UN INTRIGANTE TIROCINIO
Il professore entrò nella stanza,
palesemente stanco, scocciato, stressato.
Era in anticipo, al solito
suo; e meno male che lei aveva pensato a sua volta
di anticipare, per
non fare brutta figura il primo giorno del tirocinio.
Lui la guardò
appena, posò la borsa carica di libri (ne portava sempre molti di più
di quanti ne portassero i suoi alunni), bofonchiò un “Buongiorno”
stiracchiato;
poi, siccome fondamentalmente era un buon (o un
buonista),
capì che non doveva riversare il malumore che portava da
casa
su quella tirocinante innocente. E allora abbozzò un mezzo
sorriso,
la guardò meglio…e ne fu colpito. Era davvero carina.
Le
perdonò il fatto che stesse ascoltando musica dal’IPOD, cosa che
normalmente lo infastidiva (era un tenace censore delle divagazioni
musicali
dei suoi alunni, li richiamava durante le lezioni se scorgeva
quelle
diavolerie elettroniche nelle loro mani o nelle loro orecchie).
“Cosa stava sentendo?” “The sound of silence, lo conosce?” disse lei
rispondendo al sorriso.
The sound of silence. Maledizione, certo che
lo conosceva,
eccome se lo conosceva. “Il laureato” di Mike Nichols,
il film
che aveva visto da ragazzino nel ’67, che lo aveva turbato
terribilmente;
Con un giovane Dustin Hoffman ed una esplosiva Anne
Brancroft nei panni
della seducente, ricca borghese Mrs. Robinson.
Simon and Garfunkel, la sua giovinezza, il ’68…
“Si la conosco,
certo che la conosco” disse “Semmai mi meraviglio
che la conosca lei
che è così giovane”.
“Beh mi piace l’idea. L’idea di ascoltare il
silenzio, il suono del Silenzio
che mi avvolge. Sa quella sensazione
di solitudine anche quando siamo
circondati da mille persone? Beh
quella.”
Risposta che lo allibì letteralmente. Una ragazza che
filosofeggia alle otto
di mattina è il massimo.
Lei lo vide
tentennare, sorrise mordendosi le labbra.
“Vuole ascoltarla?” e con
uno di quei gesti che la rendevano speciale
si avvicinò a lui e gli
mise le cuffie nelle orecchie. E lui si deliziò ad ascoltarla
per
quasi un minuto, poi si strappò via le cuffie, quasi infastidito.
“Scusi…” aggiunse lei, credendo di aver sbagliato qualcosa.
“Scusi
di che? Mi ha fatto tornare indietro di molti anni” precisò lui.
“Ma
lei non sembra così anziano” ribattè lei, ma subito capì di aver fatto
un’altra gaffe… “Oh scusi non volevo dire…”
“Ormai l’ha detto;
comunque ho passto i cinquant’anni e portarli bene o male
vuol dire
assai poco”.
Quando diceva frasi del genere si sentiva sempre come il
principe di Salina
nel “Gattopardo”, che aveva la sua età e che ogni
volta che faceva progetti pensava
“Oramai, oramai…”. Il tempo
fuggito, la giovinezza pure, i sogni accantonati.
“Allora, lei è qui
per seguire la mia lezione come tirocinante, no?”
“Si” disse lei “Ho
sentito tanto parlare di lei…”
Gli piaceva il suo accento. “Di
dov’è?
Pugliese?”
“Salentina” precisò lei. “E lei?” chiese curiosa.
“Sono
apolide” tagliò corto lui.
Troppo difficile dirle tutte le tappe
della
sua vita, la città d’origine al nord,
la vita per anni in una
città
dell’estremo sud, il posto di lavoro a Roma…
“Allora andiamo?”
disse
lui. Intanto stavano entrando a frotte i ragazzi,
i colleghi, i
collaboratori scolastici (meraviglioso eufemismo per indicare
l’estnta
categoria dei bidelli), il dirigente scolastico (altro eufemismo che
sostituiva il vecchio demodè termine “Preside”).
