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Misteriosa Catwoman.

By 23 Novembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando l’impalcatura che celava la facciata fu rimossa, dopo diversi mesi, la curiosità di tutti, che si domandavano cosa mai sarebbe comparso, quale negozio, quale attività avrebbe avuto inizio, fu in un certo senso delusa. Un ingresso elegantissimo ed esclusivo, in cristallo e ottone lucido, con la scritta, sul vetro, “Seduction Heaven” e, più sotto, “spettacoli indimenticabili”. Inaugurazione venerdì prossimo, prenotazione obbligatoria, prezzi troppo elevati per le mie tasche.
Però l’invito era intrigante: debutto di “Catwoman”, vietato ai minori; spettacolo unico, ore 18. Tutto sulla fiducia, neanche una foto, non diceva nulla e nulla se ne sapeva. Un mistero intrigante, per un ragazzo come me.

In cosa consistesse lo spettacolo lo si poteva arguire da quanto trapelava dalla stampa sulla porta: “la donna più bella del mondo” si esibiva in “assoli di danza”, e, a quanto era dato intendere, il pezzo forte sarebbe stato “Bengala”.
Il locale era descritto, per la verità in modo molto sintetico, come un “café-concert”, con tavolini e poltrone intorno alla sala, un palcoscenico che si prolungava con una passerella che s’inseriva tra gli spettatori.
Era specificato che il prezzo del biglietto si riferiva alla sola assegnazione di un posto (quattro per ogni tavolo) e che la consumazione era obbligatoria. Non c’era il listino, ma a giudicare dal costo dell’ingresso si capiva che doveva essere abbastanza cara.

Ma ancora non mi sono presentato: sono Andrea, studente universitario; sono di famiglia benestante, i miei genitori molti anni fa hanno avviato una attività commerciale che ormai è diventata enorme, e li assorbe enormemente; abbiamo una bella casa a due piani, ampia e con due balconi pieni di piante da far invidia a tutto il vicinato e a buona parte della città.
Fino a qualche mese fa vivevo da due anni nell’appartamentino di sopra, da solo, per scavarmi una mia vita, finché, a causa di una fortunata opportunità di lavoro per Renato, non lo ho dovuto lasciare a mio cognato e mia sorella Veronica, che tornava a vivere in città con noi. Non che mi dispiacesse rivederla tutti i giorni; il fatto è che adesso per me era un passo indietro, dovevo rinunciare al mio spazio nel mondo. “Una soluzione provvisoria”, mi avevano annunciato papà e mamma, ma fatto sta che siamo ancora qui. In un certo senso, ero tornato ad essere un ragazzino: non potevo più permettermi molti lussi (come invitare amici e amiche a bere un goccio, tanto per dire).
Il ritorno di mia sorella era stato, per me, come tornare indietro dall’università al ginnasio. Un fallimento.

Forse anche per questo mi appassionavo all’idea di quel nuovo locale: per distrarmi e non pensare alle opportunità che non potevo più sfruttare, per pensare a qualcosa di indipendente dalla casa. Per sfogare certe frustrazioni che non potevo concedermi, l’unica era lasciare spazio all’immaginazione più sfrenata.
Così, il sabato successivo alla “prima”, comprai il giornale, andai subito alla pagina degli spettacoli. Titolo eccezionale: “Il trionfo della donna mascherata al Seduction Heaven.”

Si parlava dell’insuperabile performance della danzatrice misteriosa, lo splendore d’una donna incantevole, sempre elegante e graziosa. Era descritta come una femmina seducente, dalle forme perfette, insuperabili; capace di interpretare più ruoli con un solo travestimento: seducente, maliziosa, provocante, insaziabile…
Qualche settimana dopo, passando davanti alla porta del locale, vidi un avviso che precisava che lo spettacolo si ripeteva dal lunedì al venerdì, solo alle 18 esatte, e si informava il pubblico che era tutto prenotato per i prossimi tre mesi!
Questo dettaglio, sinceramente, mi interessava poco. Non avevo i soldi per andarci, banalmente; però voleva dire molto: che era uno spettacolo davvero imperdibile. Fuori portata per le mie tasche, ma immaginarla, beh…

Comunque, nei mesi successivi acquistai giornali specializzati, riviste teatrali, si parlava molto di Catwoman, ma mai una foto: non solo non si faceva vedere in viso, durante lo spettacolo, ma non consentiva pubblicazione di sue foto; anzi, per entrare al “Seduction Heaven” dovevi consegnare macchine fotografiche e persino telefoni cellulari, dicevano.

