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Una Tortura Insolita

By 27 Aprile 2017Gennaio 11th, 2021One Comment

Capitolo 1 – I Collant

*Din din*

Sento il telefono squillare, probabilmente per un messaggio. Mi rigiro nel letto infastidita, maledicendomi per essermi dimenticata di impostare la modalità silenzioso. Guardo l’ora sul display della sveglia. Mezzanotte e un quarto. Ottimo, anche domani sarò uno zombie. Trovo a tentoni il telefono sul comodino e quando lo sblocco rischio di rimanere accecata dalla luce dello schermo.

Non è un messaggio, è una mail, e come mittente leggo un nome che non vedevo da quasi tre settimane.

“Hai un pennarello di quelli grossi?”

Nessun saluto, nessun oggetto. Una semplice domanda, che mi lascia perplessa, molto perplessa. Non La sento da tre settimane e adesso salta fuori così? Mi metto a sedere e rispondo velocemente.

“Un pennarello? Perchè?”

Dopo neanche un minuto il telefono squilla di nuovo. “Rispondi.”

Mi rassegno e smetto di cercare di capire. “Sì, ho un pennarello grosso.”

“Ottimo. Domani portalo con te… e indossa dei collant. Buonanotte!”

Sto per rispondere ma il telefono vibra di nuovo. “Dimenticavo. Le mutandine lasciale a casa.”

Rimango a fissare lo schermo con la fronte corrugata, cercando di dare un senso a quella che molto probabilmente è stata una delle conversazioni più assurde che io abbia mai avuto. Ma d’altronde ormai ci sono quasi abituata.

La nostra corrispondenza è iniziata in maniera tranquilla, i soliti convenevoli, qualche scambio di battute, niente di eclatante. Presto però abbiamo scoperto un interesse comune: a Lei piace dominare, e a me, beh… penso sia scontato.

“Per dominare non basta dare quattro frustate. Dominare è capire lo/la slave. Capire la sue mente. Leggerla. Conquistarla.”

Parole Sue.

Parole con cui mi sono trovata estremamente d’accordo. E che mi hanno colpita…

Così quelle battute sono diventate provocazioni. Provocazioni che dopo qualche mese si sono trasformate in ordini. E ormai ho imparato a rassegnarmi a fare quel che mi viene detto di fare, essendo però consapevole del fatto che alla fine non me ne pentirò.

Spengo il cellulare e cerco di rimettermi a dormire. Deciderò domani se assecondarLa anche stavolta o meno. Ma una pulce nell’orecchio e un ronzio nella pancia mi rendono difficile riprendere sonno. La verità è che sono ansiosa di scoprire cosa la Sua mente escogiterà questa volta.

La mattina dopo la sveglia suona alle 5:30, ma fanno in tempo ad arrivare le 6:00 prima che trovi la forza di alzarmi. Con l’agilità di un bradipo faccio colazione, mi lavo i denti, mi pettino e poi torno in camera per vestirmi. L’occhio cade sui jeans che avevo preparato sulla sedia la sera prima, ma, purtroppo per loro, la pulce che era nel mio orecchio alla fine ha avuto la meglio.

Esco di casa di corsa. Sono in ritardo, tanto per cambiare. Salto in macchina e guido velocemente verso la stazione, riuscendo ad arrivare sul binario giusto in tempo per vedere il treno sbucare all’orizzonte. E mentre lo guardo avvicinarsi, sento un brivido scorrermi lungo la schiena e il tempo si ferma per qualche istante.

E’ come se solo in questo momento prendessi coscienza della mia scelta. L’ho fatto. Anche stavolta ho obbedito senza fiatare. E adesso sono qui, in mezzo alle stesse facce che vedo ogni mattina, ma tra le gambe non sento la rassicurante sensazione del cotone. No, non oggi. Oggi la sensazione è completamente diversa. A contatto con la mia pelle più sensibile sento il nylon dei collant, che ad ogni movimento mi ricorda che le mutandine non ci sono. E se non ci sono non è perchè io, di mia spontanea iniziativa, ho deciso di non metterle, ma perchè Lei mi ha detto di farlo. Anche se semplice e apparentemente banale, sto eseguendo un Suo ordine, e la mia testa ne è pienamente consapevole.

Il treno mi scorre davanti agli occhi, ridestandomi da questi pensieri, e la folata d’aria che lo accompagna si insinua tra le mie gambe, accarezzandomi da sopra le calze sottili. Socchiudo gli occhi e mi godo questa leggera e allo stesso tempo intensa sensazione. Ma devo stare più attenta, se la gonna si solleva potrebbe succedere un casino!

Fortunatamente, una volta salita, trovo un posto vicino al finestrino e di fronte a me c’è solo una signora sulla quarantina, intenta a lavorare al computer. Mi aspetta la solita oretta di viaggio per arrivare in facoltà, anche se so benissimo come passerò il tempo. Tiro fuori il cellulare, ancora spento da ieri, e quando lo accendo non sono sorpresa di trovare un Suo messaggio.

“Buongiorno fanciulla. Dormito bene?”. Sorrido.

“Buongiorno! Abbastanza bene, un po’ troppi pensieri…”.

Come al solito la risposta non tarda ad arrivare.

“Posso immaginare che genere di pensieri. Hai fatto quello che ti ho detto?”

“Sì. Indosso i collant, ho il pennarello in borsa e… niente mutandine.”

“Brava. Oggi farai quello che ti dico io e dovrai dirmi per filo e per segno le tue reazioni. Chiaro?”

“Sì, tutto chiaro.”

“Bene. Come ti senti?”

“Vulnerabile. Ed è bastato un soffio d’aria per svegliarla…”

“Ha fatto in fretta.”

“La conosci…”

“E, fammi indovinare, è desiderosa di attenzioni. Giusto?”

Deglutisco. So bene dove andremo a parare.

“Sì…”

“Magari vorrebbe una lingua sopra di lei ora? Che scorre lentamente… su e giù.”

Avvampo. Mi giro di scatto, guardandomi intorno, perchè una parte di me è convinta che qualcuno stia spiando i miei messaggi. Mi schiaccio contro il finestrino e rileggo, stringendo le cosce e sistemando la gonna. Esito prima di rispondere.

“Giochi sporco! Così mi farai macchiare la gonna…”

“Basta così poco per farti eccitare?”

“Dovresti saperlo… sto già colando.”

“Ah sì? Sarebbe bello sentire i tuoi umori ora…”

Mi mordo le labbra, agitandomi sul sedile. Le Sue parole mi stuzzicano e la mia immaginazione fa il resto.

La vedo di fronte a me. Lo sguardo sicuro, fisso nei miei occhi. Mi accarezza una guancia e si avvicina per baciarmi il collo. Ma non lo fa, sento solo il Suo alito sfiorarmi la pelle e farmi venire la pelle d’oca. Poi scende, posa una mano sulla mia coscia e si inginocchia tra le mie gambe.

Sento il telefono vibrare.

“Ma i collant sarebbero di intralcio. Bisognerebbe strapparli, usando le unghie.”

In un attimo la presa della Sua mano sulla mia coscia diventa più aggressiva e comincia a risalire, insinuandosi sotto la gonna. Sento le unghie premere sulla mia carne, non sono aggressive ma minacciose, come un avvertimento. Il telefono vibra di nuovo.

“Così poi non ci sarebbero più ostacoli fra le tue labbra e la mia lingua…”

Incrocio il Suo sguardo un’ultima volta, un ghigno e la vedo sparire tra le mie gambe.

– Signorina, il biglietto.

Trasalisco e giro la testa di scatto. Il controllore è in piedi di fianco a me e io non mi ero minimamente accorta della sua presenza. Credo di diventare di colore scarlatto e farfuglio un – Sì… mi scusi, ora lo trovo… – con un tono di voce un po’ troppo trafelato per essere una che se ne stava comodamente seduta, senza far niente. La signora di fronte mi lancia delle occhiate sprezzanti mentre rovisto nella borsa per cercare il portafoglio e, una volta soddisfatta la richiesta del controllore, mi accascio sul sedile cercando di ritrovare un certo decoro.

