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Racconti di Dominazione

Giocare a nascondino

By 17 Febbraio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Io e Caterina ci eravamo nascoste in cantina, per avere un po’ di intimità.
Il colonnello che comanda l’ospedale da campo, sicuramente non avrebbe approvato il nostro comportamento. è un po’ che andiamo avanti, qualche mese, forse è perché non ne possiamo più di stare in mezzo agli uomini: è dura passare le giornate e le notti circondate da uomini feriti, ammalati, invalidi, che mostrano sempre il loro lato peggiore.
Io sono molto giovane, ho solo vent’anni e due anni fa, quando avevo appena terminato la scuola per infermiere, mi sono arruolata, per difendere la patria, pensavo.
Caterina invece ha quarant’anni, in passato aveva frequentato la facoltà di medicina, così le hanno fatto fare un breve corso e l’hanno mandata a rimettere insieme i pezzi dei nostri soldati feriti al fronte.
La prima volta che lei mi ha toccata sono rimasta di sasso, non avevo capito, ma Caterina è stata molto dolce e paziente, così non sono scappata, poi, con il tempo mi è sembrato tutto naturale.
Ho ancora addosso il calore delle sue carezze, il sapore dei suoi baci, ma tra un po’ dobbiamo prendere servizio e dobbiamo rivestirci.
è stato bello restare attaccate l’una all’altra, i miei piccoli seni seni contro i suoi, molto più grandi, mentre ci toccavamo per darci piacere a vicenda.
Il trambusto proveniente dal piano terra, che ci arriva attutito ed ovattato, ci spinge a velocizzare i nostri preparativi.
Ma quando risaliamo la scaletta che dalle cantine porta nel grande atrio della villa che l’esercito ha requisito per farne un ospedale dietro la prima linea, restiamo sorprese.
‘Accidenti, Anna,’ mi dice preoccupata Caterina, ‘devono avere evacuato, l’altro giorno il colonnello si diceva preoccupato perché eravamo troppo vicini alla prima linea, a rischio di un contrattacco nemico.’
Ed ora che facciamo? ci hanno lasciate qui, accidenti, penso io.
Poi li abbiamo visti. Sono dall’altra parte del salone d’ingresso ed anche loro hanno notato la nostra presenza.
Alziamo le mani, perché uno di loro, imbracciato il mitragliatore, ce lo ha intimato, con un accento straniero e stentato.
è una cosa assurda, surreale, perché noi siamo due donne inermi, due infermiere, con la cuffia bianca con la croce rossa ricamata sul davanti, la camicetta bianca, la gonna blu e sopra il grembiule bianco con il bordino blu, due infermiere con le calze bianche da infermiera e gli zoccoli bianchi da infermiera. Non abbiamo né armi né bombe a mano, non siamo certo un pericolo per loro.
Il guaio è che sono i soldati sbagliati, hanno una divisa di un altro colore, insomma sono i nostri nemici.
Questa guerra si sta rivelando più sporca e cattiva di tante altre, le voci che ci arrivano dai combattenti feriti, parlano di pochi prigionieri, perché spesso, sia di qua che di là, i nemici catturati vengono uccisi.
Ma la sorte peggiore sembra spetti alle donne, che, se giovani o comunque attraenti, vengono prima violentate dai soldati.
Siamo circondate da una decina di soldati che iniziano a toccarci, non voglio fare questa fine, ho solo vent’anni.
All’improvviso sono tutti scattati sull’attenti, e noi ci voltiamo verso il nuovo arrivato, che è comparso davanti alla porta a vetri dell’ingresso.
Deve essere un ufficiale, se i loro gradi sono uguali ai nostri, un maggiore.
Impartisce pochi ordini nella loro lingua e poi si avvicina a noi.
è un uomo alto, magro ma robusto, di età indefinibile.
Per un po’ si limita ad osservarci.
‘Bene, bene, signorine, questa mattina non vi deve aver funzionato la sveglia, a quanto pare.’
Parla perfettamente la nostra lingua, con un leggero accento straniero.
‘Sapete giocare a nascondino?’
Rimaniamo interdette, dall’assurdità delle sue parole e non rispondiamo.
‘Na-scon-di-no.’
Ha scandito le sillabe, come per essere sicuro che noi abbiamo ben compreso.
‘Sì’, dico io timidamente. Chi non conosce nascondino, è il gioco più diffuso tra i bambini di tutto il mondo, una volta ho letto che ci giocano anche in Africa.
‘Bene, questa è però una variante. Leggermente diversa dal gioco classico: solo due persone, voi due, che si nascondono, e tutti gli altri, i miei uomini, che vi cercano. Il gioco termina quando vi hanno trovate, non esiste ‘ come dite, voi? ‘ tana libera tutti.
Voi vi nascondete i miei uomini vi cercano, vi trovano, e si ricomincia.
Inutile che vi dica quale sia il premio per chi vi trova, lo avrete già capito da sole.
Ora aspettiamo che arrivino anche gli altri e poi si può cominciare.’
Infatti stanno entrando altri soldati.
Ci sentiamo addosso gli occhi di tutti, ma nessuno si avvicina a noi, si vede che il maggiore sa farsi ubbidire dai suoi uomini.
Io e Caterina ci guardiamo terrorizzate, abbiamo capito il nostro destino, costrette a giocare, come bambine, con un branco di uomini arrapati e, quando perdi, finisci stuprata.
Mi sforzo di pensare che così, uno alla volta, è meglio, non oso immaginare cosa sarebbe stato di noi se si fossero avventati sulle loro vittime tutti insieme.
Chi sarà il primo, quello giovane e imberbe che mi guarda con insistenza, oppure quello vecchi e grasso che gli sta vicino?
