogliera, raccontandoci storie, crescendo nostro figlio in pace e serenità. &egrave una bella vita, a pensarci. Poteva capitarmi di peggio.
Baciò ancora la adorabile, piccola voglia di lei, e le sussurrò soltanto: “Ti amo”.
“Anche io”, rispose lei, ed era vero.

questo &egrave l’ultimo capitolo della storia del figlio di Catilina. chiedo scusa per le imprecisioni, ma spero vi siate goduto il racconto, almeno quanto io mi sono divertito a scriverlo. se volete scrivermi, il mio indirizzo &egrave bluebard@hotmail.it

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