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UN INTRIGANTE TIROCINIO

By 29 Gennaio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

UN INTRIGANTE TIROCINIO
Il professore entrò nella stanza,

palesemente stanco, scocciato, stressato.

Era in anticipo, al solito

suo; e meno male che lei aveva pensato a sua volta

di anticipare, per

non fare brutta figura il primo giorno del tirocinio.

Lui la guardò

appena, posò la borsa carica di libri (ne portava sempre molti di più

di quanti ne portassero i suoi alunni), bofonchiò un “Buongiorno”

stiracchiato;

poi, siccome fondamentalmente era un buon (o un

buonista),

capì che non doveva riversare il malumore che portava da

casa

su quella tirocinante innocente. E allora abbozzò un mezzo

sorriso,

la guardò meglio…e ne fu colpito. Era davvero carina.

Le

perdonò il fatto che stesse ascoltando musica dal’IPOD, cosa che

normalmente lo infastidiva (era un tenace censore delle divagazioni

musicali

dei suoi alunni, li richiamava durante le lezioni se scorgeva

quelle

diavolerie elettroniche nelle loro mani o nelle loro orecchie).

“Cosa stava sentendo?” “The sound of silence, lo conosce?” disse lei

rispondendo al sorriso.

The sound of silence. Maledizione, certo che

lo conosceva,

eccome se lo conosceva. “Il laureato” di Mike Nichols,

il film

che aveva visto da ragazzino nel ’67, che lo aveva turbato

terribilmente;

Con un giovane Dustin Hoffman ed una esplosiva Anne

Brancroft nei panni

della seducente, ricca borghese Mrs. Robinson.

Simon and Garfunkel, la sua giovinezza, il ’68…

“Si la conosco,

certo che la conosco” disse “Semmai mi meraviglio

che la conosca lei

che è così giovane”.

“Beh mi piace l’idea. L’idea di ascoltare il

silenzio, il suono del Silenzio

che mi avvolge. Sa quella sensazione

di solitudine anche quando siamo

circondati da mille persone? Beh

quella.”

Risposta che lo allibì letteralmente. Una ragazza che

filosofeggia alle otto

di mattina è il massimo.

Lei lo vide

tentennare, sorrise mordendosi le labbra.

“Vuole ascoltarla?” e con

uno di quei gesti che la rendevano speciale

si avvicinò a lui e gli

mise le cuffie nelle orecchie. E lui si deliziò ad ascoltarla

per

quasi un minuto, poi si strappò via le cuffie, quasi infastidito.

“Scusi…” aggiunse lei, credendo di aver sbagliato qualcosa.

“Scusi

di che? Mi ha fatto tornare indietro di molti anni” precisò lui.

“Ma

lei non sembra così anziano” ribattè lei, ma subito capì di aver fatto

un’altra gaffe… “Oh scusi non volevo dire…”

“Ormai l’ha detto;

comunque ho passto i cinquant’anni e portarli bene o male

vuol dire

assai poco”.

Quando diceva frasi del genere si sentiva sempre come il

principe di Salina

nel “Gattopardo”, che aveva la sua età e che ogni

volta che faceva progetti pensava

“Oramai, oramai…”. Il tempo

fuggito, la giovinezza pure, i sogni accantonati.

“Allora, lei è qui

per seguire la mia lezione come tirocinante, no?”

“Si” disse lei “Ho

sentito tanto parlare di lei…”

Gli piaceva il suo accento. “Di
dov’è?
Pugliese?”

“Salentina” precisò lei. “E lei?” chiese curiosa.
“Sono
apolide” tagliò corto lui.

Troppo difficile dirle tutte le tappe
della
sua vita, la città d’origine al nord,

la vita per anni in una
città
dell’estremo sud, il posto di lavoro a Roma…

“Allora andiamo?”
disse
lui. Intanto stavano entrando a frotte i ragazzi,

i colleghi, i

collaboratori scolastici (meraviglioso eufemismo per indicare

l’estnta

categoria dei bidelli), il dirigente scolastico (altro eufemismo che

sostituiva il vecchio demodè termine “Preside”).

“Ma senza IPOD”

aggiunse il prof.

“Scusi” sorrise mordendosi di nuovo le labbra, era

un gesto che faceva

quando era imbarazzata. E si avviarono insieme.