“Ma senza IPOD”
aggiunse il prof.
“Scusi” sorrise mordendosi di nuovo le labbra, era
un gesto che faceva
quando era imbarazzata. E si avviarono insieme.
Era la prima volta che si avviavano insieme. E quell’avviarsi fu
metafora
del cammino comune che li aspettava, un cammino che
inaspettatamente
incredibilmente incautamente avrebbero percorso
insieme.
Era un giorno di novembre. La loro primavera stava appena
cominciando.
Finita la lezione, lui le si avvicinò per sapere come
fosse andata.
“Benissimo. Lei è all’altezza della sua fama. Bellissima
lezione…”
Come tipico di lei, la ragazza stava per lanciarsi con
domande sull’argomento discusso,
per approfondire, incuriosita, le
opinioni del professore a riguardo.
Ma lui la interruppe, adducendo
come scusa una riunione imminente.
“Oh, certo, capisco…Ci vediamo
per la lezione di domani allora”
“Va bene”.
Arrivato nel suo studio,
lui si prese la testa fra le mani, chiedendosi perchè
non fosse
rimasto ad ascoltarla come faceva con ogni altro studente che
a
termine delle lezioni gli ponevano domande.
C’era qualcosa in quella
ragazza che lo turbava.
Lo sguardo profondo dei suoi occhi.
O quel
suo modo di mordersi le labbra e subito dopo passarci su la lingua…
A questi pensieri, il professore si accorse di essere eccitato.
Quasi
con un gesto di stizza, si alzò per tornare a casa.
II
Tornata a
casa, la ragazza si buttò sul letto e si abbandonò a fantasticare…
Pensava alla lezione del professore.
A come lui riuscisse a catturare
l’attenzione di tutti gli studenti,
cosa difficilissima, lei lo sapeva
bene.
Ma lui…lui aveva carisma. Sapeva come e quando imporsi.
E poi
aveva fascino. Ripensò alla sua camminata decisa mentre si allontanava
da lei.
E mentre lei gli guardava sfacciatamente il culo.
Fu in quel
momento probabilmente, che decise che lo avrebbe sedotto.
Lei voleva
quell’Uomo.
Stanca di ragazzi e ragazzini che non sapevano tenerle
testa.
Aveva bisogno di essere domata.
III
A casa lui trovò il
solito tran tran. Non c’era più nulla che potesse coinvolgerlo, ormai,
lì.
Solo ricordi, frammenti di ricordi, cocci di ricordi.
E ripensò a
quella ragazza che si mordeva le labbra e ci passava su la lingua, ai
suoi meravigliosi occhi verdi.
Ma si autocensurò: “Ma vai, sei
patetico…”.
E sprofondò nel divano a dormirsi un po’ di televisione.
“Domani le chiedo il numero di cellulare” pensò nel dormiveglia.
L’
indomani mattina anticiparono ulteriormente, entrambi.
Alle 7,30 erano
già a scuola, mezzora prima dell’inizio delle lezioni. Lei gli sorrise
in un modo tale da inebriarlo. Non poteva essere vero, non poteva.
Quanti anni, ormai, che non succedeva niente del genere.
In realtà,
non gli erano mancate le occasioni. Era ancora in forma, non era mai
stato brutto, aveva un bel culo e una bella voce, uno sguardo
magnetico…
Le alunne spesso lo guardavano con gli occhi di triglia. Ma
lui niente, insensibile, asettico, professionale.
Il codice
deontologico, si sa… L’età che avanza… I vincoli familiari…
Ma ora…
ora era nell’età delicata, quella dell’ultima spiaggia prima di
sprofondare nella senilità.
L’età delle trappole. Lo aveva sempre
saputo e aveva anche riso di qualche amico che era cascato in qualche
avventura extraconiugale: “A me non potrebbe succedere mai”, pensava.
