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Una sola candela ardeva sul candelabro dorato.
La stanza sembrava addormentata nel silenzio. I quadri appesi alle pareti, che raffiguravano scene della vita borghese parigina, brillavano di luce vaga.
Lei dormiva teneramente sul suo letto a baldacchino, tutta sola nella sua camera, presso l’Ostello degli Artisti.
Si era lasciata rapire dal sonno pensando al suo amore perduto. Teneva stretto al petto il suo violino. Non avrebbe voluto perderlo per niente al mondo.
I suoi lunghi capelli rossi, sciolti, ricoprivano come un velo di fuoco il cuscino, dalla federa ricamata.
Il chiarore crepuscolare della candela illuminava il suo volto candido, diafano, dalla pelle vellutata, fatta apposta per le carezze ed i baci furtivi.
Di tanto in tanto, dalle sue labbra socchiuse sfuggiva un sospiro’ Mormorava quel nome, l’amato nome.
L’uscio era stato sprangato e chiuso con il catenaccio. Così, i cattivi non avrebbero potuto farle del male.
Fuori cadeva la neve. La si vedeva appena, attraverso la finestra appannata, nella luce confusa dei lampioni, che, prima dell’aurora, si sarebbero spenti, come le ultime stelle della notte.
La Rossa teneva sempre le palpebre socchiuse, ma, di tanto in tanto, sussultava.
La mente sua volava nei sogni. Una mano amica aveva stretto la sua, per condurla lontano, in un mondo magico e incantato.
Una voce la chiamava alle gioie’ Un violino soltanto la accompagnava.
Vide una torre grande, che all’inizio le parve dorata, sotto il cielo stellato’ Era la Tour Eiffel.
Le parve di arrampicarsi pian piano, a mani nude, su di essa, fino ad arrivare sulla cima, sorreggendosi su due ali d’angelo.
Poté toccare la luna con un dito e ornare di stelle i bei capelli, cogliendole come margherite di campo.
Poi volò via, tra mille coriandoli colorati.
Vide l’arcobaleno, immenso e maestoso, che faceva da ponte sulle due sponde della Senna. Ah, quel fiume celeste, che scorreva placido sotto le nuvole rosa, screziate di blu! Pareva fatto di ametiste.
Alcune case avevano i tetti aguzzi e spioventi, dipinti di grigio o di celeste, altre erano palazzi vetusti, nei quali dimoravano i nobili e i borghesi più doviziosi di Francia. C’erano tante statue ed innumerevoli fontane di marmo’
La Rossa si librò sulla superficie di diamante del fiume, passando sotto i ponti, vide il Louvre, gli archi del Carousel, dell’Etoile, per poi posarsi come un passerotto in volo su una delle torri di Notre-Dame ed ammirare di lassù una visione d’immenso.
Un sole vago si era alzato all’orizzonte, illuminava le fronde degli alberi e faceva brillare le loro foglie. Eppure, sembrava mezzanotte.
Alla nostra protagonista parve di restare intrappolata in una bollicina blu, fatta di cristallo, che la trasportava attraverso quella città di malinconie.
Contemplava il suo volto, riflesso sui vetri delle finestre antiche’
C’erano tante carrozze, che passavano eleganti lungo i boulevard, avvolti in una nebbia che assomigliava al fumo dell’oppio.
Già il sole tramontava dietro una cupola verde, barocca. La Rossa si sentì chiamare da una voce che già conosceva.
– Amica del mio cuore, vengo a prenderti! Così avrò il tuo violino! Sto arrivando! Passeggeremo insieme sotto la Tour Eiffel, o andremo a cogliere rose nei dolci giardini del Luxembourg!
Era lei, la Mercantessa!
Si dirigeva verso Parigi a bordo di un carro, tirato da cavalli neri, che frustava con veemenza.
Era tutta vestita di nero. I suoi lunghi capelli biondi volavano nel vento, al pari del suo mantello color della pece, mentre faceva fischiare in aria la lunga frusta, gridando:
– Arri! Arri!
I destrieri galoppavano furiosi, le ruote del carro stridevano forte e sobbalzavano sui sassi, mentre, al suo passaggio, si sollevavano nubi di polvere.
Alberi, case, villaggi si dileguavano sotto gli sguardi di lei, che sorrideva fatalmente, mostrando al mondo le sue belle labbra rosse. Una folla inferocita la malediva. I contadini le puntavano contro le loro forche, qualcuno cercava di spararle una schioppettata.
Ma la Mercantessa e il suo carro svanirono nel vento, in una nuvola di cenere.
– Parigi, sei mia!
A quel grido, la Rossa si risvegliò di soprassalto.
Aveva il cuore in gola. Eppure, le dolci visioni che aveva avuto nel sonno le erano sembrate tanto sublimi e incantevoli!
– Amico del mio cuore, consolami! ‘ disse al suo giocoliere, quando lo incontrò.
Si fece abbracciare da lui.
– Oh, grazie per essere venuto a trovarmi! ‘ gli sussurrò poi.
Gli spiegò per filo e per segno come voleva essere toccata.
Il suo tesoro, balbettando, le rispose qualche sciocchezza, poi la spogliò e prese a strofinarla piano in mezzo alle gambe, con la mano.
– Che gioia mi dai! ‘ mormorò l’innamorata. ‘ Non smettere! Per favore, non smettere’
L’altro la accontentò.
Mentre si scaldava, l’avvenente violinista ansimava forte e gettava dei gemiti di piacere. Sorrideva.
Teneva tutte e due le mani sulle spalle nude del suo uomo, che, a volte, faceva qualche verso buffo.
Quella volta fu lei a trafiggersi da sola. Ci sapeva fare. Era una vera maestra, perbacco!
Ritta in piedi, aveva attorcigliato una delle sue gambe lisce e lunghissime attorno a quelle pelose del suo giocoliere.
– Adesso non ti lascio più! ‘ gli promise, scherzando.
Aggrappata a lui, si preoccupava di fare tutti i movimenti necessari. Pareva ballassero.
– Dai, che ci siamo! Ci siamo quasi! Avanti! Su! ‘ ripeteva allegramente l’appassionata.
Poi, proprio sul più bello’ Puff! All’allegro burlone mancò l’erezione e cadde, travolto dalla passione, facendosi un bernoccolo.
Perbacco!
Allora, la sua amica del cuore si precipitò sull’infelice e lo consolò, dandogli sulla fronte un bel bacio con lo schiocco.
Che carina!
Lo sventurato riprese frettolosamente la sua bombetta colorata e si avviò verso la porta.
Che figuraccia aveva fatto!
Il borgo era sempre addormentato, nell’abbraccio freddo dell’inverno. Da un capo all’altro del bosco, sui tetti appuntiti delle case, sulle guglie fredde, lungo le strade sassose ed innevate, vagava il silenzio, vecchio spettro senza volto, dalle mani bianche.
La voce cupa di un corvo spezzava il niente.
Assomigliava ad un grido soffocato, accompagnato dal suono cupo di un violino. Due labbra rosse si avvicinavano alla fiamma di una candela e, con un soffio affettuoso, la spegnevano.
E tutto pareva addormentato, sotto un manto di nebbie, tenebrose ed immense.

Autore Pubblicato il: 16 Maggio 2006Categorie: Racconti Erotici0 Commenti

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