Il giorno della laurea, si sa, è una giornata in cui, in realtà, i giochi sono stati fatti. Più o meno sai bene con che punteggio uscirai dall’università: quell’edificio in cui hai trascorso molti anni, in cui hai studiato, ti sei arrabbiato, hai creato amicizie, ti sei fatto un sacco di risate e hai scoperto molti posti interessanti dove trascorrere le lunghe ore di studio e di attesa. L’attesa è il ricordo più vivo che ho dell’università. Aspettare per dare l’esame, aspettare per parlare con il professore, aspettare per iscriversi agli appelli. Aspettare anche per discutere la tesi, tanto per rimanere in tema.
Quel giorno mi ero preparata con cura ed ero molto meno agitata del previsto, quando ero in casa: fra tutte le persone di fronte alle quali mi sarei trovata, ero sicuramente quella che ne sapeva di più dell’argomento. Eretici del 1600 che non si dovevano perseguitare perché fonte di dialogo e di discussione: tema forte e poco conosciuto, sul quale mi ero fatta una cultura interessante nei mesi precedenti e sul quale mi ero fatta un’opinione molto particolare, nocciolo della mia discussione e della mia personale argomentazione. Non volevo nessuno presente, non perché fossi agitata, ma per portare avanti una scaramanzia durata quattro anni. Nessuno ai miei esami, nessuno alla mia laurea!
Ero vestita con un elegante tailleur blu a righine, scarpe con un basso tacco, un velo di trucco per non esagerare: mi stavo pur sempre laureando in una materia sulla quale c’era poco da scherzare!
Arrivata in facoltà mi soffermai a fare una passeggiata nei viali ancora silenziosi e poco frequentati. Era una giornata di fine aprile, molti corsi erano già terminati e le aule si stavano lentamente svuotando. Dentro di me pensai che tutto quello, infondo, mi sarebbe anche mancato. Arrivata davanti all’aula magna, mi resi conto che non c’era ancora nessuno, e così ne approfittai per ripassare mentalmente alcuni punti fondamentali che ero certa avremmo toccato.
Fui interrotta da una voce maschile alle mie spalle che, all’improvviso, mi disse: ‘anche tu discuti oggi?’ Mi voltai all’improvviso e vidi un ragazzo alle mie spalle. Occhi blu molto intensi ed un profumo che mi colpì immediatamente. Aveva un bel sorriso e un naso importante, che però sul suo viso sembrava perfetto. Indossava un bel completo, ma senza cravatta, altro elemento che mi colpì, vista l’occasione. Visto che si era creato un silenzio imbarazzante fra me e lui, cercai di rispondere per non sembrare una perfetta idiota: ‘ehm’ si’ si’ dovrei essere la prima della lista’. Che cosa stupida che avevo detto! Quel giorno eravamo in due a discutere, ed evidentemente l’altro candidato era proprio davanti a me.
– ‘scusa se ti ho distolto dai tuoi pensieri’, aggiunse il ragazzo, ‘ma non ho visto nessuno oltre te e mi è sembrato strano che non ci fosse nessuno ad assistere’ io ho una sfilza di gente che ho costretto ad andare al bar, visto quanto mi stavano agitando’.
– ‘è il mio rito scaramantico’, mi sorpresi a controbattere, ‘nessuno agli esami, nessuno alla laurea’.
– ‘curioso rito’, mi disse lui. ‘Io ne ho un altro decisamente più’. Piccante’.
Quella parola in quel contesto non potè fare altro che solleticare la mia attenzione e mettere all’erta tutti i miei sensi. ‘Comunque io mi chiamo Fabiana’ e tesi la mano al mio collega. ‘Piacere, Andrea’. In effetti aveva proprio la faccia da Andrea, ma più lo guardavo, più mi rendevo conto che la mia testa continuava a pensare a quel rito piccante di cui mi aveva parlato. Quale poteva essere?
Forse l’agitazione che iniziava a farsi avanti, forse un momento di stupidità, ma mi sorpresi a dire, come se le parole non uscissero da me ma da un’estranea: ‘quale rito’. Ehm’. Piccante?’