Ma non aveva ancora visto quella ragazza incantevole.
E poi oggi era
fresca. Sì, fresca. Radiosa.
La guardò meglio. Non era certo una
stangona: sarà stata un metro e sessanta, lui la dominava di almeno
quindici centimetri. Ma questo gli piaceva, lo faceva sentire
importante ed esorbitante…
I capelli erano lunghi, neri e mossi. Gli
occhi erano grandi e verdi: chissà quanti ragazzi della sua età ci si
perdevano come scorfani… La carnagione chiara… che sapore dolce doveva
avere.
Il seno era piccolo: e lui aveva sempre detestato le tettone,
le gonfiate, le pompate, le rifatte; le zinnette piccole lo attizzavano
invece, gli piaceva tenerle in una mano, palparle minuziosamente,
esplorarle.. Gli venne voglia di vederle meglio il lato B.
Le tese la
trappola. “Senta, me lo fa un favore? Me lo prende un libro in
biblioteca?” “Certo!” disse lei contenta di rendersi utile. In
biblioteca le indicò una scala portatile. “Mi dispiace, è nell’ultima
fila in alto; è un testo di Jung, parla di mitopsicologia e di
archetipi… Me lo prende?”.
E prima che potesse mettere il punto di
domanda già lei era al terzo gradino. Le vide il lato B, perfetto, e
due gambe belle da morire. “Pure guardone sto diventando…” pensò
divertito; e si ricordava uno di quei filmacci della commedia
pseudoerotica italiana degli anni settanta, “Malizia”, dove una
sensuale Laura Antonelli interpretava una cameriera che concedeva le
sue (spettacolari) grazie ad un anziano vedovo (Turi Ferro) e ad uno
dei suoi figli (il povero Alessandro Momo, che morì così giovane…).
Aveva sempre adorato il cinema; gli sarebbe piaciuto fare il regista,
scrivere sceneggiature…
Intanto lei era discesa e gli porgeva il
libro: “Ecco a lei” e dandoglielo gli sfiorò la mano, quasi
carezzandola. Ne fu bruciato, come da una scossa elettrica. “Ma che fa,
ci prova?” pensava fra sé e sé. E aggiunse: “Magari…”.
Dopo la
lezione, ruppe gli indugi.
“Senta, come si chiama di nome?”
“Ilenia;
e mi dia del tu, la prego…”.
“Ma non so se io posso…”
“Può, può..”.
“Eh già, potrei essere tuo padre…”
“Ma per fortuna non lo è…”.
“Per
fortuna?”
“Già…” e glielo disse con un sospiro.
“Sei fidanzata?”
E
di nuovo lei pensò, di colpo: sono stanca, stufa di ragazzi e ragazzini
che non sanno tenermi testa. Ho bisogno di essere domata. Glielo
avrebbe anche detto subito: “Domami, prendimi, scopami”.
Ma le cose
non possono andare così, troppo poco sapeva ancora di lui per
rischiare.
“Non me lo vuoi dire?” richiese lui sorridendo.
“Scusi, no
ero sovrappensiero… beh nessuna storia importante”.
“Quella giusta
arriverà” le disse guardandola negli occhi verdi, tuffandosi dentro di
essi, annegandoci.
“Speriamo che arrivi presto…”.
“Ah avrei bisogno
del tuo cellulare…”
Gli diede il numero, ricevette quello di lui; ma
lui dovette farle una raccomandazione che lei si aspettava: “Però
chiamami quando davvero occorre, sai ho una moglie gelosissima che
chissà cosa penserebbe se…”
“Se…?” gli disse guardandolo
sfrontatamente.
“Beh… se… se esagerassi… e poi sai io con sti sms non
me la cavo affatto, mi ci perdo… E poi meglio vedersi che telefonarsi…”
“In questo le dò ragione…”
Siccome stavano per lasciarsi e lei non
poteva chiudere così e tornarsene a casa con un bilancio così mediocre,
buttò lì la sua sfida:
“Ma lei invita mai le tirocinanti a prendere un
caffè?”
