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L’Astronave

By 1 Agosto 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Sentivo freddo sulla schiena, come fossi appoggiata ad una lastra di marmo. Il metallo si sarebbe riscaldato a contatto con il mio corpo, ma quel tavolo dove ero stata adagiata restava ostinatamente gelato, strappandomi brividi incontrollabili attraverso il sottile tessuto della camicetta. Feci per sollevarmi soltanto per scoprire che una larga fascia di cuoio mi attraversava la gola, bloccandomi su quel che percepivo sotto di me come un altare. Allo stesso modo, cinghie simili imprigionavano i miei polsi lasciandomi le braccia lungo i fianchi. Quando tentai di muovere le gambe scoprii che anche me caviglie erano state legate allo stesso modo, lasciandomi le gambe leggermente dischiuse. Aprii gli occhi, sbarrandoli, soltanto per essere accolta da una luce accecante che pareva in tutto e per tutto quella biancastra e gelida di una sala operatoria, che non mi dava modo di scorgere altro che quel bagliore che mi abbacinava, e le ombre indistinte che si chinavano su di me. Credo fu allora che cominciai ad urlare, senza riuscire a sentire la mia voce.

L’ultima cosa che ricordo del mio mondo.. la terra’ &egrave una notte di settembre, ancora abbastanza calda da consentirmi di portare con me soltanto una giacca di jeans sopra la camicia bianca. Tornavo a casa dopo un turno massacrante al pronto soccorso, specializzanda al primo anno in chirurgia. Ero stanca, crollavo dal sonno, e l’unica cosa che volevo era tornare a casa e stramazzare sul letto a dormire. Che bella idea, per due treni, deragliare proprio mentre stavo per lasciare l’ospedale. Erano più di trentasei ore che non dormivo, dunque, quando mi sentii strattonare inspiegabilmente verso l’alto, pensai semplicemente di essermi addormentata sul marciapiede e di star finalmente sognando. Sì’ tutto questo doveva essere sicuramente un incubo.