Ad un certo punto, ad un ordine del maggiore, voltano tutti le spalle allo scalone che porta al primo piano, ed iniziano a parlare in coro.
Stanno contando, dicono tutti insieme i numeri, nella loro lingua, non riesco a capirli, però so che stanno contando e noi possiamo fare una sola cosa, scappare ed andarci a nascondere, sperando di non essere trovate.
Anche Caterina lo ha capito, perché mi prende per un braccio e mi trascina via.
Saliamo la scala di corsa, inseguite dallo sguardo sardonico del maggiore, che sembra trovare la cosa divertente, inciampando con gli zoccoli sui gradini di legno.
Una corsa folle, disperata, ma probabilmente inutile. Siamo arrivate in cima alla scala con il cuore in gola, non tanto per lo sforzo della salita, ma per l’angoscia di quello che sta per accaderci.
Loro sono giù, in piedi, ordinatamente schierati, ci volgono le spalle e contano.
Caterina mi dice che dobbiamo dividerci, così avremo più possibilità.
La villa è composta da due ali, ognuna percorsa da un lungo corridoio, con stanze e sale su entrambi i lati, così lei va a destra ed io a sinistra.
Sono confusa e spaventata e perdo tempo alla ricerca del nascondiglio migliore, mentre quelli di sotto continuano a contare.
Mi muovo frenetica, torno spesso sui miei passi, mi sento come una mosca chiusa in un barattolo di vetro, che vola inutilmente in cerchio senza mai trovare una via d’uscita.
Lì no, troppo facile, quell’altro? Peggio.
Intanto il tempo passa inesorabile. Tra un po’ verranno a cercarci.
Realizzo che non sento più le loro voci. Sono dentro una sala dove avevamo sistemato sei letti, che, per la fretta dello sgombero, sono rimasti lì con tanto di lenzuola sporche.
Mi affaccio alla porta, le loro voci non si sentono più, in compenso distinguo chiaramente i passi di molti stivali che salgono la scala di legno.
Accidenti a me, sono fregata, e ora dove mi nascondo?
Sotto al letto.
Sì, lo so, è un nascondiglio stupido e puerile, lo sceglierebbe giusto un bambino di tre anni, perché basterà abbassarsi un po’ per scoprirmi, ma non avevo altra scelta.
Sento la porta che cigola, rumori di passi più vicini e cerco di trattenere il respiro, poi i passi si allontanano e la porta cigola di nuovo.
Sono salva, per ora, ma ne verranno altri e qualcuno guarderà sotto i letti.
Ancora passi nella stanza, questo è più vicino, dal punto in cui mi trovo vedo i suoi piedi, poi anche lui si allontana.
Ancora la porta che cigola, poi viene richiusa con forza.
Silenzio.
Se n’è andato?
Troppo rischioso uscire ora, Anna.
I minuti passano, e, alla fine non resisto più: lentamente mi tiro fuori da sotto il letto.
Il grembiule bianco si è impolverato perché nessuno aveva pulito sotto i letti, così cerco di pulirmi alla meno peggio con le mani, poi, alzo lo sguardo e ‘ è lì.
Se ne sta appoggiato davanti alla porta, con una sigaretta tra le dita ed una lattina di birra nell’altra mano.
è un sergente di mezza età, robusto e tarchiato, un soldato esperto che sarà sopravvissuto a mille agguati, troppo furbo per una stupida infermiera di vent’anni.
Butta la sigaretta in terra e avanza verso di me.
Allora io tento una fuga, disperata quanto inutile: parto di scatto e cerco di guadagnare la porta, ma il sergente è rapido e mi afferra al volo con un braccio che mi cinge la vita.
Mi sta parlando ma io non capisco la sua lingua, comprendo solo che mi sta trascinando verso uno dei letti.
Sono appiccicata al suo corpo, i miei piedi strusciano sul pavimento incapaci di fermare il mio movimento, finché, arrivata a destinazione, lui mi scaraventa sul letto.
Odore di piscio, sudore e disinfettante.
è questo l’aroma degli ospedali da campo, all’inizio mi dava il voltastomaco, ora mi sono abituata, ma in genere non annuso le lenzuola sporche, così invece, con la faccia premuta contro il materasso, sono costretta a respirarmelo fino in fondo.
Di fronte a me, il vetro della finestra, parzialmente aperto, riflette le immagini e posso vedermi, come anche posso osservare cosa fa il sergente alle mie spalle.
Non sembra avere fretta, prima solleva delicatamente la gonna azzurra, scoprendomi il sedere. Mi carezza le natiche attraverso le calze e le mutandine e dice qualcosa, che non capisco, sempre nella sua lingua. Ma sì, starà dicendo che sono magra ma ho un bel culetto rotondo, lo so già, me lo diceva sempre il mio ragazzo, prima che partisse per la guerra.
All’improvviso vedo un bagliore metallico e mi irrigidisco. Tiene in mano un coltello o forse, più probabile, una baionetta.
Non ho neanche il tempo di gridare che, con l’altra mano mi solleva, proprio in mezzo al sedere, le calze bianche da infermiera, poi, veloce, ci infila la punta della baionetta.
Il rumore, secco e leggero del collant che si strappa, poi posa la baionetta ed infila entrambe le mani nell’apertura. Ancora quel rumore, più forte e prolungato, questa volta.
Ora si sta lavorando il mio slip, ci infila in mezzo la lama, avverto il freddo del metallo a contatto della pelle, un breve movimento e sento la stoffa allentarsi, poi lo infila dall’altra parte e ripete la stessa operazione.