“E tu inviti sempre i tuoi prof a invitarti?”
“Lei è il primo
che vorrei che mi invitasse”
“Ok. Allora domani alle 11 ci prendiamo
una pausa e ce ne andiamo qua vicino. C’è un bar dove fanno aperitivi
sensazionali…”
“A domani allora, prof”.
“Ciao Ilenia”.
La guardò
allontanarsi. Si dondolava dolcemente, mare forza tre… ma ne prevedeva
le possibili burrasche, i fortunali.
Ed ebbe un attimo una visione:
lei nuda, incatenata, bendata davanti a lui; e lui che la prendeva da
dietro, selvaggiamente…
Si stropicciò gli occhi. Tirò il freno:
“Stattene con i piedi in terra; probabilmente vuole solo ruffianarti
per avere da te una buona relazione scritta utile per la sua carriera
futura; sei solo il suo tutor… che altro speri?”.
Maledetti i freni e
chi li ha inventati…
IV
Il mattino dopo Ilenia si alzò presto e di buon
umore.
Voleva prepararsi bene per quel giorno.
Ripensò con un sorriso
alla sera prima. Alle sue dita che erano scese a sfiorare prima,
a
toccare con sempre maggiore ardore poi, il suo sesso bagnato ed
eccitato al pensiero di lui.
Il solo ricordo le regalò un brivido…
Si destò dalle sue fantasie e si diresse ad aprire l’armadio. Quella
mattina,
l’avrebbe provocato ulteriormente. Indossò un miniabito
rosso, non esageratamente corto,
ma sicuramente attillato, sexy e
provocante.
Come d’accordo alle 11 si diressero al bar.
Mentre lui
ordinava, Ilenia andò a sedersi al tavolino, ancheggiando
sfacciatamente.
All’improvviso si voltò e sorrise, perchè il
professore, come lei aveva previsto,
la stava guardando con occhi
vogliosi.
Il professore distolse lo sguardo imbarazzato. Non riusciva
a capire quanto c’era di
ingenuo in quella ragazza e quanto di
tentatorio in quella donna.
Forse era proprio questo mix ad attirare
di lei.
Nuove fantasie gli affollarono la mente…loro due nel suo
studio, a prenderla sulla scrivania,
entrare in lei profondamente,
sentirla gemere, urlare e sospirare, ad accarezzarla
ed a
stringerla…
La voce del barista lo riportò alla realtà. “Ma cosa
diavolo vado pensando. E’ solo una
mia tirocinante, una studentessa.
Non posso rischiare di mettermi nei guai per lei, mettere
a rischio la
mia carriera, la mia famiglia…” Di nuovo, l’etica professionale e
morale. Eppure,
non riusciva a scacciare quella sensazione.
Come
poteva, se quando si diresse verso il tavolino notò le sue gambe
accavallate, vide
la balza delle autoreggenti che la gonna corta
metteva bene in evidenza.
Come poteva, se quando lei si mosse, la
gonna si sollevò un pò di più, facendo vedere
un pezzo di carne
candida e infuocata…
Mentre bevevano e chicchieravano Ilenia cercava
ogni pretesto per sfiorarlo “casualmente”.
Nella sua borsa lui
intravide svariati libri.
“Leggi molto?”
“Si, adoro leggere. L’ho
sempre fatto, fin da piccola, fino a perdere il conto
dei libri letti.
Sono sempre alla ricerca del nuovo io, e leggere è un pò come crearsi
nuovi mondi, crearsi nuove vite.”
Incantato dall’enfasi che Ilenia
aveva messo nelle sue parole, il professore, spontaneamente
e senza
pensarci disse:
“A casa ho una vasta biblioteca. Magari ti piacerebbe
vederla e prendere in prestito
qualche libro.”