Quasi mi vergogno di me stessa. Non posso accettare il fatto che bastino solo dei collant, un soffio d’aria e un paio di messaggi per farmi perdere il controllo.

Contegno. Altrimenti non arriverò mai a fine giornata.

Cerco il telefono per risponderLe, ma non riesco a trovarlo. Guardo nella borsa, sul sedile, nelle tasche del cappotto. Niente, non ce n’è traccia da nessuna parte.

– Stai cercando questo?

La mia compagna di viaggio mi sta guardando divertita, seduta con le gambe accavallate e la schiena talmente dritta da sembrare legata ad una tavola di legno. In mano ha il mio cellulare e me lo sta porgendo, senza scomporsi minimamente.

– Mentre cercavi il biglietto, nella foga ti è caduto e non te ne sei nemmeno accorta. Devi stare più attenta.

Il tono di superiorità con cui mi parla mi urta i nervi. Ma chi si crede di essere?

– Grazie. – rispondo in modo tagliente e con la stessa faccia da stronza che mi sta rivolgendo lei. Forse è solo una mia impressione, ma il nostro scambio di sguardi dura qualche secondo di troppo, e non capisco se il suo scopo sia solo quello di intimidirmi oppure mi stia esaminando. Una voce metallica interrompe questo momento di stallo, annunciando la prossima stazione.

– Peccato, – esordisce faccia da stronza – questa è la mia fermata.

Si alza, raccoglie le sue cose e mi guarda di sottecchi, esitando un istante prima di aprire nuovamente bocca. – Sai, è meglio se le gambe le tieni più chiuse quando indossi una gonna.

Sto per risponderle di andare a quel paese, con un lessico decisamente molto meno cortese, ma lei si fa più vicina.

– Soprattutto se sotto le calze non indossi l’intimo.

Mi fa l’occhiolino e fa per andarsene, ma esita di nuovo.

– Ah sì, dimenticavo… hai un nuovo messaggio da una certa ‘Padrona’. Meglio se controlli, sembra urgente.

Un ultimo sorrisetto e si volta, dirigendosi sculettando verso la fine del vagone.

Rimango pietrificata osservandola scendere dal treno e poi guardo il display del cellulare, dove campeggia in bella vista la scritta:

“Nuovo messaggio da Padrona“.

Continua.

Capitolo 2 – Il Pennarello

Ottimo.

Fantastico direi.

Sono appena le 7.30 del mattino e già sono stata scoperta.

Cerco di evitare lo sguardo di un signore anziano seduto qualche posto più in là, probabilmente preoccupato per il colorito poco umano che è comparso (forse dovrei dire ri-comparso) sulla mia faccia.

Calma Gio. Non è successo niente di grave. La signora è scesa, non la rivedrai mai più.

O almeno così spero…

Osservo il display del cellulare: “Nuovo messaggio da Padrona“.

E’ stata Lei a volere che la salvassi con quel nome. Padrona.

Ricordo bene la prima volta che l’ho chiamata così. Non è stato molto tempo fa, un pomeriggio durante uno dei nostri “bollenti” scambi di mail, Lei di punto in bianco mi ha chiesto “Chi sono io?”, e sono sicura di non avere esitato mentre digitavo la risposta. Subito dopo aver premuto invio, ho sentito un brivido scorrermi lungo la spina dorsale.

“Sei la mia Padrona”.

Chiudo gli occhi. Non c’è bisogno di toccare con mano, lo sento benissimo. Sono bagnata. Molto bagnata. Più di quel che vorrei ammettere a me stessa. Ma il gioco, quello vero, in realtà deve ancora cominciare. Mi decido a leggere il Suo ultimo messaggio. Ho aspettato fin troppo, non voglio farla innervosire.

“Forza, lo so che sei pronta. Prendi il pennarello.”

Wow. Riesce a leggermi nel pensiero?

Sì, sono decisamente molto “pronta”. Prendo il pennarello dalla borsa e lo faccio scorrere tra le dita. E’ un indelebile nero, dal diametro di circa 2 cm, e penso di sapere dove andrà a finire.

“Cosa devo fare?”

“Ti concederò un po’ di sollievo. Mettilo dentro ai collant.”

“Vuoi che mi penetri?”

“Non ho detto questo, non avere fretta. Devi farlo scivolare fra le tue labbra e lasciarlo lì. I collant faranno il resto.”

Mi sbagliavo. Vuole farmi penare ancora un po’.

“Va bene, dammi qualche secondo. Vado in bagno e faccio come mi hai detto.”

“Ti ho forse detto di andare in bagno? No, mia cara. Lo farai lì dove sei.”

Cosa?

Rileggo più volte l’ultimo messaggio, sperando che per qualche ragione il testo cambi. Ma naturalmente ciò non accade.

Mi guardo attorno. La carrozza non è molto piena, ci saranno una ventina di persone al massimo e molti posti vuoti. Sono seduta vicino al finestrino, quindi rientro nel campo visivo di al massimo quattro, cinque persone. Non sono molte. Uno è il signore anziano di prima, che ora è impegnato a leggere il giornale, poi c’è un ragazzo che dorme, uno che ascolta la musica dagli auricolari con lo sguardo perso nel vuoto e una ragazza che cerca di studiare, anche se il suo vicino di posto sta parlando al telefono con un volume di voce un po’ troppo alto.

Sono tutti impegnati a farsi gli affari loro, perchè dovrebbero guardarmi?

E se mentissi?

Potrei andare in bagno e dirLe che in realtà ho fatto come mi ha detto. Lei non lo verrebbe mai a sapere…

No, è un’idea stupida, non avrebbe alcun senso. A questo gioco stiamo giocando in due e io non sono una che imbroglia.

Lo farò, ho deciso. Obbedirò anche stavolta. Devo solo essere discreta.

“Ok. Lo faccio.”

Digito in fretta e lancio un’ultima occhiata ai miei compagni di viaggio.

Tolgo il cappotto e lo metto sopra alle ginocchia, così che possa coprire almeno in parte le mie cosce che altrimenti sarebbero in bella mostra, visto che ho già cominciato a sollevare la gonna. Non posso esitare e non posso nemmeno guardarmi troppo intorno, altrimenti risulterei ancora più sospetta. Trovo l’elastico dei collant e lo tiro quel tanto che basta per infilarci dentro il pennarello.

Pausa. Sento il cuore battere all’impazzata, ma faccio finta di niente guardando fuori dal finestrino, fingendo di essere persa nei miei pensieri. La parte più rischiosa è andata, ora devo solo mettere il pennarello in posizione. Torno con la mano dentro le calze e spingo il pennarello sempre più in basso. Lo sento divaricare le grandi labbra e infilarsi fra di esse. E’ chiaro che sono completamente fradicia, visto che scivola senza alcun attrito. Chiudo gli occhi e allargo leggermente le gambe, per godermi le sensazioni che non mi ero accorta di desiderare così tanto. Strofina sul clitoride procurandomi dei brividi, continua a scendere arrivando ad intrufolarsi fra le piccole labbra, e le attraversa completamente, arrivando quasi fino al buchino dietro.

Si ferma lì, disteso per lungo, a contatto con i miei punti più sensibili.

Tiro un sospiro, ce l’ho fatta.

– Luca! Torna subito qui!!

Apro gli occhi e la prima cosa che vedo è un bambino di al massimo sei anni, in piedi, a pochi passi da me, che mi fissa incuriosito.

Da quanto tempo è lì? Cosa ha visto??

Rimaniamo a scrutarci per diversi secondi, e io sto per andare nel panico. Provo ad azzardare un saluto, ma prima ancora che apra bocca, lui scappa via, correndo verso la voce che l’ha chiamato dal fondo della carrozza.

Mi guardo attorno allarmata. Mi vedo già con una bella denuncia per “atti osceni in luogo pubblico”.

