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Racconti di Dominazione

COLOMBA ROSSA

By 30 Aprile 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi ritornano in mente quegli occhi, che brillavano di una luce candida candida.

Quel volto sembrava quello di una bambola, disegnata dal pennello di un Michelangelo, e forse, lo era, in fede mia. Le labbra scarlatte, i capelli che ricadevano morbidi sulle spalle, a boccoli, ornati di nastri turchini, o decorati di conchiglie… Gli occhi suoi erano perle che brillavano, come gli orecchini di diamanti che tanto amava portare.

Ricordo i cari istanti di felicità che le aveva regalato il destino.

Illusioni! Oh, sì, erano le dolci illusioni magiche del fato.

Riscopro dentro di me visioni perdute, che bruciano di passione.

Rivedo lei, lei, lei, sui prati, amante delle rose e delle margherite, e dei petali vellutati, che le carezzavano la pelle.

Quanti fiori! Quanti fiori! Lo sapete? Ne coglieva a mazzi, per poi portarseli al seno e infine regalare al vento quella meraviglia, come in dono, io non so perché lo facesse, oh, davvero, io non so perché.

Pareva un incantesimo, i petali bianchi, rossi e gialli se ne volavano nel blu, allo stesso modo in cui l’anima sua se ne andava lungo i lidi della fantasia.

Era così, sì. I miei occhi non stanno sognando.

Aveva anche voluto darmi un bacio, una volta, sulla bocca. Era stato come farmi sentire la seta delle sue labbra sulla carne, il fuoco che le accendeva pareva bruciare affettuosamente l’anima di chiunque toccassero.

L’avevo sfiorata, per gioco.

Le avevo carezzato i lunghi capelli, le braccia nude, i seni perfetti, decorati di perle, mentre lei mi guardava con i suoi occhioni che sembravano smeraldi, poi, si staccava magicamente da me, e si rotolava nuda sull’erba, sulle margherite che tanto amava, sorridente per il piacere che le donava quella carezza della natura.

Eppure, &egrave come se riscoprissi tutti questi ricordi dietro un velo di casto candore, dietro una nube leggera leggera, di vapore incantato.

Mi sembra di risentire la voce della bella.

Parlava al vento!

Portava soltanto abiti leggeri, che avevano il colore della purezza. E intorno a lei era sempre primavera. Volle che facessimo l’amore sull’erba. Lo faceva con chiunque le ispirasse sentimenti d’affetto, mi disse.

Sì, per lei era come dare un bacio su una guancia, mi sussurrò quel giorno, lievemente.

E fu così che la spogliai, le feci sentire le mie mani e la mia lingua scarlatta sulla pelle, lei mi concesse di sentire la carezza della sua, e il piacere dei suoi grandi seni strofinati sulla carne, delle sue gambe intrecciate alle mie, delle sue trecce attorcigliate alle mie braccia.

Sapeva volare nel piacere come una farfalla, sì, forse, proprio come quella che portava meravigliosamente sulla schiena, e che, mi disse, le avevano tatuato gli Elfi, in una notte stellata, facendola tanto soffrire. Oh, quella volta, sì, quella volta, aveva gridato di piacere, proprio come accadde con me il giorno in cui mi si concesse, sull’erba, all’ombra dei tigli parlanti.

Sì, erano tigli parlanti, che raccontavano di fate e di illusioni perdute, fatte per scintillare forte nelle pupille folli di una donna.

Una casa era pronta per lei, per la Colomba.

Aveva il tetto color del cielo, e le finestre dai vetri iridescenti, che brillavano quanto l’arcobaleno. Sembrava immersa in un bosco di fronde.

Oh, ma quello era il suo sogno, divenuto realtà!

Un sogno che brillava dentro di lei, come un paradiso, che la sconsolata non sarebbe riuscita ad afferrare mai, mai, mai.

Oh, e perché?

Io lo so, sì. Non me ne sono dimenticato, purtroppo. La sorte fu tanto cattiva nei confronti della Colomba Rossa.

Però, prima di piangere, lei aveva sorriso.

Oh, sì, gli occhi suoi avevano brillato per la letizia, per la gioia della vita! E si era sentita stringere forte da due braccia buone, che appartenevano a chi le voleva bene.

Si era sentita baciare sulle labbra e sulle guance, lievemente, poi, sui bei boccoli morbidi, che solo il vento sapeva toccare.

Era arrivato così il giorno della felicità.

Quasi stento a raccontarlo, perché già mi vengono in mente le cose tristi che accaddero tempo dopo, e che offuscano come nubi il ricordo di quegli istanti, i cari istanti.

