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Racconti Erotici

In tasca

By 26 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Io to ho fatto scappare. Tu mi hai fatto capire cosa mi piace. Mi sono fatta dire chi sono e poi ti ho mandato via.
Pensavo che tu fossi deviato. Strano. Ero innamorata di te, tanto, troppo e troppo spaventata. Ma quando mi facevi giocare e io fingevo di essere in imbarazzo sapevo che ti piaceva di più.
Mi ricordo di quando, mentre facevo la doccia, hai nascosto tutta la mia biancheria. Lo trovai uno scherzo stupido e capii che non lo era solo quando mi resi conto che non mi avresti reso niente fino a che non lo avessi deciso tu. Avrei voluto ucciderti ed ho voluto sfidarti. Ho voluto farti vedere che ero più forte, più pronta di quanto tu pensassi. Mi ricordo il tuo viso ed il tuo sorriso limpido e sporco mentre mi infilavo il vestito, quello blu, quello che ti piaceva perchè anzichè coprirmi, a dire tuo, non faceva che scoprirmi. Uno stupido vestitino di cotone, corto, un vestito insignificante che io nemmeno pensavo di indossare per uscire e che per te era un intero mondo di piacere. Sentirmi nuda, sotto il vestito, era una sensazione nuova. Era, subito, solo una sensazione fresca. Ricordo il tuo sguardo tra le mie cosce mentre mi infilavo i sandali e non capivo perchè ti piacesse così tanto rubare quella vista quando ti bastava chiedere per vedere ed avere tutto ciò che desideravi. Eri così, non ti capivo e mi limitavo a fare ciò che ti piaceva.
Mi ricordo il tuo sorriso limpido e sporco anche quando, mentre mi avviavo verso l’auto, mi hai detto che avresti preferito andare in tram. Perchè in centro è pieno di gente. Non dicesti che era pieno di traffico ma di gente, me lo ricordo bene.
“D’accordo, ho un paio di biglietti”.
“Oggi offro tutto io amore, andiamo a comprarli”.
Lo trovai stupido. Forse un ingenuo tentativo di gentilezza. Ma niente di quello che facevi era stupido, ogni cosa aveva uno scopo e il tuo scopo era sempre quello di divertirti con il tuo giocattolino nuovo. Credo che fosse per questo che cambiavi spesso la tua compagnia, perchè per te era solo un gioco, ti divertivi tanto ma dopo un po’ i tuoi giocattoli si rompevano tutti. Irrimediabilmente. L’ho capito solo quando io ho rimesso a posto i miei pezzi.
In un chiosco insignificante ho iniziato a capire qual era il gioco a cui mi ero trovata a giocare. Quando siamo entrati e mi tenevi il braccio intorno alla vita mi sentivo sicura. Ero allegra e mi ero dimenticata che sotto il vestito c’era solo pelle. Era anche piacevole. Ma mi sono bloccata quando mentre chiedevi, come se niente fosse, i biglietti al ragazzo dell’edicola ho sentito la tua mano scendere ed infilarsi sotto il vestito. L’ho avvertita scivolare tra le mie natiche, volgare, rozza e riuscivo solo a sperare che dietro di noi non ci fosse nessuno, che nessuno vedesse come mi usavi. Come mi lasciavo usare. Fu un sollievo quando per pagare togliesti la mano da me. Mentre porgevi i soldi ti guardavo sorridere e stropicciare la banconota da consegnare all’edicolante. Volevi trasmettergli qualcosa? Volevi che attraverso quei soldi anche lui, in qualche modo, avesse infilato la mano sotto il mio vestito? Uscimmo, io guardavo la punta delle mie scarpe mentre camminavamo verso l’esterno sperando che l’uomo dietro di noi fosse appena entrato e non si fosse fermato a guardare il mio sedere nudo mentre tu lo palpavi in quel modo osceno. Non ebbi il coraggio di guardarlo ma ero certa di sentirmi addosso un sorriso malizioso e soddisfatto. L’impressione di una vostra intesa mi spaventava, immaginai uno sguardo di complicità fra voi due, ti vedevo strizzargli l’occhio con quel tuo solito sorriso dolce e folle. Non potei nemmeno evitare di sentirmi eccitata all’idea di quell’uomo che si godeva pacificamente lo spettacolino, al fatto che tutto ciò che io volevo fosse solo tuo tu lo stavi condividendo in maniera malata con uno sconosciuto.
