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La schiava Olga – dalla padrona

By 3 Agosto 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Olga, stesa per terra, cercava con la mente di ricordare tutti i particolari della sua schiavitù. Aveva capito che l’unico modo per tenere Luigi tranquilo era quello di raccontare con dovizia di particolari la sua storia. Più lei veniva umiliata e più Luigi si eccitava. La degradazione che le tornava alla mente le era utile per sopravvivere, ora che credeva di non farcela più a tenere i livelli usati per tanto tempo.
“E che faccio se mi riporta indietro? Speriamo di essere la sua schiava per tanto tempo. Se mi vorrà cacciare lo supplicherò di farmi battere per lui. Con i soldi delle marchette potrà pagarmi a Frank, assumere un’altra schiava e divertirsi. Io starò attenta a non farmi scoprire e lui mi troverà utile. Potrà dire in giro che lo fa per aiutarmi, e sarà vero.”
Assorta in questi pensieri sentì la piscia di Luigi che la copriva tutta. Stette immobile, in attesa della pedata che le dava ordine di muoversi. Le arrivò poco dopo, nel culo.
-Vacca, vatti a lavare con la pompa del’acqua fredda, puzzi di piscio.
– Si padrone.
Si alzò svelta muovendo culo e tette affinchè Luigi potesse insultarla meglio. Luigi si divertiva quando le poppe le ballonzolavano e non disdegnava la sua figa larga. Olga era felice di sentirsi chiamare “vacca da monta, troia sfondata, buco del gabinetto”. Capiva che Luigi aveva piacere ad usarla e forse l’avrebbe tenuta.
Aprì il rubinetto dell’acua gelida e si lavò davanti a Luigi, anche se lui sembrava non cagarla. Si lavò le tette, i fianchi, le ascelle, poi si aprì bene la figa e diresse lì il getto. lo fece a lungo perchè lui potesse guardarla, se ne aveva voglia, poi si diresse anche al buco del culo. lo aprì bene, a Luigi faceva piacere vederlo bello largo. “Sì, sono larga perchè puoi farmi quello che vuoi, e anche dell’altro”. Quando ebbe finito si asciugò con un panno sporco, quello sì usato per pulire i cani. “Se lui vuole userò qualcosaltro” Luigi non disse nulla. Quando ebbe finito si mise in piedi, gambe larghe, mani dietro la nuca, in segno di assoluta servitù.
– Copriti, schifosa. E continua la tua storia.
Felice Olga si rimise il vestitino bene attenta che si vedessero le poppe. La gonna era giù ma bastava niente a riprenderla. Riprese il suo racconto.
– Gelinda mi fece diventare la sua bestia. Cisco mi portò da lei e mi fece, brusco: torna alle sette! Annuì. Gelinda quando mi vide mi fece mettere nuda. Poi mi mise due dita nella figa. E’ un gesto che fece tantissime volte, per rimarcare la sua proprietà. Lo faceva come si accarezza un cane. Non mi sognai mai di chiudere le gambe, mi avrebbe ammazzato di botte. Mi esplorò con calma, guardandomi negli occhi. Io li tenevo bassi.
-Sei sfondata, vacca!
Le dita andavano su e giù mentre mi parlava.
– Oramai sei un gabinetto per i maschi. Con me farai le pulizie. Le farai con addosso il vestito, arrotolato sui fianchi. Figa e tette li dovrai fare sempre vedere.
-Si padrona.
-Comincia subito.
Non aveva tolto ancora le dita dalla mia vagina, non avevo ancora il permesso.
Quando le tolse le chiesi, con gli occhi bassi:
-Devo pisciare.
– Cagna, tu sei una bestia, non pisciare nel cesso. Prendi quel secchio: tu piscerai lì dentro e quando finirai di lavorare getterai la tua piscia vicino al recinto dei cani.
Presi il secchio e lo misi tra le gambe, poi, a occhi bassi, cominciai a pisciare. Gelinda mi diede una sberla.
-Mi fai schifo!
Poi mi guardò mentre mi scaricavo. A occhi bassi le chiesi:
-Come posso asciugarmi?