Tira via la stoffa, la sento passare a contatto della mia vagina serrata e vedo, riflesso nello specchio il mio slip strappato tenuto in alto da lui con due dita.
Il lontananza mi arrivano delle grida di donna, devono aver preso anche Caterina, ma non ho possibilità di preoccuparmi per la mia compagna di sventura, perché il sergente si è aperto i pantaloni ed è salito sul letto sopra di me.
La rete ha cigolato più forte, flettendosi per il doppio peso, chiudo gli occhi e aspetto, non ho più il coraggio di guardare.
L’intrusione nella mia vagina stretta ed impreparata è fastidiosa, ma mi aspettavo peggio.
Il sergente si muove veloce, chissà quanto tempo è che non si scopa una donna, oppure, come un felino nella savana, si vuole sbrigare a mangiare la sua preda prima che arrivi un altro predatore, più forte di lui.
Mi tiene le mani premute sulle spalle e me lo spinge forte dentro, mentre il suo ritmo si fa frenetico, finché non sento le sue contrazioni.
Ha finito, si è svuotato soddisfatto dentro di me ed ora mi prende per la coda e mi costringe ad alzarmi.
Io ho i capelli biondi e lunghi, che tengo legati con un elastico facendogli formare una lunga coda di cavallo e, quando sono in servizio, li faccio uscire dall’apertura posteriore della cuffia.
Tira forte e fa male, così sono costretta a seguire il suo movimento e mi ritrovo in piedi.
La gonna, ora che sono in posizione verticale, torna al suo posto ricoprendomi di nuovo il sedere e le gambe.
Chi passasse ora non noterebbe nulla di strano invece ‘ solo ora realizzo di essere stata appena violentata da un soldato nemico e che la fuori ce ne sono altre decine pronti a fare lo stesso.
Mi piomba tutto addosso come un macigno: l’umiliazione, la vergogna, il dolore fisico della penetrazione ed il senso di bagnato e di sporco che avverto in mezzo alle gambe.
Il sergente apre la porta e mi fa un ampio gesto per invitarmi a precederlo nell’uscita dalla stanza.
Così, a capo chino, mi incammino mestamente lungo il corridoio, seguita dal mio stupratore.
Il suoi compagni sono giù, nell’atrio, ed accolgono il nostro arrivo con fischi ed applausi.
Caterina non c’è, non devono aver ancora finito con lei, poveretta.
La discesa è difficoltosa e, ad ogni passo, ho l’impressione che mi esca un fiotto di sperma, forse mi sbaglio, ma mi sembra di sentirlo scendere in mezzo alle gambe, ora che sono senza mutandine ed ho le calze completamente lacerate.
Il maggiore si avvicina e mi costringe a sollevare il viso, mettendomi un dito sotto il mento.
‘Non ti sei nascosta molto bene, vero? Non importa avrai molte altre possibilità per tentare di nuovo.’
In quel momento compare Caterina in cima alla scala.
I suoi capelli rossi si stagliano contro la carta da parati scolorita.
Ha perduto la cuffia, ha il grembiule strappato e la camicetta completamente aperta, ma mi sembra conservare intatta tutta la sua fierezza.
Avanza piano, un gradino dopo l’altro e, dalla camicia aperta, uno dei suoi grandi seni fuoriesce completamente, in modo che ad ogni passo che lei fa, si muove in su ed in giù.
Tutti i soldati si sono voltati e stanno guardando questa donna dal corpo statuario che scende lentamente, vedo nei loro occhi desiderio, non parlano, ma molti di loro stanno già pregustando il momento in cui potranno metterle le mani addosso.
E io? Non si faranno scrupoli di certo, cercheranno e prenderanno quella delle due che troveranno.
Solo quando è a metà della scala mi rendo conto che Caterina ha le labbra e tutto il viso pieni di sperma.
Alla fine della discesa mi abbraccia forte e mi sussurra nell’orecchio: ‘Resisti, Anna, resisti, dobbiamo resistere.’
Mi chiedo cosa avrei fatto se fosse capitato a me mentre capisco che i soldati hanno ripreso a contare. Mentre io ed Anna salivamo le scale stavo elaborando il mio piano.
Il tempo è l’unico elemento che può giocare in nostro favore.
Se non ci saranno cambiamenti, saremo stuprate da un solo soldato alla volta e questo è un bene, nel male della nostra situazione, perché se finissimo preda di tutto il branco, saremmo spacciate.
Così possiamo sperare di uscirne con danni non irreparabili. Certo è una magra consolazione, ma più di questo non credo di poter ottenere.
E’ importante nascondersi bene, certo prima o poi ci troveranno, perché non c’è un tempo limite, però dobbiamo sperare in un cambiamento, tipo l’ordine al reparto di andare da un’altra parte, o, meglio, una nostra contro offensiva, e quindi è fondamentale prendere tempo.
Abbiamo anche un altro piccolo vantaggio: noi conosciamo meglio il posto, perché ci viviamo da due settimane, però con il passare delle ore, questo vantaggio si attenuerà, fino ad eliminarsi, mano mano che loro si impratichiscono del luogo.
Sono preoccupata per Anna, perché mi sembra letteralmente nel pallone, e poi fisicamente è molto più fragile di me.
Arrivate al piano di sopra ci siamo divise ed io conosco già il luogo del mio primo nascondiglio.
è un ripostiglio ingombro di roba e senza finestre.
Nel mio piano ho previsto tutto, così ci entro subito, prendo una sedia, mi arrampico e svito la lampadina che pende dal soffitto. Senza luce sarà più difficile vedermi.