“E’ una proposta?”
chiese Ilenia languidamente mentre con un piede andava a sfiorare
la
sua gamba.
Il professore già si era pentito di quello che aveva detto,
ma il tocco della ragazza lo mandò
in estasi. Capì che lei ci stava
provando.
Lei ci sarebbe stata. Voleva essere scopata.
Adesso stava a
lui decidere.
Guardò di nuovo i suoi grandi occhi verdi contornati da
lunghe ciglia. Lei sosteneva
il suo sguardo come a sfidarlo.
L’erezione improvvisa che il professore ebbe, era il segnale che
avrebbe fatto suo quel corpo,
quella bocca, quegli occhi, quell’Anima.
V
Entrarono a casa del prof. La moglie di lui quel giorno era fuori
per lavoro, sarebbe rientrata la sera. Non avevano figli (e questo lo
aveva amareggiato non poco).
Appena entrata, Ilenia si guardò intorno
cinguettando di gioia. “Bella casa” Ma lui era troppo su di giri per
resistere a lungo. “Bella come te”. Le andò dietro e la strinse in un
abbraccio, baciandole la nuca e il collo. Lei sospirò e si girò
guardandolo fisso negli occhi. “Scopami” gli disse. I vestiti volarono
via nel corridoio, nello studio di lui, nel bagno, nella camera da
letto. Un percorso degno di un Pollicino erotico, una caccia al tesoro
del piacere.
Nudi si avventarono sul letto. Lui le leccò a lungo
minuziosamente il pube. Voleva esplorarne le sensazioni. Quando le
mordicchiò il clitoride lei rantolò di piacere. Poi lui risalì leccando
ogni centimetro del suo corpo meraviglioso. La baciò freneticamente,
immergendole la lingua nel palato. Lei disse: “Aspetta, aspetta”. Si
girò prona sul letto, col suo splendido culetto all’aria. “Sodomizzami”
gli disse con una voce maliziosa che lui non aveva mai udito in vita
sua. E ricordò un film di tantissimi anni prima, “Travolti da un
insolito destino nell’azzurro mare di agosto”, della Wertmuller, con
Mariangela Melato e Giannini, lei ricca donna lombarda, lui coatto
marinaio siciliano, naufragati nell’isola deserta, e lei che scopre il
sesso selvaggio e gli dice “Sodomizzami”, e lui che non capisce una
mazza di quello che significa… Sorrise al pensiero, mentre lei ne
notava la distrazione: “Che c’è? Problemi?”. “No, è che ho la sventura
di avere una mente che deve fare collegamenti fra le cose anche nei
momenti meno opportuni”. Ma lui non aveva mai penetrato l’ano di
nessuno, nè donne nè uomini (grave colpa in un’epoca come la nostra,
dove “a fare in culo” ci si manda reciprocamente e costantemente).
“Come faccio?”. Lei sorrise: “Sei uno gnoccolone, prof… Procediamo
diversamente”. E gli prese il sesso in bocca. Lo assaporò avida, ne
palpeggiò la consistenza, carezzò i testicoli, leccò l’asta che
cresceva a avista d’occhio. “Mmmm… non male” disse gustando il
sapore. Poi se lo fiondò in bocca, divorandolo, mordendolo, leccandolo,
girandolo fra le mani come la cloche di un’auto da corsa… Dentro
fuori dentro fuori…. Lui credette di impazzire: “Ehi, calma, se no
vengo…” “E’ proprio quello che voglio, prof”. E continuò la sua
sfrenata esibizione. “Il pompino del secolo” pensò lui, tentando di
distrarsi, di non lasciare via libera a quei milioni di spermatozoi
repressi che pulsavano e bussavano alla porta del suo glande. Ma tutto
fu inutile. La cascata del Niagara inondò la gola, il viso, i capelli
di lei. E lei gridò di piacere selvaggio. “Ahhhhhhhhhhhhhh”.
