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Racconti di Dominazione

Come i gladiatori in un’arena

By 27 Aprile 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi sono destata stordita e confusa.
è un po’ di tempo che mi capita di svegliarmi così, da quando la mia storia con Carlo è finita.
Vado a dormire troppo tardi e, soprattutto, bevo troppo e mi faccio troppe canne.
Hai poco più di trent’anni, Giovanna, saresti un giovane e promettente architetto, e ti stai buttando via stupidamente. Me lo dicono spesso gli amici e me lo dico anche io, tutte le mattine, quando mi alzo, faccio tanti buoni propositi, e poi va a finire sempre così.
Sono uscita da studio cupa e incazzata ed ho passato la serata da sola, in tre locali diversi, mangiando qualche stuzzichino, ma bevendo in compenso parecchie birre.
Nel tragitto da un locale all’altro mi sono pure fatta una canna bella forte, così, quando sono entrata nel terzo, un piccolo pub, ero abbastanza sballata da fare cazzate.
Le canne andrebbero fumate in compagnia, si ride e ci si sballa insieme, invece la canna fatta in solitudine ti da quello sballo triste che ti lascia peggio di prima, e poi, farsene una intera, dal primo all’ultimo tiro, è troppo.
L’ho puntato subito, quel ragazzo riccio e magro, dal viso sottile e gli occhi scuri e vivaci.
Ho voglia di scopare, mi sono detta, forse mi manca Carlo, oppure, semplicemente, ho voglia di farmi una sana scopata senza tante storie, con uno che non so neanche come si chiami.
L’ho fatto diverse volte anche se mi rendo conto che potrebbe essere pericoloso, che prima o poi farò qualche brutto incontro.
Il ragazzo dapprima è rimasto stupito, perché non è normale che una ragazza carina e ben vestita, abbordi così platealmente un suo coetaneo in un pub.
Sicuramente stava cercando di capire cosa ci potesse essere sotto, poi doveva essersi reso conto che non ero certo una prostituta, ma ero ubriaca e sballata al punto da poter essere normale un simile comportamento, e magari avrà pensato, non è manco male ‘sta bionda, lei ci sta, anzi, ci manca solo che mi apra i pantaloni nel locale davanti a tutti, perché non approfittare?
Siamo usciti insieme, e lui mi ha chiesto, senza mezzi termini: ‘da me o da te?’
‘Da te’, ho risposto subito.
Non voglio assolutamente essere rintracciata in seguito, quindi meglio a casa di lui, per non ritrovarmi tra le scatole uno sconosciuto con cui ho condiviso solo una notte di sesso.
Mano mano che vado avanti nel tempo, i ricordi si fanno più confusi.
L’abbiamo fatto su un divano, ricordo di essermi spogliata, rimanendo soltanto con la gonna, mentre lui mi carezzava le tette e mi baciava sul collo, dopo aver scansato i capelli lunghi e mossi.
Poi lui si era infilato il preservativo e, a questo punto non ricordo più nulla.
Dove sono?
Inizio a guardarmi intorno.
Non è sicuramente casa mia, e neanche casa di quel tizio, anche se ho un ricordo vago di quell’appartamento.
La stanza è buia, tranne un po’ di luce che filtra dall’alto.
è uno scantinato, con delle aperture a bocca di lupo, penso mentre mi sto abituando alla scarsa illuminazione e comincio a distinguere le pareti grigie e spoglie, il pavimento di cemento grezzo.
Mi tiro su posando una mano a terra e mi accorgo che stavo sdraiata su un materasso, vecchio e macchiato, poi la vedo.
Una catena, grossa ed arrugginita, si snoda come un serpente attraverso il pavimento, prosegue sul materasso e si ferma ai miei piedi.
Rabbrividisco mentre mi rendo conto che intorno alla caviglia sinistra, qualcuno ha messo un grosso anello di ferro e che la catena è fissata a questo per mezzo di un grande lucchetto.
Tocco sia l’anello che la catena, il metallo è freddo.
Provo ad aprire l’anello, fatto da due parti incernierate, chiuse da un grosso perno di ferro ribattuto, poi tiro la catena, ma naturalmente il lucchetto è chiuso.
Allora la tiro ancora, dalla parte opposta, per vedere fin dove arriva.
La sento strusciare per qualche metro sul pavimento poi si blocca con un rumore sordo.
è fissata in alto, dove, in corrispondenza delle aperture, ci sono delle robuste inferriate.
A questo punto vengo presa dal panico.
Certo, la vita, chiamiamola dissoluta che conduco da un po’ di tempo ha dei rischi, ma non avevo mai messo in conto un qualcosa di simile.
Sono prigioniera, nelle mani di un pazzo, di un maniaco. Possibile che in quel ragazzo riccio, dall’aria pulita ed innocua, si possa nascondere un mostro?
Mi sforzo di ricordare meglio.
Sì, avevamo scopato, ma alla fine gli ho detto che volevo tornare a casa, mi sono rivestita ed ho insistito per non essere accompagnata.
Ma sì, deve essere successo fuori, non è stato lui a catturarmi, penso, mentre mi sforzo di ricordare se sono uscita o meno da quella casa.
No, no, mi sono rivestita e me ne sono andata, sicuro.
Ma ora ‘
Ora indosso solo la camicetta, della giacca non c’è traccia, e la gonna? E le scarpe?
Sono scalza, e non ho neanche le calze, quindi, se sono uscita da quella casa con le mie gambe, completamente vestita, chi mi ha rapita, mentre ero incosciente, mi ha sfilato scarpe, collant e anche lo slip.
Mi immagino la scena: io addormentata, forse narcotizzata e quello che dopo avermi tolto le scarpe, mi sfila lentamente il collant e infine mi toglie le mutandine, magari mi ha pure carezzata, pregustando il dopo.
Mi avrà scopato anche lui? Sempre che non si tratti dello stesso del pub.
Mi volto verso l’altro lato della stanza, quando sento un rumore, evidentemente non sono sola.
Dall’altra parte c’è un altro materasso con un’altra persona che ci sta dormendo sopra rannicchiata, la mia stessa situazione come vista allo specchio.
Ecco, si sta svegliando.
La osservo mentre dopo essersi stiracchiata, si alza a fatica.
Un’altra donna, anche lei con una catena che le parte dalla caviglia e si inerpica fino allo grate di ferro, in cima al muro.
Non sembra neanche aver fatto caso a me, cammina lentamente verso il muro di fronte dove si trova una piccola porta grigia di ferro.
Ha un’aria sporca ed ammaccata, come se fosse lì da molto tempo, e indossa una maglietta che una volta doveva essere stata bianca, piena di macchie e strappata su una spalla ed una gonna rossa a pieghe, anche quella lurida ed impataccata.
I capelli lisci, castano scuri,avrebbero sicuramente bisogno di un robusto sciampo ed il suo viso, sciupato e senza trucco, mostra i segni di una dura prigionia.
La osservo mentre cammina, strascinando la catena, e si ferma una volta arrivata di lato alla porta.
A fianco c’è un piccolo lavandino, sudicio e senza specchio, che non avevo notato prima.
Che cazzo di posto per mettere un lavandino, penso io, che non posso mai fare a meno di vedere certe cose dal punto di vista professionale dell’architetto.
Sotto al lavandino c’è un bidone di ferro, tipo quelli per la pittura dei muri, la donna lo scansa, si solleva la gonna e ci si mette a cavalcioni.
Ha il sedere grande e le gambe corte e tozze, penso, mentre il rumore come di acqua che scorre mi fa capire che quello deve essere il cesso della cella.
Si rialza, passandosi la gonna in mezzo alle gambe per asciugarsi, rimette a posto il bidone sotto al lavandino ed apre il rubinetto.
Una breve sciacquata alla faccia, una rapida bevuta con le mani messe a conca sotto il getto d’acqua e torna al suo posto, sempre trascinando la catena a terra.
In quel momento realizzo che anch’io ho bisogno di andare in bagno, così provo ad alzarmi.
Sono debole e traballante e poi, penso, la catena arriverà fino lì?
La mia prima passeggiata da prigioniera incatenata non è per niente piacevole.
Il pavimento di cemento è ruvido e sporco e l’anello alla caviglia pesa e mi sfrega fastidiosamente sulla pelle.
La catena arriva perfettamente fino al lavandino, chi mi ha rinchiusa qui, deve averne calcolato con cura la lunghezza.
