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Le disavventure di Erica

By 5 Maggio 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Le disavventure di Erica

Quel giorno mi sentivo più che mai caldo, mi pareva di scoppiare da un momento all’altro, volevo gridare a tutti che avevo voglia di scopare e proprio quel giorno la lezione universitaria di biologia era capitata su quell’argomento. Ascoltavo come inebetito le parole del professore mentre guardavo il fondoschiena di Erica che le fuoriusciva dai pantaloni troppo larghi e anche la maglietta era troppo corta. Avevo una pazza voglia di toccare quel pezzo di carne e leccarglielo all’infinito. Più di una volta avevo cercato di confessarle di essermi innamorato, ma lei non aveva mai avuto il tempo e la voglia di ascoltarmi. A causa di ciò mi sentivo stupido, mi colpevolizzavo, ma da quando mi accorsi che non mi salutava più avevo capito che era perché ero taciturno, solitario e timido. Io non riuscivo ad accettare quella situazione per così dire razzista nei miei confronti, ero deciso più che mai a volermi riscattare, volevo farla mia, anzi l’avrei fatta mia.

La campana della fine delle lezioni suonò, io ero solitamente il primo a uscire dalla scuola, ma quel giorno non fu così.
Erica era assieme alle sue amiche e mie compagne, io mi indirizzai verso il bagno esterno, vidi il gruppo di fanciulle avviarsi verso l’uscita. A quel punto chiamai Erica, lei si voltò e quando vide che il mio dito le indicava di venire da me, lei venne dicendo alle amiche che le avrebbe raggiunte dopo. Quando si trovò davanti a me con aria annoiata mi chiese: – Che vuoi? ‘ non le risposi, la presi per i capelli e la trascinai in bagno, chiusi la porta alle mie spalle, sapevo che l’avrebbero chiusa a chiave tra due minuti per poi essere riaperta dopo un’ora. La lasciai e lei subito presa dalla rabbia si avventò su di me, le assestai due schiaffi molto forti, la spinsi contro il muro in fondo e le dissi: – Adesso tu farai quello che dico io e senza protestare -, lei cercò di ribattere ma subito le tirai un manrovescio a piena forza. Adesso si trovava con la faccia gonfia e rossa e sotto le mie grinfie, cosa molto brutta soprattutto perché avevo già in mente cosa farle. In quel momento l’addetto chiuse la porta, che aveva trovato già chiusa. Erica cercò di gridare, ma in quel momento aprii una delle porte che dava sul cesso turco, le infilai dentro la testa e tirai lo sciacquone. Quando la tirai su era tutta con i capelli scompigliati e la faccia bagnata, chiusi anche quella porta, solo che stavolta la chiusi con la chiave. La mia compagna sarebbe uscita da lì completamente cambiata.
Quel luogo era un metro per due e le pareti erano coperte di lisce piastrelle e bloccavano ogni tentativo di fuga della ragazza. A quel punto mi pregò mugugnando: – Ti prego non farmi del male, fare tutto quello che vuoi, ma non farmi male -.
– Tutto quello che voglio, eh? ‘
– Sì, quello che vorrai ‘
La guardai con un’espressione divertita e gridai: – Inginocchiati e tirami giù i calzoni e le mutande! ‘
– Cosa mi vuoi fare? ‘
– Taci, vacchetta e fai quello che ho detto ‘
Lei eseguì mentre una lacrima le solcò il viso.
– Apri la bocca ‘ ormai era rassegnata, era sotto i miei ordini, eseguiva tutto senza nessuna difficoltà.
– Prendilo in bocca e fammi venire -.
Cominciò a spompinarmi con molta dolcezza, mentre le lacrime le eruttavano dai suoi occhi. Le schiacciai la testa contro il bacino sentendo i suoi respiri soffocati dal mio membro eretto. La mollai e lei continuò fino a farmi venire.
– Ingoia tutta la mia sborra, non perderne una goccia -.
Per mia fortuna lei fece cadere dalle sue labbra una stilla del mio liquido seminale. Le tolsi allora il membro dalla bocca e le assestai un calcio in piena pancia. Lei si piegò e vidi quel fondoschiena sensuale uscirle dai pantaloni.