Si
abbatterono esausti sul letto, nudi, scossi da un fremito selvaggioin
ogni fibra del corpo.
Ma era appena l’inizio…
VI
Mentre lui andò in
cucina a prendere del vino,
Ilenia si guardò attorno nella stanza.
La
eccitava oltre ogni limite l’idea di essere lì, in quella casa,
su
quel letto simbolo di una coniugalità a cui lei non credeva.
Per un
attimo la sfiorò il torbido pensiero di lasciare qualcosa di suo,
un
segno, nascosto da qualche parte lì nella stanza.
Poi vide quello che
cercava ed ogni altro pensiero svanì.
Una sciarpa, probabilmente della
moglie del professore,
di delicato tessuto scuro, poteva fungere da
benda.
I nastri, di quelli che servono a legare le tende,
potevano
servire meglio per bloccare le sue mani.
Il desiderio di essere
dominata a letto era insito in lei.
Forse perchè era fondamentalmente
una ribelle nella vita,
indipendente e libera,
per una legge del
contrappasso a letto voleva essere sottomessa.
Il professore tornò e
dopo che ebbero bevuto,
vedendo lei alzarsi maliziosamente e prendere
gli oggetti
a cui aveva pensato, comprese chiaramente la fantasia di
Ilenia.
E lui l’avrebbe accontentata. Non chiedeva di meglio.
Si alzò
di scatto, la bloccò spingendola verso il muro.
Tenendole le mani
immobilizzate verso l’alto, la penetrò con le dita,
guardandola negli
occhi.
Entrambi vi lessero, l’uno nell’altra, una bramosa voglia.
Allora la fece girare e piegare;
lei si poggiò con le mani sul mobile
lì vicino,
il suo corpo era un fascio di nervi in attesa.
Sentiva il
desiderio tra le sue gambe, urlò: “Fammi tua”.
E allora lui la prese,
da dietro, selvaggiamente, impetuosamente,
senza darsi tregua.
Solo
la lussuria li animava.
Il professore, preso dall’irrefrenabile
eccitazione,
le diede dei colpi sul sedere e sentendo che ad ogni
colpo
lei si infiammava sempre più,
lo fece con sempre maggior
veemenza fino a portarla a godere,
fino a godere insieme,
con i loro
corpi attraversati da sussulti di piacere…
Ma non erano ancora sazi.
Dopo averla abbracciata la fece stendere sul letto;
accarezzandola
sentiva che era ancora scossa da brividi caldi.
Scese giù a toccare il
suo sesso bagnato,
di una voglia appena appagata ma già tornata.
Allora furono le sue labbra a sostituire la mano.
Fu la sua bocca a
farla sua,
fu la sua lingua a stuzzicarla ed infiammarla ancora
mentre le sue mani,
ora, tenevano ferme e bloccate quelle di lei.
Dopo averla provocata a lungo, fino al limite di lei,
lui prese la
sciarpa della moglie.
Per un attimo, solo per un istante,
ebbe una
reminiscenza di senso di colpa.
Ma scacciò subito via la sensazione.
Lui era lì, ora,con una ragazza che lo faceva sentire vivo
e non si
sarebbe più fatto fermare da buonisti perbenismi.
La bendò, e poi
Ilenia lo sorprese ancora,
prendendogli la mano
e portandola verso il
suo sottile e delicato collo,
che fremeva per essere stretto…
VII
Nuda. Bendata. Con le mani legate dietro la schiena, bloccate dallo
skotch. Fremente. Così era Ilenia, in preda al suo amante.
Dei gemiti
di piacere la squassavano mentre sentiva che lui la conduceva in giro
per la casa. “Vieni, vieni” le sussurrava all’orecchio.
Lei era
eccitata, infuocata dalla sodomizzazione recente, ansiosa di nuove e
maggiori trasgressioni.