Le voci corrono, e non passò molto tempo che anche tra i miei amici non si parlava d’altro, una vera mania; finché non decidemmo di fare una colletta ed estrarre a sorte il fortunato che avrebbe assistito allo spettacolo con l’obiettivo sì di divertirsi, ma anche di “andare a vedere e riferire dettagliatamente”. Speravo di essere io il fortunato… ma fu sorteggiato Franco. Beato lui.

Quando, l’indomani, Franco si mise a raccontare, era uscito un altro articolo entusiastico sul quotidiano locale ed eravamo tutti intenti a leggere quando venne a parlarci. Mentre ne parlava aveva gli occhi inebriati, lo sguardo incantato e perso.
– Un fenomeno, ragazzi, una bellezza da non credere, una grazia… E nessuna volgarità, nemmeno quando resta completamente nuda, al centro della passerella, e poi si rialza ed elegantemente raggiunge il palcoscenico. Certe gambe, certe tette, per non parlare di un sedere scultoreo. E’ qualcosa di indescrivibile. Unica.
Mentre parlava si lisciava la patta dei pantaloni. E lo fece anche qualche ascoltatore, aiutandosi col palpare la compagna più vicina, che spesso non vedeva l’ora; ma io, per la mia solita fortuna, non avevo amichette al seguito.

Tornai a casa, come al solito, per pranzo: nostro padre, che aveva letto anche lui sul giornale di quell’exploit eccezionale, disse che se avesse avuto tempo e denaro da sprecare lui ci sarebbe andato… tanto per… sapere. “Che sarà mai questa danzatrice misteriosa!”
Ma lui era “imprigionato” al centro commerciale, a quell’ora. Mentre mamma stava lì dalla prima mattina, papà da anni faceva solo il turno “di chiusura”: stava sulla tolda di comando dal pomeriggio alla notte, ore 14-22. Abbastanza comodo, gli permetteva di pranzare e cenare a casa tardi (a condizione che il vigilante arrivasse in orario, però). Il sabato di solito se lo teneva libero (tranne quelle volte che mamma aveva altri impegni e non poteva andare), ma tanto “Seduction Heaven” era chiuso, e quindi niente danzatrice per papà.

Alle parole di mio padre su Catwoman, mia sorella Veronica si stringeva nelle spalle, senza parlare, mostrando una quieta, composta bellezza: alta, snella, delicata, serici capelli biondo scuri, occhi grigi, un bel culetto ed un seno importante, pur senza essere eccessivo, e un modo di vestirsi in tono con la sua eleganza delicata e garbata: tailleurini di lino, camicette tono su tono, scarpe con tacco alto ma non sfacciato, giusto per risaltarle un notevole stacco di gambe, e trucco leggerissimo e molto efficace, un vago sentore di buon profumo. Un sogno di donna, insomma, con quel pizzico di mistero che la faceva così… monella.
Veronica era sempre stata la mia “grande sorellina”: in realtà la mia sorella maggiore, ma di soli due anni, e soprattutto era sempre stata esperta di frivolezze, femminile e ancora con un invidiabile viso da bambina. Era la nostra monella, come la chiamavamo in casa, proprio per questo suo carattere e nonostante di fatto fosse la primogenita.
Lei e Renato abitavano adesso nell’appartamentino di sopra, ma per pranzo o qualsiasi evenienza erano sempre a casa con noi (lo facevo anche io, che di cucinare non ne ho mai avuta voglia), per cui adesso lei girava sempre per casa con degli ampi scamiciati; però tentava di rendersi utile, anche perché spesso il lavoro di mamma faceva sì che la casa fosse semiabbandonata per gran parte del giorno; e malgrado l’aiuto di Domingo, che veniva per qualche ora al mattino, era sempre indaffarata: a preparare il pranzo per gli uomini di casa, o a mettere in ordine qua e là.

Ad una cosa non rinunciava, al suo lungo bagno in vasca, dove poltriva immersa nell’acqua lattiginosa che le arrivava fino alla gola: lo faceva da quando aveva quattordici anni, rilassata nella vasca del bagno grande, a pianterreno. Poi restava nella sua camera, di sopra, dove accendeva la solita musica ad alto volume, e vi restava per un bel po’, per poi uscire allegra e briosa e mettersi a sfaccendare.

