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Racconti di Dominazione

Appesa

By 28 Novembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Clarice era rimasta sorpresa quando suo marito era salito nel pickup.
In garage avevano altre tre macchine e quello era il mezzo meno adatto per la serata di gala a cui dovevano partecipare.
Che cazzo! Aveva pensato, ci ho impiegato due ore per prepararmi, e adesso magari mi sporco il vestito rosso in quel sudicio furgone.
In realtà non era un sudicio furgone, era un mezzo nuovo, costato un mucchio di soldi, ma a lei non piaceva, era troppo alto e troppo ingombrante per i suoi gusti, l’aveva guidato una sola volta ed aveva giurato a se stessa che non l’avrebbe fatto mai più.
Il marito di Clarice aveva dieci anni più di lei, era un uomo grosso, dal carattere parecchio incazzoso, con cui non era facile discutere, e poi quella sera era arrabbiato con lei.
Insomma non era proprio il caso di mettersi a fare questioni, meglio aspettare che sbollisse la sua rabbia, tanto sapeva che, nel giro di qualche giorno gli sarebbe passata e l’avrebbe perdonata, tanto più che, in cuor suo, Clarice sapeva che lui non aveva tutti i torti ad essere incazzato.
‘Ehi, ma non stiamo andando alla festa’, disse lei quando si accorse che avevano preso un’altra direzione.
‘Evidentemente no’, rispose lui senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Si fermò in periferia, davanti ed un edificio grigio e scrostato. I fari illuminavano un grande portone di metallo.
Il marito scese e cominciò ad aprirlo. Era fatto di diversi elementi incernierati tra loro che si aprivano a soffietto, ma il binario a terra, arrugginito e pieno di detriti, scorreva con difficoltà, così faticò parecchio ad aprirne un pezzo sufficiente a far entrare il pickup.
Clarice si guardò intorno incuriosita, erano in un magazzino abbandonato e dai grossi finestroni in alto, con i vetri in gran parte sfondati, filtrava appena un po’ di luce, proveniente dai lampioni della strada.
‘Spogliati’, le disse lui brusco, e lei sorrise: va bene, ho capito, vuoi farlo qui, non sei poi così arrabbiato con me.
Si tolse il mantello nero e rabbrividì. Accidenti faceva proprio freddo.
‘Beh, dai, che aspetti?’
Clarice si sfilò l’elegante vestito rosso, che le lasciava scoperte le spalle, subito ricoperte dai suoi lunghi capelli neri.
Ma sì, una bella scopata nel pickup, ecco, questa stupida macchina è buona solo a questo, perché ha un sacco di spazio ‘
‘Ti devi togliere tutto.’
‘Ma certo’, rispose lei slacciando il reggiseno.
Rimase un attimo ad osservare le sue tette che, una volta liberate, non avevano fatto una piega. Le aveva rifatte due anni prima ed ora erano sode come quando aveva vent’anni, anzi erano anche meglio, perché, con l’occasione, le aveva fatte ingrandire un bel po’.
Si sfilò le calze e le mise arrotolate nella borsetta, in una tasca separata, perché non voleva che si rovinassero. Per ultimo si tolse lo slip.
‘Scendi.’
Rimase interdetta, allora suo marito aveva altri piani per quella sera.
Aprì lo sportello e guardò giù. Il pavimento di cemento non veniva pulito da diversi anni, in terra c’era di tutto, dalle foglie secche, a delle robe nerastre che potevano essere escrementi di topo.
Clarice si infilò di nuovo le scarpe, pensando che non voleva assolutamente sporcarsi i piedi.
Ora era fuori del pickup, completamente nuda, con indosso solo un paio di scarpe eleganti e con il tacco alto e la scarsa loquacità del marito iniziava a preoccuparla.
Lui scese dall’altra parte si diresse dietro ed abbassò la sponda posteriore.
‘Vieni qui, sali dietro, nel cassone.’
Clarice ubbidì e, titubante, si avvicinò al marito.
