Skip to main content

La sora Nena

By 7 Aprile 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Una delle poche storie ‘vere’

C’&egrave erotismo, sesso, ma anche tanta realistica malinconia in questa breve storia, verissima, emersa dal fondo dei ricordi.

Siamo nel lontanissimo marzo del 1943!
Reparto in allestimento per andare in Russia, nell’ARMIR, Armata Italiana in Russia, giovanissimo ufficialetto. Una cittadina non molto lontana da Roma.
Avevo preso alloggio presso quella che era conosciuta come la ‘Sora Nena’, la signora Nazzarena. Una solida e prosperosa donnona, sempre allegra, sorridente, che fittava una camera, la più bella del modesto appartamento nella vecchia casa quasi a ridosso del castello. Non nascondeva i suoi quaranta anni, anche se ne dimostrava meno e aveva una agilità straordinaria malgrado l’abbondanza della sua persona. Non era sgraziata, no, e tutto era fiorente e rigoglioso. Un simpatico viso ovale, con labbra carnose, capelli nerissimi, ondulati, occhi di carbone, come si diceva allora, e un petto florido, quasi in contrasto col ventre abbastanza piatto. Braccia e gambe ben tornite, anche se non magre, fianchi forti, glutei vigorosi.
Due figli, Primo di diciannove anni e Mariella di quindici.
Marito alle armi, come ‘Milite’ nella MVSN e inviato in Sicilia.
Il figlio, Primo, arruolatosi volontario in aeronautica, a Viterbo, come aviere.
Casa pulitissima. Era lei a curare la mia camera, le mie cose, a lavare e stirare la mia biancheria e, pur non avendoglielo richiesto, ci teneva molto a lucidare gli stivaloni. Era orgogliosa del suo lavoro.
Mariella andava a scuola dalle suore.
In effetti mi trovavo bene. Qualche volte restavo a cena da loro.
I discorsi di Nena erano sempre gli stessi.
‘Ma ‘sta guerra, quanno finisce? E voi, sor tené, ce dovete proprio annà in Russia, dove stanno li rossi?’
Non riusciva a farsene una ragione.
Quando potevo facevo una ‘scappatina’ a Roma, dove avevo la fidanzata, Elena, che piaceva molto alla Sora Nena pur la conoscendoa solo per la fotografia che avevo sul mio comò e che lei spolverava diligentemente.
A me quel donnone ispirava serenità e mi era molto simpatico. Non nascondo che più volte avevo immaginato come sarebbe stato interessante poterla ammirare senza i vestaglioni che indossava. Lei li chiamava ‘zinali’. Mi veniva da sorridere pensando alle tettone, ed ero curioso di sapere se fossero ‘toste’ o ‘mosce’. A giudicare dal non eccessivo ballonzolare che facevano quando lei si muoveva, dovevano essere ben sode.
Il bel sederone, poi, dal come si vedeva attraverso la stoffa, doveva essere duro come una pietra. Al caff&egrave dove andavo la mattina, ero ‘er tenente che abbita da Nena la paccona’. Loro le natiche le chiamano ‘pacche’.
Erano trascorsi poco più di tre mesi. Si avvicinava la partenza per il fronte.
Tornando a casa, dissi a Nena che tra due giorni avrei lasciato la camera: partivo!
Mi guardò sgomenta, cogli occhi pieni di pianto.
‘Ma come, mì marito in Sicilia, Primo lontano e mo’ ve ne annate puro voi?’
Deglutì, non disse più nulla, se ne andò in cucina.
L’indomani mi aiutò a preparare il bagaglio. Una parte l’avrei lasciato a Roma, a casa di Elena, e il resto lo dovevo sistemare nella cassetta d’ordinanza.
Prima che io uscissi per andare al Comando, mi disse che mi aspettava a cena, aveva rimediato un abbacchio ottimo e l’avrebbe fatto al forno con le patate.
Strana cena d’addio, quella sera, con un’atmosfera che ci sforzavamo a far apparire serena, quasi allegra. Mariella aiutava la madre, ogni tanto mi guardava e sorrideva. Mi chiese di mandarle una cartolina dalla Russia, e mi assicurò che lei e le suore avrebbero pregato per me e per tutti i militari, così come faceva per suo padre e suo fratello.
Nena aveva preparato veramente qualcosa di ottimo. Mi complimentai con lei, per tutta risposta abbozzò un sorriso innaturale, e andò in cucina a prendere il ciambellone scuotendo leggermente la testa.
S’era fatto abbastanza tardi, Mariella disse che andava a letto perché doveva alzarsi presto per andare a scuola.
La salutai affettuosamente.
Dopo un po’ dissi a Nena che la ringraziavo, e che ci saremmo accomiatati l’indomani, andavo a letto anche io.
Ero a letto, infatti, al buio e con gli occhi aperti, volti al soffitto. Mille pensieri che si accavallavano nella mente.