Papà guadagnava benino, ma la monella di casa, visto che era tornata a vivere da noi e si era portata dietro il consorte (o meglio, il contrario: visto che lui era stato trasferito qui e quindi erano venuti a stare da noi), voleva anche concorrere alle spese della famiglia e mentre io studiavo o andavo in palestra o al tennis, e papà era al lavoro, lei metteva a frutto la sua prodigiosa esperienza di fisioterapista, e andava da qualche cliente. Era stata la sua passione di studentessa universitaria, ed è stato grazie ad un guaio di schiena di Renato che i due si sono conosciuti. Si diceva che avesse mani miracolose, e sono convinto che suo marito sia il primo sostenitore di questa leggenda metropolitana.

I giorni trascorrevano più o meno uguali, ma c’erano sempre tante cose da fare, non avevamo tempo per annoiarci.
Il sabato mattina Veronica e Renato andavano per compere, spesso proprio al centro commerciale dei nostri genitori; poi si pranzava insieme, e si decideva per il pomeriggio e per l’indomani. Non c’erano grosse varianti: cinema, palazzetto dello sport, gite in periferia che però stancavano più di una settimana di lavori pesanti!

Stavo per laurearmi, curiosamente quasi in coincidenza con il mio ventiquattresimo compleanno: fatto sta che dovevo concentrarmi per studiare la tesi per esporla meglio, e poi dovevo anche scrivere un articolo su richiesta del correlatore, che era rimasto impressionato dalle mie capacità; ma soprattutto in pochi giorni, subito dopo la laurea, ricevetti molti regali, ed anche una bella sommetta di denaro, oltre all’annuncio che papà, in attesa che io cominciassi a lavorare, per qualche tempo mi avrebbe raddoppiato la cifra che settimanalmente mi lasciava per qualsiasi sfizio o evenienza.
Era fatta: finalmente potevo andare al “Seduction Heaven”.

Prevedendo i soldi che sarebbero arrivati, già da qualche tempo avevo prenotato un posto, pagando solo il diritto di prenotazione, per assistere allo spettacolo esattamente un mese dopo la laurea. Andai a ritirare il biglietto, era per un venerdì, alle 18 in punto. Apertura delle porte dalle 17 alle 17.45, poi basta, e non potevo certo mancare: oggi era la mia giornata, oggi finalmente mi premiavo.

Veronica stava per uscire. Il suo solito impegno, fino a verso le otto; vide che mi preparavo accuratamente.
– Perché così elegante Andrea?
– Vado a un compleanno.
– Farai tardi?
– No, darò gli auguri, ma dopo un po’ me la filo. Non ho voglia di festeggiare gli altri!
– Eheh… hai ragione. Ciao, tesoro.
Dopo poco uscii anche io.

Alle cinque e un minuto ero seduto al mio tavolo. Prima fila, centrale!
Come mi avevano già detto, era severamente proibito l’uso di macchine fotografiche o di ripresa di qualsiasi genere. Era consentito il binocolo, ma io, in prima fila…
In pochi minuti la sala era al completo; l’orchestra suonava in sordina, motivi lenti, armoniosi, avvincenti, per riempire l’attesa straziante di assistere ad un autentico miracolo. Assoluto divieto di fumare, quindi uno sfogo in meno; erano già passati per l’ordinazione, avrebbero servito subito, per non disturbare lo spettacolo.

Lo speaker dette il benvenuto, ci spiegò che quella sera “Catwoman” avrebbe eseguito tre danze sulle musiche di illustri compositori: Angora, Tiffany, Bengala.
Si pregava di applaudire solo alla fine e di non lasciare il proprio posto durante le danze.
– Grazie per la vostra presenza, e buon divertimento!

Era giunta la consumazione. Ci eravamo messi d’accordo, al nostro tavolo (una coppia non giovanissima, un signore di mezza età, ed io), ed avevamo ordinato champagne. Il signore solo, aveva commentato: “siamo qui a divertirci… e visto che siamo in ballo, tanto vale ballare!”
Champagne di marca e millesimato, carissimo, ma stasera questo e altro!