Rimetto a posto la sedia, mi infilo in un stretto pertugio tra due sacchi pieni di non so cosa e infine mi sistemo nell’angolo più scuro, riparata da un vecchio armadio di ferro.
Per scovarmi avranno bisogno di una torcia, quindi in prima battuta mi cercheranno altrove, certo, alla fine mi troveranno, ma intanto avrò guadagnato un po’ di tempo.
Dopo pochi minuti si affaccia il primo soldato, prova l’interruttore, vede che la luce non si accende e richiude la porta.
Anche con il secondo va alla stessa maniera.
Il terzo invece spalanca tutta la porta e guarda bene dentro.
In quel momento realizzo che ho commesso un grave errore: la lama di luce che entra nella stanza illumina la tela di uno di quei sacchi pieni di polvere bianca, che non so cosa sia. Il sacco è rotto, la polvere è finita in terra ed un paio di impronte dei miei zoccoli, si stagliano nitide sul pavimento.
Il soldato richiude la porta. Le avrà viste?
In ogni caso non posso cambiare nascondiglio perché non sarebbe prudente uscire sul corridoio, così l’unica è rimanere lì ed aspettare.
L’attesa non è stata lunga, perché poco dopo una lama di luce fora il buio del ripostiglio, attraversa lentamente il pavimento per finire di inquadrare le mie gambe, con le calze bianche e gli zoccoli dello stesso colore.
Ho cercato di lottare, ma il soldato era giovane e robusto e così sono finita fuori del ripostiglio a forza di strattoni.
Nel corridoio ha incontrato due suoi compagni che si sono complimentati con lui.
Accidenti, speravo di tirarla molto più per le lunghe, invece lui mi trascina subito dentro una stanza e, una volta entrati, chiude a chiave la porta.
A questo punto ho commesso un errore, forse perché presa dalla disperazione, ed ho tentato di ribellarmi.
Sono una donna alta e forte, poi il mestiere di infermiera ha sviluppato la mia muscolatura, perché serve forza fisica per sollevare dal letto un uomo adulto completamente paralizzato, cosa che mi capita spesso di fare.
Ma questo non era per niente paralizzato, così, nel giro di un minuto, mi sono ritrovata in ginocchio, con la camicia completamente strappata ed uno zigomo gonfio, perché mi ha rifilato un pugno, non fortissimo, ma comunque sufficiente a calmare i miei ardori.
Ma quel che è peggio, la lotta con me deve aver aumentato la sua eccitazione.
Mi ha infilato una mano nel reggiseno attraverso la camicetta aperta e strappata ed ha tirato fuori un seno.
Io ho cominciato a gridare, ho cercato pure di mordergli la mano, finché non ha estratto un coltello a serramanico e me lo ha sistemato sotto il seno nudo.
Ho sentito il freddo del metallo contro la mia carne e mi sono subito calmata, così lui ne ha approfittato per aprirsi i pantaloni.
Dall’altra parte della stanza c’è un lettino per le visite, ecco, penso io, ora mi sbatte lì e mi scopa, meglio stare tranquilla, sennò questo è capace di farmi le tette a fettine.
Ma non erano queste le sue intenzioni, me ne accorgo quando mi prende dietro la nuca e mi spinge forte contro il suo ventre con una mano, mentre con l’altra riprende il coltello e mo lo rimette sotto al seno.
Io non voglio aprire la bocca, ma lui spinge verso l’alto il coltello. Non riesco a vedere da quale parte si trova il lato affilato, ma non posso correre il rischio, così lentamente le mie labbra si aprono e lui me lo infila dentro.
Dopo un po’, quando è sicuro che io non gli farò brutti scherzi, toglie il coltello e mi prende la testa con entrambe le mani.
Mi sta letteralmente scopando in bocca, mi è capitato diverse volte di fare un pompino ad un uomo, ma ora è diverso, perché io non conto nulla, è lui che comanda le danze, accelera e rallenta il movimento, io devo solo stringerlo tra le labbra ed aspettare i comodi suoi.
Alla fine mi scarica tutto in gola sotto la minaccia del coltello ed io, per paura che possa farmi del male non mi azzardo a sputare.
Se lo ripulisce sulle mie guance prima di rimetterselo dentro i pantaloni, poi, con un gesto mi fa capire che mi posso alzare.
Ecco, è finito il mio primo nascondino, vorrei bere, per togliermi dalla bocca il sapore del suo sperma, ma mi trascina subito fuori sul corridoio.
Mi sento la bocca e la pelle del viso che tirano, perché lo sperma si sta essiccando rapidamente, ma non credo che mi daranno la possibilità di darmi una rassettata, tra una volta e l’altra, mi aspettano, giù al piano terra, ansiosi di ricominciare.
C’è anche Anna in mezzo a loro, i suoi vestiti sono in ordine, sembrerebbe che non le abbiano torto neanche un capello, ma dall’espressione sembra un cane bastonato.
Posso fare una sola cosa, scendere giù e giocare di nuovo con loro, sperando di essere più fortunata.
La mia discesa, lungo la scala, sotto gli occhi dei miei futuri stupratori mi sembra durare un’eternità.
I loro sguardi, puntati sul mio seno nudo, sembrano quasi trafiggermi, maledetti bastardi, mi stanno umiliando, ma devo resistere, anche per Anna, perché se mi vede crollare è la fine per entrambe, così, riprendo coraggio e completo la mia discesa.
Il tempo di abbracciare Anna, sussurrarle qualche parola di conforto e il gioco riprende. Siamo tornate su. Caterina si è un po’ risistemata la camicetta, ma erano saltati quasi tutti i bottoni, quindi si ritrova praticamente con le tette di fuori. Non che questo cambi le cose, però riuscire a non mostrare il suo corpo nudo la farebbe sentire meno umiliata.