Cominciava ad avere freddo e non l’attirava per niente l’idea di salire nella parte posteriore del pickup.
Il piano di carico era alto, riuscì a mettere il piede destro nell’appiglio che lui le indicò, ma poi non aveva abbastanza forza per issarsi su.
Il marito le mise le mani sulle chiappe e la spinse in alto, poi la raggiunse.
‘Brava, hai visto che non è difficile, ora dammi i polsi.’
In mano teneva una corda lunga ed abbastanza sottile. Clarice pensò ad uno dei suoi soliti giochini. Spesso facevano dei giochi erotici sadomaso, niente di speciale, ma a lei piacevano molto, li trovava particolarmente eccitanti.
Le passò la corda diverse volte intorno ai polsi e questa volta, contrariamente rispetto al solito, strinse parecchio.
Quando la fece rialzare in piedi, tenendole le braccia, legate insieme, alte sopra la testa, vide il gancio che pendeva sopra di loro.
Lui aveva fermato il pickup proprio sopra il carroponte che in passato era servito per spostare le merci da una parte all’altra del capannone.
La grossa struttura gialla di acciaio, mostrava, come tutto lì dentro, i segni dell’abbandono.
Il gancio, appeso ad una catena enorme era subito sopra di lei.
Il marito ci legò il capo libero della corda e scese agilmente dal cassone.
Clarice capì cosa aveva in serbo per lei quando il mezzo si mise in moto e cominciò a spostarsi.
Il piano del cassone scorreva lentamente sotto i suoi piedi, quando sarebbe finito ‘
Rimase appesa, a circa 30 centimetri da terra, con i piedi che ciondolavano nel vuoto.
Lo strattone che la corda impresse al suo corpo fu forte e doloroso.
‘Per favore, mettimi giù, mi fa male, mi slogherò le braccia.’
La corda, sotto il peso del corpo, era penetrata dolorosamente nella carne dei polsi e lei cominciava ad essere seriamente preoccupata.
Poi la vide.
La teneva arrotolata in una mano mentre, dopo aver lasciato il pickup a qualche metro di distanza, tornava verso di lei.
‘Oh, no, no, non puoi farmi questo!’, gridò Clarice.
Lui non disse nulla, fece schioccare un paio di volte la frusta in aria e poi la colpì.
Lei vide quel serpente di cuoio che le si arrotolava intorno alla vita e poi sentì subito il bruciore forte, insopportabile.
Nel punto in cui la frusta aveva colpito era comparso un segno rosso che si stava scurendo a vista d’occhio.
Lui alzò ancora la frusta e Clarice prese a scalciare disperatamente. Una scarpa volò via, poi la frusta la colpì sulle gambe e lei si fermò, anche perché ogni ulteriore movimento, le causava dolore ai polsi legati.
Continuò a colpirla, metodicamente, ora la sua pelle era solcata da innumerevoli strisce rosse, aveva freddo e caldo allo stesso tempo, perché dove arrivavano le frustate il bruciore si sostituiva al senso di gelo.
La colpì ovunque, non troppo forte da farla sanguinare, ma abbastanza da lasciarle dei segni visibili.
Quando si fermò, Clarice aveva il trucco completamente disfatto e singhiozzava disperatamente.
Lei si guardò, i solchi rossi le attraversavano i seni e la pancia, solcavano ovunque le sue gambe snelle, ma anche dietro, dal dolore che sentiva provenire da schiena e sedere, la situazione non doveva essere migliore.
Lui le sfilò anche l’altra scarpa e gettò la frusta nel cassone.
Ecco, è finita, si è sfogato, ora mi slega e mi riporta a casa.
Si sbagliava, il marito tornò verso lei tenendo in mano un oggetto bianco e cilindrico.
‘Per favore mettimi giù, non ce la faccio più.’
Bbbzzzz !
Accese il vibratore e glie lo avvicinò.