Era la prima volta che si avviavano insieme. E quell’avviarsi fu

metafora

del cammino comune che li aspettava, un cammino che

inaspettatamente

incredibilmente incautamente avrebbero percorso

insieme.

Era un giorno di novembre. La loro primavera stava appena

cominciando.
Finita la lezione, lui le si avvicinò per sapere come

fosse andata.

“Benissimo. Lei è all’altezza della sua fama. Bellissima

lezione…”

Come tipico di lei, la ragazza stava per lanciarsi con

domande sull’argomento discusso,

per approfondire, incuriosita, le

opinioni del professore a riguardo.

Ma lui la interruppe, adducendo

come scusa una riunione imminente.

“Oh, certo, capisco…Ci vediamo

per la lezione di domani allora”

“Va bene”.

Arrivato nel suo studio,

lui si prese la testa fra le mani, chiedendosi perchè

non fosse

rimasto ad ascoltarla come faceva con ogni altro studente che

a

termine delle lezioni gli ponevano domande.

C’era qualcosa in quella

ragazza che lo turbava.

Lo sguardo profondo dei suoi occhi.

O quel

suo modo di mordersi le labbra e subito dopo passarci su la lingua…

A questi pensieri, il professore si accorse di essere eccitato.

Quasi

con un gesto di stizza, si alzò per tornare a casa.

II

Tornata a

casa, la ragazza si buttò sul letto e si abbandonò a fantasticare…

Pensava alla lezione del professore.

A come lui riuscisse a catturare

l’attenzione di tutti gli studenti,

cosa difficilissima, lei lo sapeva

bene.

Ma lui…lui aveva carisma. Sapeva come e quando imporsi.

E poi

aveva fascino. Ripensò alla sua camminata decisa mentre si allontanava

da lei.

E mentre lei gli guardava sfacciatamente il culo.

Fu in quel

momento probabilmente, che decise che lo avrebbe sedotto.

Lei voleva

quell’Uomo.

Stanca di ragazzi e ragazzini che non sapevano tenerle

testa.

Aveva bisogno di essere domata.

III
A casa lui trovò il

solito tran tran. Non c’era più nulla che potesse coinvolgerlo, ormai,

lì.

Solo ricordi, frammenti di ricordi, cocci di ricordi.

E ripensò a

quella ragazza che si mordeva le labbra e ci passava su la lingua, ai

suoi meravigliosi occhi verdi.

Ma si autocensurò: “Ma vai, sei

patetico…”.

E sprofondò nel divano a dormirsi un po’ di televisione.

“Domani le chiedo il numero di cellulare” pensò nel dormiveglia.

L’

indomani mattina anticiparono ulteriormente, entrambi.

Alle 7,30 erano

già a scuola, mezzora prima dell’inizio delle lezioni. Lei gli sorrise

in un modo tale da inebriarlo. Non poteva essere vero, non poteva.

Quanti anni, ormai, che non succedeva niente del genere.

In realtà,

non gli erano mancate le occasioni. Era ancora in forma, non era mai

stato brutto, aveva un bel culo e una bella voce, uno sguardo

magnetico…

Le alunne spesso lo guardavano con gli occhi di triglia. Ma

lui niente, insensibile, asettico, professionale.

Il codice

deontologico, si sa… L’età che avanza… I vincoli familiari…

Ma ora…

ora era nell’età delicata, quella dell’ultima spiaggia prima di

sprofondare nella senilità.

L’età delle trappole. Lo aveva sempre

saputo e aveva anche riso di qualche amico che era cascato in qualche

avventura extraconiugale: “A me non potrebbe succedere mai”, pensava.

Ma non aveva ancora visto quella ragazza incantevole.

E poi oggi era

fresca. Sì, fresca. Radiosa.

La guardò meglio. Non era certo una

stangona: sarà stata un metro e sessanta, lui la dominava di almeno

quindici centimetri. Ma questo gli piaceva, lo faceva sentire

importante ed esorbitante…

I capelli erano lunghi, neri e mossi. Gli

occhi erano grandi e verdi: chissà quanti ragazzi della sua età ci si

perdevano come scorfani… La carnagione chiara… che sapore dolce doveva

avere.

Il seno era piccolo: e lui aveva sempre detestato le tettone,

le gonfiate, le pompate, le rifatte; le zinnette piccole lo attizzavano

invece, gli piaceva tenerle in una mano, palparle minuziosamente,

esplorarle.. Gli venne voglia di vederle meglio il lato B.