E invece nulla è cambiato. Tutti i miei compagni di viaggio sono esattamente nella stessa posizione in cui li avevo lasciati un minuto fa, nessuno di loro sembra avermi notata e del bambino non c’è più traccia. Se avesse detto qualcosa alla madre, sicuramente ce l’avrei già qui di fronte a darmi una strigliata (e come darle torto). Invece così non è.

L’ho fatta franca.

Tiro un sospiro di sollievo e prendo il cellulare.

“Fatto.”

“Non rispetti gli accordi. Devi dirmi tutto. I tuoi movimenti, le tue sensazioni, i tuoi pensieri. Altrimenti ti diverti solo tu!”

Se con divertirsi intende ‘rischiare di farsi venire un infarto ogni 3×2’ sì, mi sto divertendo da matti!

Sovrappensiero faccio per accavallare le gambe, ma non appena ne sollevo una, una leggera pressione del pennarello su un punto un po’ troppo sensibile, mi provoca una scarica di piacere davvero intensa. Sono colta alla sprovvista e non riesco a trattenere un gemito, che è sicuramente troppo acuto per poter passare inosservato.

Quando me ne rendo conto è troppo tardi.

Ditemi che non è successo davvero…

Se prima gli atri passeggeri non mi avevano minimamente notata, ora hanno tutti gli occhi puntati verso di me.

Cazzo!

Mi guardo la punta delle scarpe, sentendo in pochi secondi le orecchie diventare bollenti. Cerco di fare finta di niente schiarendomi la gola, ma non sono per niente credibile. Continuo a risentire nella mia testa il verso che ho appena emesso, e penso che difficilmente possa essere interpretato come qualcosa di diverso da un gemito di piacere.

Io nel dubbio continuo a tossire, ma sento fin troppo bene in sottofondo un paio di risatine sommesse.

Smetto la recita solo quando sento la voce metallica annunciare che siamo arrivati al capolinea. Miracolo, sono salva! Finalmente il viaggio più angoscioso della mia vita è giunto al termine.

Mi alzo per scappare lontano da questo treno il più in fretta possibile, ma non appena sono in piedi mi ricordo quel che Lei aveva detto.

“I collant faranno il resto”

Ed è proprio così.

Forse ho sbagliato io a mettere le calze più attillate che ho, anzi sicuramente sono stata stupida. Ma mi era sembrata una buona idea, avevo pensato “se devo farlo, tanto vale farlo bene!”. Ma in questo preciso momento mi sto maledicendo per aver fatto una scelta del genere.

Ora che sono in piedi sento i collant premere sul cavallo, proprio lì dove è presente un intruso che normalmente non dovrebbe esserci. Il pennarello viene spinto verso l’alto, e va a stimolare ancora di più dei punti che, in un luogo pubblico, sicuramente non dovrebbero essere stimolati. Un’altra scarica di piacere, ancora più intensa di quella di prima, mi scuote, ma questa volta tengo le labbra serrate e riesco a trattenere un gemito, che stava di nuovo per sfuggirmi.

Devo andarmene il prima possibile di qui o finisce male. Scendo dal treno a testa bassa, cercando di evitare gli sguardi degli altri passeggeri, che ovviamente non hanno ancora dimenticato la mia figuraccia di poco fa. Cerco di camminare il più normalmente possibile, ma il continuo e persistente strusciare del pennarello, me la rende un’impresa molto ardua.

Esco dalla stazione con il passo più svelto che riesca a sostenere e riprendo in mano il cellulare per raccontarLe ogni singolo dettaglio di quanto e successo su quella carrozza, stentando io stessa a credere che ciò che sto scrivendo sia accaduto veramente.

Ad ogni parola che digito, sento un sorriso allargarsi sempre di più sul mio volto.

Lo devo ammettere, non si sbagliava. Anche dopo tutti questi imprevisti, la verità è che mi sto divertendo da matti. Sento l’adrenalina nelle vene, il cuore battere all’impazzata e un fiume scorrermi tra le gambe. E tutto questo per merito di un paio di collant, un pennarello e… soprattutto per Lei.

Devo camminare all’incirca un chilometro e mezzo per raggiungere la mia sede.

Se continuo così, dubito che arriverò senza avere un orgasmo.

Continua.

Capitolo 3 – Le Scale

Ok, c’è un problema.

Un piccolo ostacolo da superare che non avevo calcolato.

Anzi, sinceramente non avrei neanche mai immaginato potesse essere un ostacolo.

Le scale.

La camminata fino a qui è stata tutto sommato tranquilla. Non ci sono stati grossi inconvenienti. A parte il fatto che ci ho messo quindici minuti in più del solito a percorrere il tragitto, essenzialmente per due motivi.

Uno, non riesco a camminare e scrivere contemporaneamente. Sono negata, quindi per poterLe rispondere dovevo ogni volta rallentare il passo.

Due, quella che forse è la causa principale, ogni circa 200/300 metri dovevo fermarmi per riprendere fiato. Potrà sembrare assurdo, ma se avessi usato il pennarello per penetrarmi e ora fosse dentro di me, sarebbe molto meglio rispetto all’aver dovuto camminare con quest’affare tra le gambe.

Durante tutto il cammino ho provato sensazioni contrastanti. Da un lato desideravo che il pennarello e i collant non ci fossero, speravo di potermi liberare di questa stimolazione persistente, molto spesso fastidiosa, che non mi dava pace e non mi consentiva di pensare ad altro.

Ma dall’altro… dall’altro volevo di più. Molto di più.

Ad ogni piccola scossa di piacere avrei voluto afferrare l’orlo dei collant e tirarli verso l’alto, per sentirli insinuarsi dappertutto. Ogni volta che il pennarello sfiorava il clitoride, stringevo le cosce per prolungare quell’agonia, e avrei voluto allungare una mano per prenderlo e strofinarlo contro il mio sesso fino a farmi male.

Quelle leggere stimolazioni non facevano altro che rendermi sempre più sensibile ed accendermi, sempre di più, senza però darmi il vero piacere che tanto stavo desiderando.

E Lei questo, quando mi ha dato l’ordine, lo sapeva bene. Sapeva che sarebbe stato intenso, ma allo stesso tempo non sufficientemente intenso. Questo è il suo gioco e io sono la sua pedina, vuole portarmi al limite.

E adesso sono qui, bagnata e frustrata, con lo sguardo fisso su questo nuovo ostacolo che neanche pensavo avrei potuto temere. Mi attendono ben quattro rampe di scale.

In treno è bastato sollevare appena la gamba per farmi sfuggire quel gemito, ora invece la gamba dovrò sollevarla svariate volte, e pure distenderla. Penso non sia difficile immaginare cosa faranno le calze…

Mi decido e comincio a salire i primi gradini. Forse sono stata troppo drammatica, non è poi così male, pensavo molto peggio. Salgo la prima rampa senza nessun problema, ma è da metà della seconda che la situazione comincia a complicarsi. La stimolazione diventa davvero troppa. Ad ogni scalino i collant salgono sempre di più, e con loro anche il pennarello, che sta diventando un tutt’uno con la mia carne. Ho gli occhi sbarrati, puntati a terra, e penso solo a sollevare il piede per fare il passo successivo, sperando di non mancare il gradino.

Sono all’ultima rampa, vedo la cima.

Il pennarello non sta fermo un secondo. Ogni piccolo sfregamento genera una scossa, via via sempre più intensa…

sempre più intensa…

fino a quando, lo sento montare…

E alla fine eccolo.

Appoggio la schiena contro il muro e vengo.

Chiudo gli occhi e mi mordo le labbra per bloccare la moltitudine di gemiti che altrimenti sarebbero usciti dalla mia bocca. Mi lascio scuotere dai tremori di un orgasmo non molto intenso, ma folgorante, di quelli che ti prendono la testa e ti lasciano con più fame di quanta non ne avessi prima.

Dura qualche secondo, e poi riprendo il controllo.

Ho le gambe di gelatina, mi mancavano solo quattro gradini.

Sento dei passi, ma non ho la forza di ricompormi, rimango lì attaccata al muro a fissare dritto davanti a me, con il fiatone, la faccia rossa e probabilmente i capelli incasinati, come dopo ogni orgasmo che si rispetti.