Scosto il bidone dal muro e mi venne un conato di vomito.
L’odore è ributtante e mi basta un’occhiata rapida al contenuto del bidone per rendermi conto che devono essere molti giorni che non viene vuotato.
Per fortuna sono abbastanza alta da non doverci poggiare sopra il sedere e riesco, tenendomi la gonna completamente arrotolata, a non sporcarmi.
Apro il rubinetto del lavandino. L’acqua almeno sembra buona, fresca e pulita, così mi passo più volte le mani bagnate sul viso, poi mi dirigo verso l’altra donna, ma la catena finisce dopo un paio di metri, evidentemente è calcolata per arrivare al lavandino ed al cesso, ma se l’altra si trova nel suo angolo, non posso raggiungerla, così non mi resta altro da fare che tornare da dove sono venuta e sedermi sul materasso.
Provo più volte ad attirare l’attenzione di quella che dovrebbe essere la mia compagna di sventura, ma lei rimane silenziosa ed immobile, come se stesse dormendo.
Ad un certo punto sento un rumore provenire da fuori, poi vedo un po’ di luce filtrare da sotto la porta.
Contemporaneamente l’altra donna si scuote, si alza in piedi e si dirige velocemente verso la porta.
‘Ehi, ma che succede?’, grido io infastidita e preoccupata per l’ostinato silenzio dell’altra.
‘E’ qui!’
‘Ma chi è qui?’ Grido più forte.
In quel momento, una luce potente ed accecante invade la stanza, la porta si apre ed io, per la prima volta, vedo quello che diventerà il mio carceriere, almeno vedo di lui quel poco che mi è concesso.
è completamente vestito di nero, incluso un passamontagna con due piccoli buchi per gli occhi ed uno più grande per la bocca.
Richiude rapido la porta, dietro di sé, e rimane immobile, a gambe leggermente divaricate.
L’altra donna si è inginocchiata di fronte a lui e sta armeggiando con i pantaloni della sua tuta, chiusi con un laccio di stoffa.
Una volta sciolto il nodo lei gli abbassa i pantaloni; sotto lui indossa dei boxer grigi e noto subito il pene eretto che spinge in fuori contro la stoffa.
Prende delicatamente, con le dita il bordo dei boxer e dopo averlo tirato in fuori abbassa la stoffa, poi si china su di lui ed inizia a succhiarglielo amorevolmente.
Ho usato questa parola perché, nei suoi gesti mi è sembrato scorgere una cura ed una dedizione inusuali, per quel tipo di prestazione.
Nel silenzio irreale della cantina si sente soltanto il rumore che fa la donna mentre lo succhia ed i versi di piacere di lui.
Il tutto dura parecchi minuti poi lei si stacca, ha la bocca e la faccia piene di sperma, ma non si allontana, tira fuori la lingua e glie lo ripulisce per bene, con la stessa attenzione che ha dedicato al pompino.
Quando è certa di aver asportato ogni traccia di sperma, gli rimette a posto prima le mutande e poi i pantaloni della tuta.
Solo allora lei si rialza in piedi, lui le fa una carezza sui capelli e le porge un pacchetto incartato.
A questo punto la donna lo prende e si avvia rapidamente al suo posto mentre lui esce dalla stanza; il tonfo della porta di ferro che sbatte mi scuote.
Sono rimasta immobile per tutto il tempo, ad osservare quella scena folle ed irreale, poi, dopo qualche secondo, la luce si spegne e la stanza ripiomba nella semi oscurità.
Osservo l’altra mentre, allontanatasi abbastanza, apre freneticamente il pacchetto.
Dentro c’è un trancio di pizza al taglio, che la donna addenta con voracità, e in quel momento mi rendo conto che sono parecchie ore che non mangio.
Le troppe birre, la canna e la schifezza che mi deve aver somministrato chi mi ha portata qui, stanno facendo una danza frenetica nel mio povero stomaco, ed ho un disperato bisogno di contenere i miei succhi gastrici.
‘Per favore, dammene un po’, ho fame.’
L’altra si ferma un attimo e solleva il capo. Sotto i capelli sporchi e spettinati ha le labbra e la faccia impiastrate di sperma e di pomodoro.
Si ripulisce la bocca con il dorso della mano e mi dice sottovoce: ‘te la devi guadagnare.’
L’idea di guadagnarmi un pezzo di pizza con un pompino mi fa rabbrividire: non amo particolarmente il sesso orale, specie se non sono io a deciderlo.
Passano diverse ore prima che lui torni.
L’uomo questa volta tiene in mano un porta pranzo di metallo e ne apre il coperchio, mi sembra quasi di sentire il profumo del cibo contenuto.
Vedo l’altra che si alza e comincia a muoversi verso di lui, così la imito.
Lo tiene alto, davanti a noi due e quando io allungo il braccio per prenderlo, mi sento prendere bruscamente per il colletto della camicia.
Prima di rendermi conto di cosa stia accadendo, l’altra mi tira un pugno in faccia ed afferra lesta il porta pranzo, mentre io, dolorante, cado in ginocchio.
Comincio a intuire come funziona e mi rialzo prontamente.
La mia avversaria, convinta di avermi messa KO non si è allontanata abbastanza ed io mi avvento contro di lei.
Riesco ad afferrarla per un braccio ma quella divincolandosi mi da un calcio su un ginocchio e guadagna lestamente la zona della stanza dove non posso arrivare, così non mi resta altro da fare che rimettermi a sedere sul materasso, mentre l’altra divora il pranzo.
Per tutto il giorno lui non si è fatto vedere, ma verso sera sento di nuovo rumori da fuori, allora mi alzo in silenzio, perché l’altra dorme e non si è accorta di nulla.
Si accende la luce e si apre la porta. Ecco, pensò io, almeno la cena è mia.
L’altra si è messa a sedere sul suo materasso e guarda apatica la scena, come se non la interessasse.
Questa volta non ha niente in mano, ma non sembra sorpreso di trovare in piedi, di fronte a lui, la nuova prigioniera.
Mi accompagna al mio materasso e mi costringe a sdraiarmi, poi mi solleva la gonna sul davanti.
Quando lo vedo avvicinarsi con i pantaloni abbassati ed il pene eretto, provo a rimettermi in piedi, ma lui mi da un manrovescio che mi colpisce proprio dove qualche ora prima mi era arrivato il pugno, così ricado distesa sul materasso e lui mi gira la catena intorno al collo.
Immobilizzata e mezza soffocata, non posso reagire.
La gamba sinistra, quella dove sono incatenata è rimasta sollevata e completamente divaricata e sono costretta a mantenerla così, altrimenti corro il rischio di strangolarmi da sola.
Non posso far altro che osservare il pene duro e gonfio che forza le labbra della sua vagina.
Non sono mai stata violentata, anche se in passato, un paio di volte ci sono andata vicina, ma la mia parlantina e la mia presenza di spirito mi avevano salvata.
Ora non posso fare nulla perché la catena mi stringe il collo fin quasi a soffocarmi, ma pure se riuscissi a parlare, temo servirebbe a ben poco.
Per evitare che io possa muovermi, mi tiene stretto in pugno il ciuffo di peli pubici che sovrasta il mio sesso.
Io grido, perché sta tirando forte e mi fa male.
Allenta la presa solo quando mi rilasso e mi metto tranquilla, allora inizia a fare avanti e indietro dentro di lei.
è una sensazione strana, ero partita con l’idea di scoparmi un ragazzo per farmi passare l’incazzatura: della serie io, Giovanna, decido, lo scelgo e comando le danze, e mi ritrovo completamente assoggettata ad uno sconosciuto di cui riesco a vedere solo gli occhi, la bocca e ‘ il pene.
Il fastidio dell’intrusione nel mio corpo, la rabbia del non poter decidere per me, lentamente svaniscono, con il passare dei minuti mi sento più debole, come se stesse succhiando le mie energie e quando infine avverto le contrazioni e lo sperma che mi invade, comincio a comprendere l’atteggiamento di sottomissione dell’altra.
Mi ha lasciata così, con la catena stretta al collo, la gamba sinistra sollevata ed allargata mentre dalla mia vagina continuava ad uscire un filo di sperma, che andava ad alimentare Ho passato una notte orribile, tra i morsi della fame e l’umiliazione per la violenza subita.
Una cosa comincio a capirla: per guadagnarmi il cibo dovrò lottare con quell’altra donna, sporca ed abbrutita.
