GENOVEFFA
Sì, sì la regina che tutti amano, la giovane fortunata…. So ben io come sono andate le cose, so ben io chi è.
Innanzitutto la madre, tutti la credono morta “il suo angelo in cielo”, ma in realtà è fuggita dietro un attore quando lei aveva ancora pochi anni… Non si può neppure biasimarla, il padre tanto amato, il mercante benestante tanto impegnato, non riusciva a tenerselo nelle mutande: non solo si era fatto tutte le serve di casa ma aveva caricato il capo di quella povera donna di un tale palco di corna con tutte le “dame” dell’alta società in ogni angolo del paese dove giungevano i suoi traffici…
Non era uno che si legava, appena raggiungeva il suo obiettivo si disinteressava della poveretta che gli aveva dischiuso la sua rosa segreta…
Mia madre aveva ben capito che genere d’uomo era quello lì e l’ha saputo attrarre in trappola: gliel’ha fatta annusare a lungo senza mai concederla strappandogli non solo la promessa (che non valeva nulla) ma il matrimonio vero e proprio. Certo non poteva pretendere da lui la fedeltà ma non era questo che ci interessava: quando nostro padre era morto nei paesi d’oltremare, ci aveva lasciato solo il blasone ed un mucchio di debiti. Il padre di quella là, invece, non aveva una goccia di sangue nobile ma, in compenso, aveva un mucchio di quattrini, abbastanza da sistemarci tutte e tre per la vita.
Il matrimonio si svolse in sordina e con la partecipazione dei soli sposi, non so neppure se lui avesse veramente divorziato dalla moglie precedente ma credo di sì perché mia madre le cose le fa per bene, e ci siamo subito trasferite a casa sua.
Lì l’ho vista per la prima volta, non mi ha fatto una grande impressione. All’epoca aveva 19 anni, un corpo ben fatto ma un viso del tutto inespressivo ed era, letteralmente, la reginetta della casa. Non aveva di fatto mai messo piede fuori da quelle mura: aveva studiato in casa con l’aiuto di precettrici compiacenti, aveva come amiche solo le serve che non facevano che adularla. Per il resto la casa era in mano a governanti nominate dal padre sempre lontano ma era lei che le sceglieva e le cacciava se non erano di suo gradimento.
Per lei, d’altronde, noi eravamo qualcosa di misterioso, all’inizio si era approcciata freddamente utilizzando le sue, invero scarse, conoscenze in merito di etichetta ma poi la curiosità aveva preso il sopravvento: era evidentemente attratta dalle nostre esperienze nel mondo di fuori ma non intendeva certo mollare il controllo della casa, del suo mondo a quelle straniere venute da fuori.
Povera cara, mi fa quasi tenerezza, non ci volle molto per mia madre a capire che la sua adorata vecchia governante si era riempita le tasche facendo la cresta su tutto e che lo stesso avevano fatto la metà delle ragazze in servizio (soprattutto quelle più vicine a lei).
La governante fu la più furba: appena mia madre la mise di fronte all’evidenza dei fatti si dileguò senza neppure salutare. Meno furba (o forse meno ladra e con minori risorse da spendere), Barbara, la sua cameriera personale. Ci implorò di tenerla a servizio e la accontentammo non prima però di averle ben ripassato le natiche con la bacchetta di bambù.
La principessina volle presenziare (in casa non erano mai state somministrate simili punizioni e si vedeva) e volle altresì imporre un numero massimo di frustate: 50! Tipico di quella stupida: non sapeva di cosa stava parlando ma voleva comunque metterci becco… Fu la mamma a batterla e lo fece con decisione: già dopo le prime 10 Barbara era in lacrime ed implorava pietà… Che spettacolo! Quella lì non sapeva cosa fare… Avrebbe voluto far cessare subito la punizione ma, in fondo, era lei quella maggiormente danneggiata dal comportamento di quella ladra, era arrabbiata con lei e poi non voleva far vedere di essersi sbagliata: era rossa in viso e si mordeva il labbro, quando Barbara, dopo una bacchettata particolarmente dura, urlava più forte, sembrava voler prendere la parola ma poi taceva tormentandosi le mani. Fatto sta che alla fine Barbara aveva il posteriore in uno stato pietoso: rosso, gonfio e profondamente segnato dalle bacchettate ricevute. Meno male per lei che la mamma le ultime gliele ha date sulle cosce altrimenti l’avrebbe fatta certamente sanguinare.
In ogni caso, la nostra reginetta da quel giorno non solo non volle più avere a che fare con Barbara che fu mandata a lavorare in una fattoria della tenuta lontano da casa ma non volle più nessuna cameriera personale.
Fu in quell’occasione che il suo stile ricercato cominciò ad andare a farsi benedire. Ma del resto come avrebbe potuto fare altrimenti? Non sapeva truccarsi, non sapeva pettinarsi… quanto ad arie se ne dava comunque ancora ma qualcosa era indubbiamente cambiato in lei.
Cominciò ad interessarsi delle cose di casa: andava in cucina ad osservare le cuoche, controllava le sguattere, teneva il conto di tutto quello che entrava ed usciva di casa. A poco a poco quella tirchia schifosa cominciò a tagliare gli acquisti e a ridurre ulteriormente il personale.
Naturalmente la casa non poteva essere mantenuta in ordine così e Maman fu chiara: se voleva giocare a fare la casalinga che lo facesse pure ma non a scapito nostro, se non voleva più servitù avrebbe dovuto impegnarsi personalmente per far sì che tutto fosse a posto.
E’ lì che la ragazzina ha cominciato a trottare e a darsi da fare: all’inizio dava una mano alla cuoca in cucina ma non era cosa sua, non sapeva bollire un uovo. Allora cominciò a dare una mano alle sguattere a lavare a terra e ad apparecchiare: ovviamente tutti i begli abiti di prima non se li poteva più mettere per fare quel lavoro lì, dovette farsi sistemare un vecchio abito da lavoro di Barbara. Così conciata, sudata e sporca per il lavoro non poteva più certo sedere al nostro stesso tavolo ma non se la sentiva neppure di mangiare con le altre serve, così per un po’ si è fatta servire il pasto in camera sua.