– Per aver perso una goccia della mia sborra, sarò costretto a punirti ‘ lei cominciò
a supplicarmi: – No, ti prego, non lo farò più, ma non punirmi ‘
– Zitta, troia! Per avere 21 anni ti lamenti troppo. Penso che un paio di cinghiate ti faranno bene ‘ lei cominciò a piagnucolare, io la presi per i capelli e le sbattei la fronte contro la parete piastrellata e le urlai: – Calati i pantaloni e le mutande, il tuo culetto diventerà scarlatto dalle cinghiate. Mi raccomando se non conterai, ricomincerò da capo -.
Sfilai la cintura di cuoio dai pantaloni e cominciai a scudisciarle il culo, mentre lei tra le lacrime a causa del dolore e dell’umiliazione contava.
– U..no –
– D..ue ‘
– T..re ‘
Quando arrivai a venti scudisciate mi fermai, la tirai verso il mio uccello e gli ordinai di aprire la bocca, le pisciai in gola mentre lei era al culmine della disperazione.
– Beh, non mi dici niente? -.
Erica mi guardava con uno sguardo ebete, io le tirai uno schiaffo facendole sbattere la testa contro la parete.
– Sì dice grazie, non ti hanno insegnato l’educazione? Te la insegnerò io allora. Tu
da questo momento sei la mia schiava personale, ogni cosa che ti dirò tu la farai e ogni volta che protesterai ti darò una lezione -.
Erica era sbigottita dalle mie parole e cominciò a supplicarmi piangendo: – Ti prego risparmiami, non farmi questo, non voglio -.
Io mi misi a ridere: – Beh, adesso non fai più la sbruffona, eh? Adesso hai capito chi &egrave veramente il solitario e il taciturno. Da adesso sarai costretta a chiamarmi Padrone e siccome a me non piace il Lei mi darai del Voi. Da adesso in poi sei la mia schiava, se ci tieni alla vita non azzardarti a raccontare niente in giro -.
La porta del bagno in quel momento venne riaperta, Erica tentò di rialzarsi ma io le dissi che da quel momento avrebbe camminato a gattoni.
– Permettetemi almeno di lavarmi il viso, Padrone –
– Non preoccuparti ho una soluzione per te ‘ le infilai nuovamente la testa nel cesso e tirai lo scarico, la tirai su e le dissi: – Beh cosa mi dici? -.
– Vi ringrazio Padrone per avermi permesso di rinfrescarmi il viso-.
– Adesso vattene, vacchetta, ci vediamo domani -.
– Ma domani &egrave domenica -.
– Appunto, sono solo, perciò domani alle nove ti dovrai trovare a casa mia. Sparisci adesso e gattona fino alla porta, poi potrai andartene a piedi -.
– Arrivederci Padrone -.
– A domani schiava -.
Vidi Erica sparire dietro la porta e sussurrai: – Schiava nuova, vita nuova ‘ e me ne tornai a casa.
Le prime luci dell’alba mi svegliarono dal torpore, ero abituato da anni a svegliarmi presto la mattina. Però quel giorno era uno dei pochi in cui ero incredibilmente felice, infatti quando guardai l’orologio e vidi che erano le sette e mezza, gioii nel sapere che fra meno di due ore sarebbe giunta quella sguattera di Erica. Già ridevo al solo pensiero di vendicarmi di tutti i torti subiti da quella cagna, non vedevo l’ora di dare sfogo alla mia genialità di padrone. Mi alzai alle otto dopo una mezz’ora di riflessione su quell’argomento così divertente, andai in bagno mi lavai e poi tornai in camera per vestirmi con la solita eleganza, che avevo preso a modello da quando avevo cominciato l’Università. Al liceo non avevo mai sopportato di dovermi presentare in classe vestito come un comune ragazzo, per me l’eleganza era tutto, anche nei giorni non festivi. Quando mi fui interamente preparato mi guardai allo specchio, che avevo appeso in camera mia per non perdermi mai di vista. Questa era una delle poche massime che avevo accettato di Baudelaire, il poeta francese che mi aveva incantato con i suoi ‘Fiori del male’, ma torniamo a noi. Quella domenica quando mi specchiai vidi attorno a me una strana aura, il vestito che avevo indossato mi dava il vero carattere di un padrone, fantastico! Subito dopo mi recai alla mia scrivania dove ero solito cimentarmi in racconti e poesie e ovviamente dove studiavo per gli esami universitari, aprii un cassetto e comparve sotto i miei occhi un frustino e un collare di cuoio con inciso il nome ‘Nina’, quei due oggetti li avevo comperati per la mia schiava, che sarebbe giunta da un momento all’altro. Presi tra le mani il frustino e lo sbattei violentemente contro la scrivania di legno di ciliegio e pensai: ‘Questo sul sedere di quella cagna di Erica farà più bella figura che non la mia cintura di cuoio. E poi la cinghia &egrave fatta per tenere fermi i pantaloni e non per fustigare le schiave’. Risi di un riso amaro, poi sentii il campanello suonare e mi precipitai alla porta con il frustino e il collare nella mano. Era Erica e subito mi salutò: – Buongiorno, Padrone ‘ io le tirai uno schiaffo e lei protestò: – Che mai ho fatto per meritarmi questo? ‘ un altro schiaffo le colpì il volto, la vidi barcollare e poi cadere. A quel punto dissi: – In mia presenza devi sempre essere a gattoni, troia -. Lei abbassò lo sguardo e chiese di essere perdonata, la guardai, la presi per i capelli e la trascinai in mezzo al soggiorno: – Spogliati -. Erica obbedì senza dire più nulla. Quando fu interamente nuda mi avvicinai a lei e le legai al collo il collare e le spiegai che da quel giorno sarebbe stata anche la mia cagna.