Le tese la

trappola. “Senta, me lo fa un favore? Me lo prende un libro in

biblioteca?” “Certo!” disse lei contenta di rendersi utile. In

biblioteca le indicò una scala portatile. “Mi dispiace, è nell’ultima

fila in alto; è un testo di Jung, parla di mitopsicologia e di

archetipi… Me lo prende?”.

E prima che potesse mettere il punto di

domanda già lei era al terzo gradino. Le vide il lato B, perfetto, e

due gambe belle da morire. “Pure guardone sto diventando…” pensò

divertito; e si ricordava uno di quei filmacci della commedia

pseudoerotica italiana degli anni settanta, “Malizia”, dove una

sensuale Laura Antonelli interpretava una cameriera che concedeva le

sue (spettacolari) grazie ad un anziano vedovo (Turi Ferro) e ad uno

dei suoi figli (il povero Alessandro Momo, che morì così giovane…).

Aveva sempre adorato il cinema; gli sarebbe piaciuto fare il regista,

scrivere sceneggiature…

Intanto lei era discesa e gli porgeva il

libro: “Ecco a lei” e dandoglielo gli sfiorò la mano, quasi

carezzandola. Ne fu bruciato, come da una scossa elettrica. “Ma che fa,

ci prova?” pensava fra sé e sé. E aggiunse: “Magari…”.

Dopo la

lezione, ruppe gli indugi.

“Senta, come si chiama di nome?”

“Ilenia;

e mi dia del tu, la prego…”.

“Ma non so se io posso…”

“Può, può..”.

“Eh già, potrei essere tuo padre…”

“Ma per fortuna non lo è…”.

“Per

fortuna?”

“Già…” e glielo disse con un sospiro.

“Sei fidanzata?”

E

di nuovo lei pensò, di colpo: sono stanca, stufa di ragazzi e ragazzini

che non sanno tenermi testa. Ho bisogno di essere domata. Glielo

avrebbe anche detto subito: “Domami, prendimi, scopami”.

Ma le cose

non possono andare così, troppo poco sapeva ancora di lui per

rischiare.

“Non me lo vuoi dire?” richiese lui sorridendo.

“Scusi, no

ero sovrappensiero… beh nessuna storia importante”.

“Quella giusta

arriverà” le disse guardandola negli occhi verdi, tuffandosi dentro di

essi, annegandoci.

“Speriamo che arrivi presto…”.

“Ah avrei bisogno

del tuo cellulare…”

Gli diede il numero, ricevette quello di lui; ma

lui dovette farle una raccomandazione che lei si aspettava: “Però

chiamami quando davvero occorre, sai ho una moglie gelosissima che

chissà cosa penserebbe se…”

“Se…?” gli disse guardandolo

sfrontatamente.

“Beh… se… se esagerassi… e poi sai io con sti sms non

me la cavo affatto, mi ci perdo… E poi meglio vedersi che telefonarsi…”

“In questo le dò ragione…”

Siccome stavano per lasciarsi e lei non

poteva chiudere così e tornarsene a casa con un bilancio così mediocre,

buttò lì la sua sfida:

“Ma lei invita mai le tirocinanti a prendere un

caffè?”

“E tu inviti sempre i tuoi prof a invitarti?”

“Lei è il primo

che vorrei che mi invitasse”

“Ok. Allora domani alle 11 ci prendiamo

una pausa e ce ne andiamo qua vicino. C’è un bar dove fanno aperitivi

sensazionali…”

“A domani allora, prof”.

“Ciao Ilenia”.

La guardò

allontanarsi. Si dondolava dolcemente, mare forza tre… ma ne prevedeva

le possibili burrasche, i fortunali.

Ed ebbe un attimo una visione:

lei nuda, incatenata, bendata davanti a lui; e lui che la prendeva da

dietro, selvaggiamente…

Si stropicciò gli occhi. Tirò il freno:

“Stattene con i piedi in terra; probabilmente vuole solo ruffianarti

per avere da te una buona relazione scritta utile per la sua carriera

futura; sei solo il suo tutor… che altro speri?”.

Maledetti i freni e

chi li ha inventati…
IV
Il mattino dopo Ilenia si alzò presto e di buon

umore.

Voleva prepararsi bene per quel giorno.

Ripensò con un sorriso

alla sera prima. Alle sue dita che erano scese a sfiorare prima,

a

toccare con sempre maggiore ardore poi, il suo sesso bagnato ed

eccitato al pensiero di lui.