Battermi per un pezzo di pizza e poi, se risulterò vincitrice, dovrò pure fargli un pompino, a quel bastardo.
No! vaffanculo brutto stronzo, salterò la colazione e mi batterò solo a pranzo.
Il pugno in faccia che ho rimediato mi fa male, sicuramente ci sarà un bel livido, ma senza uno specchio risulta impossibile verificarlo.
Quando la mattina si è accesa la luce e lui è entrato, sono rimasta sdraiata sul letto.
L’altra è già lì, ubbidiente e sottomessa, desiderosa di succhiargli il cazzo per un pezzo di pizza.
Dopo un’ora, però, mi sono già pentita, perché più passa il tempo e più aumenta la mia fame, ma forse non è solo questo, forse la violenza subita ieri sera ha spezzato qualcosa dentro di me.
Provo a parlare con l’altra cercando di convincerla a collaborare.
‘Perché invece di combatterci non ci alleiamo. Cominciamo a dividerci il cibo.’
‘Nooo ‘ non basta, non c’è abbastanza per due, solo una può sopravvivere.’
Un brivido mi passa per la schiena. Una battaglia per la vita, come i gladiatori nell’arena, uno soccombe e l’altro sopravvive.
‘Saltiamogli addosso, in due possiamo sopraffarlo …’
‘Sei scema, siamo troppo deboli, il cibo è drogato, ci lascia abbastanza forza per farlo divertire, ma non per ucciderlo.’
Quando lui entra con il pranzo, si trova davanti due donne pronte a lottare l’una contro l’altra.
Non mi sento bene per niente, sono digiuna da troppo tempo ed ho un terribile mal di testa, ma devo tentare, ho paura che più tempo passerà e peggio sarà.
Questa volta sono io a colpire per prima e parto con un pugno in cui cerco di metterci tutta la forza.
Sento la mano che affonda nello stomaco dell’altra, che si piega in due per il dolore.
Ecco, ce l’ho fatta, dico mentre mi aspetto di vedere l’avversaria finire KO, come negli incontri di pugilato in TV, invece quella mi afferra il capo con le mani e si raddrizza rapidamente, colpendomi con una testata sul naso.
Il dolore mi acceca e mi esplode nel cervello, riesco solo ad avvinghiarmi a lei e finiamo tutte e due per terra rotolandoci sul pavimento sporco, sotto gli occhi del nostro carceriere, o padrone.
Non riesco a tenere gli occhi aperti, continuo a sentire il sangue che mi cola dal naso finendomi in bocca, mentre l’altra mi riempie di schiaffi e pugni.
Solo una può sopravvivere, quelle terribili parole continuano a risuonarmi nella testa, non posso resistere a questa furia scatenata, anche se i suoi colpi non sono poi così forti, così con le ultime forze residue, riesco a colpirla con un pugno in faccia, che ne rallenta la foga quel tanto sufficiente a battere in ritirata.
Fuggo carponi verso il mio materasso e l’altra non mi segue, si alza pesta, sanguinante ma vittoriosa e lui le consegna il porta pranzo.
Non mi resta altro da fare che sdraiarmi sul materasso sudicio, mentre l’altra mangia il pranzo che si è appena guadagnata.
Sono ridotta molto peggio del primo giorno: il naso mi fa un male cane, nonostante lo abbia bagnato a lungo con un pezzo di camicia che ho strappato nel tentativo di medicarmi.
Il mio corpo è pieno di graffi e lividi, ho le ginocchia sbucciate e sia la gonna che la camicia risultano strappate in più punti.
In compenso la sera lui mi lascia in pace e si dedica all’altra.
L’ha fatta mettere a quattro zampe sul materasso e l’ha presa da dietro.
Da dove si trova lei non riesco a capire se glie lo sta ficcando avanti o dietro, ma ha poca importanza, penso mentre combatto con i crampi di una fame ormai incontenibile ed il dolore lancinante al naso, probabilmente rotto.
Domani magari tocca a me mettermi in quella posizione, sempre se sarò viva.
Stranamente, nonostante tutti i problemi, mi sono addormentata facilmente ed ho fatto tutto un sonno, fino al mattino.
Vengo svegliata di colpo dallo stimolo di orinare e mi alzo a fatica per dirigermi verso il lavandino ed il bidone.
Oggi devo assolutamente riuscire a conquistarmi qualcosa da mangiare, più passa il tempo e più mi indebolisco, riducendo le possibilità di sopravvivenza.
Deve mancare poco alla colazione perché anche l’altra si è alzata.
Sicuramente sta pensando dove colpirmi, sta cercando di individuare il punto in cui farmi più male.
Anche se il giorno prima ha vinto il combattimento, anche lei è stata colpita duramente, vedo, mentre si avvicinava, che ha un occhio bluastro ed un profondo taglio sul labbro inferiore, più una serie di graffi freschi, che le solcano le braccia ed il collo.
Parte subito, all’improvviso, con un manrovescio diretto al mio naso ferito, che riesco a scansare tirandomi indietro.
Se mi prendeva, con il male che mi fa già senza toccarlo, mi avrebbe messa fuori combattimento subito, penso, mentre ribatto con un calcio violento che centra il ginocchio dell’altra.
Questa volta ho colpito duro, mi è sembrato di sentire un crack sull’articolazione, infatti l’altra è finita a terra tenendosi con le mani la rotula colpita.
A questo punto le sono salita sulla pancia cominciando a prenderla a schiaffi in faccia e quando lei si è riparata il viso con le mani, le ho strappato la maglietta ed ho continuato schiaffeggiandole i seni.
Ha le tette larghe e poco sporgenti, con i capezzoli piccoli, grida disperatamente mentre io, ormai fuori di me, continuo a colpirla alla cieca.
Alla fine, rendendosi conto che non poteva più controbattere, con uno sforzo disperato, è riuscita a scrollarsi di dosso il mio peso ed ha battuto in ritirata.
Ho vinto!
Presa dalla foga avevo dimenticato la condizione per avere il pezzo di pizza.
Cerco di convincermi che è fondamentale mangiare qualcosa, a qualsiasi costo.
‘Bada a quello che fai, se sento solo i tuoi denti sfiorarmi l’uccello, ti taglio le orecchie.’
Mi sforzo di pensare che lo tratterò con il massimo riguardo, perché ho già abbastanza problemi.
I pompini non sono mai stati la mia cosa preferita, specie perché detesto ingoiare lo sperma alla fine, ma ora non mi posso certo permettere di dettare condizioni, mi sforzo di ricordare come aveva fatto l’altra il giorno prima, ma lui, a scanso di equivoci mi da indicazioni precise su come comportarmi.
Non posso non sentirmi sottomessa: in ginocchio di fronte a lui, che mi da ordini e ogni tanto, se non è soddisfatto del mio movimento, mi guida muovendomi la testa.
Lo sento crescere nella mia bocca mentre la residua voglia di ribellarmi si dissolve, finché non mi spara tutto dentro.
Devo aspettare, lo lascia dentro la mia bocca e mi massaggia le guance, finché non inghiotto tutto, rimaniamo ancora così per un po’, poi lo estrae e mi ordina di leccarlo.
Mi dice che devo fare un lavoro preciso, mi ordina di scappellarlo completamente con le mani ed io tremante per la paura di sbagliare, abbasso lentamente la pelle che lo ricopre.
Mi indica dei residui solidi e giallastri, probabilmente lì da giorni, e li rimuovo con la lingua, cercando di non pensarci troppo.
Per ultimo glie lo rimetto dentro le mutande, stando attenta a non far strusciare la punta contro la stoffa, poi gli risistemo i pantaloni della tuta.
Ho finito, mi da il permesso di alzarmi e, finalmente, mi consegna il tanto agognato pacchetto rivestito di carta oleata.
La pizza è fredda e secca, ma mi sembra la cosa più buona del mondo, mentre, seduta sul materasso, la sgranocchio sotto gli sguardi furiosi della sua avversaria, che se ne sta dall’altra parte, tenendosi con le mani il ginocchio rosso e gonfio.
Al momento del pranzo, è andata anche meglio, perché l’altra, ha provato a raggiungere il punto dove avremmo lottato, ma non riusciva quasi a camminare, visto che trascinava a fatica la gamba con il ginocchio gonfio, così, quando ha visto il piglio battagliero con cui avevo occupato il centro dell’ipotetico ring, ha deciso di rinunciare al combattimento ed al pranzo.