L’espressione sul viso di Andrea cambiò radicalmente, come se si fosse acceso. Non sembrava più il laureando bellissimo e un po’ timido della prima impressione, ma’ Una persona sicura di se, molto più grande della sua apparente età, molto più’ ‘vissuta’. Senza un filo di imbarazzo mi disse: ‘fare sesso’.
A me venne naturale sorridere.. Un bel rito, in effetti, al quale non avevo mai pensato, prima di un esame. ‘Beh’, dissi io, ‘sarà stata contenta la tua fidanzata questa mattina’. E rimisi il viso fra le pagine della mia tesi, cercando qualche cosa che sapevo esattamente dove trovare.
‘Veramente’, mi disse Andrea tranquillo, ‘non sono fidanzato, e oggi non ho ancora fatto sesso’. Non lo stavo guardando, ma sentivo il suo sguardo appiccicato a me, incollato alla mia testa. Mi sentivo del tutto nuda e priva di difese: quella affermazione apriva degli scenari totalmente differenti anche per me, giovane fanciulla in erba. Ero magneticamente incollata alle pagine della mia tesi, quando sentii le sue dita tirare su il mio mento, per obbligarmi a guardarlo negli occhi. Dovevo essere diventata paonazza, perché la sua espressione divertita mi colpì come un pugno nello stomaco. ‘Sai’ non sono mai stato bocciato” e lentamente le sue dita scesero dal mento allo scollo della mia camicetta’ La parte saggia di me mi diceva che avrei dovuto dargli un bello schiaffo e fermarlo immediatamente, ma non fui capace di muovere un solo muscolo. Quel profumo così inebriante, la primavera che avanzava a passi spediti, quel languore nella pancia che avevo scambiato per agitazione, erano invece tutti segnali incontrovertibili di una cosa: Andrea mi stava eccitando. Sentivo le sue dita sul mio petto, ferme ma decise a passare oltre, a superare il confine dei bottoni. E così fece.
Lentamente, sempre guardandomi dritto negli occhi, fece scivolare le sue dita all’interno dello scollo della mia camicia, slacciando prima uno, poi due bottoni, fino a raggiungere la stoffa del reggiseno. La mia mente sembrava annientata, non ero in grado di reagire in maniera razionale, perché tutto quello che desideravo, in quel momento, era che Andrea non si fermasse.
Mi prese per mano, entrando nell’aula magna. Avremmo avuto ancora del tempo prima che la commissione entrasse, ma l’idea che qualcuno potesse scoprirci mi eccitava e mi terrorizzava ancora di più. Non avevo la minima idea di quello che sarebbe accaduto; ma Andrea mi sembrava così sicuro di se’ che non potei fare altro che seguirlo e abbandonarmi all’istinto. Chiuse la porta dietro di se e fece scattare il chiavistello: se anche qualcuno avesse avuto le chiavi per entrare non avrebbe potuto farlo.