Il solo ricordo le regalò un brivido…

Si destò dalle sue fantasie e si diresse ad aprire l’armadio. Quella

mattina,

l’avrebbe provocato ulteriormente. Indossò un miniabito

rosso, non esageratamente corto,

ma sicuramente attillato, sexy e

provocante.

Come d’accordo alle 11 si diressero al bar.

Mentre lui

ordinava, Ilenia andò a sedersi al tavolino, ancheggiando

sfacciatamente.

All’improvviso si voltò e sorrise, perchè il

professore, come lei aveva previsto,

la stava guardando con occhi

vogliosi.

Il professore distolse lo sguardo imbarazzato. Non riusciva

a capire quanto c’era di

ingenuo in quella ragazza e quanto di

tentatorio in quella donna.

Forse era proprio questo mix ad attirare

di lei.

Nuove fantasie gli affollarono la mente…loro due nel suo

studio, a prenderla sulla scrivania,

entrare in lei profondamente,

sentirla gemere, urlare e sospirare, ad accarezzarla

ed a

stringerla…

La voce del barista lo riportò alla realtà. “Ma cosa

diavolo vado pensando. E’ solo una

mia tirocinante, una studentessa.

Non posso rischiare di mettermi nei guai per lei, mettere

a rischio la

mia carriera, la mia famiglia…” Di nuovo, l’etica professionale e

morale. Eppure,

non riusciva a scacciare quella sensazione.

Come

poteva, se quando si diresse verso il tavolino notò le sue gambe

accavallate, vide

la balza delle autoreggenti che la gonna corta

metteva bene in evidenza.

Come poteva, se quando lei si mosse, la

gonna si sollevò un pò di più, facendo vedere

un pezzo di carne

candida e infuocata…

Mentre bevevano e chicchieravano Ilenia cercava

ogni pretesto per sfiorarlo “casualmente”.

Nella sua borsa lui

intravide svariati libri.

“Leggi molto?”

“Si, adoro leggere. L’ho

sempre fatto, fin da piccola, fino a perdere il conto

dei libri letti.

Sono sempre alla ricerca del nuovo io, e leggere è un pò come crearsi

nuovi mondi, crearsi nuove vite.”

Incantato dall’enfasi che Ilenia

aveva messo nelle sue parole, il professore, spontaneamente

e senza

pensarci disse:

“A casa ho una vasta biblioteca. Magari ti piacerebbe

vederla e prendere in prestito

qualche libro.”

“E’ una proposta?”

chiese Ilenia languidamente mentre con un piede andava a sfiorare

la

sua gamba.

Il professore già si era pentito di quello che aveva detto,

ma il tocco della ragazza lo mandò

in estasi. Capì che lei ci stava

provando.

Lei ci sarebbe stata. Voleva essere scopata.

Adesso stava a

lui decidere.

Guardò di nuovo i suoi grandi occhi verdi contornati da

lunghe ciglia. Lei sosteneva

il suo sguardo come a sfidarlo.

L’erezione improvvisa che il professore ebbe, era il segnale che

avrebbe fatto suo quel corpo,

quella bocca, quegli occhi, quell’Anima.

V
Entrarono a casa del prof. La moglie di lui quel giorno era fuori

per lavoro, sarebbe rientrata la sera. Non avevano figli (e questo lo

aveva amareggiato non poco).
Appena entrata, Ilenia si guardò intorno

cinguettando di gioia. “Bella casa” Ma lui era troppo su di giri per

resistere a lungo. “Bella come te”. Le andò dietro e la strinse in un

abbraccio, baciandole la nuca e il collo. Lei sospirò e si girò

guardandolo fisso negli occhi. “Scopami” gli disse. I vestiti volarono

via nel corridoio, nello studio di lui, nel bagno, nella camera da

letto. Un percorso degno di un Pollicino erotico, una caccia al tesoro

del piacere.
Nudi si avventarono sul letto. Lui le leccò a lungo

minuziosamente il pube. Voleva esplorarne le sensazioni. Quando le

mordicchiò il clitoride lei rantolò di piacere. Poi lui risalì leccando

ogni centimetro del suo corpo meraviglioso. La baciò freneticamente,

immergendole la lingua nel palato. Lei disse: “Aspetta, aspetta”. Si

girò prona sul letto, col suo splendido culetto all’aria. “Sodomizzami”