Un piatto di spaghetti al pomodoro quasi freddi ed appiccicati e poi un petto di pollo alla piastra con contorno di verdura cotta, anche questo quasi freddo.
Potrebbe definirsi uno dei peggiori pranzi che abbia mai consumato, ma data la fame che ormai mi tormenta da troppo tempo e la fatica che mi è costato, mi sembra la cosa più buona del mondo.
Con il passare delle ore ho capito quale fosse la contropartita del mangiare.
L’altra mi aveva detto che il cibo era drogato, lì per lì non ci avevo creduto, ma ora mi sento una stanchezza strana, come se i miei riflessi fossero allentati, certo, neanche la debolezza causata dal digiuno prolungato, andava bene, ma questa strana rilassatezza che mi sta prendendo non è affatto naturale.
Quando lui è entrato di nuovo, mi ero addormentata.
‘Su, tirati su.’
Mi sento molle e fiacca e lui ha dovuto faticare parecchio perché io mi disponessi a quattro zampe, con mani e ginocchia che affondano nel materasso.
Ho capito subito le sue intenzioni e chissà, penso, magari ha aspettato che fossi bella sazia di cibo drogato per potermi fare questo.
Protesto debolmente quando lui mi allarga le chiappe e comincia a spingermelo dentro. Fa parecchio male, più di quella unica volta che Carlo mi aveva convinta a farmelo ficcare dietro, ma quell’uomo è troppo forte per me, oppure io sono troppo debole, e così, dopo qualche tentativo non troppo convinto di sottrarmi alla penetrazione, cedo e me lo ritrovo tutto dentro, al punto che sento il suo ventre premere contro il mio sedere nudo.
‘Su, datti da fare, muoviti’, e par farmi capire cosa intende, mi spinge leggermente in avanti e poi mi costringe a tornare indietro. Dondolo facendo perno sulle ginocchia, spostandomi di quel tanto da non farlo uscire completamente, sono stanca morta, vorrei sdraiarmi e dormire, ma come rallento, lui mi costringe a riprendere il ritmo giusto.
Sembra divertirsi e ogni tanto è lui a rallentare, forse per non venire troppo presto, poi ad un certo punto decide di prendere in pugno la situazione e mi sento afferrare forte per i fianchi.
Me lo ha piantato ancora più in profondità, strappandomi un grido di dolore e mi costringe a muovermi più velocemente, finché non sento lo sperma che mi riempie, mentre le contrazioni si susseguono.
è rimasto ancora un po’ dentro di me, poi lo ha sfilato prima che si ammosciasse del tutto, lo ha ripulito sulle mie chiappe nude e se ne è andato..
Ormai senza forze, mi sono addormentata sul materasso bagnato, senza trovare le energie per raggiungere il lavandino e provare a darmi una pulita.
La mattina dopo ho sperimentato l’effetto del cibo drogato: nonostante l’altra fosse completamente digiuna ed avesse un ginocchio gonfio, ho faticato parecchio a conquistarmi il pezzo di pizza.
Lui non mi ha detto nulla, ormai da per scontato che io abbia capito capito cosa fare e chi comanda.
Quando ho avuto la pizza tra le mani mi sono messa in piedi, in mezzo alla stanza, e l’ho mangiata lentamente, rivolta verso la mia avversaria, che mi osservava sconfitta ed abbattuta.
In realtà non mi sento per niente bene, ma cerco di ostentare una forza fisica che non ho, per scoraggiare la mia avversaria.
La lotta per il pranzo è stata dura e difficile.
Ho eliminato la camicetta, già discretamente strappata dalle lotte precedenti, pensando che sarebbe meglio preservarla per la notte, visto che la cella è fredda.
Così mi presento indossando solo la gonna ed il reggiseno, cercando di tenere le spalle larghe, per apparire più forte di quello che sono.
L’altra sta direttamente con le tette di fuori, perché io, il giorno prima le ho strappato la maglietta e sotto non aveva nient’altro da indossare.
è stata una battaglia strana, tra due contendenti in condizioni totalmente diverse: una azzoppata che si spostava con difficoltà, ma furiosa e desiderosa di riconquistare la sua supremazia, l’altra in teoria a posto fisicamente, ma annebbiata dalla droga evidentemente contenuta nel cibo.
Per un po’ ho avuto la meglio, sfruttando la migliore mobilità e la statura maggiore, sono riuscita a tenere lontana la mia avversaria ed a colpirla più volte.
Ad un certo punto, sfruttando la lentezza dei miei movimenti, è riuscita ad afferrarmi e siamo finite in un furioso corpo a corpo sotto gli occhi di lui, che si godeva la scena, tenendo in mano il porta pranzo che avrebbe premiato la vincitrice.
è una furia: una gragnola di pugni, schiaffi e calci che riesco ad evitare solo in parte, così, non sapendo più come contenerla, mi sono stretta addosso a lei, cercando di bloccarla con le braccia.
Quella, per tutta risposta mi ha morso.
Ho sentito una fitta terribile al seno, allora l’ho afferrata forte per il collo, ma lei teneva duro e continuava ad affondare i denti nella mia carne, poi ho sentito che stava allentando la pressione del morso, così ho aumentato la presa sul collo, finché l’altra non ha aperto la bocca e l’ho spinta lontano da me.
Ho vinto anche questa volta ma a caro prezzo. Certo, la mia avversaria se ne sta in ginocchio per terra, mentre tossisce e cerca disperatamente di far entrare aria nei suoi polmoni, ma io ho il petto pieno di sangue ed il dolore lancinante mi stordisce.
Tornata al mio materasso, prima di mangiare, mi sono tolta il reggiseno ed ho controllato i danni.
Il morso, affondato con l’intera dentatura, è profondo e l’orlo della ferita appare frastagliato.
Ho posato al sicuro sul materasso il porta pranzo e sono tornata al lavandino per tentare di medicarmi.
Se non avessi avuto la presenza di spirito di stringerle il collo, quella mi avrebbe staccato di netto il capezzolo con un bel pezzo di carne.
Alla fine sono stata costretta a sacrificare una manica della camicetta per ricavare una benda con cui ho fasciato il seno ferito.
Dopo aver mangiato avidamente il pranzo mi sono addormentata.
La droga che sicuramente ci mette dentro mi annebbia e mi stordisce, togliendomi la volontà di reagire.
Mi ha svegliata lui.
è tornato da me e mi ha costretta a rimettermi a quattro zampe.
Questa volta non mi sono ribellata e, rassegnata, gli ho offerto spontaneamente il mio culo, anche se so che mi farà male, perché sono ancora molto indolenzita per la sera prima.
Mi ha penetrato con sorprendente facilità, poi mi ha data una leggera sculacciata e mi ha detto semplicemente ‘vai!’, ed io ho cominciato a muovermi, cercando di indovinare il giusto movimento.
L’altra, la mia avversaria, dall’altra parte della stanza, mi guarda con odio.
è gelosa? Vorrebbe il suo padrone tutto per lei?
è quello che vorrei anch’io?
è venuto spingendomi forte da dietro, ed io sono caduta con la faccia contro il materasso, mentre lui, al culmine premeva così forte che sentivo i testicoli schiacciati sull’inguine.
Il tempo di chiudere la porta e spegnere la luce ed io mi ero già addormentata.
Io e la mia avversaria, di cui continuo ad ignorare il nome, siamo in una specie di altalena, intendo quelle con due persone sedute alle estremità, dove una sale e l’altra scende.
Quando riesco a conquistarmi il cibo, lì per lì mi rinforzo, poi però l’effetto della droga, giorno dopo giorno, mi rende sempre più annebbiata e stordita, finché l’altra non riesce a prendere il sopravvento e sono io a restare senza mangiare.
Il digiuno mi rende furiosa e, quando l’effetto della droga nel mio corpo diminuisce abbastanza, torno a lottare, la batto e ricomincio a mangiare.
Ormai sono abituata ad essere colpita, non sento quasi più il dolore e non mi curo delle mie condizioni. Sono sporca, piena di lividi e di ferite, il mio aspetto è identico a quello della mia avversaria, che mi aveva così colpito quando avevo fatto il mio ingresso in questa prigione.
Il naso non mi fa più male anche se, toccandolo, ho l’impressione che sia rimasto storto, ma qualche giorno fa sono riuscita a ricambiare il favore: le ho dato una bella testata ed ora è lei che va in giro con il naso gonfio e rosso da sembrare un clown.