“Voglio possederti ancora, sempre”, le diceva
all’orecchio.
E lei bendata nuda legata fremente tremava, come una
cerbiatta preda del cacciatore. Sentì una porta che si apriva.
L’odore
della stanza la colpì, sapeva di colonia, di profumi.
“E’ il bagno?”
chiese. “E’ la tua tana di animale” le disse. Ed improvviso,
ingiustificato, inaspettato, le giunse uno schiaffo violentissimo sul
viso,
che la fece girare su se stessa, la fece accasciare a terra
urlando di dolore.
“Che ti prende?” urlò rabbiosa. “Mi prende che ti
picchio” disse lui.
E continuò a picchiarla, schiaffo dopo schiaffo,
sul volto, sul petto,
sulle cosce, sui piedi, sul sedere.
Le faceva
male, ma il dolore si trasformava progressivamente
in intrigante
piacere. Lui stava attento a non farle male oltre il dovuto,
ma
continuava a percuoterla quasi scientificamente.
A poco a poco lei si
abituò al dolore. Improvvisamente i colpi cessarono. Ci fu un silenzio
assoluto, improvviso.
“Dove sei?” gli chiese. Nessuna risposta. Si
alzò, nuda bendata legata fremente. “Scioglimi” implorò.
Ebbe paura. E
se fosse stato un maniaco, un pervertito, un assassino?
Ma una voce
dentro di lei diceva: “Non era questo che volevi? Essere domata, essere
preda, impotente, nuda, in mano ad un altro. Goditelo adesso”.
“Dove
sei?” ripetè con voce tremante.
“Sono qui”, disse una voce dolce
accanto a lei.
In quei minuti lui aveva sognato tutte le trasgressioni
represse per anni.
Ma non ebbe il coraggio di andare oltre, era già
troppo.
Delicatamente la slegò, la fece rivestire, l’accompagnò alla
porta.
Le diede un lungo dolcissimo bacio. “E’ stato un sogno”, le
disse, “Solo un sogno impossibile”.
Uscì frastornata, i clacson
urlanti in un ingorgo preserale sembravano volerla riportare alla
normalità.
Ma si chiese se mai avrebbe potuto tornare normale.
Ed ebbe
paura e gioia al tempo stesso. Era stupita, affascinata.
Le ombre della
sera calarono presto. Ma quella notte stentò a prendere sonno.
Era
agitata da singhiozzi, da tremori.
Poi scoppiò in un pianto infinito,
irrazionale, consolatorio.
E si addormentò esausta.
VIII
Il giorno
dopo
Ilenia si presentò a scuola con un misto tra timore,
eccitazione e
voglia di vedere Luca…
Luca: era la prima volta che pensava al
professore con il suo nome…
“Chissà perchè…” si chiese.
Si
incontrarono direttamente in aula, e la tensione tra i due era
evidente,
quasi si toccava con mano.
Si scambiavano frequentemente
sguardi infuocati,
sguardi carichi del ricordo del pomeriggio
precedente.
Sentivano, entrambi, l’irrefrenabile desiderio di aversi
ancora.
Finita la lezione, si ritrovarono nell’ufficio di lui.
La
porta
si era appena chiusa che i due erano già avvinghiati
in un
intenso ed
erotico abbraccio.
Il bacio, le loro lingue che si
esploravano…
Questo bastò ad accendere in loro un’ eccitazione
incontrollabile.
Ilenia gli sussurrò all’orecchio: “Luca, fammi tua,
ora!”
Il professore
ebbe un attimo di esitazione…
lì, nel suo studio,
dove poteva
arrivare qualcuno all’improvviso…
Ilenia captò questi
pensieri:
“Il
pensiero di essere scoperti mi eccita ancora di più”.
Il
professore la
sospinse verso la scrivania.
Bocche, lingue e mani si
cercarono, si
toccarono,
fecero propria ogni parte del corpo
dell’altro/a.