Le luci si abbassarono, si alzò il sipario. Al centro, la donna mascherata, raccolta su se stessa, con le braccia intorno alle gambe, avvolta in veli multicolore. La testa nascosta da una impenetrabile maschera di seta, mostrando solo due occhi aguzzi e provocanti.
A mano a mano che le languide note si susseguivano, si alzò lentamente e prese a danzare con una grazia avvincente; passò velocemente sulla passerella, tornò indietro. S’intravedeva il suo corpo perfetto, ammaliante, e i veli lo esaltavano più che celarlo.
In ultimo, sembrò sbocciare da quei veli e rimase immobile, completamente nuda, con un seno meraviglioso, gambe perfette, un fondo schiena da sogno. Rimase così, addirittura per qualche minuto, perché gli applausi erano scroscianti, interminabili.
Sì, era veramente uno spettacolo avvincente, e per me anche molto, molto eccitante.

Il signore solo, sussurrò che quelle erano chiappe, formidabili. L’altro, quello della coppia, aggiunse che anche le tette non erano da meno e sghignazzando aggiunse figurarsi il resto e sottovoce borbottò all’altro che era proprio un bel pezzo di donna! A dire il vero, quel che disse era molto peggio, tanto che la moglie faceva finta di essere distratta.
Però, in effetti, mi chiedevo come fosse possibile essere tanto ammaliati. Voglio dire che mi stupisce che nessuno ancora fosse salito su un tavolo, le fosse saltato addosso e avesse cominciato a possederla di prepotenza davanti a tutti. Era un incanto, adescava tutti fino a renderli inerti. Forse era proprio perché era eccitante da morire, ma senza la minima volgarità, anzi, con grazia ed eleganza assoluta, che nessuno aveva il coraggio di muoversi verso di lei.

“Tiffany” fu ancora più coinvolgente della prima danza, ma quella che ci afferrò tutti, ci coinvolse, ci travolse, sì che era difficile non applaudire, restare seduti, fu “Bengala”. Con i veli che cadevano ad uno ad uno, lasciandola completamente spoglia, in atteggiamento rapito e statuario, sulla passerella, a pochi metri da me. Una danza languida, voluttuosa, seducente. Era di spalle, con la sua schiena incantevole. Le sue gambe perfette.

Si voltò per ringraziare.
Lo spettacolo del suo seno, del suo ventre, del suo pube, del lieve rigonfiamento del monte di venere, dove cominciava il boschetto delle delizie che a malapena nascondeva la grotta del tesoro, non può descriversi. Non ci sono espressioni adeguate: era una dea anche laggiù, dove nessuno dei presenti sarebbe mai riuscito ad intrufolarsi.
Piegò la gamba per inchinarsi a ringraziare.
Sulla coscia destra, in alto, quasi nascosto dai riccioli castani, un tatuaggio: una rosa, con tanto di stelo e spine, attorcigliata alla coscia. Un particolare moderno in una donna che viene da un tempo diverso.

Gli spettatori non finivano mai di applaudire.
Come aveva detto lo speaker, alle diciannove e trenta esatte il sipario cadde, le luci si spensero in parte, la gente sfollava lentamente. I commenti si incrociavano, entusiasti. Devo ammettere che a furia di sentire commenti entusiasti, prima dello spettacolo io già mi ero fatto un’idea magnifica; ma era niente rispetto a quanto ho poi visto.
Era vero, “Catwoman” era superiore ad ogni aspettativa.

Mi avviai verso casa, adagio, senza fretta, gustando nell’intimo quello spettacolo incredibile. Rientrai a casa, anche qui ero il primo; poco dopo ecco Veronica, allegra e frizzante come di consueto, e come al solito nella sua blusa svolazzante. Attendemmo papà per la cena. Non importava fare tardi. Domani riposo.
La notte sognai la donna mascherata, e non poteva essere altrimenti: era uno spettacolo che riempiva ogni mio pensiero. Infatti la pensai anche il mattino successivo, e durante il giorno… mi era entrata nel sangue. Sarei andato tutte le sere a vederla, ma il portafogli non me lo consentiva.

Pensando a Catwoman, stavo svolgendo l’articolo assegnatomi dal correlatore: una panoramica riguardo i fiori nella storia, dalle pitture preistoriche ai moderni marchi commerciali. Avevo molto materiale, raccolto qua e la, specie attraverso internet, per farmi un’idea e per trovare un angolo di lettura comune a un argomento così grande.
Dovevo ordinare il tutto, e, come si dice, “buttarla giù”. Ironia della sorte, l’argomento: fiori, come in un inguine irraggiungibile, e come nei nostri balconi splendidi.

