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Racconti Erotici

Lorena

By 15 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Era entrata, con un timido sorriso appena accennato sulle labbra sottili, dal disegno perfetto.
Indossava un impermeabile.
Si era seduta sulla sedia che lui le aveva indicata, la borsa sulle ginocchia, le mani sulla borsa.
Un po’ rigida.
‘Prego, tolga pure il soprabito, lo appenda all’appendiabiti, nell’angolo.’
Lei si alzò, andò verso l’attaccapanni, appese la borsa ad un gancio, sfilò l’impermeabile e lo mise sulla borsa, tornò dove sedeva prima.
Non era molto alta. Vestiva una gonna nera, che le modellava i fianchi rotondi, e una blusa di lana bianca, aderente, che poneva in rilievo la prepotenza dei capezzoli del seno sodo e ben proporzionato. Le gambe snelle, un po’ nervose, dicevano della sua agilità, e certamente di qualche attività sportiva. Volto tondo, occhi neri sormontati dall’arco lieve delle sopracciglia, capelli lunghissimi, raccolti a coda di cavallo, molto curati, lucidi.
Lui la osservò a lungo, aprì un cassetto della scrivania, estrasse un foglio e glielo porse.
‘E’ una specie di job description, l’elenco dei compiti affidati al posto che lei dovrebbe occupare. Legga, per cortesia.’
Lorena prese il pezzo di carta e lo scorse rapidamente.
‘A me va bene tutto, professore, desidero lavorare per mille ragioni, ma la principale, ad essere sincera, &egrave che ne ho un gran bisogno. La famiglia ha sempre maggiori esigenze”
Restituì il foglio.
‘Vede Lorena -si chiama così, vero? Lo leggo dal suo curriculum- io sono solo, e da quando mia moglie, Vera, &egrave morta, sono completamente staccato dal resto del mondo. I figli hanno il loro da fare, gli amici o sono scomparsi o si sono anch’essi ritirati a vita quasi anacoretica. Non sono nemmeno più invitato a tenere qualche conferenza. Forse &egrave anche colpa del mio carattere. Ho chiuso lo studio, che tenevo quando avevo un’attività febbrile. E mi sono ritirato in questo appartamento. Leggo molto, scrivo qualche articolo per delle riviste tecniche, mi addormento dinanzi alla televisione. Ho preparato quella che ho definita job descriprion soprattutto per saggiare la reazione di chi dovrebbe venire qui ad aiutarmi, e forse volutamente sfuggo il termine assistermi. E’ una figura che non so ben definire. Deve curare che in casa tutto funzioni nel migliore dei modi, deve disbrigare piccole faccende esterne, deve assicurarsi che l’appartamento sia pulito, che i conti siano pagati. Deve rispondere al telefono, aiutarmi a disbrigare la sia pur rara corrispondenza, rileggere, a volte, quanto scrivo. Spedire le mie lettere, i miei plichi. Se ne avessi bisogno, accompagnarmi alla piccola trattoria dove consumo i pasti o, nel caso io sia fisicamente impossibilitato ad uscire, sovrintendere all’aiuto ‘che lei sceglierà- che dovrà pensare alla mia alimentazione. Leggo che &egrave sposata, e deve averlo fatto quand’era ancora bambina se ha un figlio di sedici anni. Che ne dice?’
Lorena lo aveva ascoltato con grande attenzione. Lo guardava, ora, con commozione, quasi con tenerezza.
‘Se ha fiducia in me, io credo di poter soddisfare in pieno le sue attese, professore. Del resto, lei potrà riservare una decisione definitiva dopo un periodo di prova. Mi permetta un suggerimento. Prima di pensare a un possibile aiuto per la casa e per gli eventuali pasti, vediamo cosa c’é da fare. Io sono abituata ad occuparmi dell’andamento quotidiano della famiglia, dalla preparazione della colazione, alle pulizie, alla spesa, al mangiare e quant’altro occorra per mantenere tutto in ordine. Ora che lavorerò ‘se lavorerò- ci penserà mia cognata a darmi una mano. Per le faccende domestiche. E’ nubile, vive con la madre poco distante dalla mia abitazione, e l’azienda dove lavorava ha chiuso i battenti. Circa l’età che avevo alle mie nozze, &egrave vero avevo sedici anni. Ma bambina, mi creda, non ho mai avuto la fortuna di esserlo stata.’
A mano a mano che parlava andava infervorandosi, e il suo volto era deliziosamente arrossito.
La guardò sorridendo.
‘Bene, Lorena, credo che basteranno alcune ore al mattino. E’ logico che la domenica sarà libera. Lei già conosce, perché ne abbiamo parlato per telefono, qual’&egrave il compenso che, almeno inizialmente, le posso dare. Poi vedremo.
Vuole iniziare domattina ?’
‘Perché non adesso, professore?’
‘Venga, allora, le mostro la casa. Prenda la sua roba. Potrà usare quella che una volta era la camera degli ospiti.’