Ad un tratto sentii aprire lentamente la mia porta. Nella penombra scorsi la gagliarda sagoma di Nena che era entrata e aveva chiuso la porta dietro di sé. Rimasi in silenzio. Si avvicinò al mio letto, tolse il ‘zinale’ che indossava e rimase completamente nuda. Maestosa, magnifica, e in un certo senso affascinante. Un paio di tette veramente gagliarde, e ben sostenute, come avevo immaginato, una pancetta un po’ rotonda, un fitto bosco nero che dal pube scendeva a nascondere le cosce dove si univano. Era evidente che non s’era mai depilata! E un sedere che pur nella scarsa luce della camera risaltava vigoroso e solido, perfettamente tondeggiante, affascinante, stuzzicante, appetitoso. Ti veniva voglia di mordere quella grazia della natura. Morderle le tette, le natiche, e perfino di strappare coi denti qualche ricciolo bruno che impreziosiva la meravigliosa valle che custodiva tra le gambe.
Un effetto scioccante la vista di tanta opulenza. Ricordai come il mio attendente aveva definito Nena: ubertosa. Proprio così, Nena era la allettante immagine della fertilità, fecondità, prolificità.
Voce sommessa, appena comprensibile.
‘Scòstate un po’, sor tené.’
E senza attendere risposta, alzò il lenzuolo e s’infilò nel letto, accanto a me. Sarebbe più esatto dire quasi sopra a me’, con una tettona sul mio petto e una grossa e soda coscia sulla mia gamba.
Allungò la mano, mi tocco’.
‘Sor tené, toj&egravete sta robba!’
Mi aiutò, con calma ma decisamente, a sfilare giacca e pantaloni del pigiama. Buttò tutto per terra. La mano percorse tutto il mio corpo, fino a quando non incontrò la irresistibile erezione che s’era subito manifestata, prepotentemente.
Con agilità impensata, si mise su me, sorreggendosi sulle ginocchia, con le tette che carezzavano il mio petto. Mi prese il volto tra le sue mani e cominciò a baciarmi: gli occhi, le labbra, e la sua lingua saettò nella mia bocca, e fu bellissimo.
Si fermò un momento, mi fissò.
‘Nun me devi scorda’, bel moretto, te devi ricordà de Nena, dovunque, anche si stai con n’antra!’
Fu spontaneo afferrare uno dei suoi lunghi e turgidi capezzoli tra le labbra, cominciarlo a ciucciare avidamente.
‘Ciuccia, more’, ciuccia che mo’ te ciuccio io!’
Era roca la sua voce.
E mentre seguitavo a popparla golosamente, lei prese il mio glande e lo portò nel suo bosco incantato, vicino all’ingresso della grotta del paradiso, calda e umida. Non immaginavo che un donnone del genere avesse, di contro, una vagina così voluttuosamente stretta.
‘Si bellissima, Nena, bellissima e’ stretta’ deliziosamente stretta”
Lei stava lentamente impalandosi, con lenti e delicati movimenti, e il mio fallo si stava facendo strada in quel calore stupendo.
‘Si, però anche tu’ me sembra un palo de foco’ Quanto sei bello’ quanto sei grosso, ma mo’ te ciuccio io, te faccio ved&egrave come te riduco”
E ci si mise si buzzo buono. Cominciò al passo, poi al trotto, e infine un galoppo travolgente, mentre le mie mani le tormentavano, alternativamente, natiche e tette.
Nena cominciò a gemere, sempre più forte, tanto che temevo che Mariella potesse sentirla.
La voce era ansante, un po’ roca.
‘Sto’ a gòde, amore mio’ ecchime’ sto a venì’. ecchime’. eeeeeeeeeccchi’.me!’
E si gettò su me, fremente, col grembo in tumulto, la vagina che poppava convulsa il mio fallo, mentre io non riuscivo proprio ad allontanarmi e la invasi col getto caldo e generoso del mio seme.
‘Ammappete, tené’ quanto ce n’hai’ nun finisce mai’. Che bello”
Era abbandonata su me, ma non ne sentivo il peso. Sentivo, invece, la dolcezza del suo seno, il calore delle sue cosce’!
Le carezzai il volto, la schiena, le natiche.
‘Sei meravigliosa, Nena. Splendida, grandiosa, eccezionale’ ma non ce l’ho fatta a tirarmi indietro..’
‘T’avrei strozzato se lo facevi!’
E la vagina, d’incanto, si animò, lo strinse con forza, lo strizzò.
‘E non hai paura di quello che può capitare?’
‘Nun te peroccupa’, moretto, ce penso io, tu pensa a quello che devi fa”
Mi fece chiaramente capire, muovendosi, che voleva sdraiarsi, supina, e mi tirò su lei, tra le sue cosce. ‘Lo’ riprese in mano e rimase contenta notando che la mia virilità era quasi completamente tornata in tutta la sua evidenza.