– Sì, Padrone ‘
Una frustata le colpì in pieno la schiena: – Da quando le cagne parlano? Spiegamelo troia di una schiava ‘ altre scudisciate le caddero come fulmini su tutto il corpo e mentre sentivo le sue lamentele di dolore io ridevo, poi mi fermai e ordinai: – Solleva la testa e apri la bocca ‘ Erica eseguì io le sputai il mio catarro nella sua gola e lei ingoiò.
– Vieni con me devo infliggerti un’altra punizione per non avermi ringraziato ‘
– Va bene, Padrone ‘
La portai in bagno, il cesso era l’unico posto in cui meritava di stare, a quel punto la presi per i capelli e le cacciai la testa nella tazza del water, poi mi slacciai la patta dei pantaloni e lasciai che una bellissima cascata dorata le cadesse in testa, poi abbassai la tavoletta sulla sua testa e mentre gridava tirai lo sciacquone, le sue grida svanirono nel rumore dell’acqua, che si trasportava via il mio prezioso piscio. Quando alzai la tavoletta Erica uscì fuori distrutta, andò a cadere di schiena sul pavimento del bagno. La lasciai lì per terra, perché nel frattempo avevo avuto la grandiosa idea di chiamare Giulia, una donna che aveva fama come Padrona e che sotto i suoi piedi aveva avuto più di trenta schiave, che poi aveva abbandonato perché non erano perfette per le sue esigenze. Quando la chiamai le dissi che avevo una schiavetta da presentarle, Giulia accettò subito e disse che sarebbe giunta a casa mia da un momento all’altro. Arrivò quando Erica si era appena ripresa ed era uscita dal bagno.
Quando Giulia entrò in casa mia mi chiese: – Dov’&egrave la tua schiava? ‘ le indicai l’angolo in cui era accovacciata Erica, lei allora le si avvicinò e le disse: – Ma ciao piccola troia, adesso ci divertiamo un po’ -. Giulia dall’alto del suo metro e ottanta prese Erica per i capelli e la trascinò in mezzo al soggiorno, si tolse le scarpe con i tacchi e le ordinò di pulirle con la lingua tutte e due per bene. Quando quella schifosa di schiava che avevo ebbe finito, Giulia mi chiese se avessi una manciata di ceci, io gliela portai.
– Girati sguattera ‘
Erica si girò mostrando il sedere a Giulia non sapendo cosa avesse intenzione di farle, la famosa Padrona si avvicinò con tre ceci rugosi all’ano di Erica e tra le sue grida glieli cacciò dentro, quando ebbe raggiunto la decina si fermò e fece cacciare fuori i ceci a Erica tempestandola di calci nello stomaco. Giulia si divertiva a guardare Erica che soffriva mentre dal buco del culo gli fuoriuscivano ceci rugosi e taglienti, alla fine Giulia si rimise le scarpe, diede un ultimo calcio a Erica mi salutò dicendo che sarebbe tornata presto e uscì da casa mia. Guardai quella cagna della mia schiava rantolare sul tappeto del soggiorno piena di lividi e ferite sanguinanti. Cominciai a ridere come un pazzo e pensare che la giornata era solo all’inizio.

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