Dalla tromba delle scale sbuca un ragazzo. Lo conosco, si chiama Manuel ed è nel mio stesso corso. Lo avevo adocchiato già da un po’, un gran bel ragazzo, niente da dire. Moro, occhi verdi, alto e con un bel fisico da sportivo. Sono abbastanza certa che anche lui abbia adocchiato me, visto che l’ho beccato svariate volte a guardarmi durante le lezioni. Però non abbiamo mai avuto modo di dirci più di un semplice “ciao”.

Non appena mi vede non nasconde un certo stupore, non lo biasimo. Faccio finta di non notarlo, sperando che tiri dritto senza fare domande, ma ahimè non va esattamente così.

– Tutto bene? – Lo guardo distrattamente e cerco una scusa plausibile.

– Sì, tutto apposto… mi è solo, ehm… venuto un crampo al polpaccio!

– Ah, quelli sono brutti. Vieni ti aiuto io. – Si avvicina, appoggia per terra lo zaino e si inginocchia davanti a me.

– Posso? – mi domanda indicando il mio piede. Annuisco e lo osservo mentre afferra la punta della mia scarpa e la spinge verso la gamba per farmi distendere il muscolo.

Io cerco di non scoppiare a ridere. Altro che ingegneria, quella volta dovevo andare a fare l’attrice! Non riesco a credere che si sia bevuto la mia balla.

– Va meglio?

– Sì, grazie mille. Sei stato gentilissimo.

– Figurati, nessun problema.

E’ ancora inginocchiato e d’un tratto lo vedo cominciare ad annusare l’aria.

Merda! Non può davvero aver sentito…

Ritraggo la gamba e, dopo averlo ringraziato di nuovo, schizzo via dirigendomi verso la toilette.

Appena sono chiusa in uno dei bagni tiro l’ennesimo sospiro della giornata.

Con un po’ di titubanza allungo una mano dentro ai collant e non sono stupita di quello che trovo. Un vero e proprio lago. Ritraggo la mano e la porto davanti al viso, le dita intrise dei miei umori.

Le annuso. Mi è sempre piaciuto il mio odore, delicato ma inebriante, ed in certi giorni un po’ troppo intenso, e per mia sfortuna oggi è proprio uno di quei giorni. Nella posizione in cui si trovava dubito che Manuel non l’abbia sentito, e certi tipi di odori sono davvero difficili da confondere.

Tiro fuori il telefono, ho ancora un quarto d’ora prima che cominci la lezione.

La aggiorno su quanto è successo dal mio ultimo messaggio. Le scale, Manuel e… l’orgasmo.

“Quindi sei venuta?”

“Sì… non sono riuscita a trattenerlo…”

“Molto bene. Toccati.”

Come? Così all’improvviso?

“Ora? Qui in bagno?”

“Mi sembra di essere stata chiara. Voglio che ti tocchi, adesso. E mi dirai i dettagli.”

Fortunatamente essendo mattina presto i bagni sono puliti e profumati, freschi di pulizie, così vado a sedermi sopra la tavoletta del gabinetto. Allargo le cosce e infilo di nuovo la mano dentro ai collant. Trovo il pennarello e finalmente faccio quello che avrei voluto fare durante tutto il viaggio fino a qui. Lo afferro e comincio a farlo scorrere, mentre con la mano sinistra tengo il cellulare e Le descrivo con minuzia ogni mia singola mossa.

Le dico come sto facendo strofinare con forza il pennarello contro il mio clitoride, facendolo impazzire, come lo inclino per farlo entrare dentro di me, come poi lo porto alle labbra per assaggiare i miei umori e come lo succhio e lo lecco per ripulirlo per bene. Le descrivo i miei sospiri, i mei gemiti.

Poi le dita raggiungono il mio sesso e finalmente posso penetrarmi. Le sento scorrere dentro di me e in un attimo sono di nuovo all’apice.

“Ci sono quasi…”

“Stai per venire?”

“Sì… Padrona…”

Solo digitare quella parola mi fa sentire un’intensa scossa di piacere, che parte dal cervello, scende lungo la spina dorsale, e arriva fino al ventre. Sono pronta per esplodere.

“Perfetto. Fermati.”

No, non può farlo davvero…

“Ti prego… sono al limite.”

“Stai protestando per caso?”

La mia mano rallenta fino a fermarsi del tutto. C’ero quasi, mancava davvero pochissimo, ma non posso disubbidirLe.

Non voglio disubbidirLe.

“No, scusa Padrona.”

“Meglio. Così impari a venire senza il mio permesso. Vedrai che sentire gli umori che ti colano fra le cosce per le prossime ore, ti farà imparare la lezione.”

Le punizioni fanno parte del gioco, ma questa ha colpito proprio nel segno. Il pennarello è tornato fra le mie cosce, ma questa volta, su sua richiesta, è posizionato dentro di me, e sto rivalutando la mia teoria su quale sia effettivamente la situazione peggiore.

Dopo essermi data una sistemata mi sto dirigendo verso l’aula.

Dire che ora sono infoiata sarebbe un eufemismo. Sono come una molla caricata al limite, basterebbe un nonnulla per farmi scattare, potrei saltare addosso al primo che mi lancia uno sguardo.

Entro in aula e mi infilo nell’ultimissima fila. Spero che nessuno dei miei amici mi abbia vista, l’ultima cosa che ho voglia di fare ora è parlare con qualcuno. Appoggio la testa contro il muro e aspetto che arrivi il professore.

Le prime due ore passano senza che io riesca a sentire una singola parola della lezione, la testa è da tutt’altra parte. Lei non ha mai smesso di inviarmi messaggi, di provocarmi, ben consapevole dell’effetto che mi fa. Così il sangue invece di affluire al cervello, continua a finire da tutt’altra parte, molto più in basso.

Sento la carne pulsare e sembra quasi implorarmi di darle sollievo. Cedo. Distrattamente faccio scendere una mano tra le cosce, cominciando ad accarezzarmi da sopra le calze. Per fortuna però sono distratta dal professore che annuncia la fine della lezione, altrimenti dubito sarei riuscita a fermarmi, e poi sicuramente la punizione sarebbe stata peggio di questa, molto peggio.

Durante la pausa non mi muovo dal mio posto, voglio solo che passino queste ultime due ore e andare a casa.

– Allora, come va il polpaccio?

Mi volto e vedo Manuel che mi sorride mentre si infila nella panca per venirsi a sedere affianco a me.

– E’ libero, posso sedermi?

Gli sorrido di rimando, cercando di ignorare il risveglio improvviso dell’amica che ho tra le gambe (non che prima fosse addormentata) e cercando di essere il più naturale possibile. Sposto la borsa per farlo sedere e cominciamo a chiacchierare del più e del meno. Si capisce subito che è molto sicuro di sé, ma al tempo stesso a modo e molto gentile, come lo è stato prima sulle scale.

Mi piace… molto, e la mia amica non smette per un secondo di ricordarmelo.

– Comunque… prima mentre salivo le scale, avrei giurato di aver sentito qualcuno ansimare. Tu ne sai qualcosa?

Mi sta guardando dritta negli occhi, con uno sguardo di sfida. Cerco di rimanere impassibile, anche se penso di essere sbiancata.

– Io non ho sentito nessuno ansimare…

– Può essere che mi sia sbagliato. Però è strano, non ho mai sentito di qualcuno che quando ha un crampo si morde le labbra, comincia a tremare e si accascia contro il muro. Devi essere una ragazza davvero speciale.

Merda… allora mi ha vista!

Sul suo viso si è disegnato un ghigno e anche se riesco ancora a sostenere il suo sguardo, sto lentamente andando in frantumi. Vorrei scomparire.

– Non ti preoccupare, il tuo segreto è al sicuro con me. Non racconterò a nessuno dei tuoi “crampi”. Ma sappi che… – si avvicina e mi sussurra all’orecchio – …hai un profumo davvero delizioso.