A quel tempo, però, benché fosse vestita in tutto e per tutto come una serva e si comportasse come tale, si dava ancora delle arie: era pur sempre la figlia del padrone, pretendeva di comandare le altre serve e di trattarci da pari almeno quando non c’erano visite in casa perché, in questo caso, Maman le aveva fatto ben capire che non sarebbe stato conveniente che si fosse fatta vedere in giro e che, se per caso incrociava degli ospiti, era opportuno che si comportasse per quello che appariva per evitare di dare scandalo.
E’ stato un periodo un po’ strano: devo ammettere che Anastasia ed io ci divertivamo un mondo a far incontrare “casualmente” le nostre amiche con la nostra sorellastra. MI ricordo in particolare una volta quando la nostra amica Sofia, del tutto ignara della sua identità, le ha chiesto di prenderle il soprabito: è subito scappata via senza dire una parola e di lì a poco è giunta un’altra serva con il cappotto di Sofia.
La nostra amica, con fare divertito, ci ha domandato che fine avesse fatto quella di prima e noi non ci siamo fatte sfuggire l’occasione: l’abbiamo richiamata e redarguita per la sua scarsa educazione e pigrizia davanti a Sofia e alla serva. Ad occhi bassi si è scusata con Sofia ma noi le abbiamo chiesto che si scusasse anche Anna, l’altra serva che aveva fatto il lavoro al posto suo: ha alzato gli occhi guardandoci per un attimo con un misto di incredulità e odio per abbassarli subito dopo, mormorare le sue scuse ad Anna e scappare via.
Mentre Anna aiutava Sofia a vestirsi quest’ultima ci faceva notare la stranezza del suo comportamento e noi convenivamo con lei circa la sua scarsa educazione e sul fatto che si sarebbero dovuti prendere provvedimenti per migliorarla.
Pensandoci a posteriori questo avvenimento ha segnato un punto di non ritorno nelle relazioni tra la servitù e la nostra cara sorellastra: mentre fino a quel momento le altre serve, pur nella singolarità della situazione, la rispettavano e obbedivano ai suoi ordini, da quel momento in poi cominciarono ad obbedirle sempre meno e con più malavoglia.
Ovviamente questo stato di cose comportava maggior lavoro e maggiore indignazione per lei.
Noi non ce ne siamo rese conto fino in fondo sino al 7 giugno. Quel giorno siamo state svegliate di soprassalto da urla belluine e rumore di stoviglie rotte: siamo saltate giù dal letto e siamo subito corse dalla sala dalla quale provenivano i rumori.
Era una cosa da non credersi la nostra cara sorellastra e Anna si stavano accapigliando in sala da pranzo: la mia cara sorellastra aveva afferrato Anna per i capelli e cercava di prenderla a calci mentre la serva tentava di liberarsi.
Non appena Maman è giunta sul posto ed ha intimato alle due di fermarsi quella scriteriata ha mollato la presa ed ha cominciato ad inveire contro Anna dicendo che si era rifiutata di pulire e sistemare la sala da pranzo nonostante glielo avesse espressamente ordinato.
Anna, non appena liberata dalla morsa della sua padroncina, si era subito gettata in ginocchio ai piedi di mia madre e, singhiozzando, chiedeva perdono ma diceva anche che si erano in precedenza accordate per lasciare a mia sorella il compito di sistemare la sala.
Maman le lasciò parlare sino a che non ci fu altro che silenzio e, dopo aver riflettuto un po’, si rivolse alla mia sorellastra: “Anche se hai deciso di abbassarti fino al punto di accapigliarti con una serva dovresti sapere, mia cara, che la parola di una persona per bene è sacra e, se avevi promesso ad Anna che avresti provveduto tu a pulire la sala, così avresti dovuto fare. Non sei mia figlia ma ho pur sempre l’autorità di una madre su di te: sino ad oggi ti ho consentito di fare come ti pareva ma non posso tollerare simili comportamenti sul lato morale. E’ giunto quindi il momento di darti la lezione che meriti da tanto tempo. Anna, per favore, vammi a prendere la bacchetta.”
La servetta corse subito a prendere la bacchetta di bambù mentre la mia povera sorellina, come in trance, balbettava parole incomprensibili; prima che potesse rendersi conto di quello che stava succedendo, Anna era già tornata, aveva consegnato la bacchetta a Maman e si era inginocchiata a capo chino accanto a lei in attesa degli eventi.
Era un fatto veramente inconcepibile anche per noi: non che Maman non ci avesse mai punite in passato ma si era trattato solo di qualche colpo di fuet dato in privato, la bacchetta era tutta un’altra cosa, era lo strumento dedicato alla punizione delle serve e poi data così davanti a tutta la servitù che nel frattempo era arrivata…
Tutto avvenne molto lentamente ma senza una vera resistenza da parte della nostra cara sorellina: Maman la prese per un braccio e la fece chinare su un tavolino, con un gesto risoluto le alzò la lurida gonna che indossava sulla schiena e le abbassò le culottes, poi chiese ad Anna di tenerla ferma, cosa che la servetta non si fece ripetere due volte e poi cominciò a batterla con forza.
Non furono molte, credo una ventina, ma sin dall’inizio segnarono con lunghi cordoni rossi la delicata pelle bianca. Nostra sorella non si comportò certo bene: già dal secondo colpo cominciò a urlare, piangere e a cercare di divincolarsi ma Anna non faceva fatica a tenerla al suo posto. Alla fine della punizione Maman se ne andò senza profferire parola ed anche gli spettatori piano piano la seguirono. Lei però rimase lì ancora chinata sul quel tavolino a lungo singhiozzando e massaggiandosi il posteriore e le cosce piagati ed esponendo così a tutti le sue grazie più segrete.