Cerco di forzarmi di mantenere la calma, Caterina me lo ha raccomandato mentre salivamo le scale, spiegandomi che più tempo passa prima che ci trovino, e più possibilità abbiamo di uscirne vive.
Già, uscirne vive, non è affatto detto che, dopo averci violentate a loro piacimento, non ci uccidano.
Come secondo nascondiglio ho scelto un pesante tendaggio che si trova nell’angolo della sala grande in fondo all’ala di sinistra, che avevamo destinato a refettorio per i degenti in grado di lasciare il letto.
No, non è stupido ripararsi dietro ad una tenda, perché, ad un metro da terra, ricordo che c’è una mensola triangolare, di legno spesso, con sopra poggiato un vaso di cristallo.
Così tolgo di mezzo il vaso, dispongo la tenda in modo che possa coprire bene l’angolo e poi mi arrampico sulla mensola, sperando che regga il mio peso.
L’idea è che, siccome la tenda non arriva fino a terra, se guardano in basso, non vedendo i miei piedi, si convincono che non c’è nessuno dietro la tenda.
Comincia l’attesa, me ne sto appollaiata sulla stretta mensola, cercando di stare immobile, per non fare rumore e soprattutto per evitare che i supporti cedano, facendomi precipitare a terra fragorosamente.
Per un po’ funziona, ogni tanto entra qualcuno, si guarda intorno ed esce deluso. Dai Anna, devi prendere tempo, il più possibile, poi all’improvviso, quando mi ero quasi illusa di farla franca, la tenda viene scostata di colpo.
è un tipo biondo, alto e grasso, che, quando mi vede seduta in quella buffa posizione, scoppia a ridere.
Subito dopo però mi prende di peso, mi carica sulle spalle e fa qualche passo senza mostrare il minimo sforzo a sopportare il mio peso.
Mi ha messo giù, ora sono in piedi davanti a lui e tremo come una foglia, da vicino mi sembra ancora più enorme.
Mi fa girare, mi slaccia il grembiule e poi me lo sfila.
Mi guardo la gonna e vedo in mezzo, proprio all’altezza dell’inguine, c’è una bella macchia scura e umida, sicuramente provocata dallo sperma del primo soldato.
Questa vista mi riporta a quello che è successo poco prima e che sicuramente si ripeterà.
‘Su ‘ tira su’, mi dice accompagnando le parole, stentate, con un gesto eloquente che mi invita a sollevare la gonna.
Io ubbidisco lentamente.
Sotto sono nuda a parte il collant bianco che è stato strappato solo dietro.
La mia vagina completamente depilata traspare appena attraverso il pesante tessuto bianco delle calze, ma lui, con le sue mani enormi, strappa tutto in un attimo.
La seconda volta è molto peggio della prima, perché allora ero praticamente sotto choc, ora invece sono lucida e vigile e sento tutto il fastidio della penetrazione brutale.
Mi ha messa a sedere su uno dei tavoli ed io me ne sto a gambe larghe, con le mani che tengono stretto l’orlo della gonna, sollevato fino alla vita, mentre un gigantesco soldato nemico mi sta stuprando.
La prima volta ho potuto vedere solo qualche immagine sfumata riflessa nel vetro della finestra, ora invece si svolge tutto davanti ai miei occhi spalancati: il pene dell’uomo che forza la fessura della mia vagina, le labbra che si aprono e si dilatano, il suo movimento, prima lento, poi sempre più veloce, e infine l’uscita, con il mio sesso che resta dilatato e pieno di sperma che esce e si raccoglie in una piccola pozza, sul ripiano di legno del tavolo.
All’inizio mi ha afferrato forte per le spalle, come se avesse paura che io potessi scappare, ma non sono in grado di andare da nessuna parte.
La stretta ferrea delle sue mani ad un certo punto provoca una reazione strana in me.
Mi ricordo quando con il mio ragazzo facevamo un gioco: io provavo a resistergli e lui mi prendeva con la forza. Era solo un gioco, in cui la violenza era simulata, ma era molto eccitante per entrambi.
Ed ora? Anche il nascondino è un gioco, vero Anna?
Possibile che io possa provare piacere ad essere violentata? Beh, piacere forse no, però mi sentivo strana, poi, quando lui è venuto, questa sensazione, come era cominciata, è finita.
Sono di nuovo in piedi, le mie mani lasciano andare la gonna che per la seconda volta, riscende, coprendomi le gambe.
La stoffa aderisce al mio ventre bagnato e vedo la macchia allargarsi a vista d’occhio.
Sono di nuovo nel corridoio, diretta al piano terra, pronta ad iniziare un nuovo nascondino.
Le calze ormai completamente strappate mi scendono fino alle ginocchia mentre sento, ad ogni passo, lo sperma che mi cola lungo le cosce.
Provo a tirarle su, perché mi impediscono i movimenti, allora lui si china in mezzo alle mie gambe e tira forte finendo di strappare quel pezzo di stoffa che univa le due parti del collant.
Dall’altro lato del corridoio sta arrivando Caterina. Anche lei è senza grembiule ed ha la gonna strappata e piena di macchie.
Cammina a piccoli passi, con le mutandine abbassate fino alle ginocchia, spinta da un soldato con il cranio rasato che sembra divertirsi molto.
Quando i nostri occhi si incontrano, capisco che anche Caterina, che io ho sempre visto così forte e sicura di sé, sta per crollare.
All’inizio della scala il suo accompagnatore resta indietro, così Caterina può almeno risistemarsi lo slip, cercando, per quanto possibile, di tirarlo su.