Giorgio Solari era già seduto alla sua scrivania. Leggeva il giornale. Dinanzi a lui un piccolo vassoio con i resti della piccola colazione: una spremuta di pompelmo, un cappuccino, un croissant.
Sul tavolino a fianco del proprio tavolo di lavoro, aveva fatto installare una derivazione del videocitofono e un comando col quale poteva aprire la porta d’ingresso.
Un breve ronzio. Premette il pulsante. La voce del portiere lo informò che la signorina Lorena chiedeva di salire.
‘La faccia accomodare, Luigi, grazie. Ho dimenticato di dirle che la signorina verrà spesso, l’ho assunta per aiutarmi un po’, per farmi compagnia. Lei lo sa quanto sono solo.’
Dopo poco fu la volta del campanello dell’uscio.
Ne comandò l’apertura.
Lorena entrò allegra e sorridente.
‘Buon giorno professore.’
Aveva lo spolverino sul braccio e la tracolla della grossa borsa sulla spalla.
‘Buon giorno, Lorena.’
‘Torno subito, professore, vado a lasciare l’impermeabile.’
Indossava stessa gonna e stessa blusa del giorno precedente.
Si, pensò Giorgio, &egrave veramente carina, fresca, sembra molto più giovane della sua pur verde età.
Lorena era di fronte a lui.
‘Già al lavoro, professore, e vedo che ha fatto colazione. Ma chi l’ha preparata?’
‘Il ragazzo del bar me la porta ogni mattina, unitamente ai giornali.’
‘Da domani ci penserò io, professore. Qui c’&egrave tutto, anche il forno a microonde per intiepidire i croissants.’
‘Non serve che si disturbi, Lorena.’
‘Nessun disturbo, E’ un mio desiderio. A che ora desidera fare colazione, alle otto e trenta va bene? Dica lei.’
‘Ma non &egrave necessario che venga così presto. Ha suo marito, i suoi figlioli, pensi prima a loro”
‘Mio marito esce di casa prima delle sette e dei ragazzi si occupa la zia.’
Giorgio aprì un cassetto della scrivania e n’estrasse delle chiavi.
‘Con queste potrà entrare liberamente, senza bisogno di farsi annunciare né di bussare. Poi le insegnerò ad usare i blocchi che vanno inseriti per la notte e quando ci si assenta per qualche giorno. Dall’interno si comandano con la piccola leva che &egrave custodita sotto il quadro a destra della porta d’ingresso. Dall’esterno, occorrono delle altre chiavi.’
Le porse un grosso anello di metallo lucido infilato in tre chiavi, piatte, non molto grosse.
Lorena prese le chiavi, le mise sul vassoio coi resti della colazione, e si allontanò. Tornò presto e restò in piedi di fronte al professore.
‘Ho rigovernato i recipienti della colazione e se mi dice dove li devo riportare”
‘Fra poco verrà il ragazzo a riprenderli.’
‘Per favore, professore, gli dica che da domani non torni più. Penserò io a tutto.’
‘Ma’ ‘
‘Professore, per favore’ non serve alcun ma. Cosa vuole che faccia, adesso?’
‘Segga su quella poltrona. Mi parli di lei.’
‘Non c’&egrave molto da dire, di me, professore.
Sono nata a Viterbo, in una casetta nei pressi di Porta Faul, da dove si vede il campanile di San Lorenzo, la Cattedrale. Mio padre mi ha sempre detto che mentre io nascevo moriva il compagno Togliatti, a Jalta. A solo due mesi la famiglia si &egrave trasferita a Roma. Mio padre aveva avuto il posto di bidello al Leonardo da Vinci. Poi, una trafila comune a tante bambine: l’asilo, le elementari, la media, e mio padre che mi ha trascinato all’Istituto per ragionieri. Andavo bene, sa? Ma Roberto, che veniva spesso a prendere a scuola la sorella, Marina, mia compagna di banco, mi parlò chiaramente. Lui il posto già lo aveva, lavorava alle Condotte, e non vedeva proprio motivo che io conseguissi il diploma e lo facessi tanto attendere per sposarlo. Salvo che… Ma quel suo ‘salvo’ non mi convinceva, e così al termine del secondo anno lui decise di parlare con mio padre perché aveva aspettato anche troppo. I miei genitori dissero che ero ancora una bambina, ma poi, temendo qualche colpo di testa, acconsentirono. E devo confessare che, anche se le difficoltà della vita matrimoniale non &egrave che siano mancate e che manchino, Roberto ed io, in fondo, riusciamo ad andare avanti, a circondare d’affetto e di cure Fabio, che ha quasi sedici anni, e Federico.
Roberto sta sempre alle Condotte, a volte lavora, altre &egrave in Cassa integrazione. Io sono stata impiegata per alcuni anni presso una piccola impresa di trasporti, ma dopo la nascita di Federico ho dovuto lasciare. Ora, però, ci sono esigenze che richiedono un’altra entrata.
Mi &egrave dispiaciuto, professore, creda, dover abbandonare gli studi, lasciare l’impiego. Leggo molto, un po’ di tutto, seguo con grande interesse, quando posso, alcune trasmissioni culturali e scientifiche. Non comprendo sempre tutto, ma mi sembra di respirare l’aria che ho sempre desiderato. Lei comprende, quindi, quanto io spero lavorare per lei. Non osavo neanche sognarlo.’
Giorgio l’aveva ascoltata attentamente, in silenzio, senza mai interromperla.
‘Non so quanto possa essere interessante l’attività che posso offrirle. Comunque le sono grato per aver accettato. Ora, per favore, la prego di rimettere al loro posto quei libri che vede per terra. Sono stati prelevati da vari scaffali. Su ogni dorso troverà la targhetta che indica la lettera dello scaffale e il numero d’ordine d’ogni volume. Nello sgabuzzino troverà una scaletta.’
Lorena andò a prendere la piccola scala di legno color noce, molto stabile, comoda, con un ripiano sul quale si potevano poggiare i libri. Guardò verso gli scaffali. Ognuno era contraddistinto da una lettera in metallo dorato. Si spostò nell’angolo dove numerosi volumi erano sul pavimento e si accoccolò per leggerne le targhette. Si avvolse intorno al collo i lunghi capelli, per non farli strusciare sul pavimento. Formavano una sciarpa nerissima, con riflessi metallici. La gonna, corta, era risalita sulle gambe.
Giorgio la fissava: la rotondità dei fianchi, quando gli voltava il dorso; l’attrazione delle cosce scoperte, leggermente divaricate, allorché gli era di fronte; il mutare del seno a seconda del muoversi. Fu assalito da un turbamento che non avvertiva da tempo. Ebbe un senso di fastidio. Lui, così vecchio. Lei così giovane. Era soprattutto ridicolo, assurdo, forse indizio di maniacalità senile. Si propose di andare in un’altra stanza, di leggere il giornale.
Non si mosse.
Rimase a guardarla, ammaliato, le mani pervase da un impercettibile tremito, le labbra, calde, desiderose di posarsi sul quel collo avvolto dall’ebano dei capelli.
Lorena alzò il volto verso lui.
‘Quanti libri, professore, e molti sono scritti da lei. Le sarò grata se vorrà spiegarmi cosa trattano. Ho capito le materie, ma non comprendo, di molti, neppure i titoli.’
Il volto luminoso, lo sguardo pieno di luce.
‘Sono libri noiosi, Lorena, troppo spesso solo per ricordare agli altri che esistiamo, per difendere cariche e incarichi non sempre meritati. Comunque, se vorrai’ Scusi. Se vorrà”
‘La prego, professore, mi dia il tu, Sarà un onore per me. E mi sentirò più vicina a lei.’
Giorgio sorrise e annuì con la testa.
‘Va bene, cara. Metti i libri sulla scrivanie e sali sulla scala. Te li porgerò io.’
‘Non si disturbi, professore.’
‘E’ per non dimostrarmi sempre parassitariamente inutile.’

Lorena si alzò dalla scomoda posizione in cui era restata a lungo, scosse i capelli, facendoli tornare sulle spalle, e cominciò a mettere i volumi sulla scrivania, dividendoli in gruppi, a seconda della loro destinazione.
‘Li porti sempre così legati i capelli? Sono molto belli, dovresti scioglierli.’
‘Se li slego vanno dappertutto. Li tengo così anche per non lasciarne in giro.’
‘Adesso puoi farli respirare. In quanto a trovarne qualcuno tra i libri”
Lei si drizzò lentamente, tolse il fiocco che le raccoglieva i capelli, mosse la testa. In parte le caddero davanti, fin quasi al terminare della corta gonna.
Portò la scaletta sotto lo scaffale ‘A’, vi salì.
‘Ecco, brava, ora ti porgo i libri.’
‘Non alzi troppo le braccia, professore, si stancherebbe troppo.’
Si chinò verso Giorgio che aveva preso due grossi tomi. I capelli caddero in avanti, carezzando il volto dell’uomo.
Lui sentì un piacevole vellicare, alzò gli occhi verso l’alto sperdendo lo sguardo sotto la gonna di Lorena che, rizzandosi sulla punta dei piedi, sulla scala, stava ponendo i libri sul ripiano più alto.
(Che spettacolo delizioso, che bellezza divina, che proporzioni paradisiache, che curve meravigliose, andava pensando Giorgio incantato da quella visione.)
Lorena lo guardò per qualche istante. Lui era restato immobile.
‘Professore, sta bene? Si &egrave stancato. Lasci. Faccio da sola.’
‘Mai stato meglio, cara, mai stato meglio.’

