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Racconti Erotici

Rileggendo

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi rileggo. A volte mi infastidisce rileggere le mie parole. Avverto quello strano disagio misto a insofferenza che si prova quando si guardano vecchie fotografie e si ricorda esattamente a cosa stavamo pensando quando è stata scattata la posa. Magari avevamo il cuore gonfio d’amore o di sofferenza per via di quelle braccia che ci stavano stringendo. Braccia che hanno smesso di stringerci dopo neanche un anno e alle quali non pensiamo più da una vita o poco meno.

E proviamo fastidio al pensiero di aver dedicato tanto sforzo neurale a un Nessuno già accantonato, e rimproveriamo il nostro cuore ballerino per aver compiuto dei giri di valzer a vuoto.

Ma non questa volta.

Sarà l’aria artificialmente fresca di questo pomeriggio di prima estate di un giorno di festa che svuota le strade della città e riempie le corsie di sorpasso di automobilisti che si rovinano il fegato maledicendo i propri simili. Sarà quel sottile brivido che mi sale su per la schiena, abbastanza lieve da poter essere trascurato, abbastanza persistente da richiamare la mia attenzione.

Sarà la solitudine che mi acuisce i sensi, facendomi venir voglia di ballare sulle note melanconiche di una musica che riesco a sentire soltanto io, sarà che è tutto così nuovo e non ho voglia di notare quanto puo’ essere triste vedere la tavola apparecchiata per una sola persona. E spio dalla finestra le luci accese delle case di fronte, alla ricerca di un segno di vita in questo silenzio rotto da un rumore di trapano che, una volta tanto, non infastidisce ma mi fa compagnia. Chissà se dall’altro lato c’è qualcuno che fa la stessa cosa.

E continuo a passare in rassegna i file, con la cartella Parole ben mimetizzata tra nomi dall’aspetto banale. Racconti, pensieri, appunti, memorandum ormai indecifrabili.

Li apro uno ad uno, richiamando gli odori, le sensazioni, le fasi di revisione. E’ ormai tanto tempo che non ho voglia di picchiettare i tasti inseguendo le mie emozioni, cercando di dar loro una forma da presentare ad altri. Un anno? Sei mesi? Non ricordo.

Non che io mi senta vuota, anzi. Non c’è sera che io non saluti tramutando gli arabeschi della mia mente in storie e personaggi che mi fanno sorridere o spavento e che a volte riescono a seguirmi anche nel sonno, acquistando vita propria, solo per una notte, già dimenticati con la prima luce del mattino.

E’ solo che non serve a niente scrivere. Non credo serva, ecco tutto. Non serve mostrare ciò che sono, non serve dire quanto io ami, o soffra, o sia intelligente e sensibile o delusa. Non è servito prima e non servirà adesso. File aperti, file chiusi, come le scacchiere sulle quali il mio cuore ha danzato il familiare rito dei corteggiamenti e ammiccamenti. Quanti file? Venti, trenta, di più.

Ma sono davvero io quella che leggo, e perché basta che siano passati dei mesi perché io non mi riconosca più in quelle frasi che posso aver scritto solo io? Come faccio a non sentirmi un’impostora leggendoli? O bugiarda, quando scrivo ciò che ho appena scritto.

Se chiudo gli occhi posso rivedere la scena.

Lacrime. Tante, sì. E il cuore che sembra gonfiarsi fino a scoppiare in quel nodo alla gola che distorce le parole sussurrate per non farsi sentire dall’esterno della porta chiusa. Un’altra voce con un’inflessione di lama che sa di ferire e poi raccoglie i cocci, blandendoli mostrando una via di fuga. Sfuggono promesse che vanno a ipotecare pensieri presenti, passati e futuri. Rabbia, dolore, altri file aperti, con lacrime e acredine che vanno a tramutarsi in altre parole. Parole. Parole. Parole. E poi un giorno tutto sfuma e sublimano improvvisamente l’ira, il rimorso, il desiderio che aveva riscaldato malgrado tutto il cuore. La realtà cala come una mannaia sui nostri colli esposti e il mondo circostante diventa vero come non lo era mai stato prima. Non ho più bisogno di darmi pizzicotti per sentirmi viva, ma guardo i miei sogni ad occhi aperti, distante, estranea come chi ha fame e intorno a sé vede solo vetrine con gioielli scintillanti. Belli, sì. Ma inutili.

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