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Racconti di Dominazione

Di Libertà e Schiavitù – Cap. 1 – Laura

By 31 Agosto 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

Buio, freddo, superfici dure, ruvide e umide contro la pelle nuda. Non uno straccio addosso.
Odore di chiuso, di vomito, e si, odore di urina.
La mia urina. Raggiungo a tentoni un recipiente, probabilmente un largo vaso di ceramica, con all’interno la poca acqua rimasta per bagnarmi le labbra e dissetarmi un poco. Devo stare attenta a non rovesciarla prendendoci contro e pure a non finirla. Non so quando e soprattutto se me ne verrà portata altra. Ho paura. Mi sono risvegliata qui dentro alcuni giorni fa e da allora non ho avuto contatto con nessuno. Il recipiente con l’acqua non è stato ne cambiato, ne nuovamente riempito. Non sono certa di quante ore o giorni siano effettivamente passati. Qui, nel buio più completo, è difficile tenere conto del tempo passato tra un sonno e l’altro. Credo si tratti di più di un giorno e di meno di una settimana. Mi fa male la pancia. Ho fame e ho bisogno di andare in bagno. A pisciarmi addosso mi sono abituata abbastanza in fretta, ma di fare il resto in questo posto, in questo stato, proprio non mi va. Non so per quanto ancora riuscirò ad evitarlo. Il silenzio è interrotto soltanto dai singhiozzi di quando non riesco a trattenere il pianto e dal tintinnio della catena di metallo fissata al collare che indosso. É freddo, di dimensioni generose. Riesco ad infilare le dita tra la mia pelle ed il suo metallo ruvido, ma è pesante ed ha i bordi squadrati, tanto che lo devo spostare di frequente perché mi lascia dei solchi alla base del collo e ho le clavicole indolenzite. Sul fronte c’è una piccola piastra larga circa cinque centimetri, con un anello centrale da cui parte la catena. Ai fianchi della piastra ci sono le cerniere che permettono di far ruotare le due porzioni laterali del collare che vanno a chiudersi tramite una serratura posta sul retro. Sopra quest’ultima è presente infine un grosso anello, rivestito con un imbottitura di pelle , come a formarne una maniglia. La cosa mi preoccupa. La catena è composta da anelli dal diametro di circa cinque centimetri e scende per una lunghezza di un metro o poco più, fino a terminare con un anello più grande fissato ad una piastra imbullonata al pavimento di pietra. Non riesco ad alzarmi in piedi, ne ad allontanarmi più di tanto, sicché tra l’urina e il vomito dovuto al terrore del primo risveglio, non è esattamente il luogo più comodo e pulito in cui mettersi a dormire. Per passare il tempo e non impazzire, ho provato pure a toccarmi massaggiandomi il clitoride e infilandomi dentro un paio di dita. In un occasione sono anche riuscita a venire, mescolando i miei umori all’altra sporcizia in cui ormai sono perennemente immersa. Certo in una situazione del genere venire non è stato semplice e così sono arrivata scoparmi l’anello alla base della catena. Saranno circa sette, otto centimetri di diametro. Tenendolo diritto in verticale, sedendomici sopra e divaricando le labbra con una mano, ho spinto fino a fare entrare quel grosso anello ferroso e arrugginito dentro di me, e una volta inserito, ho strofinato il clitoride con gli anelli della catena stretta fra le mani mentre muovevo i fianchi per godere dell’anello. L’orgasmo di una scopata tanto violenta, isterica ed estrema è stato così forte che nello spasmo mi sono rotta un unghia, schiacciandomi le dita tra l’anello e il pavimento. Subito ho iniziato a piangere, vergognandomi del mio stesso orgasmo e del mio corpo, che aveva risposto al piacere, guidato da una mente così malata dall’essere riuscita a pensare di toccarmi in una situazione simile. Mi faccio schifo, e ho paura. Paura di cosa accadrà quando si aprirà la porta, anche se non riuscendo a raggiungere le pareti non sono riuscita ne a vederla ne a toccarla; ma ancora più forte, è la paura che quella porta non si apra affatto, e morire qua, di fame e di sete, nuda, tra i miei escrementi. Ecco, per l’appunto, non riesco neanche più a trattenerli.

Fu così, che dopo tre giorni di detenzione, Laura cedette e si arrese alla situazione; mettendosi a 4 zampe, tesa, nel tentativo di allontanare il proprio culo dal centro del suo giaciglio, col collo tirato dal collare, iniziò a defecare come un cane. Nel mentre, lacrime le rigavano il volto e scendevano sulle labbra. Un sapore salato che sapeva di vergogna ed umiliazione.

E fu li, che un nuovo fremito si accese nel suo basso ventre.

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