gli disse con una voce maliziosa che lui non aveva mai udito in vita

sua. E ricordò un film di tantissimi anni prima, “Travolti da un

insolito destino nell’azzurro mare di agosto”, della Wertmuller, con

Mariangela Melato e Giannini, lei ricca donna lombarda, lui coatto

marinaio siciliano, naufragati nell’isola deserta, e lei che scopre il

sesso selvaggio e gli dice “Sodomizzami”, e lui che non capisce una

mazza di quello che significa… Sorrise al pensiero, mentre lei ne

notava la distrazione: “Che c’è? Problemi?”. “No, è che ho la sventura

di avere una mente che deve fare collegamenti fra le cose anche nei

momenti meno opportuni”. Ma lui non aveva mai penetrato l’ano di

nessuno, nè donne nè uomini (grave colpa in un’epoca come la nostra,

dove “a fare in culo” ci si manda reciprocamente e costantemente).

“Come faccio?”. Lei sorrise: “Sei uno gnoccolone, prof… Procediamo

diversamente”. E gli prese il sesso in bocca. Lo assaporò avida, ne

palpeggiò la consistenza, carezzò i testicoli, leccò l’asta che

cresceva a avista d’occhio. “Mmmm… non male” disse gustando il

sapore. Poi se lo fiondò in bocca, divorandolo, mordendolo, leccandolo,

girandolo fra le mani come la cloche di un’auto da corsa… Dentro

fuori dentro fuori…. Lui credette di impazzire: “Ehi, calma, se no

vengo…” “E’ proprio quello che voglio, prof”. E continuò la sua

sfrenata esibizione. “Il pompino del secolo” pensò lui, tentando di

distrarsi, di non lasciare via libera a quei milioni di spermatozoi

repressi che pulsavano e bussavano alla porta del suo glande. Ma tutto

fu inutile. La cascata del Niagara inondò la gola, il viso, i capelli

di lei. E lei gridò di piacere selvaggio. “Ahhhhhhhhhhhhhh”.
Si

abbatterono esausti sul letto, nudi, scossi da un fremito selvaggioin

ogni fibra del corpo.
Ma era appena l’inizio…

VI
Mentre lui andò in

cucina a prendere del vino,

Ilenia si guardò attorno nella stanza.

La

eccitava oltre ogni limite l’idea di essere lì, in quella casa,

su

quel letto simbolo di una coniugalità a cui lei non credeva.

Per un

attimo la sfiorò il torbido pensiero di lasciare qualcosa di suo,

un

segno, nascosto da qualche parte lì nella stanza.

Poi vide quello che

cercava ed ogni altro pensiero svanì.

Una sciarpa, probabilmente della

moglie del professore,

di delicato tessuto scuro, poteva fungere da

benda.

I nastri, di quelli che servono a legare le tende,

potevano

servire meglio per bloccare le sue mani.

Il desiderio di essere

dominata a letto era insito in lei.

Forse perchè era fondamentalmente

una ribelle nella vita,

indipendente e libera,

per una legge del

contrappasso a letto voleva essere sottomessa.

Il professore tornò e

dopo che ebbero bevuto,

vedendo lei alzarsi maliziosamente e prendere

gli oggetti

a cui aveva pensato, comprese chiaramente la fantasia di

Ilenia.

E lui l’avrebbe accontentata. Non chiedeva di meglio.

Si alzò

di scatto, la bloccò spingendola verso il muro.

Tenendole le mani

immobilizzate verso l’alto, la penetrò con le dita,

guardandola negli

occhi.

Entrambi vi lessero, l’uno nell’altra, una bramosa voglia.

Allora la fece girare e piegare;

lei si poggiò con le mani sul mobile

lì vicino,

il suo corpo era un fascio di nervi in attesa.

Sentiva il

desiderio tra le sue gambe, urlò: “Fammi tua”.

E allora lui la prese,

da dietro, selvaggiamente, impetuosamente,

senza darsi tregua.

Solo

la lussuria li animava.

Il professore, preso dall’irrefrenabile

eccitazione,

le diede dei colpi sul sedere e sentendo che ad ogni

colpo

lei si infiammava sempre più,

lo fece con sempre maggior

veemenza fino a portarla a godere,

fino a godere insieme,

con i loro

corpi attraversati da sussulti di piacere…

Ma non erano ancora sazi.

