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Racconti Erotici

PICCOLE MELE

By 29 Novembre 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

CAPITOLO PRIMO
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Buongiorno, Piccole Mele. Ben arrivata, anche oggi, sulla spiaggia, con il tuo bambino.
Ti vedo da una settimana, ormai, ma non ci siamo neppure parlati una volta. Non so neppure come ti chiami. Ma travolgi completamente i miei pensieri e mi fai vacillare la mente.
Con la tua personcina esile, non appariscente, delicata, stai soffiando il vento della passione sulle braci sopite che ho dentro. Con la tua voce sottile, sommessa, quando parli al tuo bambino mi dài profonde sensazioni. Ormai tutti i giorni vengo in spiaggia per vedere te. Appena arrivo ti cerco, con lo sguardo, e i miei occhi ed il mio cuore si placano solamente quando ti vedo.
Perché sabato e domenica non c’eri? Perché non ho visto i tuoi capelli rossi e le tue efelidi?
Sei rimasta in camera tutto il giorno con il tuo bambino piccolo e con tuo marito, che &egrave venuto a trovarti? Già ti immagino, mentre il tuo bimbo dorme, sdraiata sotto a tuo marito a gambe aperte.
E la mia anima brucia di gelosia. E il mio corpo freme dalla voglia di prenderti e farti mia. Perché non sei solo mia?
Oppure non sei venuta in spiaggia perché avete litigato? Forse non lo ami più. Forse tuo marito non era neppure venuto. Forse sei separata. Forse il bimbo non stava bene. Forse non c’&egrave più nessuno che si prende cura delle tue “piccole mele”. Che le accarezza, che le bacia, che le succhia avidamente, come farei io.
Mi piacciono da morire, le tue “piccole mele”.
Giovedì c’era vento. Ti ho vista rabbrividire, quando sei uscita dall’acqua con il tuo bimbo . E le antenne delle tue “piccole mele” mi hanno chiamato. Irresistibili. Spingevano forte, sotto i triangolini del costume, come se mi chiamassero, come se mi chiedessero di essere notate, leccate, succhiate, morse, coccolate. E il mio corpo ha reagito. Subito, senza preavviso.
Quella dolce sensazione di calore e di prurito sotto il mio sesso che prelude all’erezione. Hai guardato verso di me, allora, con i tuoi occhi verde mare, certamente non ti sei accorta di nulla, forse neppure sai che esisto, ma ho immaginato che guardassi proprio me, e sono avvampato. Poi ti sei chinata verso il tuo bimbo e lo hai lavato. Dolcemente. Delicatamente. Ho immaginato allora le tue mani bagnate su di me. Sul mio viso, sulle mie labbra, sul mio petto. Ho immaginato la tua bocca percorrere dolcemente tutto il mio corpo.
Poi, mentre tornavi verso di me, il mio sesso non ha potuto fare a meno di chiamarti.
Impertinente, si &egrave palesato, nella stretta del costume. Tu stavi guardando altrove allora, ma ti sei subito voltata a guardarlo.
E questa volta non hai potuto non notarlo. Ho sentito il contatto dei tuoi occhi verdi accarezzarne tutta la lunghezza, valutarne le dimensioni e le forme, forse apprezzarne la pienezza.
Io mi sono subito voltato a pancia in giù, e tu mi hai guardato nuovamente. Stavolta il tuo sguardo verde mare, nascosto tra i capelli rosso fuoco scompigliati dal vento e le efelidi, mi ha accarezzato i glutei, voglioso.
E hai avuto voglia di leccarti le labbra. Ti piaceva il sapore del sale, ma forse immaginavi il sapore del sesso.
E ti sei sdraiata anche tu a pancia sotto, con le gambe leggermente divaricate rivolte verso di me, mentre il mio sesso pulsava impazzito contro la tela del lettino.
Piccole mele, come vorrei respirare il tuo respiro, bere la tua pelle, assaporare il dolce miele del tuo frutto delicato.