Aspettando il tram avevo l’istinto di unire le gambe con forza, i miei muscoli eranto tesi perchè le mie sensazioni erano cambiate e mi trovavo sulla linea che divide il fastidio dal piacere, sentivo una leggera umidità che mi metteva a disagio ma che mi faceva anche sperare che potesse diventare qualcosa di più bello.
“Perchè fai queste cose? Mi fai vergognare”
“Non so, ho pensato che il tuo culo era lì a disposizione ed ho pensato di approfittarne”
“Qualcuno poteva vederti. Poteva vedermi”
“Hai ragione, sul momento non ci ho pensato ma quando siamo usciti c’era un tizio che ci guardava in maniera strana. Forse era solo un’impressione”
E sorridevi, i tuoi occhi brillavano nel vedermi imbarazzata e io misi il broncio e pensavo a quell’uomo che guardava una mano tra le mie natiche in un’edicola. A mano a mano che aumentava la mia vergogna aumentava anche la mia distanza dalla sensazione di fastidio. Avevo caldo.
Sul tram due sole altre persone. Ebbi paura che tu volessi esagerare e continuare a mostrarmi a degli sconosciuti. Avevo già deciso che sarei scappata e non ti avrei più voluto vedere ma come al solito non avevo capito le tue intenzioni. Ci sedemmo una a fianco all’altro verso il fondo, dando le spalle agli altri passeggeri. Tu stavi dalla parte del finestrino e guardavi me; io non volevo guardarti e fissavo un punto nel vetro in fondo al tram.
“Dai, non fare così, non è successo niente. E’ stato divertente”
“Dio, sei un maiale, mi fai vergognare”
“Sei tu che mi hai detto che ti capita di fantasticare su queste cose”
Era vero. Più volte ti avevo detto che mi piaceva masturbarmi all’aperto e che mi eccitava pensare che qualcuno potesse scoprirmi in quelle situazioni. Ma era una fantasia e non mi ero mai messa nelle condizioni di farlo accadere davvero, ero sempre molto attenta.
“Sì ti ho detto che è una fantasia ma dalla fantasia alla realtà c’è molta distanza”
“Ok, d’accordo, anche se la distanza c’è perchè tu ce la vuoi mettere, ma se ti da’ fastidio lasciamo perdere. Però adesso calmati, se devi essere arrabbiata è inutile che andiamo in giro insieme”
“Hai ragione, forse esagero ma mi mandi fuori di testa con queste cose. Lasciamo perdere”
Un bacio delicato e pace era fatta.
Mi chiedesti se a parte tutto non avessi avuto qualche brivido.
“Può darsi”
“Non può essere può darsi. Può essere solo sì o no”
“Diciamo che poteva anche piacermi ma mi vergognavo troppo”
“Nel senso che ti sei eccitata e non volevi”
“Una cosa del genere”
Tra una fermata e l’altra il tram scampanellava come sempre -non ho mai capito con quale logica- e intanto ci avvicinavamo al ristorante.
Sapevo che nonostante tutto il discorso non era finito. Non avevi avuto quello che volevi.
“Ora non ci vede nessuno. Non ti vede nessuno. Lascia che ti guardi io”
Era vero di nuovo, nessuno poteva vederci.