Dopo averla abbracciata la fece stendere sul letto;

accarezzandola

sentiva che era ancora scossa da brividi caldi.

Scese giù a toccare il

suo sesso bagnato,

di una voglia appena appagata ma già tornata.

Allora furono le sue labbra a sostituire la mano.

Fu la sua bocca a

farla sua,

fu la sua lingua a stuzzicarla ed infiammarla ancora

mentre le sue mani,

ora, tenevano ferme e bloccate quelle di lei.

Dopo averla provocata a lungo, fino al limite di lei,

lui prese la

sciarpa della moglie.

Per un attimo, solo per un istante,

ebbe una

reminiscenza di senso di colpa.

Ma scacciò subito via la sensazione.

Lui era lì, ora,con una ragazza che lo faceva sentire vivo

e non si

sarebbe più fatto fermare da buonisti perbenismi.

La bendò, e poi

Ilenia lo sorprese ancora,

prendendogli la mano

e portandola verso il

suo sottile e delicato collo,

che fremeva per essere stretto…

VII

Nuda. Bendata. Con le mani legate dietro la schiena, bloccate dallo

skotch. Fremente. Così era Ilenia, in preda al suo amante.
Dei gemiti

di piacere la squassavano mentre sentiva che lui la conduceva in giro

per la casa. “Vieni, vieni” le sussurrava all’orecchio.
Lei era

eccitata, infuocata dalla sodomizzazione recente, ansiosa di nuove e

maggiori trasgressioni.
“Voglio possederti ancora, sempre”, le diceva

all’orecchio.
E lei bendata nuda legata fremente tremava, come una

cerbiatta preda del cacciatore. Sentì una porta che si apriva.
L’odore

della stanza la colpì, sapeva di colonia, di profumi.
“E’ il bagno?”

chiese. “E’ la tua tana di animale” le disse. Ed improvviso,

ingiustificato, inaspettato, le giunse uno schiaffo violentissimo sul

viso,
che la fece girare su se stessa, la fece accasciare a terra

urlando di dolore.
“Che ti prende?” urlò rabbiosa. “Mi prende che ti

picchio” disse lui.
E continuò a picchiarla, schiaffo dopo schiaffo,

sul volto, sul petto,
sulle cosce, sui piedi, sul sedere.
Le faceva

male, ma il dolore si trasformava progressivamente
in intrigante

piacere. Lui stava attento a non farle male oltre il dovuto,
ma

continuava a percuoterla quasi scientificamente.
A poco a poco lei si

abituò al dolore. Improvvisamente i colpi cessarono. Ci fu un silenzio

assoluto, improvviso.
“Dove sei?” gli chiese. Nessuna risposta. Si

alzò, nuda bendata legata fremente. “Scioglimi” implorò.
Ebbe paura. E

se fosse stato un maniaco, un pervertito, un assassino?
Ma una voce

dentro di lei diceva: “Non era questo che volevi? Essere domata, essere

preda, impotente, nuda, in mano ad un altro. Goditelo adesso”.
“Dove

sei?” ripetè con voce tremante.
“Sono qui”, disse una voce dolce

accanto a lei.
In quei minuti lui aveva sognato tutte le trasgressioni

represse per anni.
Ma non ebbe il coraggio di andare oltre, era già

troppo.
Delicatamente la slegò, la fece rivestire, l’accompagnò alla

porta.
Le diede un lungo dolcissimo bacio. “E’ stato un sogno”, le

disse, “Solo un sogno impossibile”.
Uscì frastornata,  i clacson

urlanti in un ingorgo preserale sembravano volerla riportare alla

normalità.
Ma si chiese se mai avrebbe potuto tornare normale.
Ed ebbe

paura e gioia al tempo stesso. Era stupita, affascinata.
Le ombre della

sera calarono presto. Ma quella notte stentò a prendere sonno.
Era

agitata da singhiozzi, da tremori.
Poi scoppiò in un pianto infinito,

irrazionale, consolatorio.
E si addormentò esausta.
VIII
Il giorno
dopo
Ilenia si presentò a scuola con un misto tra timore,
eccitazione e

voglia di vedere Luca…
Luca: era la prima volta che pensava al

professore con il suo nome…
“Chissà  perchè…” si chiese.
Si

incontrarono direttamente in aula, e la tensione tra i due era

evidente,
quasi si toccava con mano.
Si scambiavano frequentemente

sguardi infuocati,
sguardi carichi del ricordo del pomeriggio

precedente.
Sentivano, entrambi, l’irrefrenabile desiderio di aversi

ancora.
Finita la lezione, si ritrovarono nell’ufficio di lui.
La
porta
si era appena chiusa che i due erano già avvinghiati
in un
intenso ed
erotico abbraccio.
Il bacio, le loro lingue che si
esploravano…

Questo bastò ad accendere in loro un’ eccitazione
incontrollabile.