Domenica mattino. Papà era uscito da poco: ogni tanto gli tocca la giornata festiva, dalle nove del mattino alla stessa ora del giorno successivo, in occasione di eventi e fiere speciali, come la notte bianca. Renato, invece, era partito la sera prima, dovendo tornare per qualche giorno alla sede centrale della sua azienda.

La bella Veronica aveva fatto il suo bagno, aveva ascoltato la sua musica (credo che le servisse d’accompagnamento alla ginnastica), aveva fatto le faccende di casa e poi era venuta nella mia camera-studio, portandomi una tazza di caffellatte. La poggiò sulla scrivania, sedette sul bracciolo della poltrona.
Era in accappatoio, bianco, corto, e in testa aveva avvolto un asciugamano, a mo’ di turbante. Sorridente, particolarmente bella, si chinò per leggere sul monitor.

L’accappatoio si apre un po’… Tette superbe… come quelle della donna mascherata. Ah, Catwoman, ti sto pensando troppo, non combino più nulla, ti vedo ovunque…
– Prendi un po’ di latte, Andrea… Cosa fai?
– Sto cercando di mettere insieme un articolo che devo consegnare la settimana prossima.
– Posso vedere?
– Certo.

Sedette sulle mie gambe: era leggero l’accappatoio, e altrettanto i miei pantaloncini.
Si era seduta altre volte sulle mie ginocchia, la mia monella preferita, ma quella volta, sia per la veduta delle tette, sia per l’accostamento alla signora mascherata, la cosa era diversa: sentivo chiaramente le sue natiche tonde e sode, il solco che le divideva, potevo sentire il suo pube premere contro il mio pene che sembrava volesse scoppiare. E sentivo ancor più l’eccitazione che mi stava pervadendo, incontrollabile. Mi stupivo che lei non se ne rendesse conto.

Veronica lesse qualcosa.
– Ah, è sui fiori! Beh, che fortuna.
– In che senso?
– Beh, nel senso che in casa, da sempre, c’è una cultura dei fiori. E sai meglio di me, che mamma ha aperto anzitutto una fioreria, poi ci ha messo attorno tutto un centro commerciale con papà…
– Già… solo che oggi proprio non riesco a scrivere niente…
– Ma posso aiutarti? Anche io adoro i fiori… ma a differenza di mamma ho la giornata libera.

Nel frattempo, Veronica parlava e parlava, mi diceva cosa pensava (che non c’entrava nulla col mio articolo), parlava, muoveva il mouse e si muoveva lei. Era una carezza continua al mio sesso che non ne aveva proprio bisogno, in quel momento. Ero in tiro. Possibile che non se ne accorgesse?
Temevo che seguitando così da un momento all’altro mi sarei impiastricciato tutto. E forse era meglio, mi sarei liberato da quella tensione spasmodica; ma con lei sto bene, e l’idea di farmi aiutare non mi dispiaceva. E comunque se ne sarebbe accorta? Non avrei resistito ancora a lungo.

Forse se le parlavo l’eccitazione si sarebbe attenuata. Dovevo… distrarla…!
– E… qual’è il tuo fiore preferito?
– Beh… se ti dicessi che sono le rose rosse, sarei scontata, ma è la verità… posso dirti un segreto?
– Dimmi. – Qualsiasi cosa pur di farla fermare, o almeno rallentare.

– Papà e mamma non lo sanno, non ci hanno mai fatto caso, ma… appena ho compiuto diciotto anni… ero tanto pazzoide che mi sono fatta tatuare una rosa.
– Un tatuaggio? Tu?
– Sì, una rosa rossa…

Per poco non mi veniva un colpo: anche la donna mascherata aveva una rosa, sulla coscia destra, molto in alto, seminascosto dai riccioli del pube.
– Una rosa? Dove? Non sapevo ti fossi tatuata! Fammela vedere!
– Non è in un posto accessibile agli occhi di tutti!
Sorrise, con quella sua aria maliziosa per cui la chiamavamo monella.

– Ma io posso vederlo, vero?
– Non so… devo pensarci…
– Dai, Vero, da quando abbiamo segreti tra noi? Fammelo vedere.
– Non lo so…
– Io però ti ho sempre detto tutto… mentre questo è il primo segreto che mi tieni.
– Dai, te lo faccio vedere un’altra volta… anche perché dovrei mettermi il tanga.
– Che c’entra?
Sorrideva divertita, io stavo sulle spine.