Ma c’è l’altro aspetto: lui, il nostro carceriere.
Non so se dipenda dalla droga o dalla mia condizione di prigioniera.
La catena legata alla caviglia ha un grosso significato psicologico, perché mi ricorda, in ogni momento, che sono prigioniera, sottomessa, che non posso disporre di me.
L’anello è pesante, mi batte sulla tibia e, quando cammino, il bordo inferiore mi struscia sull’attaccatura del piede. all’inizio mi ha fatto venire una piccola piaga, poi, lentamente si è cicatrizzata ed ora c’è una protuberanza scura e callosa, che temo mi resterà anche quando non sarò più incatenata.
Ma accadrà mai?
Comunque, nonostante il callo e l’abitudine, continuo a sentirlo. Pensavo che sarebbe stato come gli anelli alle dita, che dopo un po’ non te li senti più addosso, ma questo no, continuo ad avvertirne il peso, la consistenza ed il freddo del metallo grezzo, ruvido ed ossidato, che sfrega sulla mia pelle.
La catena poi, quando scorre lungo il pavimento di cemento, produce un rumore cupo di ferraglia. I primi giorni cercavo di tenerla sollevata con le mani, per non sentirlo, ma era troppo pesante ed ho dovuto rinunciare.
Ormai sono completamente sottomessa a lui, i miei gesti, quando la mattina glie lo tiro fuori dai boxer ed inizio a succhiarglielo, sono esattamente identici a quelli dell’altra e delle volte ripenso al mio stupore quando, appena arrivata in questo posto, l’avevo vista all’opera.
Ora siamo uguali, due gocce d’acqua, sporche, ammaccate e completamente sottomesse, due schiave che desiderano solo accontentare il loro padrone.
La sera, quando lui viene a trovarci, spero che scelga me, all’inizio lo temevo, non volevo che violasse di nuovo il mio corpo, poi è subentrata la rassegnazione.
Non avevo la forza, sia fisica che mentale, per oppormi, così mi sono abituata, ma ora è diverso.
Vedevo gli sguardi di odio dell’altra quando lui sceglieva me e pensavo, poveretta, guarda come è ridotta, ora invece sono diventata come lei e vorrei che il mio padrone mi penetrasse tutte le sere.
Dopo la prima volta non mi ha più scopata, si è limitato sempre a ficcarmelo dietro ed io, dopo che se ne è andato, spesso mi masturbo fino all’orgasmo, prima di addormentarmi, sognando che lui torni ancora.
Le prime volte, dopo che era andato via, mi alzavo e cercavo di lavarmi sommariamente, ora ci ho rinunciato, tranne quando mi viene il ciclo.
La prima volta è stato un problema, visto che non posso disporre di assorbenti, così ci ho ficcato un pezzo di stoffa della camicetta ed ho cercato di tenerlo fermo legandolo con il reggiseno che si era strappato durante i combattimenti.
Non credevo che sarei arrivata ad un simile livello di abbrutimento. Prima conducevo una vita disordinata, ma il mio aspetto era curato, mi lavavo, mi truccavo, andavo dal parrucchiere, mi vestivo con cura, insomma il mio disordine era dentro, nella testa.
Ora invece sono un disastro, anche se non posso vedermi la faccia, sono in grado di farmene un’idea osservando l’altra. Per tutto il resto lo vedo da me: sono un essere sudicio, puzzolente e lacero, pieno di segni e di cicatrici e comincio a pensare che non uscirò più da qui.
Mi chiedo quale uomo potrebbe desiderarmi, ridotta così.
Il ragazzo riccio, ultimo uomo con cui ho fatto sesso da donna libera, scapperebbe via se mi vedesse in queste condizioni.
Solo lui.
Solo il mio padrone mi desidera.
Mi desidera?
No. Vuole solo svuotarsi dentro di me. Gli interessano solo i miei buchi, che lui prende quando vuole e che io gli offro, sperando che mi scelga anche il giorno dopo.
In questi giorni, sull’altalena, sono in alto.
Oggi ho mangiato ed ora sto aspettando che lui arrivi.
Ormai è chiaro, sceglie sempre quella che ha vinto il pranzo, lasciando l’altra, digiuna e furiosa, a godersi, si fa per dire, la scena.
Posso solo aspettare, non so quando verrà, non ho un orologio, ma so che prima o poi verrà, mentre sento il torpore che mi prende.
Non so se con il tempo stia aumentando le nostre dosi di droga o, semplicemente, questa, accumulandosi nell’organismo, alla lunga faccia più effetto.
Forse domani mangerò, ma so che fra due, al massimo tre giorni, l’altalena si sposterà in favore della mia avversaria ed io resterò seduta, digiuna e frustrata, ad osservare lui che si sazia con l’altra.
Ecco, si è accesa la luce. Lo fa sempre con la luce accesa, perché vuole umiliare quella che è stata sconfitta, almeno penso così, in modo che la rabbia faccia crescere in lei la volontà di ribaltare l’altalena.
Si dirige verso di me.
Guardo verso l’altra, seduta a gambe incrociate sul suo materasso, se non avesse la catena verrebbe qui e mi riempirebbe di botte. Il suo sguardo rappresenta tutta la rabbia che ha dentro di sé, probabilmente anche io ho un’espressione simile quando le nostre parti si invertono.
Mi metto in posizione, a quattro zampe sul materasso e arrotolo la gonna fino alla vita.
A lui piace osservare il mio sedere nudo, prima di ficcarmelo dentro.
Mi entra dentro facile e ormai non mi fa più male: i miei tessuti sono allenati, abituati.
Già, Giovanna, ti sei abituata a prenderlo nel culo.
Inizio a muovermi, lo sento scorrere avanti e indietro dentro di me, mentre si fa più duro, almeno così mi sembra.
Le sue mani intanto mi aprono la camicetta, o quello che ne resta.
I bottoni sono saltati tutti e così me l’annodo sul davanti, lasciando scoperta la pancia.
Lui dopo aver sciolto il nodo comincia a carezzarmi i seni, ho ancora due belle tette, a parte la cicatrice del morso, ma per lui va bene così.
Ormai ho imparato quando rallentare e quando premere sull’acceleratore, senza che lui mi dica nulla, sono diventata brava.
Lo sento, sta per venire, allora il mio movimento si fa più profondo, mentre il suo respiro si fa affannoso.
Penso all’altra che starà schiattando di rabbia e lo sento venire.
Non so nulla di lui, che faccia abbia, l’età, niente.
Posso solo dire che è alto, robusto ed ha un cazzo grande che produce molto sperma, visto che tutte le volte mi inonda.
Ha finito, lo sento uscire da me, poi i suoi passi che si allontanano, la porta si chiude e, infine la luce si spegne, facendo piombare la stanza nel buio.
Io sono rimasta nella stessa posizione e sento lo sperma che esce a fiotti dal mio culo sfondato, poi lentamente mi giro e mi sdraio, mentre la mia mano corre verso la mia vagina che aspetta la sua dose di piacere.
Buonanotte Giovanna, mi dico dentro di me mentre raggiungo l’orgasmo ed i gemiti, che non voglio e non posso trattenere, echeggiano nella nostra buia prigione.
Oggi è successo qualcosa di nuovo, un evento che mai mi sarei aspettata.
Dopo molto mesi, l’altra non c’è più.
Lui è venuto la mattina presto e noi eravamo entrambe a letto.
Io, ancora mezza assonnata, mi sono messa a sedere sul materasso, per capire cosa stesse succedendo.
Si è diretto verso l’altra.
L’ho visto un po’ armeggiare con il lucchetto e poi l’ha fatta alzare.
Sono usciti insieme e la catena è rimasta lì per terra.
La mia avversaria, con cui mi sono ferocemente battuta per mesi, ha lasciato la prigione, con indosso i suoi stracci laceri e, intorno alla caviglia, l’anello di ferro senza più il lucchetto e la catena.
Dovrebbe essere contenta, penso io, invece il suo sguardo esprime disorientamento, quasi paura.
Ma come, ti libera, dovresti essere felice.
Poi ho pensato che l’unica cosa certa era che usciva da questa cella, la libertà, beh, questa è tutta da vedersi.
Ho passato la mia prima giornata di prigionia da sola, questo ha significato colazione e pranzo garantiti, senza combattimenti.
La sera, quando si è accesa la luce ero già pronta: tocca a me, per forza, visto che sono l’unica.