Mi accarezzavi la spalla facendo dei piccoli arabeschi con un dito. Giocherellavi con la spallina del vestito mentre mi baciavi con quel tuo modo gentile, quel modo allo stesso tempo malizioso e delicato. Mi ero tranquillizzata, sentivo le gambe che si rilassavano e sentivo che mi abbassavi la spallina. Mi voltai per controllare che nessuno fosse rivolto verso di noi ma era rimasto un solo altro passeggero che guardava avanti e sembrava non sapere neppure della nostra presenza. Ti lasciai fare. Scopristi lentamente il mio seno. Sentire l’aria che lo avvolgeva mi diede un fremito. Ora sono eccitata. Adesso ti voglio , voglio che ti abbassi e che porti la lingua sul mio capezzolo. Non è questo che volevi? No. Non è questo. Il mio seno è libero, il tram continua la sua corsa e tu ti accomodi contro lo schienale e dai un’occhiata fuori dal finestrino.
“E’ una bella giornata” mi dici.
Io sto seduta lì. Imbambolata. Eccitata. Mi accarezzo il seno. Mi sfioro il capezzolo e stringo un poco. Ho voglia di andare oltre.
Ti volti verso di me.
“Beh allora non ti ha dato così fastidio”
Ho il mio seno nella mano e sento il bacino che si vuole rilassare, voglio muovermi. Ma non voglio darti soddisfazione. Se è questo il gioco voglio giocare anch’io.
“Sei uno stronzo. Sei un porco.”
E tu mi baci. Mi baci e sposti la mia mano dal mio seno. Sento che prendi il capezzolo tra le dita, sento attraverso le tue labbra che sorridi a sentirlo così duro. Hai vinto, sei sempre stato più bravo a giocare ed io che di solito non mollo mai con te sono una perdente, mi hai fatta eccitare facendo il contrario di quello che voglio.
E ancora una volta mi rendi frustrata lasciando il mio seno e sollevando la spallina, coprendolo, facendomi venire paura che il gioco sia finito, facendomi illudere che per una volta io voglia più di quello che vuoi tu.
Le nostre labbra si staccano ma tu resti così vicino, sento che respiri lentamente davanti alla mia bocca. Sono in tua balia.
“Guardati”. Non so nemmeno se tu me l’abbia detto davvero o me lo sia immaginato
Abbasso lo sguardo su me stessa e vedo la forma dei miei capezzoli tendere la stoffa del vestito e poi mi rendo conto di essere scivolata in avanti sul sedile, sono quasi sdraiata ed ho scostato le gambe. Di colpo mi rendo conto di non avere nemmeno le mutandine, mi sollevo di colpo e stringo le cosce con tutte le mie forze. E tu ridi. Mi prendi sempre in giro. E nonostante tutto io ti amo e ti voglio. Ormai sai che non devi chiedermi niente, sono io che ti imploro. Mi vergogno e intanto ti bacio e finalmente sento la tua mano risalirmi lungo la pelle della gamba. La sento infilarsi sotto il vestito e percorrere lentamente l’interno della coscia. Sento il contatto della tua mano con le mie labbra e mi rendo conto di quanto sono eccitata. Mi accarezzi lentamente mentre mi baci ma io sono stremata dalla voglia e dall’imbarazzo. Abbandono il mio pudore, ti prendo il polso e te lo spingo contro di me per farti sapere che voglio di più che, sono pronta. Ho paura e voglio venire. Tu hai pietà di me, smetti di baciarmi perchè sto iniziando a mugolare troppo forte, ho bisogno di aria, devo restare silenziosa, sento la tua mano che si agita, conosci il mio ritmo, conosci il mio corpo, ti sento infilare un dito dentro di me e ti sento spingere esattamente in quel punto, sai che mi fai perdere il controllo così, sto perdendo tutta me stessa, la tua mano adesso non è più delicata, è rozza e io chiudo gli occhi e mi si blocca la gola e ho paura di strozzarmi per non urlare mentre vengo. Sono sfiancata, mi sento una troia, sudata, sono scomposta e ti vedo al mio fianco, seduto con le gambe accavallate, calmo e sorridente. Sereno. Mi volto d’istinto, il passeggero ha cambiato posizione ma non sembra essersi accorto di nulla. Il tram si è fermato, faccio appena in tempo a stringere di nuovo insieme le gambe e a risollevarmi sul sedile mentre vedo un uomo salire dagli scalini davanti a noi due. Mi guarda. Che cosa ha visto? Che cosa vuole vedere? Devo avere scritto in faccia quello che ho appena fatto, probabilmente ho il viso sconvolto e probabilmente arrossisco ancora di fronte a quello sguardo. Si siede poco più avanti e guarda fuori dal finestrino. Sorride fra sè. Anche tu sorridi. Non so più capire cosa mi succede intorno.