– E’ che si trova quasi nell’inguine…
Rosso… nell’inguine…
– Destro?
– Bravo, hai indovinato!
– Devo vederlo adesso, subito!
– Perché tanta fretta?
– Te lo dico dopo.

Stavo perdendo le staffe, un dubbio atroce mi tormentava.
Una coincidenza stranissima: lo stesso tatuaggio, lo stesso disegno, nello stesso posto!
E poi, quelle tette perfette, quel culetto sodo sul mio pube… troppe coincidenze…

La feci alzare e mi alzai cercando di dominarmi; poi la sollevai di peso e la deposi sul letto.
– Ma Andrea, cosa fai?
Stava ridendo, per lei era uno scherzo, una cosa da bambini, il gioco innocente di due fratellini. Ma per me no!

Aprii senza tante cerimonie l’accappatoio, non feci neanche in tempo a godermi la vista di un corpo superbo, nuda come non l’avevo mai guardata, e subito le dischiusi le cosce. Quello stesso pube… e quello stesso tatuaggio. Quel tatuaggio…
Era quello! Era quello!
Rimasi in ginocchio, incantato. La guardai, sbalordito, sgomento.
– Catwoman… sei tu!
Sbarrò gli occhi, impaurita, sconvolta.

Nascosi il volto tra le sue gambe, baciando, lambendo quella rosa che non mi pungeva, anzi, era dolcissima da toccare.
Cercò di alzarsi, di mettersi seduta.
– Ti scongiuro, Andrea, ti scongiuro… non rovinarmi… non dirlo a nessuno… non distruggere tutto…
Io non mi saziavo a baciarla, ora la mia lingua era tra le sue grandi labbra: la volevo tutta, la volevo mia.
Era rimasta immobile, di sasso, le dita nei miei capelli; alzai le mani, le afferrai il seno, lo strinsi, freneticamente, mentre seguitavo a leccarla, quasi furiosamente, avevo succhiato il clitoride, ora la lingua era dentro di lei, con movimento circolare. Stavo divenendo meno nervoso, meno furioso, ma sempre più eccitato.

Mia sorella Veronica era la donna mascherata, Catwoman. Avevo Catwoman tra le mani, stavo toccando Catwoman!
Veronica era bellissima, stimolante, era Catwoman, e io avevo la voglia di morderla. Ma si, dovevo morderla: mi arrampicai su lei, le presi i capezzoli tra i denti, leggermente.
– Andrea, ti prego, non lasciarmi segni… ti prego…
Continuavo a torturarle i capezzoli tra i denti, mentre una mia mano scendeva ad accarezzarle il pancino delicato, poi l’interno coscia, per finire sfiorandole il sesso oramai umido, carezzando le grandi labbra sempre più insistentemente…

Soddisfatto dal suo seno pieno e perfetto, abbandonai con la bocca i capezzoli e tornai a leccarle il sesso, perché avevo troppa curiosità di sentire il suo sapore. Con due dita spalancai il suo frutto più nascosto per assaporarne il gusto prelibato, sentii che cominciava a muoversi… dapprima lentamente, poi sempre più smaniosa, e gemeva, con gli occhi chiusi, una mano sulla bocca.
– Andrea, tesoro, fratellino mio… cosa vuoi fare…
Questo, sorellina mia adorata: via pantaloncini, boxer, camiciola, via tutto, via tutto, fino a farmi spazio dentro l’accappatoio, tra le sue cosce ormai oscenamente aperte. Puntai il mio fallo rubizzo e irrequieto tra le sue gambe, giusto accanto alla rosa rossa, e la penetrai, stringendo i denti, avvinghiato alle sue cosce, trattenendomi a stento dall’essere quasi brutale. Il mio sesso era sparito tutto in una caverna strettissima, spalancata dalla mia entrata decisa, aperta tutta per me.