– Con le mani, sei una bestia!
Lo feci, poi mi passai le mani sui fianchi.
– I piatti li lavi e non usare la lavastoviglie che si rovina. I pavimenti li scopi e li lavi con scopa e straccio, attenta a non rovinarli.
Annuì.
-Quando lavi il pavimento inginocchiati e tieni le gambe larghe così ti abitui a quello che sei, una bestia.
Annuì e cominciai a lavorare. Il lavoro era lungo.Quando ebbi finito mi chiamò:
-il bagno fallo particolarmente bene, ci tengo. La tazza del cesso la passi prima con la lingua, poi con lo straccio, e anche attorno al cesso. Poi vengo a controllare.
Feci tutto al meglio. Sentì ad un certo punto una pedata: Gelinda era venuta a controllare se pulivo il cesso con la lingua. Lo feci con scrupolo, mentre le sue dita mi ispezionavano la vagina.
-Sei bagnata, cagna? No? Peccato! e mi diede una sberla su una tetta.
Finito il lavoro mi avvisò con un calcio in culo che dovevo tornare da Cisco.
-Ora vai a farti sfondare dai maschi, vacca! Sei contenta?
Una sberla mi fece capire che dovevo rispondere. Abbassai gli occhi e dissi ad alta voce:
-Sono qui per questo, per essere utile.
Mi diede un pugno in pancia.
-Sei qui per farti sfondare, cagna, non fare tanto la pudica che sei un cesso!
– Ha ragione, padrona, sono una cagna, un cesso e sono contenta.
Parve sodisfatta della risposta e mi lasciò andare a soddisfare gli operai che tornavano dal lavoro.
la mia vita andava avanti così, e non sapevo se era meglio Gelinda o gli operai, che ogni giorno si sfogavano su di me.
Gelinda mi trattava come un animale che viene punito o premiato a seconda del suo umore. Mi carezzava, soprattutto mettendomi le dita nella vagina e nel culo. Mi bastonava se aveva niente da fare, o se era incazzata.
Le piaceva ispezionarmi la figa, le piaceva che io mi posizionassi pronta per le sue dita. Quei semplici gesti erano la prova che lei poteva entrare in me come e quando voleva.
Le piaceva farlo anche quando c’erano ospiti. Io stavo nell’appartamento, nuda e con la mercanzia bene in mostra. Quando veniva qualcuno continuavo a lavorare, incurante degli sguardi o delle palpate che mi venivano date. Ben presto mi accorsi che Gelinda, cui non interessava che qualcuno mi palpasse, aveva piacere a infilarmi le dita nella vagina di fronte agli ospiti. Io dovevo stare a gambe larghe, con gli occhi bassi, mostrando tutta la mia umile disponibilità di fronte a tutti. Come esprimeva il suo potere accarezzando i cani allo stesso modo lo manifestava infilandomi con noncuranza le dita nella vagina.
Si padrone, mi infilava le dita così, come fa lei adesso.
-Guardami negli occhi cagna.
Olga guardò umile il padrone.
– Sei larga e sfondata. Che piacere aveva a toccare un buco sfondato dai cazzi?
– Non lo so signore. Credo fosse il piacere di sentirmi ai suoi piedi, di potermi esplorare con capriccio, di vedere che per me era normale farmi infilare le dita di fronte a tutti. Cosa preferisce, signore, bocca, culo o figa?
Olga aveva visto Luigi che voleva usarla.
Luigi le diede una sberla.
– Non devo dirlo a te cagna. Stai larga.
– Mi scusi padrone.
Olga aspettò che il getto di piscia la lavasse bene, offrì tutto il corpo, la bocca, poi ad un gesto di Luigi cominciò a succhiarlo per farlo venire.
Dopo che venne e lei aveva ingiottito rimase lì, larga e sporca, in attesa di ordini.
-Vatti a lavare cagna, che mi fai schifo.
Poi sentiremo i seguito.
Olga corse a prendere la pompa dell’acqua e a pulirsi, contenta che il nuovo padrone, in fondo, non facesse nulla di peggio di quanto aveva provato e si preparò nella mente il seguito del racconto

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