Lei era tanto bella, quel giorno…

Era abbigliata di veli candidi, aveva una rosa rossa fra le mani, vestite di guanti bianchi, gli abiti suoi volavano nel vento, come quelli di un angelo condannato a non avere le ali con cui volare via dal mondo crudele.

Oh, sì, i veli suoi volavano nel vento…

Ricordo che la Colomba se ne andava via così, su di un’automobile bianca, dopo aver dato il suo sì…

Ma la sua sembrava una carrozza, tirata da cavalli bianchi, che galoppavano verso il Cielo!

Il suo sguardo brillava scintillante all’intorno. La bella si posava le dita sulle labbra, era come se volesse regalare dei baci al mondo.

Aveva preso un gran mazzo di fiori turchini, e uno a uno li gettava ai passanti, sì, ai passanti.

Rideva.

E tutti la salutavano, agitando al vento i loro fazzoletti bianchi, di seta pura, era quello il loro modo di augurarle ogni felicità.

I tuoni erano ancora lontani, tanto lontani, allora.

E rammento anche che lei era come avvolta in una luce dorata e magica, la stessa che brillava negli occhi suoi, ma a poco a poco si sarebbe spenta.

Povera stella…

Oh, dove saresti volata, piccola Colomba, con le tue ali bianche?

Dove? Dove? Dove?

Io non lo so.

Ti ricordi? Eri entrata nel tuo nuovo nido, tutti i mobili e gli specchi erano racchiusi da lenzuoli candidi, e tu li scoprivi, uno dopo l’altro, facendo svolazzare quei veli bianchi intorno.

Il tuo caro ti teneva fra le sue braccia, promettendoti un futuro di tranquilla felicità. Avresti amato lui, soltanto lui, e nessun altro.

Poi, però, vennero le nubi e la luce non brillò mai più. Una dopo l’altra, anche le stelle più belle si spengono. E’ così, Colomba Rossa?

Il tuo nido si trasformò in una prigione grigia e senza luce, da cui tu non potevi uscire mai.

E adesso ti ricorderò perché ti chiamo con questo nome, Colomba Rossa.

Il tuo uomo approfittava del tuo corpo, della tua carne, facendoti soffrire. Rammento il modo feroce con cui ti stringeva a sé, la notte, nella stanza della tortura, davanti al fuoco, la sola luce che illuminava i vostri amplessi fatali.

Ti faceva male, la sua, sì, era una tortura di piacere. Voleva sentire le tue unghie sulla pelle, e poi tu dovevi leccare il suo sangue. Ti faceva provare le gioie della frusta. Tu non osavi dirgli di no. E così ti sferzava la schiena nuda, dopo averti strappato tutti i veli, non risparmiava i tuoi seni grandi e sodi, che amava assaggiare, e forse, mangiare.

Tutte le notti si sentiva il rumore dei frustini da cavallo, che sferzavano l’aria e il corpo della Colomba, insanguinandola.

Sesso e sangue si mescolavano assieme nella notte. Dopo averle profanato la pelle, il marito desiderava profanarle il corpo, e la trascinava a letto, tirandola per i capelli, e dandole degli schiaffi.

Erano schiaffi di passione, che la facevano gridare e piangere per il piacere. Non la raggiungevano soltanto sulle belle guance, ma anche sui fianchi, e le natiche sinuose.

A volte la metteva a testa in giù, nuda, appoggiandole le gambe sull’orlo dello schienale di una seggiola, in modo che si sorreggesse solo con quelle. Allora, le faceva sentire forte i denti sulla pelle, soprattutto sulla schiena, e le pizzicava il di dietro, strappandole gemiti che a lui parevano sublimi.

In una di quelle occasioni, aveva usato anche il collo di una bottiglia, dopo averla bevuta con lei, onde sperimentare ebbrezza ed erotismo insieme. Era stato per prepararla al sesso anale.

E il sesso anale era venuto, qualche giorno dopo, ma con grande sofferenza per la poverina, che non voleva, no, non voleva niente di tutto ciò che vi narro, in cuor suo… Lui, dopo averla ubriacata, l’aveva spogliata nuda, l’aveva piegata in due, sì, piegata in due, con la testa per terra, appoggiata a un cuscino, e le gambe che passavano sotto le ascelle. Le aveva quasi spezzato la schiena. Sentendosi penetrare, la bella aveva strillato e pianto, aveva opposto resistenza, invano.

Le labbra di Colomba Rossa lasciavano il segno del rossetto, quelle di lui, ferite sanguinanti. Poi tutto moriva nell’orgasmo e nel silenzio.

