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Racconti di Dominazione

Era lì

By 28 Luglio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Era lì, in ginocchio, nuda, con il sedere sui talloni e le mani sulle ginocchia. Lo sguardo basso, la coda di cavallo, la mano del padrone che la accarezzava mentre guardava la tv. La accarezzava con dolcezza, una dolcezza che sembrava quasi non potesse uscire da quell’uomo così deciso ed autoritario.
Aveva finito i suoi compiti del giorno, aveva eseguito tutti gli ordini che aveva ricevuto, aveva subito le punizioni che si era meritata, era stanca, ma non c’era altro posto al mondo in cui avrebbe voluto essere in quel momento.
La giornata era iniziata portando la colazione in camera al suo Padrone e restando in piedi perché a lui piaceva ammirare il suo corpo nudo; gli piacevano le sue forme, gli piaceva toccare il suo corpo e, questo, a lei la faceva eccitare da impazzire. Si era sempre sentita al sicuro con lui, nonostante tutto, perché in fondo lui la riteneva una sua creatura.
Dopo la colazione il Padrone decise di farsi una doccia, ovviamente con la sua slave pronta a seguirlo per lavarlo accuratamente. Già, da quando era la sua slave, uno dei suoi compiti era prendersi cura di lui: lavarlo, vestirlo, preparargli da mangiare, massaggiarlo ed ovviamente essere sempre a sua disposizione affinch&egrave potesse togliersi qualsiasi voglia; ma tutto era fatto con estrema passione. Nella doccia i corpi si strofinavano l’uno contro l’altro in una danza sinuosa, fino a quando lei non si abbassò per prendere in bocca il cazzo duro del suo Padrone. Adorava quel sapore, adorava sentirsi presa per i capelli mentre lo prendeva fino in gola, adorava quando alla fine il suo seme le riempiva la bocca, adorava ripulirlo per bene con la sua lingua.
Dopo la doccia la fece sdraiare sul letto, le legò le mani sopra la testa e i piedi a tenere le gambe divaricate, le si avvicinò per baciarla sulle labbra, ma non appena i due si sfiorarono l’uomo la imbavagliò e la bendò. La ragazza non poteva vedere il suo Padrone, ma sentiva il suo corpo ancora attaccato a lei; sentiva il suo Padrone armeggiare con qualcosa, chissà cosa aveva in mente quella mattina.
Poco dopo lo sentì prendere e stringere i capezzoli facendole male; dolore che scomparve praticamente subito, salvo tornare in una fitta quando l’uomo le mise delle mollette sui capezzoli e sui seni. Poi si dedicò alla sua fighetta e al clitoride che iniziò a stuzzicare con le dita. Continuò a stuzzicarla e poi a penetrarla con le dita fino a portarla al limite dell’orgasmo, salvo poi lasciarla a bocca asciutta sul più bello come era bravissimo a fare. Lo sentì nuovamente armeggiare e nel giro di qualche secondo della cera calda iniziò a colare sul suo corpo, sul suo seno e sui suoi capezzoli resi ancor più sensibili dalle mollette che andava via via togliendo. Era un misto di dolore e piacere che la faceva bagnare ancora più di quanto non lo fosse già.
Le tolse il bavaglio e la benda, le slegò i piedi, le portò le ginocchia verso il seno e iniziò a penetrarla con forza. Il cazzo dell’uomo faceva facilmente avanti e indietro in quello che ormai era un lago che colava umori femminili. Le venne sul seno ricoperto di cera, la slegò, la baciò intensamente sulle labbra e la mandò a lavarsi.
Uscita dal bagno si recò in salotto dal suo Padrone, ci andò come sempre in ginocchio, come la cagna che era e che ormai sentiva di essere; arrivò ai piedi dell’uomo ed iniziò subito a baciarli e massaggiarli con tutto l’amore che aveva e che provava; passò a massaggiargli le gambe e poi la schiena, felice perché vedeva che il suo Padrone apprezzava quelle attenzioni, felice perché le piaceva essere sottomessa a quell’uomo. Dopo essersi fatto massaggiare ed essersi rilassato, l’uomo mandò la ragazza a fare le pulizie di casa non senza averle prima legato i capezzoli l’un l’altro con un piccolo spago e, con un altro pezzo di spago, le legò con un’estremità il clitoride e con l’altra fissata a quello dei capezzoli, andando così a formare una T.