Mi accarezzi il viso e i capelli con le dita, sistemi una ciocca dietro il mio orecchio e sfiorandomi l’orecchino mi dai ancora un tremito. Mi baci leggero e mi chiedi se mi sono divertita.
Mi vergogno, non riesco a guardarti negli occhi. Riesco solo a sospirarti un “sì” che nemmeno io so se è di rabbia o di gratitudine
Infili la mano nella tasca dei tuoi pantaloni e ne estrai un paio delle mie mutandine.
“Le altre sono in macchina. Però ho pensato di portartene un paio. Sai ho creduto che ad un certo punto avresti potuto vergognarti di stare così”
Non so nemmeno cosa risponderti. Mi prendi in giro, ridi di me. Sento che mi ami mentre lo fai, sei fatto così e a me piaci.
Prendo la coulotte – la coulotte, come piace a te, certo. Guardo indietro, il primo passeggero non c’è più. C’è solo l’uomo salito da poco. Continua a guardare fuori dal finestrino. Allora mi abbasso e rapidamente mi infilo le mutandine alle caviglie e le sollevo fino al ginocchio cercando di coprirmi con il corpo. Controllo l’uomo, guarda fuori, allora in un attimo sollevo il bacino e finalmente riesco ad infilarmi la coulotte. La sensazione del cotone asciutto mi rilassa. Quando l’uomo si volta vede solo una ragazza silenziosa che si sistema il vestito sulle cosce ed il suo ragazzo che sorride. Lo vedo indugiare sulle mie gambe come se fosse la cosa più bella che gli è capitato di vedere oggi.
Fu una buona cena. fu divertente.
Dopo poco tempo non eravamo più insieme, nonostante tutto io non ero pronta a te e le cose finirono così come erano cominciate, con la consapevolezza di amarci ma con troppa confusione per potere stare insieme.
Oggi dopo quattro anni ti rivedo e sei in compagnia del tuo nuovo giocattolo, lei è stupenda e capisco perchè con lei le cose durano, perchè lei non si rompe, vedo in lei la disposizione a prenderti per quello che sei, per accettarti, sopportarti ed avere la forza di darti tutto ciò di cui hai bisogno. La invidio, mi sei sempre mancato e gli errori si pagano. Ha un sorriso così bello. Così sincero.
Le hai detto chi sono? Le hai detto di quel piccolo periodo che abbiamo condiviso che per me è una vita? O sono solo una tua vecchia amica?
Per venire qui, oggi, in onore tuo non porto biancheria. Porto solo un vestitino di cotone blu. Seduti a questo tavolo mi stupisco e mi imbambolo come allora quando sento una mano sulla coscia. Rimango immobile ed ho solo la lucidità di vedere che le tue mani sono impegnate, una disegna delle forme che non so più sul tavolino e l’altra regge la sigaretta. Lei sta appoggiata al tavolo con tutto il corpo come una ragazzina e le sue mani sono nascoste. Vi guardo mentre vi sorridete a vicenda e non so se avere paura o lasciarmi trasportare in un nuovo gioco.

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