Da quel giorno le cose per lei peggiorarono notevolmente: perse ogni ascendente sulla servitù che, dopo quello che era successo, non le dava più retta in alcun modo ed anzi si dimostrava ogni giorno più restia a svolgere i compiti più ingrati e faticosi che dovevano quindi essere svolti dalla nostra cara sorella. Fu in quel periodo che finì, un po’ per stanchezza un po’ per risparmiarsi la fatica di rassettare anche la sua camera, a dormire in cucina vicino al camino al posto di Anna (quella svergognata che aveva osato alzare le mani su una che, in fin dei conti, era pur sempre la sua padrona, era stata ovviamente licenziata) e fu così che si guadagnò il famoso soprannome di Cenerentola. Questa naturalmente, fu solo la prima delle occasione in cui Cenerentola ovvero la nostra cara sovrana le prese di santa ragione da parte di nostra madre. La ragazza, evidentemente, non era abituata alla sollecitudine e alla lena che ci si aspetta da una serva e, per insegnargli quelle sante virtù, la bacchetta era stata fatta cantare con cadenza quasi giornaliera. Il suo posteriore doveva essere in uno stato tanto pietoso che era costretta a prendere i suoi pasti in piedi in cucina tra i lazzi della servitù che la invitavano a prendere posto con loro oppure la invitavano a servirli a tavola come con noi.
Sempre in quel periodo capitò anche la tragedia che tanto ha segnato la vita di Cenerentola e la nostra. Sì, adesso tutti si bevono la storia del padre morto in una terra lontana… In realtà giunse una lettera con cui il nostro caro patrigno ci informava di essersi accasato con una sgualdrina delle sue e di aver anche avuto un bel bastardo che, essendo maschio, lo riempiva di orgoglio e che richiedeva tutte le sue attenzioni e, naturalmente, le sue risorse finanziarie. Per tale motivo, di punto in bianco, ci riduceva a meno della metà la somma che ci dava ogni mese per le spese correnti e sarebbe venuto a trovarci “più raramente”. Insomma, di fatto non l’abbiamo più visto. L’impatto di tutto ciò sul nostro tenore di vita fu devastante: avevamo solo quel poco che ci consentiva di sostentarci decentemente e dovemmo rinunziare a tutta la servitù non essenziale ivi comprese le nostre cameriere personali.
Maman fu estremamente chiara con tutte noi e con Cenerentola: eravamo entrate in quella casa con la promessa di essere trattate secondo il nostro rango e, se il padre di Cenerentola veniva meno alla sua promessa, spettava a quest’ultima adempierla sostituendosi al personale venuto meno.
Messe così le cose la nostra non poteva certo tirarsi indietro e così nella grande casa rimanemmo solo noi tre, Cenerentola, la cuoca, lo stalliere ed il maggiordomo.
All’epoca la giornata della nostra beneamata sovrana cominciava alle cinque di mattina quando, dopo essersi lavata in cortile (non poteva certo, sporca com’era, usare il nostro stesso bagno) cominciava a pulire la zona giorno stando bene attenta a non fare troppo rumore (per questo motivo Maman le aveva anche imposto di stare sempre scalza), verso le 8 ci serviva la colazione a letto e poi era a nostra disposizione per aiutarci a vestirci sino alle 10; dalle 10 alle 13 puliva e riassettava la zona notte e poi ci serviva il pranzo; quando aveva finito poteva sfamarsi velocemente con gli avanzi e poi doveva aiutare la cuoca a riassettare per poi dedicarsi al bucato e alle altre faccende sino all’ora di cena quando ci serviva la cena per poi andarsene a dormire in cucina.
Il fatto che la servitù fosse così diminuita e che per le nostre esigenze personali dovessimo fare conto solo sulla nostra amata sorella, fece sì che, finalmente, anche a noi due fosse concesso da Maman il diritto di batterla quando non si dimostrava all’altezza.
Lo potete chiedere anche a lei, io non ho mai abusato di questa facoltà. Certo, se mi strappava i capelli mentre mi pettinava o si dimostrava goffa nell’aiutarmi a vestirmi, com’è giusto che sia, si prendeva le sue sacrosante bacchettate ma non l’ho mai punita senza motivo.
Con Anastasia, invece, era diverso. All’inizio pensavo che l’odiasse, e forse era proprio così: gliele dava senza motivo o per motivi assolutamente futili, a volte non appena si presentava nella sua stanza. A volte la lasciava tanto malconcia che fu necessario stabilire che Anastasia fosse l’ultima a servirsene altrimenti le riusciva difficile, a causa delle punizioni subite, continuare in modo adeguato col servizio.
Nostra sorella, peraltro, forse per paura, non si ribellava mai né si sottraeva mai alla disciplina che Anastasia le impartiva.
Forse fu proprio la sua arrendevolezza e la sua mansuetudine a conquistarla oppure erano due spiriti comunque destinati ad incontrarsi, fatto sta che, dopo un po’, fu evidente a tutte come tra Anastasia e Cenerentola si fosse formato un rapporto particolare.
Non è che Anastasia fosse meno dura con lei (continuava pur sempre a batterla frequentemente) ma si notava dagli sguardi che si scambiavano e dal modo in cui lei la toccava che tra le due fosse nato un sentimento particolare.
Nostra madre l’aveva notato ed aveva cercato di farle ragionare: aveva parlato con Anastasia spiegandole come un simile rapporto appariva doppiamente contronatura ma Anastasia ribatteva che nessuno lo avrebbe mai scoperto e, poi, considerando lo stato in cui si trovavano, era l’unica possibilità di svagarsi; con Cenerentola, naturalmente, Maman non aveva sprecato parole ma si era limitata ad aumentare l’intensità e la frequenza delle punizioni: non passava giorno che la nostra sorellina non versasse copiose lacrime sotto i colpi di sferza che le infliggeva Maman i cui segni erano ormai permanentemente visibili sulla sua pelle.
Fu forse anche per cercare di distrarre Anastasia che Maman decise, facendo anche un grande sforzo economico, di aprirci alla vita sociale e di partecipare ad uno dei numerosi ricevimenti che Sua Maestà teneva.
Si trattava di ricevimenti aperti a tutti coloro che contassero qualcosa nel regno (anche molto poco come noi) e non è affatto vero che noi sperassimo di sposare il Principe. Ci sarebbe bastato conoscere qualche nobile o anche qualche ricco rampollo borghese per migliorare la nostra situazione o anche solo per distrarre Anastasia dalla sua insana passione.
Anastasia all’inizio sembrava abbastanza disinteressata all’idea del ricevimento reale ma, dopo alcuni giorni, ci disse che poteva essere certo un simpatico passatempo e che avremmo dovuto portare con noi anche Cenerentola.