Non è facile farlo sulla scala, in equilibrio precario, vedo che le tremano le mani, mentre intanto il soldato che la seguiva si sta avvicinando. Alla fine rassegnata, alza prima un piede e poi l’altro, e se ne libera, abbandonando l’indumento sui gradini.
Scendiamo lentamente, sporche e sgocciolanti, sotto gli sguardi bramosi dei soldati, pronte per un nuovo turno di questo terribile gioco.

Anche questa volta è andata male, mi hanno scoperta quasi subito.
Sono finita nelle mani di un tipo brutale, col cranio rasato e pieno di tatuaggi che per prima cosa mi ha fatto togliere il grembiule.
Ha cominciato a toccarmi li culo e le cosce, poi mi ha arrotolato la gonna fino alla vita, mi ha strappato le calze e mi ha abbassato le mutandine.
L’ho dovuto fare in piedi, mi ha scopata due volte di seguito. Devo dire che è stato rapido quanto brutale, e, specie la prima volta mi ha fatto discretamente male, mentre la seconda, grazie alla lubrificazione del suo sperma, è andata meglio.
Pensavo che avesse finito ma mi sbagliavo. Ho capito le sue intenzioni quando mi ha fatta girare, mi ha preso le mani e me le ha fatte poggiare sul termosifone.
Piegata a 90 gradi, con le dita serrate sulla ghisa fredda del radiatore, aspetto che si compia questo nuovo atto.
L’attesa non è lunga, mi sento sollevare dietro la gonna mentre con un piede, spingendo dall’interno verso fuori, mi costringe ad allargare la gamba sinistra, subito dopo esegue la stessa manovraper la destra.
Non ho mai amato molto prenderlo dietro, ma le poche volte che l’ho fatto, è stato con molta attenzione da parte mia e del mio partner, dopo un’accurata lubrificazione.
Questo invece me lo spinge dentro brutalmente, senza il minimo riguardo, sembra quasi che provi piacere a vedermi soffrire.
Stringo i denti per non gridare, non voglio dargli troppa soddisfazione a questo bastardo e spero solo che finisca presto, ma invece mi sembra che voglia prolungare il più possibile il mio tormento, ogni tanto rallenta, poi riprende, mi dice nell’orecchio delle cose che non capisco, ma penso che mi stia insultando, magari nella sua lingua mi sta chiamando troia e mi chiede se mi piace farmi sfondare il culo.
Alla fine, per mia fortuna ha finito ed io mi sono rimessa in piedi a fatica.
Mi fa male dappertutto e mi gira la testa, ma il momento peggiore è quando vedo il suo pene prima che lo rimetta dentro i pantaloni.
Le evidenti tracce rosse, causate dal mio sangue, sono il colpo di grazia per la mia autostima già abbondantemente frustrata e scoppio a piangere.
Per tutta risposta si è limitato a spingermi fuori brutalmente.
Mi ha fatto percorrere tutto il corridoio con lo slip abbassato, perché non mi ha dato il tempo di rivestirmi, costringendomi a fare passi piccolissimi, tra le risate ed i lazzi dei suoi commilitoni, mentre tutto lo sperma che mi aveva ficcato dentro, lentamente usciva imbrattandomi le cosce.
Alla fine del corridoio ho incontrato Anna, anche lei nelle mie stesse condizioni. Forse ho sottovalutato la questione, se siamo ridotte cose dopo due soli passaggi, temo che sarà veramente dura arrivare alla fine.
Ma la parte più difficile è la discesa della scala, perché, impossibilitata a muovere liberamente le gambe, rischio di ruzzolare ad ogni gradino.
Do un’occhiata dietro e vedo che il soldato è lontano, allora mi fermo un attimo, mi appoggio alla balaustra con una mano, e con l’altra cerco di tirarmi su le mutandine. Sono mezze strappate e bagnate e non riesco a farle risalire lungo le gambe perché la stoffa si appiccica alla mia pelle, alla fine decido di toglierle prima che il soldato mi raggiunga, le lascio lì, per le scale, e riprendo la mia discesa insieme alla mia compagna. Il maggiore si è avvicinato a noi, tiene in mano un lungo righello di legno nero.
Me lo infila in mezzo alle gambe e mi solleva la gonna.
Io rimango con il capo piegato in basso, mentre i suoi soldati osservano la mia povera vagina sporca e arrossata.
Sono dei secondi lunghissimi in cui il mio sesso resta esposto agli sguardi di decine di uomini, poi toglie il righello e si avvicina a Caterina.
Ripete la stessa operazione con la mia amica.
Il folto ciuffo dei suoi peli pubici è sporco e arruffato, e sulle cosce si vedono delle striature di sangue, mentre Caterina inizia a singhiozzare.
Ci hanno rimandato su di nuovo, e di nuovo siamo tornate giù, ogni volta più stanche e più scoraggiate.
Ci nascondiamo, cercando sempre posti diversi, e loro, immancabilmente ci trovano.
Delle volte penso: ora rimango lì, in mezzo al corridoio, il primo che arriva mi scopa, tanto che differenza fa?
Ma poi va a finire che la preda, anche se sa di non avere speranza, prova comunque a salvarsi, allora vado in giro, cerco un nuovo nascondiglio, e aspetto.
E’ successo quello che più temevo. Quando ho visto il sangue in mezzo alle gambe di Caterina, glie lo chiesto e lei mi ha dato conferma.
Ho sempre avuto paura di quella cosa, non ho neanche il coraggio di dire la parola e così, quando uno di loro mi ha sbattuta sulla scrivania, con la faccia premuta su dei fogli di carta rimasti lì da quando i nostri hanno abbandonato l’ospedale, ho capito.
