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Il tarlo della gelosia

By 20 Ottobre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Quel pomeriggio, Federico non faceva altro che girare nervosamente per la sua stanza. Si era ripromesso di mettere un po’ d’ordine tra le scartoffie che affollavano la scrivania e le mensole ma, in diversi minuti di inconcludente lavoro, l’unico risultato che aveva ottenuto era stato quello di consumare le suole delle scarpe.
Non riusciva a non pensare a Clarissa, e la cosa lo mandava in bestia, ancor più dello stesso atteggiamento apparentemente beffardo della ragazza.
I due si conobbero poche settimane prima in un negozio del centro. Lui era intento a scegliere una camicia fra le tante in esposizione e lei, piombandogli alle spalle, con la sua voce suadente, gli aveva suggerito: ‘Fossi in te prenderei quella blu alla tua destra’.
Lui l’aveva guardata per alcuni istanti, scavando nella sua memoria alla ricerca di quel volto. Non trovò alcuna corrispondenza, ma rispose come se la conoscesse da tempo: ‘Tu dici?’. Lei gli sorrise, prima di rimarcare: ‘Decisamente! Non vorrai mica prendere quell’obbrobrio che hai in mano!’. ‘Dai, non è così brutta’, replicò Federico, tenendo sollevata la gruccia con la casacca verde militare e guardandola da diverse angolazioni. ‘Dipende, per un settantenne non è male. Ma per un’ trentenne? E’ schifosa!’. ‘Hai occhio. E, per essere una’ ventiduenne? Sei anche parecchio intraprendente!’. ‘Lo prenderò come un complimento. Anzi, due complimenti, visto che di anni ne ho ventisei. Piacere, Clarissa’, gli disse, tendendogli la mano. Lui gliela strinse con decisione. ‘Federico, trentun’anni, piacere mio’. Un brivido gli attraversò la schiena durante quel primo contatto.
Successivamente, sfruttando l’alibi di sdebitarsi del consiglio ricevuto in precedenza, il ragazzo la invitò in una gelateria a pochi isolati di distanza. Durante il consumo di un cono medio, Federico non riusciva a distogliere lo sguardo dalla lunga e snodata lingua della ragazza appena conosciuta, mentre la stessa leccava avidamente il cioccolato che colava lungo la cialda.
Neppure un’ora dopo, i due erano avvinghiati sul letto di Federico, impegnati in un coito talmente brutale che, più che un amplesso, pareva una lotta. Il ragazzo la riempì in tutti i suoi buchi. Lei sembrava non averne mai abbastanza, ma anche lui era instancabile. Solo quando furono entrambi completamente sfiniti e a corto di fiato, riuscirono a scambiare qualche parola circa cosa facessero nella vita al di fuori di quelle lenzuola, ormai impregnate dei loro fluidi.
Nei giorni successivi, non mancarono di incontrarsi altre volte, in teoria per parlare del più e del meno, per fare due passi, o per andare al cinema o a mangiare una pizza. Tutte le volte, però, i loro incontri finivano con interminabili ore di passione. Spesso, venivano addirittura meno ai loro programmi, per saltare il cinema o la passeggiata e rifugiarsi direttamente ora a casa dell’uno, ora in quella dell’altra.
Quando erano insieme, Federico non riusciva a togliere gli occhi e le mani dagli abbondanti seni della ragazza, a non giocare con i suoi grossi capezzoli, a non palpare il suo sedere tondo e sodo, a non mordere quelle labbra carnose e costantemente piegate in un sorriso malizioso che lo faceva impazzire.
D’altro canto, anche lei sembrava apprezzare il fisico possente del ragazzo, le sue spalle ampie e il grosso pene che adorava sentir crescere nella sua bocca prima di riceverlo, con veemenza, nella sua intimità.