Ovviamente né a me né a Maman era passato per la mente di far venire anche Cenerentola: una così che, tra l’altro, non aveva alcuna pratica delle cose mondane e che non si sapeva comportare, ci avrebbe certo fatte sfigurare; ma Anastasia ci disse che noi, senza servitù, senza seguito e senza amici avremmo sfigurato comunque e che Cenerentola opportunamente abbigliata avrebbe potuto comparire come la nostra dama di compagnia dando così un tono alla nostra presenza.
Non aveva tutti i torti, anche se il ricevimento prevedeva la partecipazione di numerose persone non particolarmente selezionate, tre donne da sole non avrebbero certo brillato ma la presenza di una dama di compagnia poteva dare l’impressione di una maggior agiatezza.
La presenza di Cenerentola, d’altronde, non comportava alcuna spesa aggiuntiva in quanto gli abiti che indossava prima della sua trasformazione erano certo idonei a comparire in società (almeno come dama di compagnia) e quindi acconsentimmo.
Non potevamo certo immaginare lo scherzo che quelle due svergognate ci stavano per tirare: proprio quando già la carrozza era pronta per condurci a palazzo Cenerentola uscì dalla stanza di Anastasia con quel vestito che non potrò mai dimenticare.
Si trattava praticamente di una leggera sottoveste che arrivava poco sopra il ginocchio ma che presentava un lungo spacco sul fianco che, di fatto, scopriva interamente la parte laterale delle natiche. Sul petto poi c’era una scollatura profondissima che ben poco lasciava ad immaginare.
Come se tutto questo non bastasse sia lo spacco laterale sia la scollatura sulla schiena mostravano i segni lasciati sulla pelle dalle frequenti battiture subite dalla nostra sorellina.
Maman ed io siamo state irremovibili: non saremmo mai andate al ricevimento accompagnate da una simile sgualdrina e anche Anastasia si è dovuta adeguare.
Credo che Maman, se non fossimo state in ritardo, avrebbe levato la pelle a frustate a quella stupida che, peraltro, non profferiva parola e si limitare a tenere lo sguardo basso quasi che si vergognasse anche lei di quel vestito. Ci siamo quindi limitate a lasciare la casa raccomandando a Cenerentola di rassettare tutto e di attendere sveglia il nostro ritorno.
Durante il viaggio verso il palazzo del Principe ho avuto modo di pensare che, forse, il mio primo giudizio su Cenerentola era stato affrettato. Quel vestito esaltava i suoi punti forti: il seno prosperoso, i fianchi ben torniti, il posteriore pronunciato avrebbero certo fatto voltare più di un invitato al banchetto ma quel suo abito e quel suo modo di fare rischiavano solo di metterci in imbarazzo.
Non appena giunte al ricevimento, pur senza servitù al seguito, abbiamo cominciato a socializzare ed il tempo passava lietamente quando improvvisamente un brusio si diffuse tra gli invitati: era arrivata una dama sola e vestita in modo scandaloso.
Un terribile presentimento mi invase e mi recai verso la porta dove al folla degli invitati faceva ala a… Cenerentola!
Vestiva quello stesso abito che ci aveva mandato su tutte le furie a casa e calzava anche un paio di scarpe trasparenti che peggioravano solo l’aspetto complessivo.
Già stavano arrivando gli usceri chiamati da qualcuno per buttarla fuori quando, proprio in quel momento, giunse il Principe, fece un cenno agli usceri di fermarsi, si avvicinò alla nostra cara sorellastra e si mise ad osservarla.
Cenerentola, in contrasto con quel suo abito provocante, restava ferma con gli occhi bassi ad osservarsi le scarpe, visibilmente in imbarazzo. Dopo alcuni secondi che a tutti gli astanti sono parsi secoli, il Principe si rivolse a Cenerentola con un semplice “Vieni” e la ragazza lo seguì sempre ad occhi bassi oltre una porta che fu subito chiusa dal Principe stesso.
Non appena i due ebbero abbandonato la sala, tutti si risvegliarono come da un incanto e si domandavano chi fosse mai quella, con rispetto parlando, sgualdrina che si era allontana col Principe e che cosa il Principe avrebbe fatto di lei. Naturalmente Maman, Anastasia (forse Anastasia con più imbarazzo) ed io ci guardammo bene dal rivelare chi fosse e ci accodammo al chiacchiericcio generale.
Poco a poco l’argomento sembrava aver perso di interesse e Maman ed io avevamo anche addocchiato un giovanotto, un giovane marchese, che sembrava attirato dalle mie grazie e che avrebbe potuto rappresentare un buon partito
Presso alla mezzanotte, però, un gran trambusto scombussolò nuovamente la festa: dalla stessa porta da cui era uscita, vedemmo uscire nostra sorella di corsa con le scarpe in mano e dirigersi di gran carriera verso l’uscita seguita dal Principe.
A questo punto non potevamo più far finta di nulla e ci congedammo in tutta fretta dal bel marchesino per cercare, per quanto possibile, di evitare lo scandalo.
Montammo in carrozza e, pochi isolati fuori dal palazzo, raggiungemmo Cenerentola che stava ancora scappando. Era in uno stato pietoso, spettinata, inzaccherata e sporca all’inverosimile. La facemmo nascondere sotto la coperta del postiglione e la conducemmo a casa.
Durante il viaggio nessuna di noi profferì parola, sapevamo benissimo che quello scandalo avrebbe potuto annientare qualsiasi possibilità di affermazione sociale.
Non appena fummo giunte nel nostro cortile e fu chiuso il portone, maman scese come una furia dalla carrozza, afferrò Cenerentola da sotto la coperta del postiglione per i capelli e la trascino giù a terra nel fango: “Lurida puttana… Non solo hai osato alzare le tue manacce su mia figlia ma hai pensato bene di farti disonorare davanti a tutti dal Principe distruggendo ogni possibilità di riscatto sociale per questa famiglia! Non ti voglio più vedere!”
E fu proprio così. Maman non fece più entrare in casa. Per un po’ Cenerentola rimase nella stalla insieme alle bestie cibandosi di immondizia ma dopo un po’ Maman non la volle neppure più lì (Anastasia aveva il divieto di avvicinarlesi ma Maman temeva che, alla lunga, l’avrebbe trasgredito). Fu così che Maman decise di affidarla a Barbara, la sua ex cameriera personale di Cenerentola, che nel frattempo si era sposata con un fattore della tenuta in cui l’avevamo relegata, era incinta ed aveva bisogno di un altro paio di braccia per lavorare la terra.