Gli è bastato sollevare la gonna, perché sotto non ho nulla, sono nuda.
Dal verso che ha fatto ho capito che si è sputato su una mano, poi ho sentito che mi strofinava il palmo in mezzo alle chiappe e mi sono immobilizzata, stringendo i denti, pronta al peggio.
Nonostante fossi preparata, non sono riuscita a non gridare, mi dibattevo, mentre lui mi premeva dietro la schiena per farmi rimanere piegata.
Un dolore forte, lancinante, che si è affievolito con il passare dei minuti, senza però cessare del tutto.
Quando mi ha riportata giù avevo anche io le gambe sporche di sangue come Caterina.

Ho avuto un momento di crisi, ma ora ho ripreso il controllo, anche se la stanchezza comincia a sentirsi.
Mi chiedo a che scopo continuare a farci salire e scendere le scale.
Violentateci pure, ma lasciateci di sopra.
Invece, ne sono sicura, tutta quella messinscena serve per distruggerci meglio. Ogni volta dobbiamo mostrare a tutti loro il nostro degrado, ad ogni discesa, siamo più stanche e più sporche, poi arriva il maggiore che ci scopre per vedere a che punto siamo, cose se avesse programmato la nostra distruzione.
Anche i nostri vestiti, come i nostri corpi, stanno lentamente cedendo.
Pure Anna ha perso la cuffia ed i suoi lunghi capelli biondi, senza più l’elastico che li teneva legati, le scendono sulle spalle accentuando l’aria di fragilità che il suo corpo magro ha sempre offerto.
I nostri zoccoli sono rimasti su, in qualche stanza, magari sotto un letto o un armadio, e noi procediamo scalze cercando di non scivolare sul pavimento, perché il tessuto delle calze non consente una buona presa sul marmo del corridoio e delle stanze.
Qualcuno mi ha strappato via la camicetta, mentre il reggiseno lo avevo già lasciato non ricordo più dove. Ora giro solo con la gonna e i soldati, quando mi prendono, mi afferrano i seni. Ho sempre avuto il seno abbondante, mi piacciono le mie tettone, e piacciono anche a loro. Qualcuno addirittura mo lo ha infilato in mezzo, allora io ho stretto le mie tette insieme con le mani, e ho cominciato a muoverle in su e in giù.
Perché ho fatto questo? Beh, forse perché non mi dispiace, magari anche perché così evito che me lo metta ancora di dietro.
Povera Anna, hanno sodomizzato anche lei, ricordo che mi diceva che non aveva mai voluto farlo perché aveva paura di farsi male.

Il dolore dietro non passa e temo che ognuno che mi trova decida di ficcarmelo lì.
Mi sono passata una mano in mezzo alla chiappe e mi sono accorta che continuo a sanguinare, forse è per questo che per ora mi hanno risparmiata.
In compenso la mia bocca non è stata per niente risparmiata.
I capelli, che ora mi ricadono sciolti sulle spalle e ogni tanto mi finiscono davanti agli occhi, sono sporchi e appiccicati, tutta la mia faccia lo è, come pure il collo e la camicetta.
Loro continuano e ficcarmelo in bocca e, alla fine, io rimango con le labbra semi aperte, mentre sento lo sperma tiepido che in parte mi va giù per la gola ed in parte mi scende lungo il viso.
Prima sono caduta per il corridoio, perché non ho più gli zoccoli e con soltanto le calze tendo a scivolare.
Ormai dovrebbe essere ora di pranzo, forse siamo già nel primo pomeriggio e mi sembra che ci siano meno soldati.
Ho capito il perché, il maggiore fa andare via quelli che hanno già fatto, forse per dare una possibilità a tutti.
Provo a fare un conto e penso che forse per l’ora di cena avremo finito.
Con meno uomini a cercarci dovrebbe essere meglio per noi, ma loro diventano sempre più bravi e noi siamo troppo stanche per trovarci dei buoni nascondigli, così ci trovano subito.
A Caterina hanno strappato via la camicetta e, quando scende la scala, tutti la guardano, i suoi bei seni si muovono ad ogni gradino, provocando ulteriore eccitazione nei soldati, come se ce ne fosse bisogno.
Le sono anche saltati i bottoni della gonna e così, quando avanza, gradino dopo gradino, le sue cosce lunghe e formose, a turno escono dall’apertura creatasi.
Io non ho questo problema, perché uno di loro, la gonna me l’ha sfilata direttamente.
Questo significa che il maggiore, quando ci ispeziona, con me non usa più il righello, visto che di sotto sono nuda.

Ci hanno concesso una pausa di mezz’ora, perché loro sono andati a mangiare.
Hanno lasciato due uomini di guardia e ci hanno permesso di andare in bagno, ma non di lavarci, in compenso ci hanno dato qualcosa da mangiare e da bere.
La pausa e il cibo mi hanno dato un po’ di energia, me ne accorgo da come risalgo le scale, ma quel po’ di coraggio che credevo aver recuperato, viene spento subito, dal primo che mi trova e che mi mette a 90 gradi su un letto.
Il dolore e l’umiliazione sono così forti, che quando ridiscendo mi sento peggio di prima di pranzo.
In lontananza sento le grida di Anna, poverina.

è successo di nuovo, questa volta non mi hanno graziato, ho gridato mentre si muoveva dentro di me, penetrandomi sempre più profondamente.
Dopo la prima, mi ha ficcato il pene in bocca ed ho dovuto succhiarglielo. Sento in bocca il dolore del mio sangue e prego che non gli ritorni duro presto perché ho capito che mi vuole inculare di nuovo.