Ilenia gli sussurrò all’orecchio: “Luca, fammi tua,
ora!”
Il professore
ebbe un attimo di esitazione…
lì, nel suo studio,
dove poteva
arrivare qualcuno all’improvviso…
Ilenia captò questi
pensieri:
“Il
pensiero di essere scoperti mi eccita ancora di più”.
Il
professore la
sospinse verso la scrivania.
Bocche, lingue  e mani si
cercarono, si
toccarono,
fecero propria ogni parte del corpo
dell’altro/a.
Ilenia si
toccò,  era fradicia.
E portò le sue dita,
bagnate della sua
eccitazione, alla sua bocca.
E poi a quella di lui.
Leccarono insieme
la sua bramosia…
Luca la prese lì, su quella
scrivania, entrando in
lei profondamente.
Su quella scrivania, simbolo
del “dovere”.
La
sentiva urlare e gemere.
La sentiva bagnata, eccitata.

La strinse a
sè, sprofondandole dentro ancora più.
Nell’estasi del
piacere che
provava, Ilenia si aggrappò a lui,
le sue unghie
graffiavano la schiena
di Luca
mentre gli chiedeva di non smettere, di
rimanere in lei, con
lei,
di abusarne ancora, di più.
Allora lui la
fece scendere e girare.

Ilenia si poggiò alla scrivania e sorrise.
Luca
si sfilò la cintura dai
pantaloni.
Il primo colpo che arrivò le fece
mancare il respiro.

dove la cintura si era fermata il bruciore la
dilaniava.
Bruciore che
diventò calore, e il calore piacere.
Un altro
colpo arrivò. Fece più
male. E diede più piacere.
E così gli altri,
fino a non sapere più se
le lacrime che le rigavano
il viso fossero di
sofferenza o di gioia.
Il
professore si fermò ed andò ad accarezzare

dolcemente e delicatamente
là dove la pelle era segnata.
Le sue labbra
si sostituirono alla mani,

baciando e leccando la pelle di lei
arrossata dalla sua irruenza.
E poi
la leccò oltre, strappandole un
intenso orgasmo.
E mentre Ilenia ancora
tremava di piacere accasciata
sulla scrivania,
il professore entrò di
nuovo in lei, facendola venire
ancora, godendo insieme.
Ilenia sospinse
Luca per farlo sedere sulla
sedia,
si inginocchiò davanti a lui e lo
leccò, prendendo il sesso di
lui in bocca,
per far sua ogni goccia del
piacere appena condiviso.
E
poi si sedette su di lui, a gambe aperte,
spalancate,
per farsi
prendere ancora, per sentirlo ancora dentro, per
godere di più.

Scoparono, dolcemente stavolta, con passione e
delicateza, mentre Luca
la
stringeva a sè, la toccava e la accarezzava.

Raggiunsero di nuovo un
profondoorgasmo, insieme.
Ilenia abbracciò il
professore, lo baciò, poi
si rivestì e si diresse verso la porta.
“A
domani, prof.”
Andò via, le
gambe ancora tremanti, il corpo scosso
dagli ultimi sussulti

dell’orgasmo, un sorriso di piacere sul viso.
Si
sfiorò là dove lui le
aveva lasciato dei segni sul corpo.
Il dolore le
riattivò il piacere,
la voglia, il desiderio.
E sorrise ancora di più,
felice.
Aveva trovato
quello che aveva sempre cercato.
Se ne andò,
lasciando il professore
ancora immerso nell’odore di Ilenia.
Se ne andò
lansciandolo appagato e
deliziato.
Pensò che quella ragazza gli aveva
fatto ritrovare
un’
esultanza ed un entusiamo che pensava aver perso.

Pensò che non
l’avrebbe lasciata andare via.
Uscì anche lui per tornare
a casa.

Camminavano così, ognuno per la sua strada, ma pensandosi.
Si
sentivano
vicini, si sentivano uniti, si sentivano Insieme.
E forse la
loro
storia era appena all’inizio…

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