Tenendomi per mano, mi condusse davanti a quello che sarebbe stato, di lì a poco, il banco dove la commissione si sarebbe accomodata. Mi prese per i fianchi e mi fece sedere. Si avvicinò a me e come un lupo famelico mi ritrovai le sue mani addosso. Mi tolse la giacca in un lampo, che lasciai cadere a terra insieme alla camicetta che oramai mi sembrava solo un peso. Volevo le sue mani sul mio seno, volevo la sua bocca ovunque sul mio corpo. Andrea sembrava perfettamente a suo agio in quella situazione che a me pareva invece paradossale: stavo facendo sesso nell’aula magna della mia università con uno sconosciuto. Per la prima volta il senso di libertà che provai fu più forte di tutto il resto e mi lasciai andare. Decisi di baciare quelle labbra che avevo desiderato dal primo momento. Infilai la mia lingua nella sua bocca: volevo che sentisse il mio sapore, il mio desiderio. Le sue mani slacciarono con agilità il reggiseno, liberando le mie tette sode e già turgide. Le sue mani le sfioravano, le toccavano, le stringevano. Aderivano come uno stampo sulla pelle fredda e completamente in suo potere. Provai allora a togliere la giacca anche a lui ma mi bloccò: ‘mia cara’. Ho una regola’. Prima le Signore” . E capii che la prima a beneficiare di quel trattamento sarei stata io. Così mi abbandonai completamente a lui’ Prese a baciare il mio seno succhiando con avidità e impossessandosi di ogni brivido che il mio corpo sospirava. Scese sulla pancia, sull’addome, sull’ombelico, sul quale indugiò qualche istante, prima di aprire, solo con le labbra, il bottone dei miei pantaloni. Sentì il mio sospiro, rendendosi conto di quanto fossi eccitata e di quanto desiderassi la sua attenzione sulla mia intimità. Mi tolse le scarpe con fare sicuro e lasciò scivolare a terra i pantaloni, accorgendosi che indossavo calze autoreggenti e un perizoma molto carino, di pizzo bianco. Istintivamente allargai le gambe nella sua direzione, ma lui le prese e le appoggiò entrambe sulla scrivania, facendomi distendere. Guardavo il soffitto dell’aula magna, mentre Andrea, salito sulla scrivania anche lui, lentamente dischiuse le mie cosce risalendo con la sua lingua lungo tutta la lunghezza dei miei polpacci, ginocchia, cosce, anche. Eccola la sua lingua vicina al pizzo, ecco che si fece strada scostando con eleganza la stoffa per scoprire una fighetta ben curata, grondante di umori e molto, molto desiderosa delle attenzioni del mio collega. La sua lingua ci sapeva fare senza la minima esitazione. Lo sentii muoversi sulle grandi labbra con colpi leggeri e prolungati, quasi a disegnarne il profilo e la consistenza. Sembrava molto attento a non andare oltre l’immaginario confine del piacere.
Io non riuscivo più a connettere, ad essere razionale.
Quando meno me lo aspettai, sentii la punta della sua lingua toccare proprio il clitoride che reagì immediatamente dandomi una scarica di adrenalina lungo tutto il corpo. Gemetti a voce alta, incurante del fatto che al di là della porta poteva esserci chiunque.
‘Vuoi godere eh’.’, mi disse con la sua sicurezza ormai indiscussa. E riprese a leccarmi con forza, scuotendo il mio corpo con brividi e sospiri continui. Mentre la sua bocca assaggiava e succhiava i miei umori, le sue mani ripresero a tormentare il mio seno: voleva che godessi, e che il godimento fosse pieno e totale. Inarcai il bacino ancora di più verso di lui, perché nemmeno una piccola parte di me rinunciasse a quel trattamento imprevisto e inaspettato. Non riuscivo a guardarlo in faccia, ma ero certa che stesse sorridendo.
Affondò la sua lingua dentro di me, così, all’improvviso, scopandomi con la bocca come una donna avrebbe fatto con un uomo e io venni.
Venni con violenza e con lunghi e gutturali gemiti. Venni copiosamente inondando la sua bocca, il suo viso, forse anche il bordo della sua camicia del mio sapore. Venni come non mi era mai successo. Venni e rimasi immobile, distesa sul tavolo della mia sessione di laurea, che ora sicuramente si sarebbe impregnato del mio odore di femmina. Venni e chiusi gli occhi, fino a che la voce di Andrea non mi destò. ‘Ora, però, tocca a me’.