Invece le sorprese della giornata non erano ancora finite, perché l’ho visto entrare con un corpo sulla spalla, caricato come se fosse un sacco di patate.
Allora ho capito che la mia avversaria era stata sostituita con un’altra.
è una donna mora e alta, dal fisico magro e vestita in maniera elegante, con un tailleur a quadretti bianchi e neri.
Sicuramente l’ha narcotizzata, perché quando la adagia sul materasso lei rimane inerte come una bambola di pezza.
Così ho potuto vedere, proiettata sulla nuova arrivata, l’inizio della mia prigionia.
Ha cominciato togliendole l’orologio da polso, gli anelli, gli orecchini e la collana di perle che ha infilato in una busta di carta, poi, dopo averla messa seduta, le sfila la giacca del tailleur.
Ci fatica un po’ perché con una mano deve mantenere il busto verticale mentre con l’altra cerca di toglierle l’indumento, ma lei tende a ricadere distesa, e questa specie di balletto va avanti qualche minuto.
Ora è di nuovo sdraiata e lui, chino sul suo corpo immobile, le toglie le scarpe eleganti, con il tacco alto e fino.
Vedo le sue mani carezzarle le caviglie e vengo percorsa da un brivido: ecco, anche a me deve essere andata così.
Le solleva completamente la gonna e sotto il collant scuro e velato, intravedo un minuscolo slip nero.
Indugia sulle sue gambe, le sue dita l’accarezzano più volte, poi inizia a sfilarle le calze, ma lo fa molto lentamente, come se volesse assaporare più a lungo questo piacere.
Si ferma a contemplare il lavoro fatto, poi prende un sacco di plastica grigia e ci ripone dentro gli indumenti che le ha tolto.
Ora le sue dita la sfiorano in mezzo alle gambe ed io inizio a toccarmi, pensando di essere al suo posto, ma la nuova arrivata resta immobile ed insensibile, poi lui prende la stoffa delle mutandine per i bordi ed inizia a tirare.
Si sofferma a carezzare la fessura stretta e chiusa del suo sesso, passa leggermente le dita sui bordi più scuri ed appena in rilievo, poi prosegue nel toglierle lo slip che finisce nel sacco insieme al resto.
A questo punto esce dalla stanza e torna subito dopo spingendo un carrello pieno di attrezzi.
Lavora con calma, tranquillo, sicuro che lei si sveglierà solo tra qualche ora.
Le allunga sul materasso la gamba destra e le mette intorno alla caviglia un anello identico a quello che porto io da mesi, poi vedo il bagliore di una fiamma.
Mi tiro su per osservare meglio: avvicina alla fiamma una specie di grosso chiodo, tenendolo con una lunga tenaglia.
Lo vedo diventare lentamente rosso, mentre lui lo gira per scaldarlo meglio, poi lo infila attraverso i due occhielli presenti sulle due metà dell’anello.
Batte il chiodo ancora rovente con la tenaglia per farlo entrare bene e poi svelto, ne afferra l’estremità e la piega mentre è ancora caldo.
A questo punto prende la catena con il lucchetto e la fissa all’anello.
Dormi tranquilla bella mia, non sai ancora cosa ti succederà, penso mentre osservo da lontano il suo viso curato, perfettamente truccato, ignaro dell’esperienza che l’aspetta.
Si è svegliata giusto in tempo per la colazione e la prima cosa che ha visto è stato il pompino mattutino.
Non deve esserle piaciuta la scena perché ha cominciato a gridare mentre strattonava la catena, nel vano tentativo di liberarsi.
è spaventata e non riesce a comprendere dove sia mai finita, mi arrivano alle orecchie i suoi singhiozzi disperati, mentre io porto a termine l’ennesimo servizio al mio padrone.
Alla fine restiamo sole, lei seduta sul materasso, con la testa tra le mani ed io in piedi che mi mangio il mio bravo pezzo di pizza.
Mi rivolge la parola, mi dice di chiamarsi Rossella, mi fa un sacco di domande, vuole capire cosa succede, ma io non rispondo.
Cara mia, è inutile che io sprechi il fiato a spiegarti, avrai tutte le risposte che desideri, nei prossimi giorni.
Alla fine, visto che continuo a non le risponderle, si decide ad alzarsi e viene verso di me.
è parecchio alta e da come cammina mi viene quasi da pensare che abbia fatto la modella.
I suoi piedi nudi sembrano quasi sfiorare il pavimento sudicio, l’unica nota stonata è la catena che lei si trascina dietro e che sferraglia lugubremente.
Quando è vicina a me decido di spostarmi, perché non voglio avere contatti inutili con lei, bella mia, vedrai che contatti che avremo nei prossimi giorni.
La sua camminata termina con lo strattone della catena, perché senza accorgersene è arrivata al massimo della sua estensione.
‘Aspetta, non te ne andare.’
Sembra sempre più spaurita e spaventata, poi si mette le mani davanti all’inguine.
‘Per favore devo andare in bagno, non ce la faccio più.’
Io, con un ghigno, le indico il bidone sotto al lavandino e lei mi ricambia con uno sguardo perplesso, poi si avvicina.
‘Oddio, che schifo, non posso farla lì.’
‘Falla per terra, se preferisci.’
‘Ma come faccio?’
‘Ti ci metti sopra e la fai.’
Ora che rivivo l’esperienza sulla pelle della nuova arrivata, capisco la raffinatezza dei dettagli, messi a punto, uno per uno, dal nostro carceriere, per spezzare la resistenza delle sue prigioniere.
Alla fine si rassegna e, tenendo la gonna sollevata, ci si mette sopra. Se ne sta in punta di piedi, cercando di tenere più distanza possibile tra il suo corpo ed il bidone puzzolente, poi se ne torna mestamente nel suo angolo.
Quando è arrivato il pranzo si è alzata e si è diretta verso di lui, con passo morbido ed elegante, come se si fosse nel foyer di un teatro in attesa della prima, e non incatenata in un lurido scantinato.
Vuole delle spiegazioni, lo chiama curiosamente signore, mentre io prendo il porta pranzo e me ne torno al mio posto.
Proprio mentre lui sta uscendo gli chiede qualcosa da mangiare ma non ottiene nessuna risposta, allora torna a rivolgersi a me, chiedendomi un po’ di cibo.
Le dico soltanto che se lo deve guadagnare, le do la stessa risposta che ebbi io appena arrivata. Lei mi guarda stupita, ma non ha il coraggio di pormi altre domande.
Il resto della giornata è passato liscio, ma io so che, se lui è meticoloso come ho imparato in questi mesi, la nuova arrivata avrà presto il suo battesimo, e che battesimo.
è rimasta per ore rannicchiata in un angolo, senza più provare a parlare con me, ma quando si accende la luce si scuote e si alza in piedi.
Io so già cosa accadrà, ma anche lei lo scopre subito, perché, appena entrato, lui si abbassa i pantaloni e si dirige verso la nuova arrivata.
Lancia un grido acuto e cerca di scappare, ma ha dimenticato la catena, che al massimo le farà fare pochi metri.
In realtà, di strada ne fa anche di meno, perché lui sale con un piede sulla catena bloccandola, poi l’afferra per le spalle e la trascina verso il materasso.
Si sta rivelando più battagliera del previsto, perché si divincola e cerca di fuggire verso la parete di fondo, ma, incatenata e rinchiusa in una stanza senza vie di fuga, non ha alcuna possibilità di scamparla, infatti viene raggiunta e bloccata con le spalle contro la parete.
Lui prende la catena e la tira verso l’alto, costringendola ad alzare il piede.
Tira ancora e le fa allargare la gamba e poi fissa una maglia della catena ad un grosso gancio conficcato nel muro, lasciandola in equilibrio su un piede, con l’altra gamba aperta e sollevata. Si mette a gridare di nuovo mentre lui glie lo affonda dentro, incurante dei pugni che lei gli da sulle spalle, nel tentativo di farlo staccare, poi alla fine si arrende.
Si sentono solo i grugniti di soddisfazione di lui, inframmezzati dai singhiozzi della donna.
Ora non si difende più, le sue braccia restano inerti mentre lui continua a scuoterla sempre più forte, poi sentendo che sta per venire, fa un ultimo disperato tentativo per staccarselo di dosso.
è finita, lui se ne va e la lascia contro il muro, con la gamba incatenata, allargata ed appesa al gancio.
Ci mette un po’ a riprendersi e, dopo qualche tentativo riesce a sganciare la catena e liberarsi da quella scomoda posizione.