Ora lo posso quasi vedere, tra le tue gambe. Un piccolo rigonfiamento del costume tra le gambe tornite. Me lo metti davanti agli occhi con indifferenza, come fosse la cosa più naturale del mondo, ed io mi sento mancare.
Quanto vorrei leccare la sottile linea dove termina l’abbronzatura, ed insinuarmi, scostando la stoffa, tra i tuoi più intimi recessi. Ti immagino mia, allora, e ad occhi chiusi vedo tutto il tuo corpo, nudo, davanti a me. Ora non c’&egrave più stoffa, sopra il bianco dell’abbronzatura, ed il tuo frutto risplende, succoso, al sole. Posso vedere le gocce di dolce rugiada che lo imperlano, e desidero che anche tu senta il contatto del mio sguardo. Mi copro con un asciugamano, ed insinuo lentamente una mano nel mio costume. Desidero che tu possa sentire il mio sguardo su di te, e mi tocco il sesso, come per trasmetterti con lo sguardo la medesima sensazione che sento pulsare tra le mie mani.
Vorrei che la prua della mia nave divaricasse dolcemente le onde bollenti delle tue labbra, e vi si smarrisse, tra il piacere e l’oblìo.
Le sento, le tue labbra, morbide, intorno al mio sesso, che si riempiono voluttuosamente di lui, allargate allo spasimo, e ne reclamano il denso nettare. Le sento contrarsi, alfine, contro la mia pelle vellutata, e sento sgorgare piano piano il tuo miele, dolcissimo, caldo.
Subito un vento caldissimo si impossessa del mio corpo, e mi regala brividi bollenti.
I muscoli si contraggono, il respiro si ferma, per un istante
Allora, finalmente, il caldo fiume del mio bianco nettare rompe gli argini, e precipita a valle. Tutta la valle si scuote e si contrae, pulsando come impazzita. Un getto, due, tre, quattro, tra le mie dita, e poi tutto si chéta, lentamente, dolcemente. E l’acqua defluisce, piano, dalla valle, fino a svuotarla.
Apro gli occhi e ti cerco, invano. Non ci sei più.
Grazie, Piccole Mele, per avermi fatto innamorare.

CAPITOLO SECONDO
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Oggi fa caldo sulla spiaggia. Non c’&egrave un alito di vento.
Tu, Piccole Mele, sei sdraiata davanti a me. Il tuo bambino dorme quieto nel passeggino, sotto l’ombrellone.
Non ho ancora scoperto se hai un legame o no. Ogni tanto telefoni a qualcuno, abbassando la voce. Mentre telefoni, spesso una mano ti si appoggia sul pube, con noncuranza.
Come fosse un gesto abituale, come arricciarsi i capelli intorno al dito. Lo fai spesso, mentre leggi.
Io mi immagino il tuo uomo, dall’altra parte del filo, un importante funzionario di un’azienda americana, o di una banca, così impegnato da non poter trascorrere nemmeno un giorno insieme a te. Non ti chiama mai. Lo chiami sempre tu. Lo odio. Ma mentre gli parli, la tua mano si posa sul pube.
Chissà quali piaceri avrà donato alla tua rossa orchidea selvaggia. Chissà quanto goloso nettare ne sarà sgorgato. O forse lui non se ne sarà neppure accorto. Intento a cercare il suo solo piacere, ti avrà iniettato il suo fiele, prima di abbandonarsi, pesante, sopra il tuo stelo delicato.
Odio anche te. Come si fa a mettersi con uno così?
Io ti cullerei dolcemente tra le mie mani, come una perla preziosa, se fossi il tuo uomo, e non ti lascerei mai, mai da sola.
Ma evidentemente tu lo ami, oppure stai con lui per convenienza. Si, certo una creatura così dolce e delicata come te non può certo amare quell’uomo. Sicuramente lo fai per il tuo bambino. Forse non puoi permetterti di crescerlo come vorresti, senza i suoi soldi. Forse non hai un lavoro tuo e subisci il suo vile ricatto economico.
E’ circa l’una, e la spiaggia si fa deserta. Restiamo solamente io e te.
I rossi capelli ricci sono raccolti da un elastico dietro la nuca. La pelle &egrave lucida, cosparsa di unguento. Gli occhi sono chiusi.
Il costume un po’ abbassato, per assottigliare il più possibile il segno bianco, lascia uscire un piccolo ricciolo rosso. Non te ne sei accorta, Piccole Mele, ma spero che tu non te ne accorga mai. E che questo momento duri in eterno.
All’improvviso le Piccole Mele mi chiamano. I loro piccioli si alzano, impertinenti, a chiedere la mia attenzione. Il tuo costume, che avevi slacciato, si solleva un pochino. Ma tu non te ne accorgi.
Chissà quali pensieri stanno attraversando la tua mente. Ma allora stai pensando a lui. Lo ami veramente, allora! Sto morendo di gelosia, e non mi posso trattenere.
Dò un calcio ad un secchiello per fare rumore e fermare i tuoi pensieri.
Apri gli occhi e ti guardi intorno. Io chiudo gli occhi e fingo di dormire. Ma sento che mi guardi e sorridi. Infatti, apro gli occhi improvvisamente, ti guardo e colgo la fine di un breve sorriso sulla tua bocca, lucida. Tu distogli lo sguardo da me. Poi accavalli le gambe, e la mano finisce di nuovo sul pube. Tra le cosce. Io mi metto gli occhiali a specchio e reclino la testa, fingendo nuovamente di dormire. Chissà quali pensieri erano e stanno ora tornando nella tua mente. Il mio corpo reagisce. Ecco di nuovo quel languore alla base del pene, ecco le pulsazioni che preludono una erezione. Ecco il gonfiore che inizia a distinguersi sotto il mio costume. Ma non mi voglio nascondere, questa volta. Sono invidioso dei tuoi pensieri e non m’importa se mi vedrai. Così chiudo gli occhi, e lascio che tutto faccia il suo corso. Il bimbo si lamenta, lievemente. Sento il rumore di te, che gli dai da bere con il biberon. Poi più nulla. Mantengo gli occhi chiusi e fingo di dormire. Sento il mio sesso che cresce, senza controllo, e provo vergogna. Ma fingo di dormire. Ti sposti e ti sdrai sul lettino, con la pancia sotto, il viso rivolto verso di me e guardi il mio ventre. Vedo, attraverso gli occhiali, i tuoi occhi verdi che si posano incessantemente su di me, sul mio torace, sulle mie spalle, sulle mie cosce, di nuovo sul mio ventre, sui miei occhiali. Vuoi sapere se dormo. Ma non mi muovo.
Passi la lingua tra le labbra, lentamente, come per inumidirle. Dopo poco, la ripassi ancora.
Vedo i tuoi glutei marmorei, statuari, e l’erezione non mi abbandona.
Dopo qualche minuto, anche tu sposti qualcosa, facendo un po’ di rumore. Io non mi muovo.
La tua mano destra si sposta lentamente tra il tuo pube ed il lettino e ti abbandoni, immobile, a guardarmi per qualche minuto. Mi guardo anch’io il costume. L’erezione non &egrave completa, ma quanto basta per disegnare bene le forme. Si intuisce la forma di cuore rovesciato, all’apice dell’ingrossamento, mentre alla base, la cucitura centrale del costume fende e separa nello scroto i testicoli.
Non mi muovo. Lentamente, cautamente, inizi a stringere cosce e i tuoi glutei iniziano a contrarsi, ritmicamente. Chiudi gli occhi e la tua bocca si contrae in una strana smorfia, mentre spingi il tuo pube verso la tua mano. Forse non sai che da fuori si vede, concentrata come sei nella ricerca del tuo piacere. Dopo non molto, la tela del lettino inizia a vibrare. Posso vedere lo sforzo muscolare del braccio. Ti mordi il labbro inferiore, e passi sempre più frequentemente la lingua tra le labbra. Il tuo respiro si fa corto, mentre il mio membro si ingrossa. Non &egrave più disteso sotto il costume, come prima. Spinge forte sulla stoffa, quasi volesse uscire. Quando apri di nuovo gli occhi, questa immagine oscena colpisce la tua libidine. Dai improvvisamente uno, due, tre, quattro… cinque spinte con il pube verso il lettino e finalmente la tua bocca accenna un sorriso.
Dopo poco, il bambino piange. Ti alzi, lo prendi dal passeggino e ti siedi sullo sdraio con lui in braccio. Io mi giro, sul lettino, a pancia in giù, con la testa girata verso di te, sempre fingendo di dormire.
Dopo un poco, la posizione del bambino ti costringe ad aprire un po’ le gambe.
Vedo impressa sul tuo costume una sottile riga umida. Ma allora hai veramente goduto per me. Hai sparso il tuo prezioso miele pensando a me. Non posso essere più felice. Mi muovo sul lettino, spostandomi un poco. Nonostante la delicatezza del contatto con la stoffa, ma esausto dall’eccitazione, il mio orgasmo esplode. Non mi muovo, esternamente, ma ogni fibra del mio ventre si contrae, ritmicamente, e dona simbolicamente uno… due… tre getti di bianco nettare alla tua vogliosa orchidea.
Dopo un poco, terminata l’erezione, mi alzo in piedi, avvolgendomi un asciugamano intorno alla vita. Tolgo gli occhiali e ti guardo. Tu mi rivolgi un sorriso che sembra ingenuo. Io ti sorrido e ti saluto.
Vado in bagno per rimediare al misfatto. Mi guardo allo specchio. Ho un’enorme macchia rossa di eccitazione sul petto. Non puoi non avere capito…
A domani, Piccole Mele. Ti aspetto con ansia.

CAPITOLO TERZO
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…da quando il brivido caldo del piacere che mi hai dedicato ha scosso le delicate rosee pareti del tuo nascondiglio segreto, qualcosa &egrave cambiato, dentro di te.
Forse non volevi che ti scoprissi, mentre cedevi, languida, al tuo piacere.
E, d’altra parte, devi avere capito benissimo quello che mi provochi.
Da allora ti sei fatta più audace, Piccole Mele, più provocante. Non &egrave chiaro se vuoi approfondire la conoscenza, oppure sadicamente stuzzicare la mia fantasia, per poterti toccare di nuovo, in segreto, guardando il mio fungo gonfiarsi.
Oggi hai un perizoma. Un piccolo triangolo bianco che copre appena il tuo pube. Da sotto, una sottile striscia di stoffa si insinua maliziosamente tra le tue natiche.
Anche il reggipetto &egrave bianco. Posso indovinare la dimensione delle areole delle tue ciliegine rosse.
E non ti fermi all'”abbigliamento”. Anche gli atteggiamenti sono provocanti.
Oggi ti sei sdraiata a pancia in su per spalmarti la crema.
hai appoggiato il flacone orizzontalmente, sull’ombelico
Hai stretto violentemente il flacone e un getto bianco &egrave finito tra le piccole mele e, in parte, sul tuo mento, proprio sotto le labbra.
Ti sei ripulita il mento lentamente, con l’indice, mentre mi fissavi con il tuo sguardo di mare.
Ho risposto al tuo sguardo con un sorriso leggero.
Poi hai iniziato a spalmare la crema, sollevando uno alla volta i triangolini superiori ed infilando dentro la mano, in modo che io non potessi vedere.
Ma quando, alla fine, hai tolto la mano, cara mia, i tuoi chiodini mi chiamavano, spingendo sulla stoffa.
Poi ti sei voltata di spalle, con le gambe a cavallo del lettino, fingendo di sistemare il bimbo nel passeggino ed hai iniziato a spalmare la crema sulle natiche. Lentamente, dolcemente.
Simulando fatica, ti sei piegata un po’ in avanti, appoggiandoti con l’altra mano al lettino, ed hai continuato a spalmare.
Di fianco alla sottile riga bianca del perizoma potevo chiaramente vedere, nel bianco lunare mai baciato dal sole, i bordi bruniti della tua stellina inviolata.
Subito sotto iniziava il triangolino bianco del perizoma, che nascondeva in modo instabile il segreto della tua dolce orchidea e ne lasciava fuoriuscire, a lato, qualche rosso peluzzo.
Non ti voglio dare soddisfazione, ho pensato. Se vuoi godere di me senza metterti in gioco, non ci sto.
E per tutta la mattina ho resistito a fatica alla immane tortura.
Poi il tuo bimbo, nudo, &egrave caduto nella sabbia e tu, per pulirgli il pisellino, hai aperto il suo prepuzio con due dita, lasciando uscire la piccola cappella. Poi hai bagnato un dito con la lingua e lo hai passato intorno, togliendo i residui di sabbia.
Un’operazione dolce e ingenua, da mamma amorevole.
Ma io ti ho immaginata impegnata su di me nel medesimo trattamento e immaginavo di sentire l’umido della tua saliva intorno alla cappella del mio fungo.
Non ho più retto. Un caldo languore si &egrave sciolto nel mio ventre e il mio sesso ha iniziato a pulsare, ergendosi, grosso, nel costume.
Mi sono subito coperto, infilandomi un paio di pantaloncini di taglia abbondante, ma tu l’hai capito lo stesso.
Poi ti sono caduti gli occhiali ed io te li ho raccolti. Il lieve contatto delle nostre mani mi ha dato una piccola scossa. Sono andato al bagno, pensando di darmi sollievo da solo.
Dopo qualche secondo, però, sei arrivata tu, con la scusa di lavarti le mani.
“Questa sabbia si attacca dappertutto” mi hai detto, e hai spremuto tre getti di bianco sapone liquido nel palmo della tua mano.
Io ero fermo e ti guardavo, Piccole Mele, e non sapevo cosa fare.
Sporgendomi oltre alla tua persona, per prendere anch’io il sapone, ho appoggiato “inavvertitamente” il mio pube sulla tua natica.
Tu hai smesso un attimo di lavarti le mani, godendoti le vibrazioni che imprimevo al mio pube nello spremere il sapone. Poi hai continuato, con indifferenza.
Hai sentito il mio sesso, duro, rigoglioso e pieno di bianco nettare, contro le tue natiche.
Non puoi non averlo sentito, hai anche smesso di lavare le mani. Ma poi hai finto indifferenza.
E subito te ne sei andata.
In quel bagno mi sono massaggiato lentamente e a lungo, bagnandomi la base della cappella con la saliva e pensando alla tua rossa orchidea. Smettevo, quando una goccia trasparente sgorgava sulla punta e un brivido di piacere mi percorreva la schiena. Volevo prolungare il mio piacere più a lungo possibile. Sputavo sulla mia mano, per rendere il contatto più simile a quello del tuo fiore segreto, o delle tue labbra delicate. E massaggiavo lentamente, dolcemente.
“E’ libero il bagno?” Era la tua voce. Un denso fiotto caldo, bianco e vischioso &egrave subito sgorgato, seguito da tre o quattro schizzi, che sono finiti sulla parete di piastrelle davanti a me, mentre un piacere enorme faceva contrarre ogni mio muscolo. Il mio cazzo grondava sperma, mentre io continuavo a menarlo affannosamente, cercando di godere senza rumore. Ogni movimento della mano mi faceva di nuovo contrarre, e faceva uscire altro sperma.
Una sborrata per me interminabile, accompagnata da un piacere intensissimo.
Mi sono sentito svuotato e, con voce roca ti ho risposto “Ehm, Solo un attimo, per favore”.
Mi sono ricomposto, ma ho voluto lasciare sulle piastrelle gli schizzi del mio piacere.
Chissà se li avresti visti…
Poi sono uscito, con il volto ancora tutto arrossato e grosse macchie rosse di piacere sparse a leopardo sul petto e sulla schiena.
Con indifferenza ho detto “che caldo che fa, qui dentro”. Ti ho sorriso e sono uscito, lasciando, dietro di me, il bagno sporco del mio seme, perché tu lo vedessi, perché ne annusassi l’odore, perché soffrissi anche tu del richiamo del sesso, senza poterlo appagare.
Ho goduto tanto oggi, Piccole Mele, pensando a te. Ma ti vorrei veramente…
A domani.

CAPITOLO QUARTO
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E’ sabato. Ciao, Piccole Mele. Oggi sei venuta in spiaggia tardi. Il tuo bimbo non c’&egrave. Hai un po’ di occhiaie e sembri nervosa.
Ti stendi sul lettino, ti muovi, ti osservo. Non trovi una posizione che vada bene. Hai le guance arrossate.
Forse non stai bene, Piccole mele?
Mentre ti muovi ti guardo e provo nuovamente dentro di me tutto il piacere che mi hai dato nei giorni passati. Ti giri ancora sul lettino.
Penso al piacere interminabile di ieri e la base del mio pene inizia a pulsare, languidamente. Gonfiandosi per chiamare il tuo sguardo.
Provo un sottile piacere nel vederti nervosa. Forse hai sentito l’odore del mio sesso ieri, nel bagno. E questo ti rende irrequieta. Pensavi di comandare tu, con il tuo bikini succinto e le tue mosse provocanti, vero? Pensavi di essere immune al richiamo animale del mio cazzo voglioso, vero? Invece ti ho sconfitta. Eccoti qui distrutta, dopo una notte probabilmente sveglia. Da un paio di settimane certamente non scopi, perché tuo marito non c’&egrave, e la tua voglia ha superato i limiti della decenza. Hai forse passato la notte a darti da sola l’agognato piacere, mentre il tuo bimbo dormiva? No. Certo che no. Però l’eccitazione non ti ha fatto dormire.
Questo penso, mentre ti volti sul lettino. E decido che, se mai riuscirò ad averti, vorrò farti un po’ soffrire.
E’ troppa la sofferenza che mi stai infliggendo. Vederti, ma solo a distanza, rubare un tocco, quasi di sfuggita, ai lavandini. Mi hai sentito che ti volevo. Ma te ne sei andata.
Voglio farti eccitare allo spasimo… per punirti.
Vado a cambiarmi, prendo un costume aderente e scopro le natiche, come per abbronzarmi, infilando la stoffa nel solco. Tu mi guardi. Lo so che ho un bel culo. L’ho sempre avuto.
Dopo mezz’ora che guardi il mio culo, mi giro a pancia in su, ed abbasso il costume più possibile verso il pube. Si può vedere la zona dove i peli del ventre si uniscono con quelli del pube, e subito dopo la forma del membro stampata in rilievo sul costume da bagno, come fosse modellata nella cera. Voglio vedere se riesco ad eccitarti.
Fai finta di nulla e la mattina trascorre così.
Io che cerco di eccitarti, tu che mi guardi.
Poi decido di tornare nel mio bungalow. Tanto sei di ghiaccio.
Forse non hai pensato a me, questa notte. Forse una telefonata del tuo uomo ti ha svegliata, per dirti che ha un’amante, forse il bambino si &egrave ammalato e lo hai dovuto curare, forse hai pianto, insoddisfatta, sulla tua vita.
Scusa, Piccole Mele. Sono stato un bastardo. Eri già compromessa ed ho infierito su di te, mostrandoti le mie grazie, cercando di farti eccitare. Vorrei abbracciarti, ora, stringerti fra le mie braccia, forte forte. Dirti che ti ho desiderata immensamente per due lunghe settimane e che non posso stare un attimo senza pensarti. Dirti che vorrei respirare ogni tuo respiro, assaporare ogni tuo attimo. Dirti che sono geloso di te, non solo adesso, ma anche del tuo passato. Di tutte quelle labbra che hanno sfiorato la tua pelle, di tutti quei baci che hai ricevuto, di tutti quei sorrisi che hai dato agli altri, di tutte le volte che, sola, hai cercato il tuo stesso piacere. Avrei voluto esserci da sempre… per sempre.
Piccole Mele, io ti amo, sono pazzo di te. Non penso ad altro. Morirei per te. Vieni via con me. Tu e il tuo bambino. Lascia tuo marito, per sempre. Questo ho immaginato di sussurrarti a fior di labbra.
Esco dal bungalow, e tu sei lì davanti. Ti guardo negli occhi, senza fare domande. E mi avvicino. Tu, senza parole, mi prendi una mano, e mi trascini con te. Nel tuo nido.
Entri. Entro dietro di te, chiudendo la porta. Ti volti, di scatto, mi abbracci, mi baci. La tua bocca sul viso, sugli occhi, sulle orecchie, sul petto. La tua lingua mi sfiora i capezzoli, umida e fresca. La mia lingua accarezza il tuo orecchio.
Ti bacio sul viso, sugli occhi, sulla fronte. Senza parlare.
I miei occhi si perdono nel verde dei tuoi, che si chiudono. Le mie labbra appoggiate alle tue, morbidamente, poi più forte. La tua lingua che mi apre le labbra, cercando la mia. La mia lingua che risponde al richiamo. Tutto sembra magia. Le mie mani percorrono il tuo corpo, scendono sul tuo seno e lo stringono. Le tue mani scendono sulle mie natiche, e le spingono verso di te, verso il tuo pube. Ti bacio sul seno, ti mordo i capezzoli, rigidi. Gemi. Ma di nuovo spingi il seno contro la mia bocca. Vuoi che te lo morda, insaziabile.
La tua bocca scende su di me, sul mio ventre, mentre il mio frutto matura, e mi stuzzica l’ombelico. Faccio altrettanto, poi mi volto e stringendoti il seno lecco la tua schiena. Dal solco delle natiche fino alla nuca, e tu volgi indietro la testa. Poi appoggio il mio frutto al tuo solco, da dietro, senza togliere i costumi. Apri leggermente le gambe, per sentirne meglio il rigore.
Una tua mano scende, ed oltrepassa il mio costume. Sento l’anello delle tue dita intorno al glande, rigonfio. Sento la tua mano prenderlo completamente.
Ti abbasso un po’ il costume, e la tua mano lo guida, sempre da dietro, verso l’orchidea.
E’ cosparsa di dolce rugiada. La sento, il suo tòcco mi eccita, ma mi ritraggo. Una grossa goccia trasparente appare sulla punta del mio glande.
Ti volti, di scatto. Ti siedi sul tavolo ed allarghi le gambe. Vedo una macchia umida sotto il tuo costume. La lecco, goloso attraverso il costume, bagnandolo a dismisura. Gemi, ed il tuo respiro si fa frequente. Con la mano sposto il costume e lecco la pelle interna delle tue cosce.
Il mio sesso non si può più tenere. Gemi, sfili il costume e finalmente la vedo. Rossa, le piccole labbra gonfie di voglia un po’ sporgenti. La “o” semiaperta. Il tuo fagiolino eretto, scappucciato, mi chiama. Non posso negarmi. Appoggio la cappella al clitoride e la muovo con una mano, mentre con l’altra ti strizzo i capezzoli. Gemi. Sento i tuoi fluidi raggiungere il mio glande. Mi metto dietro di te, e tenendo l’asta tra le tue natiche, appoggiata alla tua fessura, senza spingere, con le dita ti stropiccio il grillettino. Disegno piccole “o” intorno a lui, ci passo sopra con due dita unite, bagnate della mia saliva. Allarghi le natiche. Per invitarmi.
Insisto con le dita. Poi mi sposto e, mentre stropiccio il clitoride, bagno con la lingua il tuo buchino dietro, che si contrae. Lo penetro, con la lingua, sento che stai per venire. Allora smetto. Ti volto, ti bacio appassionatamente, poi spingo la tua bocca sul mio membro.
Puoi sentire l’odore del mio frutto, ormai maturo, leccarne le scintillanti stille. Ti appoggi con le labbra, circondi la cappella. Mentre con la lingua stimoli il filetto, da dentro la bocca, una mano, inumidita dei tuoi umori, pompa sull’asta. L’altra tua mano corre di nuovo, piatta, sull’orchidea, ed inizia a massaggiarla. Non voglio che tu venga, così ti prendo la mano dalla passera, lecco il tuo dito indice. Spingi il bacino avanti e indietro, mentre mi pompi. Non ne puoi più.
Vedo scendere gocce bianche dalla tua orchidea, e posarsi per terra.
Ora basta. Di nuovo ti sdraio sul tavolo. Mentre appoggio di nuovo la mia cappella lucida di saliva tra le tue natiche, le prendo con le due mani e le allargo. Senti il mio cazzo addosso a te, tra le tue natiche, vicinissimo a dove strugge la voglia, vuoi sentirti riempita, ma non te lo concedo ancora.
Appoggio allora la verga di piatto sulla fessura e comincio a pompare. Non ti penetro, ma lo scorrimento fluido della verga sulla fessura ti irrigidisce tutti i muscoli. Sempre di più. Sempre di più. il tuo respiro si fa corto.
Mi gridi, strozzata, “ti prego”…
Stavoltalo punto nel foro. ti penetro di scatto. Le piccole labbra ed il clitoride vengono trascinate un po’ verso l’interno. Gemi dal dolore, ma poi non puoi trattenere il piacere. Sento la tua figa contrarsi dolcemente sul mio cazzo e le contrazioni spremerne la base.
Te lo infilo senza pietà, fino in fondo. I tuoi umori mi bagnano le palle ed i peli, mentre spingi in avanti il bacino, come se volessi farlo entrare ancora di più. Sento il duro del tuo utero contro la mia cappella e tu gridi, senza ritegno, che stai godendo, mentre pompi il tuo bacino contro il mio pube.
Ecco che potenti getti di sperma schizzano contro il collo del tuo utero. La tua fighettina si riempie e la sborra esce, scolando da sotto e irrigandoti il culetto. Entrambi ci lasciamo andare, stravolti, uno addosso all’altra, senza parlare. Il mio sesso si ammorbidisce lentamente dentro di te, e tu non lo togli finché, da solo, scivola fuori, liberando con sé l’uscita di un rivolo bianco.
Ti bacio morbidamente sulla bocca. Ti dico che ti amo. Non mi rispondi.
Esco dicendo: “a più tardi”.
Mi rispondi: “a dopo”.
Entro nel mio bungalow, mi stendo sul letto e mi abbandono.
Ho ancora qualche goccia di sperma che esce dal sesso.
Mi addormento.
Mi risveglio che &egrave tardi. saranno le 6 di sera. Mi lavo, mi vesto, voglio invitarti a cena. Ti amo. Finalmente sei mia. E lo sarai per sempre. Non ho paura di niente. Di quello stronzo che ti lascia sola. Finalmente sarai mia, verrete nella mia casa, tu ed il tuo bimbo.
Ti voglio, e sarai mia per sempre.
Ma la porta del tuo nido &egrave aperta, gli armadi sono vuoti. E il vento della sera soffia veloce, muovendo le tende tra le finestre, e dentro il vuoto del mio cuore.
Ti ho amata, Piccole Mele. Sei stata mia per un attimo, avrei lasciato tutto per te.
Ma non me lo hai concesso…

Grazie per i commenti a cieloblu64@yahoo.com

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