Il giorno in cui Barbara è venuta a prenderla ho assistito alla scena dalla finestra: Barbara ed il marito erano chiaramente intimoriti da Maman (e credo che la ex servetta portasse ancora vivo il ricordo, se non i segni, delle bacchettate ricevute) ma ancora più della situazione. La mostra sorellina era orribilmente sporca, scalza e vestita praticamente solo con un sacco e con una corda al collo come se fosse una bestia.
Maman disse semplicemente che potevano farne quello che volevano purché la mantenessero in vita e non le facessero mai più mettere piede a casa nostra.
Barbara ed il marito ascoltavano con il cappello in mano e gli occhi bassi senza osare guardare in visto Maman ma osservano di sottecchi Cenerentola che, del pari, se ne stava a testa bassa.
Quando fu il momento di congedarsi, Barbara disse a Cenerentola: “La prego, signorina, salga sul carretto…” ma Maman la interruppe subito: “Ma che signorina! Questa qui d’ora in poi la potete chiamare Cenerentola, è la vostra serva, il vostro animale da fatica. Non serve neppure che la facciate salire sul carro, basta che la leghiate con la capezza e seguirà a piedi. Se dovesse battere la fiacca o rifiutarsi di fare qualcosa la potete battere a vostro piacimento”.
L’uomo, a questo punto, con fare risoluto prese la corda e la legò al carro e, dopo che lui e la moglie ebbero salutato Maman con una profonda riverenza, salirono entrambi su carro e uscirono lentamente dal cortile.
In tutto questo Cenerentola non disse una parola né Maman gliela rivolse neppure per salutarla. Fu l’ultima volta che la vidi.
Certo adesso tutti se la sono bevuta la faccenda della scarpetta, ma io c’ero quando è venuto il ciambellano ed ha chiesto a Maman di sua figlia. Che gioia puerile quando Maman venne personalmente a chiamarmi: se il Ciambellano vuole vederti significa che il principe in persona è interessato a te! E che grande delusione, che affronto quando il Ciambellano mostrò “la scarpetta”. Ah, altro che scarpetta, era, con rispetto parlando, un fallo di legno di dimensioni colossali ed il Ciambellano voleva che lo ricevessi contro natura! Sembrava che fosse stata questa la prodezza della mia sorellina che aveva tanto colpito il Principe.
Va da sé che mi rifiutai immediatamente e con grande sdegno. Non restò altro che mandare a chiamare Cenerentola dai bifolchi. Nel frattempo io me ne rimasi in camera mia a piangere sul mio triste fato e non oso pensare a cosa abbia fatto la nostra beneamata sovrana per ascendere al soglio….
ANASTASIA
Dov’è? Dove sarà la regina? Non posso più stare senza di lei.. Non posso neanche pensarla tra le braccia del principe.
Se mia madre mi sentisse mi maledirebbe come ha fatto con lei e mi maledirebbe cento volte di più dato che sono sua figlia ed è colpa mia se tutto questo è successo…
Ma io non potevo neanche immaginarlo, proprio a me che del sesso non era mai importato nulla che, anzi, ne avevo financo paura..
Mi ricordo tempo fa, prima ancora che nostra madre si risposasse con quell’uomo, quando mio padre era ancora vivo. Ero una ragazzina e stavo al Collegio delle Nobili Vergini. Le mie compagne fremevano quando sopraggiungeva il fine settimana e tornavano a casa: i balli, i marchesini, i contini se non anche, per molte, gli stallieri, i giardinieri i camerieri. E poi di ritorno in collegio il lunedì a raccontarsi tra di loro delle loro imprese, delle loro conquiste… Ogni tanto qualcuna il lunedì non tornava più, segno evidente che i genitori l’avevano accasata o che si era disonorata ed era stata destinata a qualche convento…
Non che il Collegio fosse poi diverso, anche da noi erano le Sorelle a gestire tutto. Brave quelle lì, un mucchio di inacidite messe lì dai nostri genitori per darci un’educazione sufficiente per non sfigurare in società ma, soprattutto, per “preservare la nostra purezza” per il nostro futuro sposo.
A loro alla fine interessava solo quello e per loro il modo migliore per farlo era lasciare che non entrassimo mai in contatto con persone, cose o animali di sesso maschile anche fosse solo l’idea… Che poverette! Mi ricordo quando la mia amica Claudine aveva rivolto la parola al garzone del fornaio che era entrato per sbaglio in refettorio! E’ successo un finimondo! Claudine è stata trascinata via dalla Madre Guardiana per un orecchio e l’abbiamo vista solo la sera stessa piangente in camerata. La Madre Guardiana l’aveva portata dalla Superiora e le avevano ripassato a lungo posteriore e cosce con il martinet. Ci aveva fatto vedere i segni lasciati e tutte fremevamo di rabbia per l’ingiustizia subita. Quello che più ci ripugnava era la loro ipocrisia: sapevamo benissimo che quelle lì volevano le stesse cose che volevamo noi e che, non potendole ottenere, facevano scontare a noi le punizioni che loro stesse avrebbero meritato!
Quella sera, dopo che furono spente le luci, sentivo Claudine rigirarsi inquieta nel letto. Mi avvicinai in silenzio a lei e le chiesi se potevo esserle d’aiuto. La ragazza mi rispose che le bruciavano ancora molto le cosce ed il posteriore e mi chiede se potessi spalmarle una sua crema. Acconsentii e la ragazza si adagiò sulle mie ginocchia non prima di avermi porto la boccetta con l’unguento. Alzai lentamente la camicia da notte scoprendo così le sue grazie ed avendo la possibilità di osservare da vicino alla luce della candela i segni lasciati dallo strumento: il rossore generalizzato di prima era in buona parte svanito ma restavano alcune strisce rosse lievemente rilevate. Ho subito preso un po’ di crema ed ho iniziato a spalmarla delicatamente sulla morbida pelle di Claudine. Le mie dita scivolavano leggere ma, quando si imbattevano nei segni della frusta, la poveretta aveva come dei brividi e mi pregava di fare piano. Devo però ammettere che il calore e la morbidità delle carni di Claudine unite alla piacevole sensazione di appiccicoso della crema e i dolci lamenti della mia amica stavano aprendo sentimenti nuovi in me. Il massaggio si faceva sempre meno leggero, la mia mano non disdegnava di afferrare le dolci curve della ragazza e, ad ogni passaggio, sia avvicinava sempre più pericolosamente al solco tra le sue colline. Gli stessi lamenti di Claudine, poi, avevano cambiato sensibilmente di tono ed apparivano ora come dei sommessi rantoli senza contare che sembrava quasi che spingesse il suo posteriore contro la mia mano sfregando contemporaneamente le sue vergogne sulle mie ginocchia. Dopo pochi secondi di queste piacevoli carezze ho sentito Claudine afferrare con forza il mio polpaccio destro e contrarre tutti i suoi muscoli. Si è seduta sulle mie ginocchia, mi ha guardato intensamente negli occhi prendendo il mio viso tra le sue mani e poi mi ha socchiuso le labbra con le sue.