La osservo mentre si incammina di nuovo verso il lavandino ed il suo passo mi sembra incerto e non più elegante come all’inizio, lo stupro appena subito deve aver già intaccato la sua forza d’animo.
Si sciacqua disperatamente in mezzo alle gambe, come se l’acqua potesse cancellare quello che ha subito, poi ritorna al suo posto.
Ora appare un po’ più rinfrancata, anzi sembra arrabbiata con lui, grida, lo insulta, come per scaricarsi, ma non sa che nella cella c’è una telecamera e lui spia sempre i nostri movimenti, così dopo qualche minuto la porta si apre di nuovo.
Lei, che gli stava dando del vigliacco e del bastardo, rimane come fulminata, con il braccio alzato, mentre lui si avvicina di nuovo.
Questa volta la sbatte sul materasso e le sale sopra, lei grida come un’aquila ma non può fare nulla.
Continua ad insultarlo, mentre lui la scopa furiosamente, poi, piano piano, le sue grida si fanno più fievoli, le braccia smettono di spingere sul petto nel tentativo di allontanarlo e si mette tranquilla.
Alla fine le combina pure uno scherzetto pesante perché si scosta e, tenendoselo in mano comincia a masturbarsi, indirizzando alla fine il getto di sperma sul viso di lei, che continua a gridare, ottenendo come risultato di inghiottirne una buona parte.
Dopo questa esperienza ha evitato di insultarlo nuovamente, si è seduta in un angolo e non si è mossa più.
Mi aspettavo che si andasse a lavare la faccia, invece sembra come svuotata di ogni energia.
La mattina successiva mi sono alzata di cattivo umore, perché ormai sono abituata alle sue visite serali e sono quasi gelosa che si sia dedicato alla mia prossima avversaria.
Non avrei mai creduto che un giorno mi sarei assoggettata ad un uomo in una tale maniera: sono la sua schiava, gli succhio il cazzo la mattina e me lo faccio ficcare dietro la sera ed ora è arrivata questa nuova ‘
Per ora il pompino è mio, solo mio, con la coda dell’occhio, attraverso i capelli sporchi e non tagliati da un mucchio di tempo, guardo verso di lei.
Ha un’aria schifata e sono sicura che non ha mai pensato lontanamente di fare una cosa del genere.
Quando dopo aver finito lui mi porge la pizza, si alza in piedi.
‘Per favore, mi dia qualcosa da mangiare, non ce la faccio più.’
Lui la guarda e le risponde, indicando in mezzo ai pantaloni: ‘accomodati.’
Si è rimessa subito a sedere sul materasso, prendendosi la testa tra le mani.
Io potrei aiutarla, lasciandole oggi il pranzo, sono molti giorni che mangio e forse un giorno di digiuno mi farebbe bene, perché alleggerirebbe l’effetto della droga che comincia ad intontirmi un po’ troppo, poi però penso che se continua a sentire i morsi della fame, sempre più forti, è probabile che domani mattina, si decida a succhiarglielo.
Non ha ancora capito bene come funziona qui, così quando lui arriva con il porta pranzo io mi sbrigo a prenderlo ed a tornare al mio posto.
è disperata, piange, mi supplica di darle qualcosa da mangiare, ma io non me la filo minimamente.
La sera è tornato da lei.
Quando è entrato, lei se ne stava sdraiata di fianco, con quella gonna a quadretti bella attillata, che le fasciava il sedere.
Ha veramente un bel culo e se ne deve essere accorto anche lui, perché la costringe a mettersi in ginocchio e le solleva la gonna fino alla vita.
Per un attimo vedo due belle chiappe rotonde, con il segno netto del costume che lascia un triangolino bianco, in mezzo alla pelle abbronzata.
Fa parecchia resistenza, strepita, si dimena e lui sembra quasi divertito dalla sua reazione.
Ha un timbro di voce fresco e chiaro, che contrasta con il terrore che traspare nel suo sguardo; mi viene da pensare che, prima di questa esperienza, fosse una donna allegra, solare, non cupa e incazzata come ero io quando sono entrata qui.
Anche se parecchi metri ci separano, riesco a vedere benissimo la scena, glie lo ha poggiato in mezzo alle chiappe, senza spingerlo dentro, in modo che lei lo possa sentire.
è terrorizzata, probabilmente non ha mai fatto un’esperienza simile e cerca di spostarsi in avanti per sottrarsi alla pressione, ma lui si riaccosta, rendendo vano il suo tentativo.
Alla fine, stanco di giocare al gatto e al topo, glie lo spinge dentro e il grido strozzato che lei caccia fuori non ha più nulla di solare.
Ricordo bene quanto faceva male le prime volte, perché lui, il mio padrone, ce l’ha bello grosso e non ha mai avuto riguardo per le sue prigioniere: niente lubrificanti e giù duro.
Ce l’ho fatta perché ho capito subito che era inutile resistere, mi sarei solo fatta più male.
Questa qui lo capirà?
Beh, non è affar mio.
Dopo il primo affondo non ha più avuto reazioni, è rimasta immobile mentre lui le si muoveva dentro.
Ad un certo punto si è fermato e le ha detto qualcosa nell’orecchio. Lei scuote la testa ma lui insiste a parlarle, mentre le poggia le mani sui fianchi e lo spinge più dentro.
Ad un certo punto lei rialza la testa che aveva sempre tenuto bassa dopo essere stata penetrata.
Ha i capelli davanti agli occhi e non riesco a vedere l’espressione sul suo viso, ma lentamente comincia a muoversi.
è quel dondolio sulle ginocchia che io ho imparato diversi mesi fa, perché lui, quando ce lo ficca dietro, vuole che siamo noi a muoverci, così fatica di meno e ci umilia di più. Sembra voler dire: vedi, sei tu chi ti inculi da sola.
Va avanti per un bel pezzo, ogni tanto le si avvicina e le dice qualche cosa a bassa voce e lei adegua il movimento al suo volere.
Alla fine l’ha lasciata lì, con la gonna arrotolata ed il sedere nudo puntato in alto.
Prima che lei si ricoprisse, con un gesto di inutile pudore, ho visto che aveva le cosce rigate di sangue misto a sperma.
Si è alzata dopo qualche minuto ed è andata a lavarsi.
Ha perso quella camminata elegante e leggera che mi aveva colpito all’inizio, ora avanza a fatica e, nonostante sia alta e magra, il suo corpo si muove col lentezza, come se si fosse improvvisamente appesantita.
Benvenuta all’inferno, dico dentro di me, e penso a che tipo di avversaria sarà nei prossimi giorni.
No, non l’ho fatto apposta. Sono giorni che mangio il suo cibo drogato e questa mattina non mi sono alzata, perché ero completamente intontita.
Ho visto accendersi la luce, l’ho sentito entrare ma non ho trovato la forza di alzarmi.
Che succede se nessuna di noi gli fa il pompino?
Intanto se ne sta in piedi e agita il pacchetto con la pizza, sperando di attirarci.
Spero solo che non si incazzi, perché, quando vuole, sa essere molto cattivo, ma temo che oggi andrà in bianco.
Invece, con mia grande sorpresa, l’altra si alza dal materasso e muove verso di lui.
Ha un’aria sofferente e cammina con le gambe leggermente larghe, ha perso quella camminata elegante con un piede poggiato esattamente davanti all’altro, come se fosse in passerella.
Avanza trascinando leggermente il piede incatenato, anche se non sembra, tra anello e catena sono diversi chili di ferro e le ci vorrà del tempo ad abituarsi.
Spettinata, con il trucco sfatto e due profonde occhiaie, sembra molto più vecchia di ieri.
Cerca subito di prendere la pizza.
‘Eh, no’, le fa alzando il braccio che tiene il pacchetto fuori della sua portata.
‘Prima devi aprire questo di pacco’, conclude indicando i pantaloni della tuta.
A testa bassa si mette a sciogliere il laccio che tiene il pantalone.
Ha delle belle mani, con le dita lunghe e le unghie curate e all’inizio non ci riesce, perché è presa da un tremito nervoso, poi, dopo un lungo sospiro, si fa forza e riesce finalmente ad abbassargli i pantaloni.
Il bozzo attraverso i boxer è molto evidente e lei fa un piccolo sobbalzo indietro, ma poi si decide ad abbassargli anche le mutande.
Lui le sta parlando a bassa voce, sicuramente le sta facendo delle raccomandazioni e lei, a capo chino continua a fare cenno di sì.