Dalla mia gola non usciva alcun suono, dunque dovevano in qualche modo aver paralizzato la mia laringe. Sopra di me, scintillava uno strumento metallico collegato ad un braccio meccanico. Un ronzìo insistente si levò nella sala e il braccio meccanico prese a muoversi, avvicinando lo strumento al mio corpo. Potevo scorgerne ora la punta tagliente farsi sempre più vicina, all’altezza delle mie spalle. Un altro braccio meccanico, che portava una pinza montata all’estremità si mosse verso di me. Cercavo di dibattermi, di sfuggire quello che vedevo come un bisturi pronto a tagliarmi la carne, ma scoprii un’altra fascia di cuoio a bloccarmi il bacino.
Il sibilo della stoffa del giubbotto di jeans, mentre veniva reciso lungo le spalle e le maniche, ed eliminato in brandelli da sotto la mia schiena dalla pinza. Il mio seno si muoveva veloce, ritmicamente, sotto il mio respiro accelerato, i capezzoli tesi per il freddo sporgevano dalla stoffa della camicetta e del reggiseno. Il bisturi prese a far saltare i bottoni della mia camicia, aprendola sempre di più, fino a scoprire l’ombelico. La pinza di metallo intervenne per sfilare il tessuto dai jeans, prima che la lama acuminata finisse l’opera di sventramento di quel sottile scudo della mia intimità. Me la lasciò in brandelli, appesa alle spalle per le maniche, mentre tagliava via le spalline del reggiseno. La pinza metallica sollevò l’indumento per il centro, un colpo secco di bisturi, e il mio seno fu messo a nudo, bianco, irrigidito dal freddo. Tentai di nuovo di urlare, folle di terrore, quando la pinza metallica mi sfiorò, gelida, entrambi i capezzoli, quasi desiderasse saggiarne la consistenza., prima di scendere ad agganciare la vita dei Jeans. Il rumore raccapricciante della stoffa che cedeva poco a poco, non fu nulla rispetto al terrore che provai quando vidi entrambi gli strumenti abbassarsi tra le mie cosce, sul sesso coperto soltanto dalle mutandine di cotone bianco. Il bisturi si posò sul pube, strisciando verso il basso, sfiorando il clitoride mentre tagliava lungo la fessura delle labbra la stoffa, mettendo a nudo la mia intimità. Ero solita radermi del tutto il sesso e mi maledissi per questa vanità. Almeno non sarei stata così esposta ora. Un colpo secco di lama sui fianchi e le mutandine furono rimosse. Tremavo, nuda, esposta a quella luce accecante. La pinza metallica si abbassò di nuovo tra le mie cosce, la sentii, gelida, insinuarsi nel mio sesso, e poi la pressione, mentre scostava di lato le grandi labbra, esponendo così la parte più delicata e sensibile del mio corpo. L’aria gelida del laboratorio s’insinuava tra le pieghe contratte della vulva, mentre mi sforzavo di non tremare, temendo che ogni più piccolo movimento potesse spingere chi manovrava quegli strumenti a causarmi un dolore indicibile. Artigliai il metallo in preda al terrore, con un altro urlo silenzioso quando il bisturi scomparve dalla mia vista avvicinandosi ancor di più al mio bassoventre, tra i rebbi allargati della pinza che mantenevano aperte le grandi labbra. Sentii il freddo della lama scivolare senza ferirmi contro il clitoride, ritratto sotto il cappuccio, da un lato e dall’altro, quasi che il bisturi lo stesse schiaffeggiando. Non so cosa volesse ottenere, forse che si gonfiasse di piacere a quella stimolazione, ma ero troppo spaventata. Le lacrime mi scorrevano incontrollabili sul volto quando il braccio con il pericoloso strumento si ritrasse e la pinza lasciò la presa sul mio sesso, solo per spostarla a schiudermi le piccole labbra, dolorosamente. Non mi ero mai sentita tanto aperta, violata, esposta. In quel modo, il mio piccolo, minuscolo centro del piacere era del tutto messo a nudo, pulsante di terrore. Un terzo braccio si mise in moto, con quel ronzio da incubo e vidi passare davanti ai miei occhi spalancati una siringa colma di una sostanza rossa, che si abbassò fra le mie gambe. Lo spruzzo freddo di un antisettico, a giudicare dall’odore, fu seguito dall’affondo dell’ago esattamente al centro del mio piacere. Los stantuffo si abbassò e la pressione del liquido iniettato nella clitoride mi diede la sensazione che qualcosa stesse stringendo delicatamente quel duro nodulo di sensazioni. Poi le pinze e la siringa si ritrassero, lasciandomi a fare i conti con gli effetti di ciò che mi era stato iniettato.
Calore.. attorno al pube, un leggero formicolìo sulle piccole labbra, come se qualcosa le stesse solleticando. Una sensazione piacevole, a dispetto della situazione, uno stuzzicare continuo, languido, della mia intimità. Sentivo la clitoride gonfiarsi di quel piacere, pulsare, e gli umori cominciare a scorrere. Era come se labbra invisibili mi succhiassero quella sporgenza rosea, delicatamente, senza fretta, una delicatezza che ben presto divenne la più straziante delle torture. Volevo di più e sollevavo il bacino cercando di offrirlo a quell’amante invisibile, dibattendomi nei legacci senza riuscire nemmeno a chiudere le gambe per trovare sollievo a quel tormento con la pressione delle cosce, tenute aperte dalle cinghie. Singhiozzavo, senza riuscire né a raggiungere l’apice, né a liberarmi di quel piacere straziante’ sentivo le labbra del mio sesso gonfie, bollenti nell’aria gelida. Due pinze più piccole si sollevarono a stringermi ritmicamente i capezzoli duri, eretti tanto da far male, aggiungendo un nuovo tormento. Ero folle, folle di quel piacere, tanto che non provai nemmeno l’ombra della paura quando sentii una benda calarmi sugli occhi, oscurandomi la vista, impedendomi di vedere la mano calda, innaturalmente liscia, che mi si posò sul seno, scorrendomi sul ventre. Agonizzavo sotto quel tocco, tentando di sollevare di nuovo il bacino verso quella mano, in una implorante offerta. Dovette accettarla, perché avvertii due dita morbide, fresche a confronto della mia carne bollente, scorrermi sulle labbra del sesso, pizzicandomi le più interne, lucide di umori, per risalire a stringere tra pollice e indice la clitoride, allo stesso ritmo delle pinze che mi torturavano i capezzoli.
Esplosi. Letteralmente. L’orgasmo che mi premeva dentro mi squassò fin nel profondo dell’utero e le sue dita si conficcarono in me, con una bassa, roca risata di scherno, mentre lo straniero si godeva la stretta delle mie contrazioni spasmodiche e arrese sulla sua mano. Le sentii scivolare via, mentre crollavo esausta e incosciente sul tavolo.

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