Abbiamo a lungo parlato quella notte di quello che era accaduto tra di noi. Lei mi disse che, tra le lacrime, aveva visto i miei occhi e come rimiravo le sue carni piagate e poi come mi ero infervorata in sua difesa. Quando prima si stava agitando nel letto lo aveva fatto nella speranza di attirare la mia attenzione. Mi disse anche che mi sbagliavo profondamente sulle Sorelle. La Madre Guardiana e la Superiora non l’avevano punita per preservare la sua purezza (che, come mi riferì lei stessa, aveva da tempo perso) ma solo per gelosia: Claudine aveva infatti donato da tempo le sue grazie alle due donne che, come la maggior parte delle Sorelle, apprezzavano molto quel genere di pratiche. La Madre Guardiana, quando l’aveva vista fare la civettuola con il garzone, era stata presa da fortissima gelosia che aveva scaricato sul suo povero posteriore ma la cosa non era del tutto dispiaciuta a Claudine che, anzi, era usa di tanto in tanto provocare simili punizioni da parte delle Sorelle. Quella volta però la Madre Guardiana aveva un po’ esagerato ed aveva coinvolto nella cosa anche la Madre Superiora che aveva voluto anch’ella impugnare il martinet con il risultato di averle causato le piaghe che io avevo amorevolmente curato.
Il giorno successivo avevo a lungo fantasticato su quello che mi aveva detto Claudine, su quello che le avevo fatto e sul bacio che ci eravamo scambiate. Avrei voluto approfondire il discorso e la conoscenza di questi nuovi aspetti di Claudine ma l’indomani era gìà sabato e la ragazza tornò a casa. Passai tutto il fine settimana fremente nell’attesa del ritorno dell’amica ma il lunedì Claudine non solo non tornò ma erano sparite anche tutte le sue cose ed una nuova ragazza occupava il suo letto.
Fu un duro colpo per me, mi si era aperto un mondo e adesso quel mondo era come sparito come nebbia mattutina che, a mezzogiorno, ti domandi se mai è potuta esistere. Eppure io sapevo che Claudine era esistita e che esisteva ancora da qualche altra parte (evitavo di pensare che, semmai, esisteva tra le braccia di un uomo che non amava o nel buio di un convento). Cominciai anch’io a vedere le Sorelle con altri occhi, alcune erano giovani e piacenti non molto più vecchie di noi educande. La Madre Guardiana era invece più avanti negli anni ma ancora piacente e con un seno prosperoso a fatica trattenuto dall’abito monacale. Mi sorpresi più volte a fantasticar di baciare Suor Grazia, la più giovane delle sorelle e quella con l’ovale più perfetto oppure di accarezzare il posteriore di Suor Michela e persino di perdere il mio viso tra i seni della Madre Guardiana ma non osai mai avvicinarmi a loro . Ciò che, invece, feci, fu di scoprire i piaceri del vizio solitario persa in queste fantasticherie ma anche questo durò poco.
Un giorno la Madre Guardiana mi chiamò durante le lezioni della mattina e mi condusse dalla madre Superiora, lì c’era anche Maman ad attendermi. Sul momento temetti che quello che avevo fatto con Claudine o le mie fantasie fossero state scoperte e sbiancai in volto ma poi venni a sapere che mio padre era morto e che Maman era lì per riportarmi a casa. Non ci furono molte spiegazioni sul momento ed io ero sgomenta del fatto che il sollievo di non essere stata scoperta stesse facendo premio sul dolore che avrei dovuto provare alla ferale notizia.
Non c’era però tempo per piangere, d’altronde. Già in carrozza Maman mi spiegò che nostro padre era caduto in guerra nei paesi d’oltremare, che le spese per l’arruolamento del suo reggimento avevano prosciugato le finanze di famiglia, che, a causa della sua morte, non avremmo potuto più ricevere l’appannaggio reale dovuto al suo grado di colonnello e che, in buona sostanza, eravamo tutte cadute in povertà e, tanto per cominciare, non sarei più tornata al Collegio in quanto non ce lo potevamo più permettere.
Seguirono giorni dolorosi e tristi, Maman licenziò buona parte della servitù, vendette carrozze e cavalli ed anche buona parte del mobilio. Fu in quella occasione che conoscemmo per la prima volta il nostro patrigno. Era quell’uomo disgustoso che, appena saputo che nostra madre stava svendendo il suo patrimonio, si era offerto piano piano di comprarselo per poche lire, abbastanza per noi per tirare avanti per un po’ e per lui per far enormi profitti. Non so se la cosa fosse preordinata ma, quando non rimase quasi più nulla da vendere, arrivò la proposta di matrimonio. Era un modo come un altro per impossessarsi anche dell’ultimo nostro avere: il titolo nobiliare che fu di nostro padre. Conoscendo il tipo non credo che gliene importasse molto del titolo in sé quanto dell’uso che poteva farne nell’alta società ma, alla fine, non avevamo molta scelta. Maman lo sposò quasi in segreto ed andammo tutte a vivere a casa sua.
Fu lì che la conobbi, la vidi la prima volta. Devo dire che all’inizio la sottovalutai, una ragazzina viziata cresciuta tra istitutrici e agi senza conoscere nulla del modo di fuori ma devo dire che, all’inizio, ero troppo impegnata ad adattarmi alla mia nuova vita in quella casa stupenda per rendermene conto. E poi era pur sempre la figlia di quell’uomo disgustoso che, per fortuna aveva la decenza di non farsi vedere troppo e di non pretendere di avere familiarità con noi (o, almeno, con me).