Clarice era impossibilitata a muoversi, vide l’oggetto che si accostava alla sua vagina e si rese conto di essere eccitata. Anche se questa volta, era difficile parlare di un giochino sadomaso, data l’entità della punizione subita, oltre al dolore, altre sensazioni stavano attraversando il suo corpo e la sua mente.
Il vibratore iniziò a toccarla e lei allargò le gambe.
Lo avevano usato diverse volte a letto, sia lei che suo marito sapevano esattamente i punti in cui toccarla.
Clarice cominciò a gemere, per un po’ tenne chiusi gli occhi, poi li riaprì, ora era bagnata fradicia, vedeva i suoi umori scendere lungo le sue cosce solcate dai segni delle frustate, mentre il vibratore la stimolava sempre più profondamente.
Poi arrivò l’orgasmo e lei gridò, mentre quell’aggeggio infernale le strappava gli ultimi istanti di piacere.
Rimase come assopita, ad assaporare la sensazione piacevole che lentamente scemava, lasciando il posto al dolore delle corde ai polsi e delle frustate.
Si ridestò sentendo il rumore del motore e vide il pickup che lentamente usciva dal capannone.
Ora era sola.
Il primo arrivò poco dopo, entrò da una porta laterale, alle sue spalle.
Clarice sentì il passo lento e strascicato che si avvicinava.
Mi avrà vista? Anche se è quasi buio, una donna nuda appesa al carroponte di una capannone vuoto non può essere non notata.
‘Oh, guarda guarda, che bella sorpresa.’
Le parole la fecero trasalire. Ora era vicinissimo, a pochi passi da lei.
‘E che ci fa qui, questa bella signora?’
Sentì due mani che le carezzavano le chiappe e capì cosa aveva architettato suo marito.
‘Per favore, signore, mi liberi, le darò una grossa ricompensa.’
‘Ma la ricompensa ce l’ho già, qui davanti a me.’
Le mani iniziarono a carezzarla in mezzo alle cosce. Poi l’uomo si fermò di colpo.
Un attimo dopo era di fronte a lei, così Clarice poté vederlo bene in faccia.
Era un barbone, vecchio e malandato. In una mano teneva un cartone di vino ed indossava un cappotto sudicio e consumato.
‘Bella signora, stai un po’ troppo in alto per me, aspetta che trovo qualcosa di adatto.’
Tornò con una sedia mezza sfondata e la sistemò di fronte a lei.
Posò il cartone di vino in terra, dopo averne bevuto una sorsata e salì in piedi sulla sedia.
Clarice sentì il fetore dello sporco e l’odore di vino che emana l’alito dell’uomo, mentre lui, dopo essersi aperto il cappotto si sbottonava i pantaloni. Non aveva cintura ed impiegò parecchio tempo a sciogliere il nodo al pezzo di spago che teneva a posto i pantaloni ancora più sudici del cappotto.
A giudicare dalle macchie, gli doveva essere capitato diverse volte di addormentarsi ubriaco, dimenticandosi di andare prima a pisciare.
Aperti i pantaloni, l’attesa era finita, perché il barbone, sotto, non indossava nulla, quindi si limitò a tirarlo fuori ed iniziò a massaggiarselo per farlo diventare duro.
Ci mise un bel po’ e durante tutto il tempo, Clarice sperò che fosse troppo vecchio e troppo ubriaco per riuscire.
Era lercio come ogni altra cosa in quell’uomo e lei benedisse il fatto di essere appesa in alto, perché non avrebbe potuto sopportare solo l’idea che lui glie lo mettesse in bocca.
Alla fine, dopo un lungo trafficare, il barbone si ritenne soddisfatto e la penetrò.
Entrò facilmente, anche se non era troppo duro, perché il lavoro preliminare che le aveva fatto il marito con il vibratore, l’aveva lasciata molto lubrificata.
Durò un’eternità, avvinghiato al suo corpo, faceva avanti e indietro nel suo sesso ed ogni tanto gli usciva fuori, allora bestemmiando lo rimetteva dentro e ricominciava.