Il rapporto tra loro, ottenebrato dalla passione, non era mai andato oltre le frequenti scopate, il sesso animalesco, privo di qualsiasi ritegno e tabù, e la continua ed appagante soddisfazione reciproca.
Non che i due non parlassero. Anzi, lo facevano, e anche molto. Più che altro al telefono però, dato che, dal vivo, raramente riuscivano ad evitare di saltarsi addosso per più di qualche minuto. Tuttavia, nelle loro lunghe e frequenti conversazioni telefoniche, pur essendo coscienti di avere gusti radicalmente diversi in molti ambiti, dal cinema alla musica alla letteratura, condividevano un modo estremamente simile di vedere il mondo e di intendere la vita. E questa sorta di affinità riusciva ad unirli in maniera sottile ma, allo stesso tempo, estremamente profonda. Entrambi ne erano pienamente coscienti, ma tutti e due evitavano argomenti che potessero far trapelare banali sentimentalismi. Così, si limitavano a vivere con leggerezza l’innegabile e irresistibile carica sessuale che ciascuno infondeva all’altro, senza porsi troppe domande su cosa sarebbe accaduto il giorno seguente.
Fu così che arrivò quel martedi. In mattinata, durante una delle loro consuete telefonate, Clarissa annunciò a Federico come quel pomeriggio sarebbe andato a trovarla un suo vecchio amico, per riportarle un libro prestatogli qualche mese prima. Il nome di Gilberto, Federico l’aveva già sentito in mezzo a mille altri, pronunciati da Clarissa nel raccontare episodi della sua vita.
Ma quella volta non lo digerì troppo facilmente. Tanto più che i genitori della ragazza, proprio quel giorno, sarebbero stati fuori città per una gita. Al telefono, le domande tendenziose sul loro incontro fluivano naturali, e raramente il ragazzo riusciva a mettere un freno a quel flusso ininterrotto. ‘Ma non potevate incontrarvi un’altra volta?’. ‘E perché? Tanto nessuno dei due aveva impegni oggi’. ‘Ho capito, ma a casa’ era meglio ad un bar a questo punto’. ‘Deve riportarmi un libro, mica è una riunione di lavoro’. ‘E guardacaso, son mesi che gliel’hai prestato e te lo riporta proprio oggi che sei sola?’. ‘Ma dai, è capitato che fossimo liberi entrambi. Che sei geloso?’. La finta ingenuità e il tono quasi canzonatorio della ragazza non facevano che irritare ancor più Federico, il quale faticava parecchio a mascherare i suoi sentimenti. ‘No, che geloso. E’ solo che mi danno fastidio questi avvoltoi’. ‘Ah ah ah ah’ ma che dici? E’ un amico, mica un uccello!’. ‘Mah, secondo me è proprio per l’uccello che ti vuol riportare il libro oggi!’. Tra una risata e l’altra, Clarissa non mancava di sottolineare come Federico stesse dimostrando una gelosia del tutto ingiustificata, data l’innocenza del gesto di Gilberto. Federico, però, non riusciva a darsi pace. Conosceva l’appeal che Clarissa aveva sugli uomini, lui stesso ne era finito vittima. E, il solo pensiero che Gilberto potesse sedurre la ragazza e godere delle sue stupefacenti abilità e della sua sensualità disarmante, gli faceva ribollire il sangue nelle vene. A nulla valsero le rassicurazioni di Clarissa in tal senso, e un nervosismo di fondo restò, per ore, latente nella mente del ragazzo.
L’appuntamento era fissato per le quattro del pomeriggio. Federico s’era guardato bene dal contattare Clarissa dopo quell’ora ma, ormai, l’orologio segnava quasi le sette della sera, e lui non aveva ancora notizie della ragazza.
La tentazione di chiamarla e riversarle addosso tutta la sua collera era quasi irresistibile. Ma il suo orgoglio, fino a quel momento, aveva avuto la meglio. La sua mente, però, vagava in maniera incontrollabile, immaginando i due piccioncini impegnati in chissà quali e quante acrobazie erotiche. Ormai, i morsi allo stomaco erano diventati di un’intensità insostenibile, come stesse aspettando l’esito di un test dal quale dipendesse la sua stessa vita.