Quella mattina si svegliò alla solita ora, molto presto, fece la doccia, si sbarbò con cura, andò a rimuovere il blocco della porta d’ingresso, indossò il vestito scuro che abitualmente metteva quando doveva uscire, meno la giacca che sostituì con quella da camera.
Sentì che qualcuno infilava la chiave nella toppa, la girava lentamente, apriva la porta con delicatezza e la richiudeva senza far rumore, accompagnandola con la maniglia abbassata, per evitare il rumore dello scatto dello scrocco.
Andò verso l’ingresso.
Lorena era entrata in punta di piedi e stava avviandosi verso la cucina.
‘Buongiorno, professore. Già tutto pronto, elegante. Deve uscire ?’
‘Buongiorno, Lorena. Non so se uscirò. Deciderò dopo. Cos’hai in quella borsa di plastica?’
‘Ho comprato latte, croissants, i giornali che lei legge. Ora vado a preparare il caff&egrave e le apparecchio per la colazione.’
‘Prepara in cucina. C’&egrave spazio a volontà. E, ti prego, fammi compagnia. Il burro &egrave in frigo, la marmellata”
‘Lo so, professore, mi sono accertata ieri che non mancasse nulla. Scusi un momento. Vado a togliere il soprabito.’
Entrò in cucina, mise la borsa di plastica sul tavolo, andò nella camera degli ospiti, che, come le aveva detto il professore, utilizzava come spogliatoio, e ricomparve poco dopo, con un fuseaux nero e una leggera camicetta rosa pallido, che lasciava intravedere il reggiseno, abbastanza trasparente, che avvolgeva due tettine seducenti e il turgore dei capezzoli provocanti.
Giorgio entrò in cucina.
‘Ti dispiace se siedo qui, mentre prepari la colazione?
‘Anzi’ Del resto se non resta qui come le faccio compagnia?’
‘Io intendo anche che tu faccia colazione con me.’
‘Grazie, professore. Adesso allestisco tutto. Vuole che le imburri i croissants e ci metta un po’ di marmellata, o preferisce dei biscotti, delle tartine ?’
‘Io mangerò solo un croissant, con latte e caff&egrave. Tu prepara per te quello che preferisci.’
Lorena mise sul gas la macchinetta del caff&egrave, scaldò il latte, apparecchiò la tavola, estrasse dalla credenza piattini, tazzine, posate, tovaglioli, zucchero, marmellata, biscotti, i croissants che aveva portato, e quant’altro credette di dover predisporre. Appena il caff&egrave e il latte furono pronti li versò negli appositi recipienti di porcellana e portò tutto in tavole.
‘Vuole della frutta professore o le basta la spremuta che ho preparato?’
‘Va bene così, grazie, vieni a tavola, siedi di fronte a me. Non preoccuparti per me, desidero servirmi da solo.’
‘Come vuole, professore.’
Sedette di fronte a Giorgio e attese che lui si versasse dell’aranciata dalla caraffa.
Lui la guardò.
‘Non prendi un po’ di spremuta ?’
‘Si, grazie, dopo di lei.’
Giorgio mescé dell’aranciata nel bicchiere dinanzi a Lorena.
‘Grazie, professore, non si disturbi.’
‘Mi piace farlo”
Cominciarono a mangiare, in silenzio. Giorgio non riusciva a distogliere lo sguardo dalla camicetta della donna.
‘Qualcosa che non va, professore ?’
‘No, no, va tutto benissimo. Solo che io sono curioso e la curiosità troppo spesso genera indiscrezione ed anche maleducazione.’
‘Non comprendo”
‘Mi chiedevo se’ ma non &egrave il caso che io divenga importuno. Potrei essere considerato villano.’
‘Seguito a non comprendere, professore. Se avesse una curiosità che io possa toglierle, me lo dica pure. Non &egrave possibile che lei sia importuno e tanto meno villano.’
‘Tu hai un fisico snello, divinamente proporzionato, saldo’ non credo che tu abbia necessità del reggiseno. Hai visto che era una curiosità che si potrebbe definire sconveniente?’
Lorena lo guardò con un sorriso disarmante. Abbassò gli occhi sulla tazzina di caff&egrave, vi girò dentro, lentamente, il cucchiaino. Bevve il caff&egrave senza fretta.
‘Mi scusi un momento, professore, torno subito.’
Uscì dalla cucina.
Quando rientrò, il seno respirava nella camicetta, libero da qualsiasi freno. Tornò a sedere al posto di prima. Guardò intensamente il professore, col volto sereno e un lieve affanno che le schiudeva le labbra.
‘Lei ha perfettamente ragione, professore. A lei non sfugge nulla.’