Quella voce mi destò dal mio stato di trans e fu come un segnale per me. Tirai su la testa e vidi il viso di Andrea totalmente rilassato e pronto. Pronto a essere eccitato, ad essere accontentato, ad essere soddisfatto. Sorrisi e lo guardai. Come una gatta mi avvicinai a lui gattonando sul tavolo e mi resi conto che i miei umori si erano sparsi anche sul legno della cattedra e ora anche addosso a me. Eppure non mi interessava: sembravo in estasi, sembravo un’altra persona. Mi avvicinai a lui, obbligandolo ad allargare le gambe e lo baciai con foga e passione. La mia lingua roteava nella sua bocca mentre le mie avide mani lo liberarono in fretta dalla giacca e anche dalla camicia. Le sue spalle erano forti, muscolose e la mia bocca prese a correre lungo tutto il suo profilo. Aspiravo quel profumo e allo stesso tempo volevo che si abbandonasse al trattamento delle mie labbra su di lui. Lo feci stendere sul legno, come lui aveva fatto con me e, con l’aiuto delle mani, iniziai a massaggiare il suo addome con la lingua, con la saliva e con la forza delle mie mani. Volevo che anche lui si impregnasse di me, volevo che il suo corpo sapesse della mia essenza e che se la portasse addosso fino al momento della doccia.
Mentre scendevo, mi resi conto della sua incipiente erezione che, ormai, i pantaloni non riuscivano più a contenere. Questo dettaglio mi compiacque non poco e, distrattamente, lasciai che le mie tette sfiorassero la sua verga all’interno della stoffa. La reazione fu immediata e io sorrisi. Volevo esasperarlo, volevo che fosse soddisfatto di questa perfetta sconosciuta che si stava prendendo cura del suo desiderio e così liberai il suo membro dal fastidio della stoffa. In pochi istanti lo vidi ergersi in tutta la sua notevole dimensione: era rosa, lucido e dritto, proprio come un’opera d’arte.
Lasciai che il mio seno giocasse con lui, aumentando a dismisura il desiderio di Andrea della sua bocca su di lui. I miei capezzoli sfioravano la sua cappella giù umida e molto turgida, riaccendendo in me il desiderio in pochi istanti. Con movimenti lenti e sinuosi mi voltai, offrendo ad Andrea il mio bel sedere, mentre la mia bocca si impossessò del suo membro. Lo lasciai libero di scegliere se leccarmi oppure no: io avevo altro di cui occuparmi. Lo lasciai scivolare nella mia bocca con una lentezza esasperante. Volevo che assaporasse ogni istante di quel trattamento, volevo che sentisse tutta la mia eccitazione.
Con un po’ di pressione delle labbra, lentamente liberai anche la sua cappella che scivolava lenta, su e giù. Sentivo i suoi gemiti, sentivo i suoi umori nella mia bocca e mi sembrava il nettare d’ambrosia, che per lunghi anni aveva allietato i miei studi classici. Leccavo, succhiavo, mentre le mie mani solleticavano i suoi testicoli che lentamente presero a diventare più sodi. La sua eccitazione era palpabile nella mia bocca, ma il suo corpo, a quel trattamento, si stava irrigidendo e contraendo in spasmi di piacere. Le mie dita presero a massaggiare i testicoli di Andrea, attraverso piccoli movimenti rotatori e pressori, solleticando anche, di tanto in tanto, il suo buchino. Questo, mi resi conto, lo mandava in estasi.
Non riuscivo a capire le sue parole, ma pensai che anche lui si stesse abbandonando ad un piacere meritato e atteso. In fondo i riti sono i riti, non possono mica essere abbandonati proprio nel giorno più importante del proprio percorso! Sentivo il suo membro ingrossarsi nella mia bocca, irrigidirsi e produrre nettare che prontamente ingoiai con avidità e desiderio. Eppure anche io desideravo godere ancora, e desideravo portare Andrea all’apice di un desiderio assoluto. Ecco allora che mi voltai nuovamente e lasciai scivolare la sua verga possente dentro di me. Tutta d’un colpo, senza esitazione. La morbidezza delle mie pareti lo fecero gemere in modo prolungato, mentre i suoi occhi mi guardavano con attenzione. Io ero sopra di lui: ero io a condurre il gioco del desiderio, sarei stata io a decidere quando e se lui sarebbe venuto. Iniziai a muovermi lentamente su di lui, lasciando al suo sguardo il mio seno nudo che si muoveva a ritmo del mio bacino. Andavo in su e in giù, stimolando anche i suoi testicoli con i miei movimenti.