La bella urlava forte tutte le notti, era sempre la prima a raggiungere la vetta del piacere, e il suo uomo, il suo torturatore sadico, la seguiva, inondandola del suo fiume di fuoco, che a lei sembrava fiele.

La Colomba Rossa era vittima appassionata e triste…

E arrivò il momento terribile, sì, il giorno più brutto. Fu quella la prima volta che la videro piangere disperata, ve lo giuro.

Perché un uomo dal volto rugoso e tutto vestito di nero le parlò della maledizione che l’aveva colpita, senza concederle scampo. Cielo! Oh, cos’era mai? Cos’era mai?

Le dissero che doveva lasciare il mondo, che doveva prepararsi per partire, sapendo di non tornare più.

Questa era la sua sventura, non c’era nulla da fare, niente avrebbe potuto salvarla. Eppure la bella sapeva già di avere un nuovo essere, che viveva dentro di lei.

Gliel’avevano detto, gliel’avevano detto!

Ma lei non avrebbe mai potuto abbracciare il suo bambino, mai, mai, mai!

Fu così che pianse. Tutti erano diventati terribilmente crudeli nei suoi confronti, il cielo era sempre grigio, ogni luce sembrava morta. Ma la sconsolata avrebbe cercato di regalare sorrisi al mondo, fino alla fine dei suoi giorni.

Lei però non sapeva di essere rimasta sola fra quelli che la odiavano!

Sola, sola, sola! C’erano volti di vecchie arcigne, che le sghignazzavano intorno… Uomini senza pietà, vestiti a lutto, che tenevano un duro bastone fra le mani…

V’erano anche fantasmi neri, che ululavano e non vedevano l’ora di portarla via con sé, pettegole crudeli e bugiarde, pronte a calunniarla, accusandola di tradimento.

Cielo!

E lei sentiva tutte quelle voci e vedeva quei volti tra le nuvole cupe della tempesta, fra i lampi, sì!

Ricordo che era arrivato l’autunno. Era rimasta una sola persona al mondo, che le volesse bene, e la poverina sapeva dove trovarla.

Fuggì e andò nel luogo più triste.

C’erano tante tombe, grigie, che ricoprivano la terra, e la facevano sembrare assai lugubre. La Colomba Rossa si era vestita come una volta. Era un piccolo angelo bianco.

Con gli occhi pieni di luce si guardava intorno, oh, no, sembrava che non piangesse, pareva davvero che ogni lacrima avesse voluto lasciarla, per un istante!

Tutto era morte intorno a lei. Nuvole di polvere e foglie si alzavano nel vento, ricoprivano i rovi e le tombe, alla bella parve di avere una visione.

Ecco, il suo caro fratello era lì…

Abbracciarlo fu l’affare di un istante, ma per confidargli tutto il destino ci sarebbe voluta un’eternità, sì, forse, la stessa eternità di perla, che allora li avvolgeva.

C’era un gran silenzio intorno. Sembrava di sentire il suono magico e lugubre insieme di un violino, suonato dalle mani fredde del vento.

Era una serenata di tristezza.

La tormenta scompigliava e faceva volare forte i lunghi capelli biondi della stella triste, che si stava per spegnere, per sempre.

– D’ora in poi brillerò lassù, sai?

Gli aveva detto così…

Ed era la verità, ahim&egrave!

Fu allora che la Colomba Rossa sembrò volare via. Fu lì, in quel luogo di lutto, che mi &egrave parso di vederla spiegare e muovere le sue invisibili ali, e involarsi, per fuggire al grigiore e all’infelicità del suo mondo.

Lei se ne andava così.

Si staccava dalla terra, e saliva volando, a poco a poco, avvolta in una nuvola bianca, in cui svaniva.

Era la morte di una stella.

Mi sembra di vederla volare ancora, sui prati ricoperti di margherite e tulipani, con i capelli legati da un nastro bianco, o turchino. Coglie i più bei fiori, uno a uno, e li porta all’olfatto, per poi regalarli felice all’amico vento. Sì, proprio così!

Visioni…

Il mio &egrave soltanto un sogno, che si spezza in un istante. Forse, un’anima candida continua ad essere felice, molto lontano da qui, senza che il destino possa toccarla con le mani fredde.

Dove?

Dio lo sa.

E mentre vi racconto queste storie, e ho l’impressione di risentire quei baci appassionati sulla pelle, stringo forte il mio violino del Settecento, e finisco di suonare le ultime note di un rondò.

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