Ilenia si
toccò, era fradicia.
E portò le sue dita,
bagnate della sua
eccitazione, alla sua bocca.
E poi a quella di lui.
Leccarono insieme
la sua bramosia…
Luca la prese lì, su quella
scrivania, entrando in
lei profondamente.
Su quella scrivania, simbolo
del “dovere”.
La
sentiva urlare e gemere.
La sentiva bagnata, eccitata.
La strinse a
sè, sprofondandole dentro ancora più.
Nell’estasi del
piacere che
provava, Ilenia si aggrappò a lui,
le sue unghie
graffiavano la schiena
di Luca
mentre gli chiedeva di non smettere, di
rimanere in lei, con
lei,
di abusarne ancora, di più.
Allora lui la
fece scendere e girare.
Ilenia si poggiò alla scrivania e sorrise.
Luca
si sfilò la cintura dai
pantaloni.
Il primo colpo che arrivò le fece
mancare il respiro.
Lì
dove la cintura si era fermata il bruciore la
dilaniava.
Bruciore che
diventò calore, e il calore piacere.
Un altro
colpo arrivò. Fece più
male. E diede più piacere.
E così gli altri,
fino a non sapere più se
le lacrime che le rigavano
il viso fossero di
sofferenza o di gioia.
Il
professore si fermò ed andò ad accarezzare
dolcemente e delicatamente
là dove la pelle era segnata.
Le sue labbra
si sostituirono alla mani,
baciando e leccando la pelle di lei
arrossata dalla sua irruenza.
E poi
la leccò oltre, strappandole un
intenso orgasmo.
E mentre Ilenia ancora
tremava di piacere accasciata
sulla scrivania,
il professore entrò di
nuovo in lei, facendola venire
ancora, godendo insieme.
Ilenia sospinse
Luca per farlo sedere sulla
sedia,
si inginocchiò davanti a lui e lo
leccò, prendendo il sesso di
lui in bocca,
per far sua ogni goccia del
piacere appena condiviso.
E
poi si sedette su di lui, a gambe aperte,
spalancate,
per farsi
prendere ancora, per sentirlo ancora dentro, per
godere di più.
Scoparono, dolcemente stavolta, con passione e
delicateza, mentre Luca
la
stringeva a sè, la toccava e la accarezzava.
Raggiunsero di nuovo un
profondoorgasmo, insieme.
Ilenia abbracciò il
professore, lo baciò, poi
si rivestì e si diresse verso la porta.
“A
domani, prof.”
Andò via, le
gambe ancora tremanti, il corpo scosso
dagli ultimi sussulti
dell’orgasmo, un sorriso di piacere sul viso.
Si
sfiorò là dove lui le
aveva lasciato dei segni sul corpo.
Il dolore le
riattivò il piacere,
la voglia, il desiderio.
E sorrise ancora di più,
felice.
Aveva trovato
quello che aveva sempre cercato.
Se ne andò,
lasciando il professore
ancora immerso nell’odore di Ilenia.
Se ne andò
lansciandolo appagato e
deliziato.
Pensò che quella ragazza gli aveva
fatto ritrovare
un’
esultanza ed un entusiamo che pensava aver perso.
Pensò che non
l’avrebbe lasciata andare via.
Uscì anche lui per tornare
a casa.
Camminavano così, ognuno per la sua strada, ma pensandosi.
Si
sentivano
vicini, si sentivano uniti, si sentivano Insieme.
E forse la
loro
storia era appena all’inizio…
Ci sono altre storie se siete interessati
Bhe...è difficile che si ricevi un commento, Questo sito non è tantissimo frequentato da gente attiva :)
Una serie di racconti sempre più eccitanti, alla fine Gianni ha raggiunto il suo scopo
Mi sa che alla prossima Gianni raggiunge l'obbiettivo
Un vero cuck, lei senza problemi gli racconta, d'altronde lui glielo aveva permesso al telefono