– Bene ragazzi, cominciamo…

La voce del professore risuona nell’aula, attirando l’attenzione di entrambi. Nessuno dei due si era accorto che il prof. fosse entrato in aula, ma io penso di non essere mai stata così felice di vederlo.

Non mi sbagliavo. Era impossibile non avesse colto l’eau de parfum che emanavo e che, molto probabilmente, emano tutt’ora.

Un altro secondo nelle sue grinfie e non avrei più risposto delle mie azioni.

Tiro fuori carta e penna e mi impongo di prendere appunti, ignorando categoricamente la persona seduta al mio fianco, che se la sta ancora ridendo sotto i baffi, continuando a fissarmi.

(Sì, non avevo sbagliato proprio per niente a leggere la sua personalità, è proprio un ragazzo a modo e gentile!).

La mia testa però si ribella, rifiutandosi di obbedire alle mie minacce e continuando a pensare a tutt’altro. Dopo neanche un minuto ho già perso il filo. Ormai è chiaro che la lezione di oggi per me è stata assolutamente inutile.

Non mi resta altro che prendere il cellulare.

Finiamo a parlare di Manuel, ovviamente.

“E’ seduto vicino a te?”

“Sì.”

“E in che posizione siete?”

“Ultima fila, vicino al muro.”

“Perfetto. Ricordi che ti ho detto più volte che devi imparare ad essere più troia?”

Non mi piace.

Perchè sta tirando fuori l’argomento proprio ora?

“Sì… me lo ricordo…”

“Questa è l’occasione perfetta.”

Deglutisco.

“Lo farai godere. Mani, bocca… scegli tu come. Ma lo devi far venire!”

Continua.

Capitolo 4 – Fuori Controllo

– Quindi ti piace il mio odore?

Lo vedo trasalire. Non lo biasimo, mi sono avvicinata senza alcun preavviso, posandogli una mano sulla coscia. Ho le labbra a un millimetro dal suo orecchio e il seno schiacciato contro il suo braccio.

Penso di essere stupita quanto lui.

Qualcosa è scattato in me, qualcosa che non scatta troppo spesso, e questo qualcosa mi ha già pervasa, togliendomi la capacità di ragionare razionalmente.

Ho il suo sguardo fisso su di me, e sono così compiaciuta di avergli tolto quel sorrisino beffardo dalla faccia. Mi sembra quasi di sentire gli ingranaggi all’interno della sua testa lavorare, per cercare di capire la situazione. Ma non c’è un bel niente da capire. Lei mi ha dato un ordine ed io lo sto eseguendo, anche se, più che un ordine, la mia testa lo ha elaborato come un via libera, un lascia passare. Avevo solo bisogno di una piccola spintarella per finire dentro al dirupo a cui sto girando intorno da stamattina. E avevo così tanta voglia di finire dentro a questo dirupo…

Prima che i suoi ingranaggi finiscano di girare gli afferro una mano e la porto fra le mie cosce. Il fiume che scorre tra le mie gambe ormai è straripato da un bel pezzo, le calze sono fradice, e così sta diventando anche la sua mano mentre la faccio strofinare contro di esse. In tutto questo non mi sono mai allontanata dal suo orecchio, contro cui ho cominciato a respirare affannosamente.

Accompagno la sua mano, che non oppone alcun tipo di resistenza, davanti al suo viso e la vedo scintillante dei miei umori.

– Ecco a te. Ora puoi gustartelo come si deve…

Quel briciolo di razionalità che mi è rimasto si guarda intorno per assicurarsi che nessuno possa vederci. Ultima fila, vicino al muro, nel bel mezzo della lezione, nessuno di fianco, aula semivuota a causa dell’esame che avremo fra qualche giorno… Perfetto.

Ciao ciao razionalità.

– … e, se non ti dispiace, io mi gusto te.

Gli assesto un leggero morso all’orecchio e poi scivolo sotto il banco, mentre lui rimane imbambolato a fissarmi. Non sei più così spavaldo ora, eh?

Gli sbottono i jeans e in un attimo ho il suo membro semi eretto davanti agli occhi. Vorrei avventarmici contro e succhiarglielo con tutto il desiderio che ho in corpo, ma non lo farò. Manterrò la calma. Voglio divertirmi con lui.

Mi avvicino e comincio a sfiorarlo appena con le labbra, sul pube e alla base, lo riempio di baci, solo accennati. In un attimo lo vedo ergersi in tutto il suo splendore. Tiro fuori la lingua e comincio a percorrere l’asta, con un’unica lappata, lambendola appena, in una risalita lentissima, estenuante. Arrivo alla cima, stuzzico con la punta della lingua il forellino vibrante, e poi mi allontano.

Rimango ad osservare divertita quel cazzo pulsante, bello, possente. Ma non resisto a lungo.

Torno su di lui e faccio sparire la punta fra le labbra, comincio a scendere sentendolo scorrere sulla lingua e mi fermo solo quando sento i suoi peli pubici solleticarmi il naso. Chiudo gli occhi e rimango così per qualche istante, gustandomi questa presenza che si è fatta largo dentro di me.

Alla fine mi ritraggo. Sollevo il capo e faccio scorrere le labbra lungo l’asta, e succhio, succhio forte, con tutta la voglia che mi ha pervasa e che ora cerca uno sfogo per poter uscire. Lui freme, le gambe rigide come pezzi di legno, i muscoli in tensione, ad attendere che io termini questa salita che è ancora più lenta di quella di prima. E finalmente sono di nuovo in cima.

Alzo lo sguardo e incrocio il suo. Un misto tra la confusione più totale e la venerazione. Non posso che esserne lusingata.

Con un sorrisino beffardo lo ingoio di nuovo, questa volta senza staccare i miei occhi dai suoi. Ci faccio scorrere la lingua, gioco con la cappella, gli accarezzo le palle.

Sono completamente andata. La lentezza e la delicatezza di prima hanno lasciato il poso alla voglia, al desiderio, alla fame. Sto andando ad un ritmo insostenibile, sia per me che per lui. Ad ogni secondo che passa lo sento pulsare sempre di più, non penso durerà ancora per molto.

Qualche altro risucchio, un ultimo affondo e, mentre ho il viso schiacciato contro il suo addome, lo sento esplodere, rilasciando degli schizzi generosi contro il mio palato. Lo lascio finire senza farmi scappare neanche una goccia, e quando lo sento rilassarsi lo rilascio, dandogli un ultimo risucchio.

Tengo in bocca il suo seme per un po’, me lo gusto.

Poi mi siedo sui talloni.

Cerco di nuovo il suo sguardo e ingoio tutto quello che mi ha donato, socchiudendo gli occhi solo per un istante.

Sono fuori di me.

Non ho mai desiderato così tanto di essere presa.

Per sfogarmi mi andrebbe bene qualsiasi cosa, anche una sua gamba. Oh sì… Vorrei afferrarla, mettermici a cavalcioni, e cominciare a sfregarmici contro come una cagna arrap… Gio!!! Ti prego, ritrova un po’ di dignità!!

Bentornata razionalità!

Per fortuna hai deciso di tornare da questa vacanza giusto un istante prima dell’irreparabile.

Evviva il tempismo.

Faccio un respiro profondo ed esco da sotto il banco. Lancio uno sguardo in giro, nessuno sembra essersi accorto di niente, è andata bene anche stavolta. Devo andare via il prima possibile, se rimango ancora un secondo qui al suo fianco, va a finire che me lo scopo sul banco davanti a tutti.

Dignità!!

Sì lo so! Non c’è bisogno che me lo ricordi, cara razionalità…

Comincio a raccattare le mie cose, ma Manuel si riprende all’improvviso dallo stato di catalessi in cui era caduto e mi afferra per un braccio.

– Non ti lascio scappare così.

– Fidati, è meglio che io vada.

Lo fisso negli occhi, facendogli capire che non sto scherzando, e lo sento allentare la presa. Mi divincolo senza problemi, probabilmente si è reso conto anche lui che quello non è di certo né il luogo né il momento per “proseguire la nostra conoscenza”.

(Non che fosse il luogo o il momento per fare quello che io ho fatto a lui… ma non si può mica guardare tutto, ormai quel che è fatto è fatto!).

Prendo la borsa e il cappotto e passo da dietro, scavalcando lo schienale della panca. Lui mi osserva con uno sguardo carico di desiderio, e avere quegli occhi puntati su di me mi fa perdere per l’ennesima volta quella poca razionalità che mi era appena tornata.

Mentre scavalco faccio passare al di là dello schienale una gamba alla volta, e così facendo mi ritrovo per un attimo con le gambe divaricate, a qualche centimetro dal suo viso.

Quello che lui si ritrova davanti agli occhi, penso sia uno spettacolo.

Il mio sesso, completamente esposto, arrossato, pulsante e colante, coperto solo da dei collant che sono diventati trasparenti ormai da quanto sono zuppi. Le labbra leggermente schiuse per la presenza del pennarello.

Vedo i suoi occhi spalancarsi, come se avessero visto una divinità scesa in terra. Ma un attimo prima che possa prendere consapevolezza di quello che ha di fronte, io sollevo l’altra gamba e finisco di scavalcare, saltando giù dalla panca e scappando dall’aula il più in fretta possibile.

Continua.

Capitolo 5 – Ricompensa

Ho la schiena appoggiata contro la porta del bagno. Vedo il mio petto alzarsi e abbassarsi al ritmo del mio respiro. Ho il fiatone. Nella testa un turbine di pensieri.

La vocina che è la mia razionalità non ha smesso per un secondo di urlarmi contro da quando sono uscita dall’aula, e come darle torto. Se mentre ero in quella posizione qualcuno della panca vicina si fosse girato, avrebbe potuto godere anche lui di un gran bello spettacolo. Per un secondo ho pensato che Manuel si sarebbe tuffato con il viso fra le mie cosce, ma fortunatamente almeno uno di noi due è riuscito a mantenere il controllo, perché, se lo avesse fatto, io di certo non avrei mantenuto il mio.

Il telefono vibra. Oggi non posso neanche sperare in un attimo di pace!

“Allora? Il damerino ha schizzato?”

“Sì, e non poco.”

“Coraggio cara, ti ascolto.”

Rimango stupita dalla precisione con cui ricordo i dettagli. In quel momento l’unica cosa a guidarmi era l’istinto, ma il mio cervello ha registrato ogni singolo particolare. Mentre glieli racconto sento un fuoco montare dentro di me, fino a che non riesco più a trattenermi. Digito l’ultima frase con le dita tremanti.

“…ho raggiunto il limite. Ti prego, lasciami venire.”

Aspetto la risposta fissando lo schermo. Se dovessi ricevere un altro ‘no’, non so se riuscirei ancora ad attenermi alle regole del nostro gioco. Non saprei dove trovare la forza di volontà.

“Quindi credi di aver raggiunto il limite? Ti sottovaluti. Credimi, se fossi qui con me ti porterei ben oltre quelli che credi essere i tuoi limiti.”

Sento un brivido freddo. L’idea di essere con Lei, nelle Sue mani, in Suo potere, completamente indifesa, è un pensiero che non riesco a sostenere. Non ora, non nello stato in cui sono adesso.

Penso che se fosse qui al mio fianco in questo momento, riuscirebbe a farmi venire solo sussurrandomi all’orecchio, solo con il suono della Sua voce.

D’altronde è riuscita a farmi ridurre in questo stato semplicemente scrivendo su di una tastiera.

“Ma ora non sono lì con te, quindi mi fido. Se dici di essere al limite ti credo. Oggi sei stata brava, obbediente. Penso che una piccola ricompensa te la meriti…”

*Tock tock*

Qualcuno bussa alla porta. Lo ignoro, ansiosa di ricevere la mia ricompensa, ma questo qualcuno non demorde, continuando a picchiare con insistenza.

– Occupato! – urlo innervosita, ma la mia risposta non fa altro che rendere i colpi più forti, ed è evidente che non si fermeranno fino a che non aprirò la porta.

Giro la chiave, con la sola intenzione di coprire di insulti chi ha deciso di venire a rompere con questo tempismo, ma non appena la porta si apre, rimango di sasso.

E’ Manuel.

Inevitabilmente mi passa per la testa un pensiero: non è che… è stata Lei?

Lo caccio subito indietro, rendendomi conto dell’assurdità della cosa, ma la coincidenza e la tempestività del suo arrivo è davvero sconcertante.

Rimango a fissarlo, con lo stesso sguardo vitreo che aveva lui pochi minuti fa, mentre era diventato la mia preda.

Questo è davvero troppo…

Al diavolo!!

In un istante ci ritroviamo avvinghiati, in un intreccio di mani, gambe, lingue.

Mi sbatte contro il muro e mi solleva le braccia sopra la testa, continuando a baciarmi con foga. Io non trattengo minimamente i gemiti, fregandomene altamente di chi potrebbe sentirci al di là di quella porta, continuando a divorarlo e ad essere divorata.

Una volta sazio della mia bocca si inginocchia, solleva la gonna e con un colpo deciso mi strappa i collant. Rilascio un verso, una sorta di rantolo, e finalmente sento le sue labbra sul mio sesso, che mi fanno inarcare la schiena.

E’ un contatto breve però, perchè dopo una sola lappata lo sento allontanarsi.

Abbasso gli occhi e lo vedo scrutare la mia vagina con uno sguardo strano. Poi allunga la mano, afferra qualcosa e molto lentamente, troppo lentamente, la ritrae.

Con una calma snervante vengo privata della presenza di quell’intruso che ormai aveva messo radici dentro di me. Rilascio un sospiro lunghissimo e poi sento una risata.

– E questo?

Mi sta guardando con il pennarello in mano e un sorriso a trentadue denti, che fa scoppiare a ridere anche me.

– Ti prego, non chiedere!

Mi scruta cercando di carpire qualcosa, ma io rimango impassibile. Non ho nessuna voglia di perdermi in chiacchiere proprio ora, ho ben altro in mente!

– Va bene…

Si porta il pennarello alla bocca e lo fa sparire fra le sue labbra. Lo succhia e poi estrae la lingua per ripulirlo da ogni goccia dei miei succhi. Rimango senza fiato e lo osservo chiudere gli occhi mentre si gusta il mio sapore.

– A quanto pare non è solo il tuo odore ad essere delizioso…

Lascia cadere il pennarello e si rituffa sul mio sesso grondante, cominciando un lavoro di lingua impeccabile, che in pochi secondi mi porta in estasi.

Mi lascio andare, abbandonandomi all’orgasmo che più volte oggi mi è stato negato, che mi ha fatto impazzire, perdere il controllo, fino ad arrivare ad implorare per averlo.

Ma ne è valsa la pena.

E’ intenso, avvolgente, stremante come pochi. Mi fa gettare la testa all’indietro, spalancare la bocca, forse per emettere un urlo o un gemito, che però non riesco a sentire, e mi lascia con il fiatone e le gambe molli.

Continuo a respirare affannosamente, tenendo la bocca spalancata, come se avessi paura di non riuscire a trovare aria sufficiente. Sono stremata. Ma non è abbastanza per saziarmi. Voglio di più.

Mi ci vuole un po’ per riprendermi, ma non appena torno in me, lo afferro per il collo della maglietta e lo tiro su. Lo bacio con foga, mentre con le mani armeggio con i suoi jeans. Lo voglio, ne sento il bisogno.

Lo lascio allontanarsi da me solo per infilarsi il preservativo e poi non lo mollo più. Mi solleva una gamba e, finalmente, lo sento penetrarmi. Entra lentamente, con una delicatezza che non credevo gli appartenesse, e si ferma solo quando mi ha riempita fino all’ultimo centimetro.

Questa sensazione di pienezza è inebriante. Quel maledetto pennarello, stando dentro di me, me l’ha solo accennata, facendomela desiderare spasmodicamente, ma ora è mia. Alla fine l’ho ottenuta. E l’averla desiderata così tanto, la rende ancora più bella, intensa, elettrizzante.

Comincia a muoversi, e ad ogni secondo il ritmo aumenta sempre di più. Le mie mani sono sulla sua nuca, ma non so per quanto reggerò in questo equilibrio precario su di una gamba sola.

Fortunatamente Manuel si accorge della mia instabilità, così afferra l’altra gamba e mi solleva da terra, spingendomi con la schiena contro al muro per fare perno. Lo circondo con le gambe, mi aggrappo alle sue spalle per reggermi e mi abbandono a lui.

Non penso a nulla, mi godo solo le sensazioni.

Non so da quanto siamo dentro a questo bagno. Non so quante volte sono venuta, ipersensibile come sono. Ho le unghie infilzate contro la sua schiena, fortunatamente ha la maglietta, altrimenti penso gli avrei lasciato dei solchi rossi non poco profondi.

Lo sento accelerare il ritmo e alla fine viene anche lui, con i miei denti conficcati nella sua spalla, rilasciando un lamento che non mi è chiaro se sia dovuto all’orgasmo o al mio morso.

Rimane dentro di me ancora un po’, per poi posarmi a terra.

Siamo entrambi schiena a muro, uno di fronte all’altra, ho gli occhi chiusi ma sento distintamente il suo sguardo su di me. Finalmente la mia fame è stata appagata.

– Non vuoi proprio dirmi da dove arriva quel pennarello?

– No. – Gli sorrido, e mi chino per raccoglierlo da terra e metterlo dentro alla borsa.

Non appena sono di nuovo in piedi, mi afferra per una spalla e mi spinge nuovamente contro il muro, appoggiando la sua fronte contro la mia e sussurrandomi – Devo estorcerti l’informazione con altri mezzi?

Lo spingo via – Non oggi. Ora devo andare davvero, o rischio di perdere il treno.

– Non oggi, quindi…

– Non farti strane idee tu!

Faccio per uscire dal bagno, ma mi cade l’occhio sulle mie gambe. Le calze sono tutte smagliate e c’è uno strappo sul mio interno coscia, in bella vista. Non posso camminare per strada in queste condizioni. Con dei movimenti rapidi sfilo le calze, rimanendo a gambe nude, e le lancio addosso a Manuel che è rimasto imbambolato a guardarmi cercando di capire cosa stessi facendo.

– Per te. Tanto io non me ne faccio niente, visto come le hai ridotte. Scommetto saprai farne buon uso…

Sul suo viso compare un sorrisino e, guardandomi negli occhi, si porta i collant al naso, aspirando profondamente. Dopo aver provato quest’ultimo brivido, rompo il contatto visivo e mi volto, girando la chiave ed uscendo dal bagno.

Capitolo 6 – Resta lì

Diluvia.

Giustamente non potevo pensare di tornarmene a casa tranquilla e senza imprevisti. No, sarebbe stato troppo facile! Dovevano mettersi a cadere secchiate d’acqua dal cielo, per coronare questa giornata così… bo, sinceramente non riesco neanche a trovare un aggettivo per descriverla.

E ovviamente sono senza ombrello. Certo, scontato, non serviva neanche dirlo. Guardo l’orologio. Tra dieci minuti ho il treno, se perdo questo poi dovrò aspettare due ore per il prossimo. Ho voglia di mettermi ad urlare.

Devo correre. Non ci sono alternative. Sotto un nubifragio, che promette grandine, con una gonna sopra il ginocchio, senza calze, senza ombrello. Oh e, dimenticavo, senza mutandine.

Non ho tempo di pensare ad una soluzione migliore, ammesso che esista, devo muovermi.

Infilo il cappotto, poco più corto della gonna, sperando che possa, per quanto possibile, ostacolarne la risalita durante la corsa, anche se in realtà non ci credo nemmeno io. Borsa a tracolla, capelli raccolti, spalanco la porta principale e comincio a correre il più in fretta possibile.

Dopo neanche cinquanta metri, sono bagnata fradicia. L’acqua mi scorre lungo le gambe nude, la maglietta mi si appiccica dappertutto e i capelli si potrebbero strizzare. Mi viene in mente l’indecisione di stamattina nella scelta tra stivaletti e Converse. Ora sono molto felice di aver scelto le seconde, almeno posso correre in maniera dignitosa, per quanto possa essere dignitosa questa corsa disperata. In genere impiego un quarto d’ora per percorrere tutto il tragitto, ma, se tengo questo ritmo, dovrei farcela.

La pioggia non sembra avere la minima intenzione di calare d’intensità, ma sono quasi a metà strada, e finalmente sono arrivata in zona portici e potrò almeno fare un pezzo di tragitto al riparo dal diluvio. Vedo il portico davanti a me e mi sto già gustando l’idea di essere per un po’ all’asciutto. Arrivo veloce, facendo un ultimo scatto, metto un piede sul pavimento di marmo… ma la mia suola, bagnata e completamente liscia, non ne vuole sapere di fare presa. E così, dopo una pattinata degna di Carolina Kostner, finisco a gambe all’aria e culo a terra. Sento una fitta di dolore partirmi dall’osso sacro e rilascio un verso, contenente un misto di sofferenza e rabbia.

– Signorina si è fatta male? Tutto bene?

Una voce mi distrae dalle mie imprecazioni in aramaico antico, così apro gli occhi e vedo un uomo sulla sessantina e corporatura decisamente robusta, venire a passo svelto verso di me, in apprensione.

– Tutto apposto? Si è fatta male?

E’ a pochi passi da me e fa per chinarsi, ma all’improvviso sbarra gli occhi e si blocca. Che gli prende? Seguo il suo sguardo. E capisco.

Sono ancora in posizione post-caduta. La schiena reclinata all’indietro, appoggiata ai gomiti, i piedi a terra, le gambe appena piegate, e… aperte. Non tantissimo, ma quanto basta.

Mi si gela il sangue. Beccata…

Cerco di mantenere il controllo, facendo finta di niente. Avvicino le ginocchia e mi metto a sedere, emettendo un lamento per provare a distogliere la sua attenzione dalle mie cosce, ancora in bella mostra. Fortunatamente funziona, lo vedo riscuotersi e tornare a concentrarsi su di me, anche se in modo molto goffo e impacciato.

– Ha.. ha male da qualche parte? – balbetta l’uomo, con uno sguardo da cui traspare chiaramente la sua… Sorpresa? Imbarazzo? Eccitazione? Forse un misto delle tre.

– Tutto ok. Ho preso solo una gran botta.

Bene, per fortuna… ehm… riesce ad alzarsi? Le serve aiuto?

– Forse è meglio, grazie.

Aspetto che mi allunghi una mano per aiutarmi, ma è di nuovo in tilt. Ora il suo sguardo è fisso sul mio seno. La maglietta completamente bagnata fa quasi da seconda pelle. E’ perfettamente adesa alle mie curve, e si vedono fin troppo chiaramente i capezzoli fare capolino da sotto il tessuto sottile. Evidentemente la combo di freddo, bagnato e ‘situazione imbarazzante’ è stata troppo anche per loro, e hanno cominciato a ribellarsi al leggero reggiseno in pizzo, che li teneva costretti.

Ho capito che aspettare l’aiuto del signore è inutile, non lo biasimo poveretto, così mi arrangio, rimettendomi in piedi da sola. L’uomo all’ultimo si scusa, rendendosi conto di non essere stato di minimo aiuto e, forse per rimorso, per pietà o per qualche malsana idea che ha cominciato a prendere forma nella sua testa, mi invita ad entrare nel bar affianco, per offrirmi qualcosa di caldo e per potermi “dare una sistemata”, dice lui. Certo. Lo ringrazio per essersi preoccupato per me, ma rifiuto cordialmente l’invito, e lui, dopo aver ricambiato il mio saluto, si fa quasi sfuggire un “grazie a te”.

Mi rimetto a correre cercando di non pensare a quanto è appena successo e ignorando il leggero dolore al fondo schiena, dovuto alla caduta, consapevole di avere lo sguardo dell’uomo ben piantato sul mio culo. Finalmente svolto a destra e mi libero di quella sgradevole sensazione. Sono al limite di sopportazione. Voglio solo andare a casa, farmi una doccia e collassare sul divano. Per oggi ho vissuto fin troppe emozioni, sento che sto per crollare.

Dopo qualche altro metro riesco a vedere la stazione all’orizzonte. Butto uno sguardo all’orologio.

Cazzo! E’ tardissimo. Ho solo tre minuti, ho perso un sacco di tempo!

Raggiungo la stazione. Due minuti.

Scendo le scale. Un minuto.

Arrivo al mio binario. Zero.

Guardo il treno scorrermi davanti agli occhi, ancora lento, essendo appena partito, ma inesorabile. Non ce l’ho fatta, l’ho perso. Lascio cadere la borsa a terra in un tonfo e mi volto, tirando un calcio rabbioso al muro. Due ore adesso. Due ore! Fradicia, sola e mezza nuda. Che diavolo faccio?

Seduta su una delle seggioline destinate ai passeggeri in attesa dei treni, mi perdo a guardare le gocce che cadono a terra dai miei vestiti, dai miei capelli, dalle mie gambe, per andare a formare una piccola pozza ai miei piedi. Prendo in mano il cellulare per controllare che funzioni ancora, sperando che nella corsa non si sia bagnato troppo. Fortunatamente il display si illumina e trovo una serie di Suoi messaggi che non leggo, non sono in vena ora. Ho bisogno di un po’ di conforto. D’istinto compongo il Suo numero e premo il tasto verde.

Non so perché, non lo so davvero. Fra tutte le persone che potrei chiamare decido di chiamare proprio Lei. Mentre ascolto i segnali di chiamata guardo il vuoto. Non so cosa Le dirò, non so neanche perchè La sto chiamando, sento solo il bisogno di sentire la Sua voce.

– Pronto? – anche se il tono è distaccato come al solito, lascia comunque trapelare una punta di sorpresa.

– Ciao… – rispondo sconsolata.

– Come mai questo tono? Che succede?

– Ho perso il treno…

E’ ti abbatti così solo per questo? Su dai, prenderai il prossimo.

Non so che diavolo mi prende, ma probabilmente le emozioni di oggi sono state troppe e troppo intense, e la rabbia mista a frustrazione per aver perso il treno, dopo tutti quei casini per cercare di prenderlo, è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sento gli occhi bruciare. Le rispondo con voce leggermente rotta.

– Sì lo so… ma il prossimo è fra due ore, e sono qui da sola… bagnata fradicia, perché si è messo a diluviare, ed ero senza ombrello… sono anche scivolata e un signo…

– Sei in stazione a ****? – mi interrompe.

– … sì, perchè?

– Ok, resta lì.

E riaggancia.

Rimango con la bocca semiaperta a fissare lo schermo del cellulare, su cui compare la scritta ‘chiamata terminata’.

Che? Cos’è appena successo esattamente? Cosa diavolo significa ‘resta lì’?

Resta lì’. Non vorrà mica dire che… Ma no! Non è possibile. O forse sì?

Mi arrovello sul significato di quell’assurda risposta, cominciando a fare una serie di ipotesi, e continuando a smentirle una dietro l’altra. Forse semplicemente non voleva essere disturbata. Era impegnata e ha preferito tagliare corto. Sì è così. Probabilmente è così…

Nei successivi quindici minuti non mi muovo di un millimetro, con il telefono in mano, e una tensione incredibile addosso.

Poi sento il cellulare squillare, il Suo nome compare sul display. Rispondo dopo il primo squillo.

– … pronto?

– Ok, volevo solo essere sicura che fossi davvero tu…

Ma qualcosa non quadra. La Sua voce non viene dal telefono, ma dalla mia sinistra. Mi volto e La vedo, per la prima volta.

Capelli corvini, occhi scuri, bocca carnosa tinta di rosso. Alta e avvenente, delle curve mozzafiato, messe in risalto da un completo giacca e pantalone, è chiaramente di ritorno da una giornata di lavoro. Mi osserva, senza proferire parola, con un sorrisino compiaciuto stampato in viso, ben consapevole di quanto stia succedendo nella mia testa, o meglio, di ciò che non sta succedendo nella mia testa. Sono in panne. Rimango a fissarLa, guardandoLa dal basso verso l’alto, completamente spaesata. Non so cosa pensare, né tanto meno cosa fare o cosa dire. Sento solo lo stomaco attorcigliarsi.

Dopo interminabili secondi riempiti solo dai nostri scambi di sguardi, mi decido a parlare.

– Ma… cosa… perché?

– Perchè sono qui per lavoro da ieri e ho finito prima del previsto. Ti ho sentita in difficoltà… e quando posso una mano la do. Soprattutto a chi tengo.

Abbasso lo sguardo e sorrido. Non ero preparata a questo.

Se prima il mio stomaco si stava solo attorcigliando, ora ha fatto una vera e propria capriola.

Grazie… – Le dico in un sussurro, e con il sorriso ancora stampato in faccia.

– Il piano era di andare a bere qualcosa assieme, almeno per tirarti un po’ su, e poi darti uno strappo a casa. Ma tu sei in condizioni pietose. Non puoi entrare in un bar conciata così!

Non ha tutti i torti. I vestiti si possono strizzare, le scarpe rilasciano acqua ad ogni passo ed è meglio non parlare dei miei capelli. Ho dato prime impressioni di gran lunga migliori. Con Lei a fianco poi, impeccabile in ogni dettaglio, mi sento ancora più fuori posto.

– Facciamo così allora. Passiamo per il mio hotel, così ti fai una doccia veloce. Poi ti posso prestare qualcosa di mio da mettere.

Sbianco. Hotel? Doccia? Lei? Cosa cosa?

La sento sghignazzare.

– Suvvia cara, di che hai paura? Non ti mangio mica.

Le lancio un’occhiata, dalla quale è chiaro che non le credo neanche per un secondo.

– … magari non subito. – conclude la frase Lei, con l’ennesimo ghigno in volto.

Scoppio a ridere, rilasciando tutta la tensione. Finalmente la frustrazione di prima se ne è andata, e devo ammettere che ora sono quasi felice di aver perso quel dannato treno. Non avrei mai creduto potesse fare un gesto del genere per me. Ragiono sulla sua proposta. Non me lo perdonerei mai se mi facessi sfuggire un’occasione del genere, chissà poi quando, e se, si ripresenterebbe.

D’altronde è Lei. Non ho nulla da temere. Credo…

D’accordo… ci sto. Scatto in piedi e comincio a raccogliere le mie cose.

Sul Suo volto compare un sorriso soddisfatto.

Ottimo. Andiamo. – fa per voltarsi, ma si blocca. – Quasi dimenticavo. Piacere di conoscerti, Daniela. – mi sta sorridendo sarcastica, allungando una mano.

Nell’assurdità della situazione non ci siamo ancora salutate. Le sorrido di rimando, allungando la mano anche io, afferrando la Sua.

– Piacere, Gior… – non faccio neanche a tempo a finire di parlare che la Sua stretta si è fatta più decisa e con uno strattone mi ha attirata a sé, ma ad una distanza sufficiente da non rischiare di bagnarsi i vestiti. La Sua bocca è vicinissima al mio orecchio e mi sussurra:

Sappi che non ho dimenticato la tua ricompensa, anche se penso tu sia riuscita a consolarti in altro modo. Vedremo più tardi come e se fartela avere… sempre che tu la voglia ancora, ben inteso.

Rimane a fissarmi negli occhi per alcuni secondi, e io non posso fare altro che ricambiare il suo sguardo, pietrificata, sentendomi completamente sopraffatta.

– Meglio andare, o la tua amica lì sotto rischia di prendere fin troppo freddo.

Si stacca da me e si volta, dirigendosi verso l’uscita e lasciandomi senza fiato.

Ad essere sincera, non mi preoccuperei più di tanto per la mia amica. In questo momento ha caldo. Molto molto caldo. Di questo ne sono certa, visto che sento distintamente che si sta squagliando. E da quel che sono le premesse, la sua condizione sembra essere destinata solo a peggiorare.

Fine.

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