Alla fine lui le piazza le mani sulle spalle e la fa inginocchiare.
L’impressione è che lei stia per crollare da un momento all’altro, invece tiene duro, apre la bocca e si avvicina.
Il primo approccio è timido, indeciso, poi, lentamente, si fa coraggio, lo stringe bene tra le labbra ed inizia a succhiarlo.
Non deve essere facile, per una signorina di buona famiglia come lei, anche perché lui non lo lava spesso, credo lo faccia apposta per umiliarci di più, ora sono abituata, ma all’inizio mi restava in bocca un sapore pessimo.
Invece tiene duro, anzi non mi sembra neanche troppo dispiaciuta, va avanti tranquilla e lui spesso le parla, le da indicazioni che lei cerca di seguire con diligenza.
Certo il finale è stato la cosa più difficile, perché l’ha presa alla sprovvista e quando lei ha capito cosa stava per succedere era troppo tardi.
Le ha bloccato la testa impedendole di scostarsi e quando lo ha tirato fuori, le ha messo una mano in faccia costringendola a restare con la bocca chiusa.
Momenti interminabili, in cui lei emetteva dei lievi lamenti soffocati, ma non c’è stato nulla da fare, alla fine ha dovuto ingoiare tutto e, solo allora, ha ricevuto il premio per essere stata brava, così ha aperto il pacchetto, strappando la carta ed ha divorato la pizza.
A pranzo ci siamo alzate tutte e due.
Che avversaria sarà?
Lei ancora non sa come dovrà comportarsi per avere il pranzo, ma lo scoprirà presto.
Io sono abbastanza tranquilla, sono allenata ed abituata a sopportare il dolore, e poi non mi sembra né robusta né motivata, una ragazza di buone maniere abituata ad essere servita e riverita, almeno mi da quest’idea.
Lei cerca subito di afferrare il porta pranzo, errore grave perché prima devi neutralizzare l’avversario, e non riesce a parare il mio attacco.
Le ho mollato uno schiaffone in faccia che l’ha lasciata di sasso e, mentre mi guardava stupita, le ho dato un pugno nello stomaco ed ho afferrato il porta pranzo.
è rimasta sorpresa e senza fiato a guardarmi mentre iniziavo a mangiare.
Il giorno dopo le ho lasciato di nuovo la colazione, ero stanca, non mi andava di alzarmi.
Devo dire che fa progressi, sul versante pompini: alla fine ha ingoiato tutto senza fare storie.
Però, sono costretta ad ammettere che mi sta sorprendendo: da come si era presentata, pensavo che avrebbe faticato molto di più ad abituarsi.
Ma la sorpresa più grande è venuta a pranzo. Come il giorno prima, si è avvicinata a me e non aveva l’aria troppo battagliera.
Giovanna, devi colpirla subito, duramente, così capisce che sei tu la più forte.
Certo, i miei riflessi sono discretamente annebbiati dalla droga, però lei è stata veramente fulminea.
Ha parato il mio colpo, afferrandomi il polso con la mano sinistra mentre con la destra mi prendeva il colletto della camicetta.
Mi ha sbilanciata da un lato e proprio mentre il peso del mio corpo si spostava tutto sul piede sinistro, con uno sgambetto indirizzato abilmente sull’altro piede, mi ha sollevato la gamba destra. A questo punto ha spostato il peso del mio corpo sul lato opposto e mi ha spinta indietro.
Si è svolto tutto in un attimo e, prima che mi rendessi conto di quanto stesse accadendo, ero finita con il sedere per terra.
L’ho vista allontanarsi rapidamente con il pranzo ed ho avuto l’impressione che il suo passo fosse tornato leggero ed elegante come il primo giorno.
Ho avuto tutto il tempo per ripensare all’accaduto.
Da ragazzina avevo frequentato per un po’ una palestra di judo, solo qualche mese, perché non mi piaceva, ma abbastanza per ricordare qualcosa.
De ashi ‘ sì, qualcosa del genere, era una delle prime cose che ti insegnavano.
Ora, l’idea di essere finita a confrontarmi con una esperta di arti marziali non mi piace per niente, questa, nonostante il suo aspetto da signorina di buona famiglia, mi massacrerà.
‘ barai, de ashi barai, ecco, si chiamava così.
Per fortuna non è una cintura nera e mi è bastato stare un po’ più attenta nei giorni successivi.
Per evitare di essere sbattuta per terra ho dovuto rinunciare a tentare di colpirla con pugni e schiaffi, così i nostri combattimenti sono quasi sempre dei lunghi e faticosi corpo a corpo, sotto gli occhi divertiti del nostro padrone.
Insomma è ricominciata l’altalena con la mia nuova avversaria, che sembra essersi abituata facilmente a questa vita.
Il combattimento corpo a corpo comporta che spesso ci afferriamo per i vestiti, che dopo un po’ finiscono a brandelli, ma lui ha deciso che qualcosa dobbiamo comunque indossare, così ogni tanto ci porta una maglietta nuova.
Siamo sporche, piene di segni e di lividi, veramente abbrutite e continuiamo a batterci per qualcosa da mangiare, con lui che ci premia, si fa per dire, donandoci il suo sperma.
La metamorfosi della mia antagonista è stata rapidissima, quando è entrata sembrava una principessa, con quei vestiti eleganti e senza un capello fuori posto, sicuramente era molto diversa da me quando sono arrivata in questa prigione.
La guardo ora, se ne sta seduta sul bidone puzzolente, senza temere di sporcarsi, ricoperta solo da una maglietta bianca, sudicia e strappata.
Sul suo culetto, magro e rotondo, ora il segno dell’abbronzatura non si nota più perché la sua pelle ha preso quel colore scuro e sporco che io ho già da parecchio tempo.
Si alza dal secchio e passa al lavandino, la vedo darsi una breve sciacquata, senza sapone, lui non ce lo ha mai dato, perché la nostra sporcizia ed il nostro degrado ci rendono psicologicamente più deboli nei suoi confronti.
La vedo tornare al suo posto poggiando tranquillamente i piedi nudi sul pavimento sporco e ricordo i primi giorni con che cautela camminasse, temendo evidentemente di farsi male o almeno di sporcarsi.
Non procede più come un’indossatrice in passerella, tiene le gambe ben distanti tra di loro avanzando lentamente, perché la catena pesa e poi non c’è fretta, visto che non dobbiamo andare da nessuna parte.
Aspetto che sia tornata al suo posto e mi alzo, oggi non ho mangiato e così cerco di saziarmi bevendo l’acqua dal lavandino.
Tra un po’ lui tornerà e si dirigerà verso la mia avversaria, che si metterà docilmente in posizione per farsi inculare.
Sorrido mentre mi viene in mente che è questo il motivo per cui ora cammina a gambe larghe, già, e tu Giovanna, come cammini ora, come camminavi prima?
Non mi ricordo del prima, e come se la mia vita, prima della mia cattura, fosse qualcosa di remoto, dimenticato, eppure dovrebbero essere passati solo pochi mesi.
è arrivato, si è accesa la luce e lui si è diretto verso la mia avversaria.
è lontano il tempo delle prime volte in cui tentava disperatamente di sfuggirgli, ora si è messa tranquilla a quattro zampe, come lo ha visto.
Le vedo solo per un attimo una piccola smorfia di dolore sul viso, quando la penetra e penso che a me ormai non fa più male, tranquilla, ragazza, è solo questione di abitudine.
Si muove agile e vedo i suoi piccoli seni ondeggiare mentre va avanti e indietro, ora il suo viso è disteso, anzi, è evidente che le piace.
Hai visto, ragazza, facevi tante storie? è questione di abitudine.
Lo sento gemere di piacere, conosco bene la sua voce, i suoi movimenti ed i suoi tempi, sta per venire e intanto inizio a masturbarmi, accidenti a te, sei un dannato bastardo, ma devo ammettere che mi manchi.
Ha finito, l’altra ora si è sdraiata sul materasso e lui, dopo esserselo rimesso dentro le mutande si dirige verso di me.
Non capisco, dopo averlo fatto lui se ne va, è preciso e metodico, ha fatto sempre così.
Forse oggi ha più voglia e vuole ficcarlo anche nel mio culo, così mi metto in posizione, a quattro zampe, sporgendo in fuori il mio posteriore.
Lo sento ridere, allora mi volto verso di lui e vedo che ha in mano una chiave.

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