Era una cosa meravigliosa, un calore avvolgente come non avrei mai immaginato, una sensazione ancor più paradisiaca del semplice vederla muoversi sinuosa su quella passerella: era deliziosamente stretta, caldissima, capace di accarezzare ogni angolo del mio bastone, di distribuire il calore per obbligarmi a spingere sempre più forte. Mia sorella era Angora, Tiffany, Bengala e molto di più.
Il mio pompare diveniva sempre più deciso, sempre più veloce e sempre più profondo, inesorabile, mentre mia sorella si teneva le ginocchia spalancate per lasciarmi piena libertà di movimento dentro di sé: avevo una occasione unica per prendermi tutto ciò che centinaia di persone, a caro prezzo, avevano pagato per poter vedere, immobili, seduti e lontani. Portai le mani sul suo viso, le tolsi l’asciugamano liberando i capelli selvaggi, e la baciai con tutto l’ardore possibile, e lei ricambiò. Ormai entravo e uscivo velocemente da quella guaina avvolgente, sfiorando ripetutamente la rosa rossa, uscendo tutto per poi sprofondare nuovamente nelle sue profondità nascoste, penetrando ogni volta più a fondo e più forte nel fiore di Catwoman, nel fiore di Veronica, nel fiore più segreto di mia sorella, che ormai s’era abbandonata completamente ai sensi.

Steso su di lei, spingevamo ormai come pazzi, stringendoci l’un l’altra, i suoi seni sotto il mio petto, le sue mani adesso davano il ritmo allo spadroneggiare della mia penetrazione, tirandomi disperata a sé con i fianchi.
In pochi attimi sentii il mio pube che cominciava a formicolare, ancora poche spinte e sarei venuto: le piantai il mio ramo possente più in profondità che potei, lasciando che fosse allora solo la frizione dei nostri organi a completare gli ultimi passi dell’opera della natura… e finalmente, in un’esplosione estatica, il suo forsennato ancheggiare contro il mio bacino, e le violente contrazioni del suo fiore strettissimo pomparono fuori dal mio stelo tutto il suo nettare, e io eiaculai pienamente in mia sorella, così tanto da farmi quasi male, mentre mi disperdevo in lei schizzo dopo schizzo, fino a che il suo fiore non mi ebbe risucchiato fino all’ultima goccia.

Veronica mi aveva chiuso tra le gambe come una tenaglia, con una forza di cui non l’avrei mai detta capace: a letto, mia sorella era una vera tigre, altro che Catwoman: molto, molto di più. Era una donna che non si perdeva una attimo, che si schiacciava con forza sul suo partner; e già io, dopo averglielo piantato tutto dentro l’ultima volta, lo tenevo fermo in profondità per spruzzarle il mio nettare più dentro possibile, perché nessun’altra donna al mondo avrebbe potuto cuocere il mio seme in modo più perfetto, nessuna donna al mondo sarebbe stata capace di godere così tanto facendomi anche toccare le vette del paradiso. Il mio nettare a fecondare il suo fiore, la sua rosa incandescente, mentre spingevo animalescamente a fondo, senza risparmiarmi, schizzandole dentro con tutta la forza che avevo in corpo.

Veronica, di suo, aveva incrociato le gambe sulla mia schiena, inarcato il bacino, e se prima contraccambiava voluttuosamente le mie spinte ormai del tutto selvagge, accompagnandole con un gemito incalzante che sfociò in un grido, alto, incontrollato e dal fremito convulso che la sconvolse, adesso continuava ad accogliere in sé, ancheggiando, tutti i miei schizzi e mentre continuava a gridare per poi rimanere inerte, mentre una colata bollente di liquido seminale la invadeva fino all’intimità più profonda, dove le mie spinte non potevano neppure arrivare.

Ero così eccitato dall’idea che neanche mi accorsi di starmi scopando mia sorella: semplicemente, stavo facendo del sesso meraviglioso con una donna ricercatissima ed esclusiva, e nessuna sensazione al mondo è mai stata più inebriante di quel travaso, del mio svuotarmi tutto dentro Veronica-Catwoman, senza risparmiarmi, accompagnando la mia eiaculazione piena dentro mia sorella con spinte sempre più forti e profonde, rese ancor più incisive dalle contro spinte di Veronica, che ormai muoveva il bacino come un’assatanata e mi spremeva fuori tutto, accogliendo in profondità ogni mio schizzo che io avvertivo riversarsi dritto dentro il suo ventre, la mia anima travasata dentro la fecondità di Veronica. Non inseminavo mia sorella, ma una strepitosa femmina da accoppiamento. Mamma mia, che esperienza irripetibile…