Mi resi conto di cosa c’era in lei quando avvenne la vicenda della sua servetta Barbaba. Quella stupida era stata colta con le mani nel sacco a rubare e Maman, insieme alla nostra sorellastra, si erano messe d’accordo per impartirle una bella lezione.
Era la prima volta che vedevo punire in pubblico una serva e devo ammettere che, dopo quello che era successo con Claudine, la possibilità di vedere un derriere femminile colorarsi sotto lo scudiscio mi allettava.
Non mi aspettavo però di rimanere così colpita dagli effetti della bacchetta che mai avevo visto applicare: le carni di quella poveretta erano subito segnate in modo più marcato e, a giudicare dalle sue urla, anche in modo più doloroso rispetto al martinet che avevo visto applicare in convento ma, al di là di quelli che erano gli effetti sulla servetta erano quelli su di me che mi stupivano di più- Sentivo come nascere in me un fuoco interiore che tutta mi scaldava e quasi bruciava, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello spettacolo, sentivo rimbombare in me i pianti e le suppliche di Barbara che, invero, suscitavano in me sentimenti opposti a quelli che avrebbero voluto suscitare. Avrei voluto essere io ad impugnare quella bacchetta, avrei battuto quella disgraziata senza nessun riguardo né pietà, avrei volto bere le sue lacrime, spargere il suo sangue pur di saziare il fuoco che entro mi sconvolgeva.
Fu in quella occasione che incrociai lo sguardo della mia sorellastra: anche lei la vedevo molo colpita dalla scena ma, almeno ai miei occhi di allora, appariva come sospesa tra la rabbia che provava per la serva infedele e la pietà che le suscitava. Eppure c’era già allora in quegli occhi, nelle sue mani che si tormentavano, nella sua voce qualcosa che non mi tornava, qualcosa che aveva a che fare con lei e non con la sua cameriera infedele sottoposta a tormento.
Tutto questo doveva aver messo in moto qualcosa in lei: già dal giorno dopo l’ho vista cambiata, non più la ragazzina viziata che mi era sembrato di conoscere ma una che voleva prendere in mano la sua vita attraverso il controllo diretto di quello che era suo.
Ovviamente tutto ciò non ci poteva stare bene: eravamo appena arrivate nella nostra nuova vita agiata e questa sorellastra minacciava di danneggiare i nostri standard con la sua mania per il risparmio e per occuparsi personalmente delle faccende domestiche. Quest’ultima cosa, soprattutto, ci metteva un po’ a disagio: non ci eravamo ancora abituate a considerare quella casa come la nostra ed il fatto che la nostra “ospite” si comportasse così ci faceva sentire, in fondo, in colpa. Era, credo, per questo che la tormentavamo e non perdevamo occasione per umiliarla anche davanti alla servitù. Pensandoci bene, però, fu già in quelle occasioni che cominciava a farsi strada dentro di me quel languido piacere nel vederla umiliata per mia mano.
All’epoca pensavo che se lo meritasse: era solo una mocciosa viziata che giocava a fare la padrona di casa senza neppure sapere come si facesse. E’ vero, mi divertivo a farla passare per una serva ma, in fondo, era lei stessa a comportarsi come tale e, pensandoci ora, il rosso delle sue guance e il suo respiro accelerato che noi attribuivamo alla vergogna potevano ben essere altro…
Tutto divenne però più chiaro quando c’è stata la lite con quella serva, Anna mi pare si chiamasse…
Quando l’ho vista umiliata davanti a tutta la servitù, quando ho visto il suo derriere colorarsi sotto la bacchetta ma, soprattutto, quando sembrava tutto finito e gli spettatori se ne erano tutti andati, ho sentito con le mie orecchie i suoi singhiozzi mutarsi in respiro affannoso e ho visto con i miei occhi le mani, che, fino a poco tempo prima, tentavano di mandar via il dolore, indugiare dove non ci è permesso, allora lì ho capito: la nostra sorellastra partecipava dei vizi della mia Claudine e forse ne aveva anche di più perversi…
Ma, in quell’occasione, avevo compreso anche un’altra cosa: mentre vedevo maman colpire il culo di nostra sorella facendola gridare e gemere, sentivo che avrei voluto essere al suo posto;: avrei voluto impugnare io quella bacchetta, avrei voluto io vibrarla sulle sue carni e poi…. E sentivo anche come la mia natura a quello spettacolo e a quei pensieri si facesse sempre più languida.
E, se mai avessi dei dubbi, le frequenti umiliazioni e punizioni ricevute da nostra sorella nei giorni successivi non fecero altro che confermare le mie convinzioni.
Il punto, però, era come mettere in pratica queste mie inclinazioni ma, su questo, la sorte mi venne in soccorso in un modo alquanto singolare: il nostro patrigno, non so perché, aveva ridotto di molto il nostro appannaggio e questo aveva comportato la necessità di fare a meno di buona parte della servitù.
Fui io a suggerire a Maman, prostrata per quanto accaduto, che la nostra sorellastra avrebbe potuto fare le veci della servitù mancante.
All’inizio non sapevo come approcciarmi e mi limitavo a batterla con tutta la forza che avevo in corpo per qualsiasi pretesto (e, a volte, anche senza pretesto alcuno). Come urlava la povera Cenerentola! E come si segnava la sua pelle! Più di una volta mi è capitato anche di provocarle delle piccole ferite da cui stillavano gocce di sangue. Ma quando avevo finito, ancora con il fiatone per la fatica fatta (e forse anche per altro), mi avvicinavo a Lei e afferravo i martoriati globi carnosi del suo posteriore. Anche questo la faceva gemere ma si vedeva subito che si trattava di un gemito ben diverso senza contare che le mie mani erano come fatalmente attratte dalla sua intimità che vedevo umida se non stillante dei suoi umori.
Sulle prime mi trattenevo ma ben presto cominciai a sfiorargliela all’inizio quasi accidentalmente poi con sempre maggior insistenza dato che notavo come lei non si sottraesse a tale contatto ma, anzi, lo ricercasse e assecondasse muovendo il bacino.