Quando fu ora di pranzo l’uomo si sedette a tavola ed iniziò a mangiare con la schiava nella sua posizione d’attesa: in ginocchio, sedere sui talloni, mani sulle ginocchia e sguardo basso.
Quando l’uomo finì di mangiare, la schiava iniziò il suo pranzo mangiando dalla ciotola che aveva lì vicino. Aveva fame, molta fame. Forse fu proprio per quello che commise un grossissimo errore: mangiare prima di aver sparecchiato. Per questo fu tirata per la coda di cavallo, fatta alzare, le furono fatte appoggiare le mani al tavolo in modo da metterla a 90 e poi una serie di schiaffi la andarono a colpire sul sedere che diventò sempre più rosso. A nulla valsero le sue scuse. Le fu fatto sparecchiare e, mentre stava pulendo i piatti, il Padrone si divertì a colpirla con un frustino, ma invece di provare dolore, sentiva i suo eccitamento colarle lungo le gambe divaricate.
Dopo quella punizione l’uomo la prese e la appoggio allo stipite della porta, le alzò una gamba e la penetrò con il solito mix di forza e passione. Lei non pot&egrave fare a meno di avvinghiarsi a lui in un abbraccio tanto forte quanto passionale. L’uomo le venne dentro e, dopo averlo sfilato, le infilò due dita che poco dopo finirono direttamente nella bocca della schiava, piene degli orgasmi di entrambi. Poi lei si inginocchiò davanti a lui e lo ripulì per bene.
Passò il resto della giornata a fare le faccende di casa, sempre con lo spago legato solo ai capezzoli, e a prendersi cura del Padrone con massaggi e baci.
Quando si fece sera, la schiava aspettò che il Padrone andasse in bagno per fargli trovare una sorpresa. Andò in camera da letto, prese il tubetto di lubrificante, si mise a pecorina sul letto e si appoggiò il tubetto sopra il suo sedere vergine, sopra quel sedere che il Padrone non aveva ancora avuto; era un loro piccolo accordo, aspettare il momento giusto per lei; poi sarebbe stata completamente e totalmente sua.
L’uomo uscì dal bagno, la vide in quella posizione con il sedere che lo guardava e il tubetto su di esso. Lei poteva sentire i suoi occhi scrutarla e studiarla. Passò qualche istante e l’uomo se ne andò. Era chiaro, voleva essere lui a decidere quando. Lei restò lì, in attesa di darsi completamente a lui, restò lì per due ore, senza muoversi, senza accennare proteste o altro. Aspettò e basta.
Passarono due ore prima che l’uomo tornasse. Lo sentì arrivare, prendere il tubetto e spalmarne il contenuto con un dito sul suo buchetto vergine. Un momento di attesa e poi sentì la punta del cazzo duro dell’uomo che si appoggiava al buco; fu doloroso sentirlo entrare, anche se il Padrone lo fece con la giusta delicatezza. Si sentì aprire, squarciare. Provò del dolore, ma mano a mano che l’uomo la penetrava quel dolore si trasformava in piacere, un piacere diverso dal solito, ma ugualmente intenso. La prese per i fianchi ed iniziò ad aumentare l’intensità; la dolcezza iniziale fece ben presto posto alla decisione e alla forza, ma il piacere non accennava a diminuire nonostante il dolore. L’uomo le venne dentro, poi si sfilò, le mise in bocca il cazzo per farselo ripulire, tornò dietro di lei e, lasciandola in ginocchio, la tirò su in modo da avere la schiena appoggiata al petto ed iniziò a masturbarla con due dita. La figa era un lago, le dita scorrevano senza problemi nel sesso della schiava. La portò al limite dell’orgasmo, poi si tolse e se ne andò in salotto dove la ragazza lo raggiunse un istante dopo.
Era lì, in ginocchio, nuda, con il sedere sui talloni e le mani sulle ginocchia. Lo sguardo basso, la coda di cavallo, la mano del padrone che la accarezzava mentre guardava la tv. La accarezzava con dolcezza, una dolcezza che sembrava quasi non potesse uscire da quell’uomo così deciso ed autoritario.

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