Quella notte non conoscemmo tregua, ormai la diga era rotta e la casa era vuota. Quella notte rinacque la nostra complicità, ma in modo diverso da quando eravamo due bambini: un modo da un lato più maturo, dall’altro più assurdamente irresponsabile, ma era proprio questo a rendere irresistibile il nostro desiderio: è fantastico osservare il tuo sperma colare fuori dalla tua donna, ma se quella donna è la tua fantastica sorellina, che fa girare la testa a tantissimi uomini, è impossibile ragionare, è impossibile fermarsi. E lo stesso per Veronica: non esiste una sensazione capace di descrivere come ci si senta godendole dentro, schiaffandolo tutto a fondo con violenza, fino alla cervice, scaricando tutto il mio seme direttamente dentro il suo utero…

Eravamo da soli nell’appartamento di sopra, liberi di accoppiarci furiosamente, di gemere e di gridare senza controllo, di godere l’uno dell’altra in ogni angolo dell’appartamento, scopando fino a sentire i muscoli indolenziti, fino a sentirmi le palle doloranti dopo l’ennesima eiaculazione. Veronica interpretò danze meravigliose solo per me, e io ogni volta trovai nuovo seme da donarle. Eravamo insaziabili e incestuosi.

L’accordo era presto fatto: lei avrebbe tolto la maschera solo quando era con me. E non vedeva l’ora di toglierla, e io non vedevo l’ora che la togliesse… eravamo pazzi, ogni volta ci ripetevamo che era l’ultima volta che lo facevamo e che stavolta non saremmo andati fino in fondo, ma poi, sul momento, la scopata prendeva una piega irresistibile e Veronica mi incitava sensualissima, mi diceva che la sua femminilità era il calco esatto del mio fallo (ed è vero: pareva fatto su misura, la riempio fino all’utero, tanto che al momento di godere spesso decidiamo di fermarci e lasciar fare) e finiva per chiedermi di goderle dentro, e io mi svuotavo tutto nel suo utero, pensando che quella femmina da accoppiamento di mia sorella mi avrebbe presto dato un esercito di figli…
– Sono così monella… che… mi faccio ingravidare dal fratellino… lo voglio tutto… sì…

La cosa andò avanti per un bel pezzo; non avevamo paura di nulla, non temevamo nessuno. L’essenziale era fare l’amore, accoppiarci furiosamente, godere del contatto reciproco fino alle estreme conseguenze, non facendoci mancare nulla. Veronica mi eccitava tutto il giorno, lasciandomi intravedere le mutandine o sculettando invitante, strusciandosi, palpandomelo o anche sussurrandomi in un orecchio tutto quello che avremmo fatto la prossima volta, o mostrandomi il suo sorriso che sta pensando di godere. Come sa fare solo lei: da autentica monella, ma senza volgarità, in modo elegante e proprio per questo in grado di accendere sempre più fantasie.
Ma ve lo immaginate che io, Andrea, andavo a letto che la donna misteriosa di cui parlavano tutti? Ve lo immaginate che la mitica Catwoman non attendeva altro che godere con me fino ad accogliere dentro la sua intimità tutta la mia goduria?

E lei voleva venire a letto con me, passionalmente, voluttuosamente, ogni volta possibile, accoppiandoci selvaggiamente e senza sosta, godendo del contatto intimo di due sessi fatti l’uno per l’altra.
L’unico che ci guardava e non si rendeva conto della nostra allegria, della nostra complicità, era il buon Renato, che non riusciva neppure a capire come mai la sua donna era meno desiderosa degli amplessi coniugali, da quando erano venuti a vivere da noi per colpa di quella sua occasione di lavoro (in realtà era stato il contrario, ma Veronica aveva aggiustato tutto a suo modo).
Scopavamo furiosamente ogni giorno, sia che Renato fosse fuori a lavorare, sia che fosse in casa o in qualsiasi altro posto – ad esempio ci siamo accoppiati spesso anche in macchina, ogni volta che ho deciso di andarla a prendere fuori dal “Seduction Heaven” al termine del suo spettacolo, trovandola calda ed eccitatissima, pronta a cuocermi a fondo, pronta ad implorarmi di godere di lei, io che non vedevo l’ora di riversare tutta la mia virilità dentro la mia sola e unica donna, di sentire la delizia con mio il mio seme si spande tutto dentro di lei…

Un giorno, sulla porta a vetri del “Seduction Heaven”, apparve un avviso: “‘Catwoman’ è indisposta. Le rappresentazioni sono sospese. Il locale rimane aperto per gli altri servizi”.
Sette mesi dopo nacque Carlotta; forse dovrei dire che è la mia prima nipotina, ma sarebbe solo metà della verità…

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