‘Basta, non ne posso più’, pensò Federico, afferrando le chiavi dell’auto e uscendo come una furia, senza neppure cambiarsi la logora tuta che indossava in casa ma, a stento, infilandosi il primo paio di scarpe da ginnastica che gli capitò a tiro.
Macinò i chilometri che lo separavano dall’abitazione di Clarissa, imprecando ad ogni semaforo rosso e schizzando via non appena vedeva illuminarsi il led verde. Alla radio, la voce di Faber narrava la triste fine di Piero ma, sebbene Federico adorasse quella canzone, le note non riuscivano ad oltrepassare il muro di pensieri continui macinati dal suo cervello.
Giunto sotto casa della ragazza, non si preoccupò neppure di parcheggiare l’auto troppo bene, entrando di muso in un piccolo spazio e lasciando il culo della vettura ben oltre la riga bianca. Il portone era aperto. ‘Perfetto’, pensò, ‘così potrò sfruttare l’effetto sorpresa’. Salì gli scalini a due a due ed arrivò in un baleno al piano al quale abitava Clarissa, senza neppure un accenno di fiatone. Dopo aver suonato il campanello, avvertì i passi della ragazza lungo il corridoio, poi vide la porta si aprì davanti a lui.
Clarissa lo guardò sorridente. Federico ebbe quasi la sensazione che non stesse sorridendo per lui, ma ridendo di lui. Come potesse leggere i pensieri che gli passavano per la testa. Federico notò subito come la ragazza, oltre ad essere, come al solito, bella da far girare la testa, aveva anche un aspetto impeccabile. Avvolta in una comoda tenuta casalinga e senza neppure un capello fuori posto. Ben lontano da quel look scapigliato e sfatto che assumeva durante le loro interminabili sessioni di ginnastica da camera e nel quale Federico temeva di ritrovarla durante il suo blitz.
Tuttavia, tanta era la rabbia accumulata nelle ore precedenti, che quella visione non lo rassicurò affatto. Aggirando la ragazza, si fiondò in casa. Percorse il corridoio, sempre seguito da Clarissa, fino ad arrivare nell’ampio vano cucina-salone, dove trovò un ragazzo dall’aspetto alquanto anonimo, seduto sul divano a sgranocchiare patatine fritte da una scodella. Vedendolo entrare, lo sconosciuto si alzò, pulendosi le mani con un fazzoletto di carta. Clarissa li presentò senza indugiare: ‘Federico, lui è Gilberto. Gilberto, lui è Federico’. Il mangiatore di patatine si avvicinò porgendo la mano destra, con cortesia ma senza troppa partecipazione: ‘Piacere’, disse. Federico non gliela strinse. ‘Si, si, piacere mio. Ora però dileguati, che devo parlare in privato con Clarissa’. La ragazza lo fissò a bocca spalancata, e anche Gilberto restò interdetto. ‘Ma”, provò a protestare l’ospite. ‘Ma, niente. Sono ore che sei qui, è sufficiente per una visita di cortesia, no? Ora scusaci, ma devi uscire. E ti conviene farlo da solo’, incalzò Federico, in un tono che non ammetteva repliche. Gilberto guardò esterrefatto Clarissa, che gli fece spallucce. Visibilmente innervosito, afferrò il giubbotto e lasciò l’appartamento, senza salutare nessuno.
Una volta avvertito il rumore della porta che si richiudeva, Clarissa si rivolse, rabbiosa, a Federico. ‘Ma cosa cazzo ti è preso?’. Lui la fissava senza replicare. ‘Tu non puoi venire qui e cacciare la gente! Chi ti credi di ess”.