II

La vita di Giorgio era strettamente legata a Lorena.
L’attendeva consultando ansiosamente l’orologio, la seguiva dovunque ella andasse. Trovava mille scuse per farsi accompagnare nei posti più disparati, invocando inesistenti necessità.
Lorena, ormai, non indossava più il reggiseno, ed ogni occasione era buona per metterlo in evidenza.
Giorgio le aveva detto che nel box era custodita la sua non nuovissima ma elegante auto. Se la sentiva Lorena di guidarla?
La donna si dimostrò una perfetta e cauta autista.
‘Professore, per favore, quando dobbiamo uscire insieme, me lo dica. Come vede, a volte indosso delle gonne molto corte e non vorrei che lei si sentisse a disagio, con me, in auto o per la strada. Mi sono permessa di portare qualche indumento per cambiarmi, l’ho messo nell’armadio della camera degli ospiti. Scusi se non le ho chiesto il consenso. Perciò, quando usciamo, basta andarmi a cambiare.’
‘Puoi, anzi devi, chiamarla la ‘camera di Lorena’. Hai fatto benissimo ad usare l’armadio. Quella &egrave la tua camera, puoi farne ciò che vuoi. Anche la doccia, hai visto, &egrave molto comoda. Non capisco come potrei sentirmi a disagio, uscendo quando indossi le moderne gonne corte, quindi nessun problema. Che ne diresti di andare a prendere un po’ di sole al mare? Puoi trattenerti o ti aspettano a casa?’
‘Sono liberissima, professore. Mi preparo in un minuto.’
Giorgio, a sua volta, andò ad indossare qualcosa casual.
Lorena comparve con una microgonna nocciola e una blusa, più chiara, legata su di un fianco. Muovendosi, l’ombelico occhieggiava tra la camicetta e la gonna. Inchinandosi, si scorgeva il seno che tanto attraeva Giorgio. I capelli giungevano fin quasi all’orlo della gonna.
Scesero nel box. Lorena azionò il comando elettronico che faceva aprire la serranda.
‘Tiro fuori l’auto, professore, aspetti pure qui.’
Salì in vettura, la mise in moto, lentamente uscì a retromarcia. Fermò l’auto.
‘Mi &egrave sembrato di udire qualcosa che struscia. Un momento che controllo.’
Si chinò e guardò sotto l’auto, offrendo all’uomo la vista dei suoi perfetti glutei appena divisi dalla piccola striscia di un provocante cache-sex.
Giorgio ne fu sconvolto. Sentì imperioso il desiderio, la brama, di adagiare le sue labbra frementi su quell’incantevole collina di voluttà.
Lorena indugiò alquanto, si accovacciò per guardare meglio, senza alzarsi si voltò verso Giorgio.
‘E’ tutto a posto, non c’&egrave niente.’
Giorgio deglutì a fatica, calamitato dal minuscolo triangolo che occhieggiava tra le gambe della donna. Cercò di mascherare il suo turbamento con una battuta, e un sorriso un po’ sciocco.
‘Si, &egrave tutto a posto,’ non dire, però, che’ non c’&egrave niente”
Salirono in auto. Lorena lo aiutò ad indossare la cintura di sicurezza, si accertò che fosse abbassato il fermo dello sportello. Un armeggiare che significò un generoso strusciare di tette su Giorgio, e la calda vicinanza della coscia nuda di lei sulla sua gamba.
‘Possiamo andare, professore?’
Lui si limitò ad annuire col capo.
La gonna di Lorena era salita quasi all’inguine. Il muoversi delle gambe, durante la guida, poneva in evidenza lo spostarsi dei muscoli sotto la pelle serica, lievemente dorata.
Si avviarono verso l’autostrada che li avrebbe condotti al mare.
Lei guidava senza fretta, a velocità costante. Ogni tanto si voltava verso Giorgio, sorridendogli. Lui le ricambiava il sorriso e tornava subito cogli occhi la dove terminava la gonna. Le mise la mano sinistra sulla coscia, con naturalezza, come a volerne saggiare la saldezza. Non sentì alcuna reazione. Neppure quando accennò a una leggera carezza.
Stavano entrando nella piccola città balneare. Non era ancora piena stagione, ma già c’era gente. Lui ritirò la mano, assunse un aspetto compassato.
‘Andrei allo stabilimento Poseidon, sei d’accordo? Prima, per favore, posteggia in quello spazio a destra, vicino alla boutique.’
Lorena si accostò al marciapiede, con una manovra perfetta.
‘Vuole scendere, professore?’
Al suo cenno d’assenso, lo aiutò a slacciare la cintura di sicurezza e ad aprire lo sportello.
‘L’aspetto qui, professore?’
‘No, scendi anche tu, per favore.’
La prese dolcemente per il braccio e la condusse davanti alle vetrine della boutique.
‘Roba bella, vero Lorena?’
‘Bellissima, professore. Sono cose per signore molto eleganti.’
‘Per donne molto belle. Vieni.’
Entrarono nel negozio. Si avvicinò, premurosa, una commessa. Chiese gentilmente se potesse essere utile.
Giorgio assunse un’aria sorniona.
‘Lei ci sarà certamente preziosa. La signora ha bisogno di ciò che serve per un soggiorno al mare: spiaggia, bar, albergo, ristorante, shopping’ Dal costume da bagno alle calzature.’
Lorena sgranò gli occhi e lo fissò interrogandolo con lo sguardo.
La commessa sorrise e li invitò ad entrare in un salottino, che indicò, dov’erano due comode poltrone.
‘Se i signori hanno la cortesia di attendere un momento, mostrerò quanto, a mio parere, sono i modelli più adatti alla signora, e i più recenti. Intanto farò servire qualcosa: caff&egrave, t&egrave, succo di frutta?’
Lorena e Giorgio scelsero dell’aranciata.
La commessa uscì, le bevande furono portate da un ragazzo.
Dopo qualche minuto la ragazza del negozio riapparve, dette a Lorena e Giorgio due block notes con delle eleganti matite.
‘Cominceremo dai costumi da bagno. Ogni modello, distinto da un numero, &egrave corredato con le relative calzature. Vi suggerisco di annotare sui blocchi ciò che riterrete senz’altro da scegliere e quello che vorreste rivedere per una decisione finale.’
Cominciò la sfilata di magnifiche modelle, in costume da bagno, con prendisole, copricostume, vestaglie, abiti da passeggio, eleganti’..
Lorena le guardava affascinata. Non annotava nulla. Giorgio si chinò verso di lei e le sussurrò all’orecchio:
‘Non ti piace nulla?’
‘Mi piace tutto.’
‘Scegli, allora, i modelli che vuoi.’
‘Sceglili tu’ scusi, li scelga lei’ mi perdoni, professore.’
Giorgio sorrise e le strinse teneramente la mano.
Finita l’esibizione dei modelli, la commessa si rivolse a Lorena.
‘Venga, signora, provi qualcosa per vedere come le sta. A lei, sono certa, sta bene tutto.’
La condusse nello spogliatoio.
Dopo poco, Lorena tornò. Indossava una deliziosa vestaglia. La commessa le fece fare qualche passo, poi le fece aprire l’abito. Sotto apparve un microscopico costume da bagno, in due pezzi. Le fece togliere la vestaglia. Lorena era splendida, bellissima, incantevole. Sciolse il fiocco della ‘coda di cavallo’ e restò così, seducente, deliziosa, ammantata dell’ebano lucente dei suoi meravigliosi capelli.
Giorgio ne restò ammaliato.
Lorena, con voce un po’ roca, gli chiese:
‘Prendo questo?’
‘Anche.’
L’uomo porse alla commessa il foglietto del notes sul quale aveva scritto molti numeri.
‘Per favore, signorina, faccia tenere alla signora ciò che sta indossando, ponga nelle buste gli indumenti coi quali &egrave entrata e quanto ho indicato nel foglietto. Preghi il ragazzo di sistemare il tutto nel bagagliaio dell’auto che gli sarà indicata.’
Lorena lo guardò sbalordita.
‘Ma?”
‘Non ci sono ‘ma’, cara. Pensa tu, per favore, ad aprire il portabagagli. Grazie.’
Firmò un sostanzioso assegno e si avviò verso l’auto, dove, elegantissima, l’attendeva Lorena.
Appena in auto, la donna lo guardò con gli occhi lustri, risplendenti come diamanti. Si accostò a lui e lo baciò sulle guance, sfiorandogli le labbra ardenti.
‘Forse’ ‘disse Giorgio- ‘ti sto creando dei fastidi, delle difficoltà. Cosa diranno, a casa tua, quando ti vedranno arrivare con quanto abbiamo comprato? Sono piccole cose carine, ma tu le impreziosisci. Credo d’essere troppo egoista. Prima ho chiesto il tuo aiuto per qualche mattinata, non tutti i giorni, poi per l’intero giorno, e a volte anche la domenica. Come fai a gestire i tuoi doveri di moglie e madre con quanto io pretendo da te? Per fortuna ti sei persuasa dell’indispensabilità di un aiuto per le cure dell’appartamento. Dobbiamo tenerlo bene, sai, perché io ne sono soltanto l’usufruttuario, la proprietà &egrave dei miei figli.’
‘Quelli che non si vedono mai, professore?’
‘Sono sempre occupatissimi, li comprendo, ma sono tanto cari, mi telefonano quasi tutte le sere. Ecco il Poseidon, scendiamo, lascia le chiavi al parcheggiatore.’
Lorena fermò l’auto. Scesero. Un uomo con un berretto militaresco andò loro incontro e salutò il professore, prese le chiavi dell’auto, che Lorena gli porgeva, e assicurò che l’avrebbe custodita all’ombra.
Il luogo era molto elegante. Quando Giorgio e Lorena entrarono, parecchi guardarono con ammirazione la donna, domandandosi, quelli che lo conoscevano, chi fosse quella giovine donna che accompagnava il professore. Era la prima volta che lui tornava al Poseidon da quando aveva perduto la moglie. Forse, si dissero, era la segretaria del professore, o’?
Giorgio sorrise, salutando gli astanti con un piccolo cenno del capo.
Al direttore che si fece avanti per salutarlo, chiese un tavolo vicino alla vetrata, per il pranzo, e una cabina con veranda.
‘Lorena, ti presento il direttore del Poseidon. Questa, caro direttore, &egrave Lorena, la mia assistente. Ci faccia accompagnare alla cabina, pranzeremo alle tredici.’
‘Se vuole, professore’ ‘disse il direttore- ‘vi faccio servire in veranda, il clima, oggi &egrave ideale.’
Giorgio guardò Lorena, che gli fece comprendere, con gesto, di non aver preferenze in proposito.
‘Va bene, caro direttore, pranzeremo sulla veranda. Tra poco mi mandi la lista.’
Un ragazzo li condusse sulla spiaggia, dov’erano allineate comode e ampie cabine singole, sobriamente ma funzionalmente arredate, munite di doccia e servizi. Ogni cabina aveva un’accogliente veranda, con tende che riparavano dal sole e garantivano la privacy, con un tavolino e due poltrone-sdraio, che potevano trasformarsi in confortevoli lettini.
Giorgio andò a sedere su una sdraio, poggiò le gambe sulla prolunga, e chiese al ragazzo di portargli dei giornali.
Lorena rimase in piedi.
‘Posso mettermi in costume, professore? Non ci vuole molto. Lo indosso già sotto il vestito.’
‘Non devi chiedermi queste cose, puoi fare ciò che vuoi.’
Lei entrò nella cabina e ne riuscì dopo pochi istanti. Il costume, minuscolo, metteva in risalto, evidenziava, le divine forme della donna, senza coprire. Non lasciava nulla all’immaginazione. I lunghi capelli la abbracciavano come un lungo mantello. Si accoccolò sull’altra poltrona, di fronte a Giorgio. Fece un lungo respiro.
La fissò sorridendo.
‘Chi sospira, dicono i francesi, non ha quel che desidera. Cosa desideri?’
‘Sapere perché lei fa tutto questo per me.’
Vieni qui, cara, siedi vicino a me, voglio dirti qualcosa.
Lorena si alzò, e andò a sedere sulla sdraia di Giorgio.
‘Non voglio essere mellifluo, sdolcinato, sentimentalmente retorico, né desidero muoverti a pietà. Non chiedo la tua compassione.
E’ una constatazione distaccata, fredda, fondata sui fatti, anche se essi, logicamente, possono far nascere e alimentare sentimenti.
Tu hai certamente notato come io sia cambiato dal giorno in cui sei entrata per la prima volta nel mio studio. Ho mutato il modo di vivere nel quale mi ero segregato, ho compreso che intorno a me la vita continuava. Hai agito da catalizzatore, hai provocato e favorita una mia reazione senza parteciparvi. Non ti sembri una frase fatta, ma tu sei la mia luce. Quando non sei con me, io sono al buio. Mi basta saperti in casa, e sono tranquillo, sereno. Non posso negare, inoltre, che la tua venustà, la tua bellezza incantevole, mi travolge, mi turba, mi affascina, come se avessi mezzo secolo di meno, come se fossi nel pieno delle mie forze e non, come in effetti &egrave, un vecchio inutile.’
Aveva parlato con tono calmo, senza mostrare alcuna emozione. Carezzava dolcemente la gamba di Lorena che, intanto, si era poggiata su di lui.
Giorgio era rimasto in silenzio, guardava verso il mare, seguitando a carezzare Lorena, ora anche sui capelli.
‘Lei vuole farmi piangere, professore.
Si, ho capito che si sentiva solo, che in me ha trovato il sostegno di cui aveva bisogno. E ne sono felice. Ne ho parlato anche con Roberto, dicendogli, però, solo quello che ho ritenuto opportuno. E lui ha compreso, mi ha detto di aiutarla a superare i suoi momenti di tristezza. Ma questo non giustifica i costosissimi regali che mi fa, né lei deve sentirsi obbligato a invitarmi al suo club, al suo tavolo.
Si, ho notato la sua reazione, ma non &egrave vero che non via abbia preso parte. E se ho destato in lei ammirazione ne sono lieta, ogni donna desidera essere ammirata e, perché no, anche desiderata. Non avrei mai sognato di destare interesse in un uomo come lei. E non le consento, scusi il tono, di considerarsi un ‘vecchio inutile’.’
Gli prese la mano e se la portò alle labbra.
‘Vecchio, Lorena, e inutile. Almeno per una donna.’
‘Ma una donna &egrave gratificata, &egrave felice solo a starle vicino.’
Si sdraiò accanto a lui, lo baciò lievemente sulle labbra.