Potevamo sentire il rumore dei nostri gemiti e dei nostri corpi scivolare uno dentro l’altro. Ormai non ci rimaneva più molto tempo, ma volevo che Andrea si ricordasse di questo momento per sempre. Presi così a muovermi con maggior decisione e ritmo e sentii sotto di me un corpo che reagiva e apprezzava. Le sue mani si posarono sui miei capezzoli, stringendoli con una forza nuova e sconosciuta, quasi fino a farmi male.
-‘Dai’ Dai” mi diceva lui. I suoi occhi chiusi, il suo desiderio palpabile mi diedero il via per muovermi con maggior decisione e forza. Lasciai i movimenti lenti e ritmati per dedicarmi a movimenti molto più rapidi e ravvicinati fra loro. Sentivo che stava per venire, mancava davvero poco, così rapidamente scivolai via da lui per accoglierlo nuovamente nella mia bocca. Quel cambio di superficie e di trattamento lo mandarono in estasi e, con un grido animalesco, mi inondò di sperma.
Fu impossibile per me trattenerlo tutto nella bocca: ingoiai quanto fu possibile ma il resto mi scivolò addosso, sul petto,sul seno. Sembrava non finire mai.
Crollammo esausti sul legno della scrivania.
Non so per quanto tempo rimanemmo in quella posizione: minuti che a me sembrarono eterni, fino a quando non mi resi conto del motivo per il quale mi trovavo lì: la tesi, i professori, la commissione!!!
Ci rivestimmo in fretta e furia, ma nel momento in cui ci stavamo rinfilando entrambi i pantaloni, Andrea mi prese nuovamente con forza e mi penetrò. All’improvviso, senza nessun preavviso. I suoi movimenti rapidi, sicuri e precisi mi mandarono in tilt, ma il mio corpo rispose in un istante: il nostro desiderio non si era placato, avremmo potuto andare avanti a lungo. Lui si muoveva veloce, come preda di una frenesia. Io mi aggrappai a lui, per non perdere nulla di quella meravigliosa sensazione di pienezza improvvisa.
‘Godo’.’ Gridò appena in tempo per farmi uscire e accogliere di nuovo il suo membro nella mia bocca. Questa volta fui costretta ad ingoiare tutto, perché altrimenti le tracce di quanto avevamo appena consumato si sarebbero viste sui nostri abiti. Quel secondo orgasmo improvviso lo soddisfò del tutto, ma prima di ricomporsi mi chiese: ‘toccati davanti a me e vieni. Io sono a due, tu ancora a uno solo’.
Come se fossi in trans avvicinai la mia mano alla mia fighetta ancora pregna dei miei umori e presi a toccarmi. Le mie mani scivolavano sicure dentro di me: sapevo dove toccarmi con una precisione matematica, sapevo quali erano i punti speciali del mio corpo. Mi toccavo guardandolo dritto negli occhi, senza esitazione. Le mie dita sparivano dentro di me, fino a quando un desiderio nuovo riaccese i miei brividi. Dovevo godere e dovevo godere subito.
Le mie dita cercarono sicure il clitoride che era turgido e gonfio e lo solleticarono con attenzione e maestria: bastarono pochi secondi per farmi esplodere di nuovo in un orgasmo irrefrenabile. Avevo il fiatone e a fatica riuscii a rimanere in piedi. Andrea si avvicinò a me. Mi diede un lungo bacio sulle labbra e, dopo avere atteso che mi fosse del tutto ricomposta, mi disse semplicemente ‘in bocca al lupo, dottoressa’.
Il racconto nasce dall'unione di alcune esperienze sessuali e relazionali che ho vissuto. Celeste esiste, ma non è quello il…
Pazzesco..sarebbe bellissimo approfondire la sua conoscenza..
Mi piace pensare sia un racconto reale..se ti andasse di parlarne scrivimi a grossgiulio@yahoo.com
Molto interessante, è realtà o finzione? Dove è ambientato?
Felice che le piaccia. Le lascio il beneficio del dubbio…