Non riuscì neppure a finire la frase, che Federico l’aveva già sollevata di peso e sbattuta al muro, prima di baciarla con foga, tenendola schiacciata tra il suo corpo e la parete. Clarissa, ancora imbestialita, provò a liberarsi, dimenandosi senza successo. Poi, avvertendo la lingua di Federico esplorare in maniera vorace la sua bocca, gli strinse il collo e rispose a quel bacio con altrettanta furia.
Quando il ragazzo la portò in braccio verso il tavolo, a lei parve di essere una bambola nelle sue mani.
‘Non pensare di cavartela così facilmente’, ringhiò Clarissa, mentre Federico le sfilava la maglia, liberando le sue grosse mammelle e prendendone possesso. Intanto, lui, con la mano libera, eliminava l’ingombro prima dei suoi pantaloni e poi di quelli della ragazza. Sfilando, in seguito, prima i suoi slip e poi le mutandine di Clarissa, avvertì il ridotto indumento intimo di lei appena umido nella parte centrale.
Quando avvicinò il suo pene eretto alla vagina della padrona di casa, ne percepì immediatamente il calore. Avvertì i sospiri di Clarissa farsi più intensi, mentre la posizionava sul bordo del tavolo, e si eccitò oltremodo per i suoi gemiti e le sue urla quando, dopo averle sollevato le gambe sulle sue spalle, la penetrò fino in fondo, prendendo a sbatterla con foga. I grossi seni della ragazza seguirono il ritmo dei poderosi affondi di Federico, prima che lui facesse scorrere le mani lungo l’addome di Clarissa, prendendone possesso con cupidigia.
‘Sii’ scopami’ fammelo sentire tutto dentro’ così”, incitava Clarissa, tra gemiti e sospiri, mentre la rapidità e profondità dei movimenti di bacino di Federico si accentuavano sempre più ad ogni istante che passava, e i rumori di quell’amplesso si facevano via via più intensi, a causa sia degli umori che ormai sgorgavano copiosi dal sesso aperto e bagnato della ragazza, sia dallo scroto di Federico che, gonfio di sperma, sbatteva, sempre più rapidamente e con più violenza, contro le labbra della vagina di Clarissa.
A quel ritmo, non ci volle molto prima che entrambi raggiungessero, all’unisono, un orgasmo devastante. Clarissa si abbandonò completamente sul tavolo, col petto che le si gonfiava affannosamente, in debito d’ossigeno, mentre Federico le riversava nelle viscere numerosi fiotti del suo seme bollente.
‘Tu sei solo mia, vedi di non dimenticarlo’, le disse, con ancora il suo membro infilato nella vagina. Chinandosi su di lei, le afferrò il mento e le infilò nuovamente la lingua in bocca.
Dopo qualche secondo, Federico si staccò dal corpo bollente della ragazza e, col suo pene che non accennava a perdere consistenza, iniziò comunque a rivestirsi. ‘Stasera, cinema?’, chiese Clarissa, osservando il grosso membro del ragazzo scomparire sotto la stoffa dei pantaloni. ‘Magari domani’, rispose lui, scorrendo gli occhi sul corpo nudo ed invitante della padrona di casa, ‘Ora vado a prendere un paio di pizze per cena e poi torno qui, ti riempirò talmente tanto di cazzo da farti passare la voglia di far entrare uomini in casa’. Un sorriso tra il divertito e il malizioso fece capolino sul viso di Clarissa: ‘Be’, se questa è la tua vendetta, dovrò invitarlo più spesso Gilberto’. Federico non si voltò mentre camminava verso la porta d’ingresso. ‘Se ci tieni a vederlo tutto intero, io eviterei fossi in te. A fra poco, troia mia e soltanto mia’, replicò, rimarcando, in tono deciso, la parola ‘soltanto’. ‘A dopo, porco’, rispose lei, appena prima di scoppiare in una fragorosa risata.

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