III
Al ritorno dal mare, Giorgio aiutò Lorena nel portare le numerose buste.
Lorena le aprì tutte, sparse gli indumenti dappertutto, sul letto di quella che era divenuta la sua camera, sulle sedie, sul comò, sul comodino. Tolse il vestito e restò in costume. Andò a chiamare Giorgio.
‘Venga, professore, venga a vedere quanta roba mi ha comprato, e com’&egrave bella.’
Non stava in sé dalla gioia. Prese per mano Giorgio e lo condusse nella camera.
‘Vede? Segga qui, ora la sfilata la faccio io.’
Lo fece sedere su una sedia che aveva liberato dagli abiti, accese tutte le luci, si pose dinanzi al grande specchio dell’armadio. Indossò un prendisole variopinto, a tinte morbide. Si voltò.
‘Le piace?’
‘Si, mi piaci.’
Tolse il prendisole e anche il costume, restò nuda per qualche istante. Giorgio sentì il cuore battergli freneticamente, le mani formicolargli, le labbra bruciargli. Uno spettacolo meraviglioso, attraente, provocante. Lorena indossò un altro costume, gli andò di fronte. Lui la prese per i fianchi, le baciò il piccolo ombelico, inebriato. Lei lo strinse a sé.
‘Vado a fare una doccia, Lorena. Credo sia opportuno.’
Andò nella sua camera, si svestì, si mise sotto la doccia e lasciò che l’acqua cadesse, lenta e tiepida, quasi a dover togliere qualcosa dalla sua pelle, come dalla sua mente. La porta smerigliata della doccia si aprì lentamente, Lorena, nuda, entrò, gli si mise di fronte, gli cinse il collo con le mani, si sollevò, si avvinghiò a lui. Giorgio la strinse a sé, con le mani sotto i glutei sodi. Lei si svincolò.
‘Voglio venire a letto con lei, professore, voglio sentirmi tra le sue braccia, voglio essere carezzata, baciata. Dovunque”

Da quel momento Lorena non viveva che per le ore che poteva trascorrere col professore. Era come se volesse travasare in lui la sua gioventù. Le affilate, esperte dita di Giorgio la facevano palpitare, fremere, vibrare come le corde di un’arpa sapientemente toccate. Conobbe l’armonia di voluttà ignorate, l’ebbrezza d’orgasmi mai raggiunti, estasi, passione, stordimento, delirio dei sensi. Non avrebbe scambiato le labbra di Giorgio, la lingua saettante e irrequieta, con mille penetrazioni. Eppure lo avrebbe voluto sentire in sé, per avere un figlio dal professore.
Ne parlò con Giorgio.
‘Professore, vorrei un figlio da lei, come lei, sarebbe il più bel dono della mia vita. Il gioiello infinitamente più prezioso tra i pur tanti che lei mi ha fatto.’
Non gli aveva mai dato del tu, neanche nel vortice del piacere, benché lui glielo avesse chiesto, più volte.
Giorgio fu colpito da questo insistere di Lorena: ‘voglio un figlio da lei’.
Decise di parlarne con Urbani, suo grande amico, grande specialista della materia. Avrebbe fatto cadere un discorso generico, su tale tema, per poi scendere in particolari.
Urbani approfondì cognizioni a lui note. L’impotentia coeundi non &egrave necessariamente collegata a quella generandi. La prima é un fatto meccanico, collegato a patologie varie, o all’età. La seconda, invece, é la mancanza di fertilità dell’uomo. E non &egrave detto che la mancanza d’erezione, nel maschio, si accompagni ad assenza o insufficienza spermatica. E’ logico che per poter arrivare a una conclusione, sono necessari specifici accertamenti. Urbani assicurò che lui aveva fecondato molte donne il cui marito, o compagno, non era in grado di congiungersi sessualmente. L’essenziale é controllare l’esistenza degli spermatozoi e la loro idoneità alla fecondazione. Non é tanto il numero che conta, ma la morfologia e la vitalità.
Giorgio disse a Lorena che doveva fare alcuni esami ematici, e si sottopose alle analisi di cui gli aveva parlato Urbani. Venne così a sapere che non erano moltissimi, i suoi spermatozoi, ma più che sufficienti e perfettamente idonei alla fecondazione. Ora doveva parlarne con Lorena.

La teneva tra le sue braccia, la carezzava dolcemente, sentiva il pulsare del suo grembo, il turgore dei capezzoli, il sodo tepore delle natiche.
‘Sai che, volendo, potrei darti un figlio?’
E le spiegò che il suo seme sarebbe stato fatto incontrare con la cellula femminile da fecondare, con una manovra semplice, non cruenta, e con un’altissima percentuale di esito favorevole.
Lei si strinse appassionatamente a lui.
‘Facciamolo, professore, facciamolo.’
‘Pensaci bene, Lorena. Riflettici. La cosa dev’essere ben ponderata. Dovremmo parlarne anche con Roberto”
‘Con Roberto? Cosa dovrebbe sapere?’
‘Che il figlio &egrave mio, ma che non c’&egrave stato nessun contatto carnale tra noi. Un figlio mio, col mio cognome, affidato alla famiglia del padrino. Così potrà godere della reversibilità della mia pensione, concorrerebbe all’eredità, e così via. Lo riconoscerei solo io, naturalmente. Per tenere buoni i miei figli esibirei loro il mio DNA e quello del bambino.’
‘Perché, professore, tutta questa manovra? Non sarebbe meglio tacere tutto a Roberto? Lui crederebbe essere il padre del bimbo.’
‘No, voglio agire in modo leale, voglio assicurare a nostro figlio il mio cognome e un avvenire sereno. Parliamone con Roberto. Venite a pranzo, domenica, cercheremo di sondare il terreno.’
Lorena aveva aggrottato la fronte, aveva un’espressione perplessa. Non rispose.