Insomma non ci volle molto perché io prendessi ad esplorare la sua cavità più segreta con sempre maggior coinvolgimento sia da parte mia sia da parte della mia sorellastra, stavo insomma rivivendo l’esperienza vissuta con la mia Claudine! E anche la mia Cenerentola stava vivendo la medesima esperienza: sentii anche il suo respiro farsi affannoso e poi i suoi muscoli contrarsi e poi distendersi in un languido abbandono; la vidi poi scivolare a terra in ginocchio (sino a quel momento era piegata sulla mia consolle), volgersi verso di me e abbracciarmi le gambe.
Questo comportamento per me inaspettato mi fece divenire paonazzo il volto, fu quasi automatico per me portare le mani alla sua testa e premerla sulla mia natura. Cenerentola, quasi mi potesse leggere nel pensiero, assecondava i movimenti del mio bacino, sentivo le sue mani intrufolarsi sotto i miei vestiti e scostarli per metterla a nudo e poi vidi il suo viso scomparire nel mio inguine e sentii la sua lingua farsi strada dentro di me. Fu in quella occasione che vissi per la prima volta quella stessa sensazione che avevo provocato a suo tempo in Claudine e poco prima nella mia sorellastra .
Quella fu solo la prima di molte volte ed il nostro sentimento di fece sempre più intenso: Cenerentola sentiva che il suo corpo mi apparteneva e godeva del fatto che io potessi farne quello che volevo. Allo stesso modo io sentivo di possedere il suo e la sua anima e di poterli plasmare entrambi come creta per farne quasi oggetti inanimati per il mio piacere. Godevo dei suoi gemiti di piacere e forse anche più per quelli di dolore e godevo nel vedere la sua pelle piagarsi sotto la bacchetta o sotto qualsiasi altro strumento che volessi usare su di lei ma anche lei, dopo essere stata frustata quasi a sangue ed aver sparso tutte le sue lacrime, era comunque al culmine del suo piacere, con la sua natura pregna dei suoi umori e pronta ad esplodere nel più vergognoso dei piaceri. Non so immaginare come facesse, dopo i nostri quotidiani convegni, a svolgere il suo servizio per maman e per Genoveffa; anzi, lo so bene dato che dopo poco fu deciso che sarei stata l’ultima a servirsi di lei.
A pensarci bene, anche le altre (ma soprattutto Maman) non lesinavano punizioni su Cenerentola ma compresero fin da subito il legame speciale che ci legava.
Certo Maman non era d’accordo ma non era certo lei che poteva farmi discorsi moraleggianti (soprattutto dopo il guaio in cui ci aveva cacciate). Allora cercava in tutti i modi di distrarmi credendo che questo fosse solo un capriccio passeggero e l’ultimo passo in questa direzione era stato proprio quel maledetto ballo.
Pensavo di aver capito la strategia di Maman: trovarmi un fidanzato con il quale dimenticare Cenerentola e, ingenuamente, pensavo di aver trovato il modo di trarre partito da tutto ciò. Avrei portato con me Cenerentola, avrei mostrato al mondo quello che era ed il rapporto che ci legava; lo scandalo sarebbe stato grande ma, in questo modo, nessuno avrebbe osato più importunarci né chiedere la nostra mano.
Avevo condiviso quel piano con Cenerentola ma quello che non avevo calcolato era il modo in cui si presentò davanti a noi al momento della partenza: quel vestito, uno straccio che appena copriva il suo corpo voluttuoso, i segni sulla pelle che tutte noi le avevamo lasciato facevano di lei l’essere più desiderabile e al tempo stesso più osceno che si possa immaginare.
Ovviamente Maman e Genoveffa si opposero alla sua presenza ed io non ebbi il coraggio di portare la mia provocazione pubblica sino a quel punto: lasciai fare a Maman che ordinò a Cenerentola di attenderci a casa e ci fece salire rapidamente in carrozza.
Il viaggio verso il palazzo del principe fu silenzioso ma di un silenzio pesante: vedevo gli occhi di mia madre e di mia sorella e potevo immaginare i loro pensieri su di me e su Cenerentola ma sentivo anche dentro di me una grande delusione, un senso di svuotamento e di inanità che mi pervadeva completamente.
I primi momenti alla festa li passai quasi in trance scambiando solo poche parole di cortesia con gli altri invitati quando, improvvisamente, successe quello che tutti hanno visto ed anch’io ho visto: Cenerentola aveva fatto il suo ingresso alla festa con quel suo abito scandaloso, con il suo corpo provocante e fendeva la folla tra mormorii sempre crescenti.
Ho visto anche il principe avvicinarsi a lei, pararglisi di fronte, accarezzare la sua pelle e seguire con i polpastrelli i segni delle frustate senza che Cenerentola sollevasse gli occhi da terra. L’ho sentito ordinarle di seguirlo e l’ho vista farlo con la massima docilità di cui sapevamo era capace.
Sin da quel momento compresi di averla persa, compresi che le sue carni sarebbero state di altri e che, comunque, Maman non mi ci avrebbe più lasciata avvicinare.
Ricordo appena la sua fuga precipitosa, scalza, dalle stanze del principe e la nostra con lei e poi le urla e gli insulti di Maman nel cortile di casa. Fu quella l’ultima volta che la vidi, Maman la fece richiudere nelle stalle e mi impedì di andare da lei. Quando la mandò a stare da Barbara, mi chiuse a chiave in camera per impedirmi di intromettermi.
Certo l’ho rivista da lontano all’incoronazione ma quella donna riccamente vestita non era più la mia Cenerentola anche se io sapevo che, sotto quelle stoffe, sotto quei gioielli Cenerentola era ancora lì pronta a donare ed umiliare il suo corpo davanti a qualcuno che non ero più io
Bellissimo racconto, come detto in un altro racconto, da ragazzino ogni volta che venivo inculato riuscivo a venire senza toccarmi,…
Semplicemente notevole!
La vera natura di Alessia comincia a prevalere sulla sua educazione...
Devo confessare che ora sono confuso: inizialmente sembrava esserci una certa ritrosia, ma ora pare che il punto di vista…
Complimenti un vortice di emozioni, sempre più eccitante, spero di leggere il continuo