Dopo un po’, per ispirarsi, decise di palpeggiarle i seni.
Ma tu guarda, pensò Clarice, ho speso un pacco di soldi dal migliore chirurgo plastico della città per far toccare le mie tette a questo vecchio sudicio.
Alla fine, per fortuna, ci riuscì. Lei sentì dentro un paio di schizzetti di sperma ed il vecchio scese dalla sedia.
‘Per favore, ora che ha avuto quello che voleva, mi liberi.’
‘Mi dispiace’, disse mentre raccoglieva il cartone di vino, ‘adesso me ne vado a dormire, e poi lassù non ci arrivo, e non ho neanche un coltello per tagliare la corda, vedrai che ci penseranno gli altri.’
Il vecchio si allontanò di una ventina di metri, si sdraiò su un cartone vicino al murò e si addormentò di colpo.
Lo sentiva russare forte, nel silenzio del capannone vuoto.
Capì la faccenda degli altri quando sentì di nuovo il rumore della porta alle sue spalle che si apriva, seguito subito dal rumore di passi in avvicinamento.
Gli altri erano due magrebini che si diressero verso di lei a passo svelto.
‘Guarda che bella troia. Chissà che ci fa appesa qui.’
‘Che dici, il vecchio se l’è già scopata?’
‘Da come dorme tranquillo, direi di sì.’
I nuovi arrivati presero un tavolo sudicio, trovato in fondo al capannone e lo misero sotto le gambe di Clarice.
Se non altro c’era un vantaggio ora: potendo poggiare i piedi, il dolore ai polsi era di molto diminuito.
I due erano giovani e molto meglio dotati del vecchio barbone e fecero parecchio più in fretta.
Uno le si piazzò davanti, le divaricò le gambe, mentre l’altro cercava di allargarle le chiappe. La facevano oscillare leggermente, avanti e indietro, facendo in modo che i loro cazzi non uscissero mai completamente dal suo corpo.
La imbottirono bene di sperma e poi si cambiarono posizione.
Dopo la seconda passata non erano ancora soddisfatti.
‘Che ne dici, se ci facciamo fare un pompino dalla troia?’
‘Sta troppo in alto.’
‘La sleghiamo.’
‘No, non sono cazzi nostri, ci penserà chi ce l’ha messa.’
‘Allora, aspetta ho un’idea.’
Prese la sedia che aveva usato il barbone e a sistemò sopra il tavolo, poi ci salì sopra.
‘Troia, sai quello che devi fare?’
Clarice fece cenno di sì con la testa ed aprì la bocca.
Quando ebbe soddisfatto entrambi, la lasciarono tranquilla.
Lei passò tuta la notte sveglia un po’ perché in quella posizione, appesa al gancio e con le gambe piegate, poggiate sul tavolo, non era possibile addormentarsi, ma soprattutto perché temeva che arrivasse qualcun altro.
I due magrebini se ne erano andati dicendo che non era prudente restare lì tutta la notte e lei temeva che magari passassero la notizia a qualche loro amico.
Così era rimasta sveglia, con la faccia, il ventre e le gambe incrostati di sperma essiccato, a sorbirsi il concerto del barbone, che aveva russato per tutta la notte.
Dormiva profondamente anche all’alba, quando suo marito venne a riprenderla.
Parcheggiò il pickup a fianco del tavolo, poi le spostò le gambe di lato facendole poggiare i piedi sul pianale del cassone.
Quando tagliò la corda con un coltello, lei gli franò addosso.
‘Prometti che non farai più la stronza?’
‘Sì, lo prometto, ma adesso portami a casa, non ce la faccio più.’
Le lanciò i vestiti che finirono in terra.
Clarice questa volta non fece caso al pavimento sudicio, li raccolse e si rivestì mestamente. Le scarpe non glie l’aveva date, così camminò scalza fino allo sportello e salì, pensando che a casa si sarebbe fatta una doccia e sarebbe filata subito a letto.

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