La domenica gli telefonò abbastanza presto.
‘Professore, verremo a prenderla a mezzogiorno, va bene?’
‘Benissimo, cara. Lascia la vostra auto e prendi quella grande. Staremo più comodi.’
‘A proposito, professore, &egrave meglio rinviare quel discorso, con Roberto, poi le spiegherò. A presto.’
Roberto era un tipo simpatico. Educato ma non servile. Si disse lieto di poter incontrare, finalmente, il professore, e desiderava esprimergli la propria gratitudine per quanto faceva per Lorena, e quindi per la famiglia. Giorgio si schernì sorridendo e lo invitò a guidare lui la grossa auto che Lorena aveva condotto fuori dal box.
Roberto gli rispose che, certamente, la moglie era più pratica, di quel tipo d’auto.
‘Sieda accanto a sua moglie, io starò dietro.’
Lorena indossava un abito molto elegante, uno di quelli che avevano comprato al mare. Intervenne.
‘Il professore preferisce stare davanti. Vuol dire che tu, Roberto, per un giorno ti sentirai importante.’
Aprì lo sportello per far salire Giorgio.
Andarono ‘Alle Terrazze’, un raffinato ristorante da dove si dominava tutta la città.
Sedettero al tavolo tondo, vicino all’ampia finestra. Giorgio era tra Lorena, alla sua destra, e Roberto. Disse che voleva festeggiare solennemente l’incontro, e ringraziare Lorena, per il prezioso lavoro che svolgeva, e Roberto che consentiva alla moglie di svolgere un’attività che comportava l’assentarsi da casa per lunghe ore.
Al Maitre, che attendeva gli ordini, chiese ostriche e champagne.
‘Il menu lo dia alla signora che certamente ci saprà consigliare.’
I camerieri misero in tavola le apposite posate e le coppe, fecero posto, al centro, per il grande piatto colmo di meravigliose ostriche su un letto di ghiaccio tritato. Il sommelier mostrò a Giorgio la bottiglia di champagne e, avuta l’approvazione con un lieve movimento del capo, cominciò a mescere, iniziando da Lorena, come gli aveva accennato Giorgio.
Gustavano le deliziose conchiglie, sorseggiando l’ottimo champagne, e Lorena scorreva il menu. Ormai conosceva le squisitezze dei grandi ristoranti.
‘Se i signori si fidano di me’ ‘disse rivolgendosi a Giorgio e Roberto- ‘Penserò per tutti.’
Si rivolse al Maitre e, con grande sorpresa e meraviglia di Roberto, ordinò senza alcuna esitazione, scegliendo tra quanto di più raffinato offriva la lista.
Giorgio si complimentò per la scelta. A Roberto riuscì gradito tutto, sempre più stupito della competenza della moglie.
Erano, ormai, al termine del pranzo. Giorgio chiamò il Maitre e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. L’uomo andò verso il guardaroba e tornò con un vassoio d’argento sul quale erano due scatole di pelle. Mise il vassoio dinanzi al professore.
‘Desidero’ ‘cominciò Giorgio- che di questo giorno vi rimanga un ricordo, segno della mia gratitudine. Capovolgendo le buone norme, comincerò da lei, Roberto.’
Prese dal vassoio un astuccio, stretto e lungo, e lo dette all’uomo. Roberto l’aprì sorridendo, e ne trasse un modernissimo cronometro, di marca. Guardò Giorgio con gli occhi sgranati.
‘Professore, lei non doveva disturbarsi in tal modo, io”
Giorgio lo interruppe.
‘Che indichi sempre ore serene, per lei e la sua famiglia.’
Prese l’altra scatola e si rivolse alla donna.
‘Lorena ho dovuto dotarla di orologio sin dai primi giorni che ha collaborato con me, altrimenti sarebbe tornata a casa sempre troppo tardi. Qui, invece, ci sono i rimasugli di qualcosa che abbiamo mangiato.’
Dette la custodia alla donna.
Lorena lo guardava sorpresa. Aprì la scatola. Portò la mano sulla bocca socchiusa, con un ‘ooooh’ di meraviglia. Le perle erano stupende. Perfettamente sferiche, tutte della stessa grandezza. E tante. Il grosso fermaglio era tempestato di brillanti.
Giorgio tolse la collana dall’astuccio, si alzò e andò alle spalle di Lorena.
‘Posso?’
Allacciò la collana, col fermaglio poco sopra il seno, a sinistra.
Roberto guardava con aria frastornata. Si rivolse a Giorgio.
‘Professore, l’orologio che ha voluto regalarmi &egrave quanto non osavo neppure sognare, ma quella collana &egrave degna di un’imperatrice. Avrei dovuto mettere da parte dieci anni del mio stipendio di adesso, almeno, per poter comprare un gioiello del genere. Lorena, qualsiasi cosa abbia fatto o faccia per lei, non può meritare tanto.’
‘Caro Roberto, &egrave solo un dono, che ho desiderato fare a sua moglie, e per i doni il merito non conta. Lorena &egrave certamente una perla, un tesoro, come moglie e come madre, ma anche come mia collaboratrice. Ho desiderato che avesse altre compagne, altre perle, sia pure meno preziose di lei. Alla vostra salute.’
Dette le coppe di champagne ai suoi commensali e le toccò leggermente con la sua, prima di bere. Lorena si alzò e lo baciò sulla guancia.
‘Sono senza parole, professore. Sono senza parole”

Era ancora presto, quando tornarono a casa.
‘Roberto’ ‘disse Lorena- se non ti dispiace, resto a fare un po’ di compagnia al professore. Forse più tardi vorrà fare una piccola passeggiata. Ti telefonerò, sul cellulare, per farmi venire a prendere.’
‘Non si disturbi a tornare, Roberto, ci sono i taxi. Ma se per Lorena &egrave una seccatura, può tornare a casa con lei.’
Lorena scosse la testa.
Roberto prese l’auto con la quale era venuto con la moglie, salutò caldamente, ringraziò ancora, salì in vettura, mise in moto, si allontanò lentamente.
Andarono in casa, Giorgio entrò nella sua camera per cambiarsi. Lorena lo seguì.
‘Facciamo un riposino, professore?’
Senza attendere risposta cominciò a svestirsi. Rimase con la sola collana. Si sdraiò sul letto. La coprivano solo i lunghi capelli.
Giorgio la guardò con tenerezza.
‘Sei più bella di Maya. Sei ‘Lorena y las perlas’. Goya non riuscirebbe a dipingerti più bella di quanto sei.’
Sedette sul letto, accanto a lei. Si chinò a baciarle i capezzoli, la conturbante lanugine del pube. La carezzava dolcemente.
‘Perché non hai voluto che parlassi con Roberto della mia proposta?’
‘Ho un’altra idea. Sono certa che piacerà.’
‘Sentiamo.’
‘Dobbiamo, prima di tutto, accertare che il mio muco cervicale non impedisca la penetrazione dei suoi spermatozoi. Mi hanno detto che c’&egrave il test di Kremer o lo SCMC. Dobbiamo identificare esattamente la mia fase preovulatoria, momento più adatto per la fecondazione”
‘Lorena, &egrave’ l’impedimento’ meccanico che rende irrealizzabile la tua teoria.’
‘Un momento, professore. Una volta effettuati tali accertamenti e assicuratici che tutto &egrave in regola, si passa a quello che lei definisce l’ostacolo meccanico. Io sono stata al Centro di Andrologia ed ho esposto il nostro caso. Mi &egrave stato assicurato che si può tentare senza pericolo alcuno, con i nuovi farmaci. Provocano, sempre che sia presente il desiderio sessuale, cio&egrave sempre che io le piaccia, l’attragga, che lei mi voglia, una più che sufficiente erezione. Il pericolo potrebbe sopraggiungere se si abusasse nella dose o si ripetesse con non valutata frequenza. Sarebbe la cosa più bella del mondo. Io la sentirei in me, sentire il suo calore, percepirei il voluttuoso tepore del suo seme. E sono certa che concepirei Giorgio junior.’
Il professore la guardava muto, la mano s’era fermata, non frugava più nel boschetto delle delizie. Si sentiva pervaso d’un calore da tempo non percepito, da una bramosia avida, smaniosa. Possedere Lorena, entrare in lei’. Non s’accorse che aveva afferrato quei ricci eccitanti, e quasi li strappava.
‘Ci proveremo, costi quel che costi.’
‘Da questo momento, professore, fino a quando non saprò di essere incinta di lei, non avrò alcun contatto con Roberto. Devo essere sicura di avere in me suo figlio, prima di qualsiasi DNA.’
‘D’accordo, Lorena, grazie.

Gli accertamenti furono abbastanza laboriosi, richiesero prelievi, test di compatibilità, ecografie, rilievi della temperatura basale, doppler, e altre cose del genere.
A volte, quand’erano insieme, a letto, Giorgio aveva la sensazione che qualcosa, finalmente si muovesse.
Arrivò il grande giorno. Assunse il farmaco, strinse il corpo palpitante di Lorena. Pian piano il tempo tornò indietro, vecchie sensazioni tornarono ad esser nuove. Sentì Lorena sopra di lui, e si trovò in lei, rigoglioso, col vigore d’una volta, maschio, sovrano, con la potenza del suo scettro. Lorena sussultava, ingorda, quasi volesse svellergli il fallo e conservarlo in lei, per sempre. Dalle labbra dischiuse le usciva un respiro roco. Era un cavalcare frenetico, la testa rovesciata indietro, i capelli scompigliati, il seno squassato dalla delirante corsa verso il più alto piacere mai raggiunto. La Walchiria alla conquista della voluttà. Sentì inondarsi e giacque su lui, spossata, in preda ai sussulti d’uno sconosciuto orgasmo.
Giorgio la tenne stretta su di sé.
‘Sei divinamente deliziosa’ ‘le bisbigliò- ‘ma lo dobbiamo rifare, dovessi morire subito dopo.’
Lorena non si mosse.
‘Tu devi vivere, amore, devi vivere per donarmi ancora questi inimmaginabili momenti. Devi vivere per nostro figlio, per me.’

Dopo alcune settimane Lorena si presentò con un paio di scarpine per neonato.
‘Grazie, professore. Sono incinta.’
Gli prese la mano e la poggiò sul ventre.
‘Qui c’&egrave tuo figlio!’
Anche in questa occasione gli stava dando il ‘tu’.
Giorgio la guardò con gli occhi lucidi, le labbra tremanti. Le carezzò il grembo, la prese sulle ginocchia e la cullò teneramente.
‘Abbi cura di te, di voi, Lorena. Che Dio mi faccia vivere fino alla conclusione di questo immeritato miracolo. La baciò sul collo. Quando ne parleremo con Roberto?’
‘Professore, non possiamo dire a Roberto che abbiamo fatto l’amore, e’ che lo rifaremo. Ho pensato ad un’altra soluzione.’
‘Quale?’
‘Tra qualche giorno io’ guarirò dei disturbi che ho accusato da tempo. Dopo alcune settimane e dirò a Roberto di aspettare un bambino. Attenderò ancora un po’ e dirò a Roberto di avere informato anche lei (di nuovo il ‘lei’) del prossimo evento, e che lei ha suggerito la soluzione che sappiamo: riconoscimento del nascituro, il ché comporta il suo interessamento concreto e tutti i diritti di successione.’
‘Roberto cosa risponderà?’
‘Non lo so. Staremo a vedere.’
Le carezze di Giorgio avevano acceso in Lorena il desiderio di sentirlo in lei.
‘Professore’ ‘disse con voce roca- ‘ho ancora delle pillole azzurre. Ti voglio. Proviamo? Vediamo se funziona?”
Andò a prendere la pillola che aveva messo nel cassetto della scrivania di Giorgio, e gliela portò, unitamente ad un bicchiere d’acqua. Gli si sedette di nuovo sulle ginocchia, sciolse i capelli, cominciò a baciarlo sulla bocca, lambendogli le labbra. Rimasero così non a lungo. Lei si alzò, prese per la mano il professore e lo condusse nella camera da letto. Cominciò a svestirlo, con esasperate lentezza. Quando gli toglieva un indumento, ne toglieva uno anche lei. Presto rimase, lei, vestita dei soli capelli. Poi, anche lui fu nudo. Lo guardò con un sorriso di compiaciuto trionfo.
‘Funziona, professore, funziona. Vieni”
E lo fece sdraiare sul letto.

I giorni trascorrevano veloci. Giorgio avrebbe voluto prendere spesso le pastiglie azzurre, ma lasciava intercorrere lunghi intervalli per evitare possibili spiacevoli conseguenze. Voleva vivere fino al riconoscimento della paternità.
Erano seduti sul divano del salotto. Vicini.
‘Cosa ha detto Roberto?’
‘Quando l’ho informato che aspettavo un bimbo ha sorriso, mi ha preso la mano e l’ha tenuta fra le sue. Poi gli ho riferito la sua proposta, professore. S’&egrave rabbuiato di colpo, ha lasciato la mia mano, &egrave divenuto livido in volto. Mi ha gridato, con acredine:’hai scopato col professore!’. L’ho rassicurato, gli ho raccontato dell’impossibilità fisica, per lei, d’avere rapporti sessuali. E’ sembrato più disteso, ma non del tutto convinto. Ha concluso: ‘va bene, aspettiamo che nasca questo bambino, e se risulterà mio se ne ridiscuterà.’
‘Come ne usciremo fuori?’
‘Benissimo. Faremo fare la determinazione del DNA. A lei, professore, a Roberto, a me, al nascituro e, segretamente, al mio primogenito, scambiando i nomi tra lui e il neonato. Non ci sarà alcuna difficoltà.’
‘Sei machiavellica.’
‘No, solamente pratica, e decisa a superare qualsiasi ostacolo per consentirti di riconoscere tuo figlio. E’ possibile tale riconoscimento, vero?’
‘Senza dubbio. L’articolo 250 del codice civile stabilisce: ‘Il figlio naturale può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente’. Non ci sono ostacoli. Anche sul tempo e sui modi, la legge &egrave chiara: ‘Il riconoscimento del figlio naturale &egrave fatto nell’atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o davanti al giudice tutelare o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo.’ Chiaro?’
Lorena, radiosa, lo baciò sulla bocca.
‘Ritengo che io ne debba parlare con tuo marito.’
‘Lasci fare a me. Non passa giorno che io non discuta di quest’argomento con Roberto. Sento che il suo atteggiamento &egrave sempre meno restio ad accettare la cosa. Forse sta valutando le eventuali utilità che potrebbero derivargli.’
‘Ad esempio?’
‘I minori oneri, per lui, dato che certamente saresti tu a provvedere alle esigenze naturali di nostro figlio.’
‘E’ logico, che sia così. E quando non ci sarò più, il bimbo godrà della reversibilità della mia pensione, oltre a condividere i miei beni con gli altri miei figli.’
Lorena si strinse a lui, teneramente. Gli mise un dito sulle labbra.
‘Taci, sciocco. Tu vivrai fino a vedere Giorgio junior al posto che &egrave stato tuo: Magnifico Rettore dell’Università.’
Il professore scosse il capo, sorridendo.

Era uno splendido bambino.
Lorena era più bella che mai.
Il piccolo succhiava, vorace, dal turgido seno della mamma, premendo con le manine le venuzze azzurrognole che arabescavano la mammella.
Giorgio le aveva fatto pervenire un enorme cesto di fiori, che era stato portato nella Cappella della Clinica.
Giorgio aveva scelto l’appartamento imperiale della più lussuosa Clinica della città. Aveva fatto dello spirito con Roberto:
‘Se dovrà essere mio figlio, non posso trattarlo che così!’
Ora, era seduto accanto al letto di Lorena.
Roberto disse che riaccompagnava a casa gli altri figli. Sarebbe tornato presto.
Quando furono soli, Lorena chiese a Giorgio di baciare lei e il piccolo.
Poi assunse un’espressione molto seria.
‘Ho qualcosa da dirti, professore, della massima importanza.’
Lo guardò fisso.
‘Dammi la mano, ti prego, professore.’
La baciò, la portò sul cuore.
‘Voglio venire a vivere con te.’
‘Con me? Vuoi lasciare i tuoi figli?’
‘E’ spaventato, professore? Non s’aspettava una richiesta simile? Non sa come rifiutare? Mi ritiene matta?”
Giorgio le carezzò dolcemente il volto, rigato dalle lacrime, tra i capelli corvini sparsi sul cuscino.
‘Sono deliziosamente sorpreso. Non riesco a credere ciò che ascolto. Non mi prendi in giro, vero? Tu venire a vivere con me, restare sempre con me, ‘usque ad mortem’. Dimmi che non ti burli di me, Lorena.’
‘Allora, non mi rifiuti?’
‘Non si rifiuta il paradiso, lo si anela, lo si brama. E i tuoi figli?’
‘Li ho preparati. Ho detto loro che la mamma li adora, ma che forse si allontanerà da loro. Mi hanno chiesto, tutti e due, perché non li porto con me”
‘Perché non li porti con te?’
‘A casa tua?’
‘A casa nostra, piccola mia, a casa nostra.’
‘Adesso sei tu a farmi sbigottire. La tua casa, così silenziosa, così ordinata”
‘Così grande che ci staremo tutti, benissimo. I ragazzi avranno tutti gli spazi che vorranno, un settore del nostro vasto appartamento, tutto per loro.’
‘E Roberto?’
‘Non se lo aspetta, anche se ha dovuto notare il mio diverso modo di trattarlo, in questi ultimi tempi. Credo che lo abbia attribuito alla mia gravidanza. Vorrei venire da te quando uscirò dalla clinica. Poidomani. Dalla casa che lascio non voglio portare nulla. Tutto quello che mi hai regalato &egrave già a casa tua”
‘Casa nostra, Lorena.’
‘Dirò a Roberto che i ragazzi vengono con me. Vedremo cosa vorrà fare.’
‘Vuoi dividerti legalmente?’
‘Spero consensualmente, in attesa del divorzio”
‘E di sposarmi, se vivrò?’
‘Basta col pensare sempre alla morte, professore. Tu vivrai con me, e con nostro figlio, per lunghissimi anni, e io ti farò felice.’
‘Ne sono certo, piccola mia.’
Roberto stava rientrando. Rimase ai piedi del letto.
Lorena lo guardò serenamente, come quando si &egrave superato un ostacolo che sembrava insormontabile.
‘Roberto, io uscirò dalla Clinica poidomani, e andrò nell’appartamento del professore. Ti prego di condurre li anche i ragazzi, con le loro cose. Non voglio che si sentano soli’
‘Per quanto tempo ti tratterrai dal professore?’
‘Per sempre.’
‘Me l’aspettavo. Ero preparato. Tu non sei più mia da quando hai messo piede in quella casa. Da allora &egrave iniziato lo sfascio della nostra famiglia”
‘Vorrei che ci separassimo senza livore. Mi conosci da quando ero una bambina. Sai che le mie decisioni sono sempre lungamente ponderate, e prese freddamente. Non ti rimprovero nulla. Anzi, sei tu che hai mille ragioni per biasimarmi, condannarmi. Ma non ti appartengo più. Non &egrave un’infatuazione, non sono caduta nel tranello dei regali, dei bei vestiti, dei ristoranti di lusso. Ho trovato il mio habitat. Negli altri ambienti mi sono sempre trovata a disagio, come un’intrusa.’
‘Sono calmo, Lorena, come mai avrei sperato. Mi chiedevo quando mi avresti detto che mi lasciavi, col corpo, intendo, perché con lo spirito mi hai lasciato da tanto tempo. Vai a vivere col vecchio, sia detto senza offesa o sarcasmo, Magnifico Rettore che hai sempre ammirato, venerato. Mi hai sempre parlato di lui, del nume che ti aveva ammesso alla sua presenza, alla sua tavola. Anche nel suo letto, Lorena?’
Lei aveva il volto acceso, le narici dilatate, le labbra esangue. Annuì col capo, smuovendo violentemente i capelli. Roberto ne restò colpito. Giorgio si alzò, fece per uscire. Roberto lo fermò con un gesto.
‘Reti, professore, resti. Ha più diritto lei di restare che non io. In passato avevo pensato che avrei aggredito l’amante di mia moglie, lo avrei picchiato, forse ucciso. Ora, invece, mi sorprendo a provare per lui comprensione e compassione. Lei non &egrave più giovane, professore. E’ comprensibile che una donna bella e nel fior degli anni, come Lorena, le faccia perdere la testa. Uno splendore come Lorena la segue come un cagnolino, l’idolatra, si strofina a lei come una gatta in calore’ Come poteva, lei, professore, restare indifferente? Non riesco ad andare in collera. Lei potrebbe spiegarmelo, ma non mi interessa. Cercherò di farmi una nuova vita, anche di cambiare città, lavoro. Sono sicuro che se chiedessi il suo aiuto, professore, lei sarebbe disponibilissimo”
Giorgio assentì prontamente.
‘E forse glielo chiederò. Vede a che livello d’abiezione sto scendendo? Come la prenderanno, i ragazzi, Lorena?’
‘Sono preparati e hanno chiesto di venire come, dovunque io fossi andata.’
‘Una perfetta incantatrice. Dopodomani li condurrò a casa del professore. Prenderò delle ferie, cercherò un’altra città, un altro lavoro. Me ne vado, Lorena, ma tu mi hai pugnalato. Sappilo. Non dirmi di chi &egrave quell’innocente che hai al seno. Non darmi il colpo di grazia. Addio.’
Uscì di corsa.
Giorgio si avvicinò al telefono, formò un numero.
‘Rosa, la signora Lorena tornerà a casa dopodomani. Provveda, per favore, a comprare il più bel corredino che riuscirà a trovare. Faccia attrezzare la cameretta a fianco della mia camera da letto con lettino e quanto può occorrere a un neonato, Alla carrozzina penserò io. S’informi dove ci si deve rivolgere perché al rientro della signora si possa disporre di una brava nurse. Faccia anche allestire le camere che danno su via Rossi. E cerchi anche un aiuto per lei, e che sappia cucinare quasi quanto lei. E fiori, Rosa, tanti fiori. Dovunque.’
Mise la mano in tasca e ne cavò un sacchettino di pelle, fermato da un cordoncino di seta, lo slacciò lentamente, ne estrasse un anello di platino con un grosso solitario splendente. Prese la mano di Lorena e glielo infilò.
‘Ma &egrave immenso, professore”
‘Sono solo cinque carati, tesoro. Leggi cosa &egrave inciso dentro.’
Lorena lesse: ‘Giorgio a Lorena, per Giorgio jr.’
La donna l’attirò a sé. ‘Grazie, Giorgio, ti amo.’

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