‘Rimettilo dentro, tené’ daje, che la notte finisce, e il giorno viene presto!’
Non me lo feci ripetere, e la pompai quasi con furia, al ritmo di una sempre più veloce ‘ciac ciac’ dei nostri corpi che sbattevano, e lei che aveva ripreso a gorgogliare, per finire, ancora una volta con un ‘ecchime’ che cercai di soffocare con un bacio.
Una mungitrice eccezionale, la sua vagina.
Ma non era finito.
Ero sdriato su lei, su quel caldo morbido tappeto di carne palpitante.
Non disse nulla, ma garbatamente mi spinse da un lato e si mise a pancia sotto, si poggiò sulle braccia e sulle ginocchia.
Compresi benissimo cosa si aspettava.
I nostri corpi erano sudati, e in certe parti ben impiastricciati con la linfa del suo piacere e l’abbondante balsamo che avevo sparso in lei.
Che chiappe, monumentali, e in fondo al solco, umida e fremente, la sua vagina.
Fu più facile, questa volta, entrare in lei.
Lo scroto batteva tra le natiche.
Con una mano le afferrai una tetta e con l’altra cominciai a tormentarle il clitoride che fremeva. Lei sculettava lascivamente, pregustando e godendo i colpi decisi che facevano affondare il lei, al massimo, il mio inebriato e inebriante fallo. Sempre il ‘ciac ciac’ delle nostre carni e il suo ‘ah’ ah’ ad ogni mia spinta. Sentivo gli spasmi deliziosi della sua vagina. Aumentavano, divenivano smaniosi, febbrili e stava per raggiungere di nuovo il suo caratteristico e irruente orgasmo, accompagnato dal lungo gemito e dal grido liberante: ‘ecchimeeeeeeeeeee’! Mi scaricai completamente in lei, le sue cosce tremavano, il suo grembo sussultava. Si gettò sul letto, ed io su lei, e ‘lui’ in lei!
Ero stato spremuto fino all’ultima goccia. Eravamo stremati, sfiniti, ma felici, appagati.
Mi misi su un fianco, lei venne a posare i suoi sodi, caldi e imbrattati glutei sulle mie natiche, mise la sua mano dietro, ‘lo’ afferrò e ‘lo’ posizionò nel meraviglioso solco del suo spettacolare didietro, col glande a contatto del rugiadoso e pulsante buchetto che rifletteva il piacere del suo sesso.
Era piacevole stare così, rilassante.
Si addormentò, mi addormentai.
Fu lei a svegliarsi per prima.
Si voltò verso me, con le tettone sul mio petto.
‘Mettilo qui, more’, qui, tra le zinne’ al caldo.’
E ci stette benissimo. Lei, con le mani, muoveva quelle prospere mammelle e ‘gli’ procurava un piacere dell’anima. Stavo per concludere, Nena se ne accorse.
‘No, te prego, nun venì adesso, rimettilo al posto suo’ lo sai dove”
E si mise sdraiata, cosce larghe, ginocchia alte. Quando mi misi tra le sue gambe, le alzò, le poggiò sulle mie spalle e spinse il bacino verso me.
Altra entrata trionfante del mio pisello più vispo che mai. Altra stantuffata meravigliosa, e, alla fine, mentre sentivo che c’era ancora qualcosa in me da riversare in lei, fummo contemporaneamente raggiunti da un indescrivibile orgasmo che ci lasciò letteralmente stremati.
Fuori, la campana della chiesa, batt&egrave l’ora in cui normalmente Nena andava a svegliare la figlia.
Si alzò, prese il ‘zinale’ lo infilò alla meglio.
Mi baciò appassionatamente sulla bocca, mentre con una mano mi stringeva forte il fallo.
Piangeva. Mi raccomandò di stare attento, di avere cura di me. Mi baciò ancora.
‘Nu te scordà de me! Devi tornà, hai capito? Devi tornà, te vojo rived&egrave!’
Sparì silenziosamente, come era entrata.
^^^
Russia, ripiegamento, marce infernali, ogni qualvolta mi guardavo intorno mancava sempre qualcuno. Finalmente una ferrovia, un treno per i feriti, poi la dimissione dall’ospedale, licenza di convalescenza.
Metà agosto 1943. Caldo. Poca gente in giro.
Decisi di andare a salutare Nena, al suo paese, a dirle che ero tornato.
Bussai al portoncino, e dovetti ribussare prima che si aprisse una imposta e si affacciasse una donna, anziana.
‘Che volete?’
‘Cerco Nena!’
‘Chi?’
‘Nena.’
‘Che, non ce lo sapete che Nena &egrave morta sotto il bombardamento del 19 luglio? Era ita dal fratello, a Roma, al Tiburtino, per portaje un po’ da magna!’
^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply