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Trattamenti – Parte 3

By 27 Giugno 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

=Cap 3=

introduzione

Continuai la vita del lattante ancora per nove giorni. La mia padrona aveva sempre meno latte e quindi io mangiavo sempre meno. Quando, dopo il mio magro pranzo, mi lasciava “giocare” si siedeva accanto a me e mi metteva vicino qualche peluches e dei giocattoli da poppante, sonagli e palline per lo più. Se giocavo come lei si aspettava, leccando i giocattoli e facendomi coccolare nel suo seno mentre mi stuzzicava l’ano attraverso il pannolone, o infilandomi direttamente i giocattoli su per il culo, mi premiava con un poco di minestra in più. Il mio pene intrappolato da giorni mi doleva a causa dei continui stimoli senza erezione, ero diventato molto più magro, ma sopratutto debole. Ormai non mi legava più al letto di notte e aveva allungato le mie corde. Le mie giornate continuarono così fino al decimo giorno quando…

Questa mattina non mi ero svegliato con i sussurri della mia padrona. Quando avevo aperto gli occhi l’avevo vista vestita con una tuta di latex che esagerava le sue forme pesanti. Mi intimò di seguirla nella stanza dove mi aveva preparato al mio arrivo e tirò fuori una forma di pane. Era secco, ma mi parve desiderabile come appena sfornato. -Hai fame?- annuii senza staccare gli occhi dal pane. Con un sorrisetto disse -Sarai ubbidiente, vero?- feci cenno di sì con la testa abbassando gli occhi.

-Sdraiati sulla schiena e non ti muovere.- eseguii l’ordine secco senza fiatare. Tolse la corda che collegava i legacci dei piedi con quelli delle mani e per la prima volta dopo più di una settimana potei allungare le gambe.

Svitando il blocco che li teneva in posizione, mi liberò il pene dagli anelli. Il metallo mi aveva lasciato segni lungo tutta l’asta, e i coglioni stretti dall’anello sembravano allungati e flosci, ma anche carichi di sperma. Dopo tanti giorni di prigionia l’uccello reagì subito con una prepotente erezione. Decisamente non avevo un grosso cazzo, ma l’astinenza e la fresca depilazione lo facevano sembrare un colosso. La mia padrona mostrò disappunto rifilandomi un forte schiaffo sui coglioni -Chi ti ha detto di eccitarti? Vedi di non farmi arrabbiare se vuoi ancora mangiare!- Il dolore aveva leggermente attenuato la turgidità, che andava morendo.
Mi slegò le cinghie dietro alla testa e mi tolse il morso di bocca. Le mandibole indolenzite mi facevano male, come dopo aver cercato di addentare un sasso. -Parli solo se interpellato.- non era un ordine, la sua era una semplice constatazione senza possibile contestazione.

Mi strinse la cappella tra due dita per eliminare l’ultimo resido di eccitazione, facendomi stringere i denti dal dolore, quindi da una scatola al suo fianco tirò fuori una nuova gabbia per il mio uccello. Era piccola, di plastica totalmente chiusa e ricurva. Per metterla dovette torcere il mio cazzo fino a puntare la cappella verso la base dell’asta. Era strettissima, tanto che non c’era anello per i testicoli nè cinghie per sostenerla ma rimaneva in posizione da sola. Per un attimo avevo sperato di avere il pene libero, ma ora ero in una situazione molto peggiore! Altri dieci giorni con questa trappola e sicuramente il mio uccello sarebbe morto. Le lacrime mi salirono agli occhi senza poterle conrobattere, ma riuscii a non singhiozzare almeno.
-Ora girati e allarga le ginocchia- prese la scatola e me la mise davanti alla faccia. Vidi che conteneva una bottiglietta di lubrificante, un cazzo di gomma e un fallo a forma di goccia, terminante con una base larga.
-Avanti, passami qualcosa. E non hai più bisogno delle mani.- Porse una mano.

Con malavoglia addentai il tappo della bottiglia e la posi nelle mani della mia padrona. Se ne spruzzò sulla mano e tutto intorno al mio buchetto. Poi puntò il medio e mi penetrò. L’ano abituato a quel dito non offrì nessuna resistenza. Iniziò a esplorare il mio retto torcendo in dito, scavando nelle pareti. Non appena trovò la prostata il mio pene ebbe un sussulto. La gabbia aveva stroncato l’erezione sul nascere ma lo scatto la mandò a sbattere contro il mio ventre con uno schiocco. Lei fece una risatina, tolse il dito e mi porse ancora la mano.

Ovviamente le passai il dildo più piccolo. Lo strofinò tra le mie natiche e poi si fece strada senza esitazione. Lo strumento con il diametro di almeno 4 centimetri mi dilatò lo sfintere provocandomi una sensazione mai provata di calore, ma anche il forte sapore dell’umiliazione. Lo spinse dentro fino in fondo, senza risparmiare un centimetro e lo rigirò per assicurarsi che i muscoli non offrissero alcuna resistenza. Poi lo sfilò in un unico gesto producendo un rumore di risucchio, e mi porse ancora la mano.

L’anello di muscoli mi pulsava ritornando a chiudersi, mi sentivo profanato, come se perdendo la verginità del culo una parte della mia identità venisse macchiata, cambiata in qualcosa di cui avevo vergogna. -Avanti! Prendilo!- Non riuscii a muovermi, le lacrime si fecero ancora strada nei miei occhi.
-PRENDILO!- un singhiozzo mi fece sussultare il petto. Iniziai a piangere su quel fallo che fra poco mi sarebbe finito in culo, che lo volessi o no.
Infuriata mi tirò su la testa stringendomi il collo. Vedendo le lacrime solcarmi il viso digrignò i denti e mi sbattè di nuovo al suolo. Poi mi tirò il culo verso l’alto e prese il plug da 7 cm.

Non lo lubificò nè lo inumidì. Con un unica forte spinta lo sbattè sul fondo del mio culo. Urlai forte, sentii il mio culo lacerarsi, dilatarsi come mai aveva fatto prima e poi restringersi, chiudersi dietro al corpo estraneo, il mio cazzo ebbe uno scatto fortissimo, lo schiocco contro lo stomaco sembò un colpo di frusta.
Caddi sul fianco tenendomi lo stomaco. Le corde mi impedivano di raggiungere il culo.
-TI HO PURE TOLTO UNA CORDA!-urlò lei riprendendo la cinghia e fissando di nuovo le braccia con le gambe. Continuai a rantolare per un po’.

La mia padrona si appoggiò al tavolo. Il suo respiro si fece più calmo. Di fianco a lei il pane. -Non sei stato ubbidiente.- disse calma.

Io ansimavo. Sentivo il plug dentro di me. Spingeva insistente contro le pareti del mio retto. Con la stanchezza aveva preso il mio corpo. La fame prese la mia mente.
Dissi: -Mi dispiace… Mamma.-

Continua!(seguete capitolo già pubblicato)

silvershine4milu@yahoo.it

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