Il mio desiderio non è stato esaudito, l’ho sentito crescere rapidamente nella mia bocca, poi lui lo ha tirato fuori e mi ha premuto di nuovo sulla schiena per farmi piegare in avanti ed ha ricominciato
è ancora dentro di me e grido come prima mentre lui continua a sfondarmi.
Questa volta, quando sono ridiscesa, il maggiore mi ha fatta chinare in avanti a gambe larghe, così tutti hanno potuto vedere i miei progressi.
Questa è stata per me una condanna, perché ora quasi tutti vogliono ficcarmelo di dietro.
Ogni volta che torno giù mi sento più debole e più sfondata, cammino a fatica, a gambe larghe ed anche Caterina è allo stremo.
Per fortuna sono rimasti solo una decina di soldati ed è pomeriggio inoltrato, forse ce la facciamo ad arrivare fino in fondo. Si è fatto buio e cominciamo anche a sentire freddo, visto che ormai siamo completamente nude, perché i soldati ci hanno strappato di dosso anche gli ultimi brandelli di stoffa.
Speravamo che fosse finita, ma sono arrivati rinforzi: un’altra ventina di soldati freschi, desiderosi di scoparsi due graziose infermiere nemiche.
I movimenti miei e di Caterina si sono fatti più lenti, la stanchezza e lo scoraggiamento hanno preso il sopravvento e subiamo passivamente le continue violenze, come pure ci andiamo a nascondere senza più neanche provare a ragionare, tanto a che serve, ci troveranno comunque.
Il maggiore non ispeziona più i nostri corpi, se n’è andato via lasciandoci sole con i suoi soldati, mantenendo solo un sergente a controllare la situazione.

Dieci, otto, sei ‘ a due a due, i soldati rimasti diminuiscono. Guardo Anna, sta per crollare, si vede benissimo, ma neanch’io sto molto meglio. Spero solo che non ne arrivino altri.
Quattro. Ecco, ancora solo due salite di scale e abbiamo finito.
Anna è entrata nella prima stanza, quella di fronte alle scale, ha spalancato la porta e si è seduta sul primo letto a gambe larghe.
‘Io non mi muovo più, che facessero quello che devono fare, non tornerò più giù.’
Allora anch’io mi sono seduta a fianco a lei ed insieme abbiamo aspettato.
I quattro soldati si sono affacciati alla porta e sono rimasti sorpresi del nostro mancato nascondersi, poi, visto non si poteva stabilire a chi toccasse, ci hanno rimesse in piedi, poi, uno davanti e l’altro dietro, hanno provveduto ai loro bisogni.
Quello davanti mi ha fatto sollevare una gamba, costringendomi ad aggrapparmi a lui per non cadere, mentre l’altro mi allargava le chiappe.
Anna, che è molto più leggera di me, è stata sollevata da terra, con le gambe strette intorno ai fianchi del soldato che le sta davanti, mentre l’altro si è messo dietro.
Quando hanno finito ci hanno rimesse a sedere sul letto e se ne sono andati.
Sembriamo due bambole di pezza senza vita, come quelle che una volta si mettevano per ornamento sui letti.
Quando siamo tornate giù, per fortuna non c’era più nessuno, tranne il sergente che ci ha portato in cantina.
Ora siamo di nuovo nella stanza che usavamo per appartarci, ma chiuse dentro a doppia mandata, in attesa di quello che ci potrà capitare l’indomani.
Fa freddo in cantina e l’unica protezione per i nostri corpi è rappresentata dalla vecchia coperta che avevamo portato noi in precedenza.
Siamo strette l’una all’altra nel letto che ha visto i nostri momenti felici di questi ultimi mesi, e cerchiamo di scaldarci a vicenda, ma tremiamo per il freddo e, soprattutto, per la paura di quello che potrebbe succederci ancora.

Ci hanno svegliato presto al mattino, un sergente e due soldati e ci hanno costrette a salire di nuovo, fino al primo piano, ma questa volta non per giocare a nascondino.
Siamo state portate in un bagno e ora siamo in presenza del maggiore e di un altro soldato.
Il maggiore ordina a Caterina di sedersi su un panchetto messo in mezzo, proprio di fronte alla vasca, allora il soldato tira fuori dalla tasca una di quelle macchinette per tagliare i capelli e l’avvicina alla testa della mia amica senza dire nulla.
Bzzzz ! Il ronzio acuto mi fa sussultare. La poggia sul collo di Caterina e risale lentamente. Una pioggia di capelli rossi scende lentamente a terra lasciando sulla sua pelle una striscia fino al centro del suo cranio, poi riparte da un altro punto e torna su, poi ancora ‘
Caterina piange in silenzio, lei è sempre stata orgogliosa dei suoi capelli rossi.
Rapidamente il soldato finisce di rasarle il cranio, lasciando solo una peluria spessa pochi millimetri, che fa sembrare la sua testa simile alla capocchia di un fiammifero.
‘Alzati’, le ordina il maggiore e lei ubbidisce tenendo le testa bassa.
‘Anche lì’, dice indicando il folto ciuffo di peli pubici, ‘i peli rendono difficile l’igiene’, aggiunge.
Il soldato regola la macchinetta e ricomincia.
Questa volta toglie tutto, fino in fondo e, per essere sicuro di aver fatto un buon lavoro, ci passa la mano sopra per sentire se sono rimaste tracce di peli. Ne approfitta anche per scendere un pochino più giù e toccarla. Vedo Caterina che istintivamente muove il ventre e stringe i denti, ma le esce comunque un lamento soffocato, che convince il soldato a prolungare il contatto, che diventa quasi un piccolo massaggio.
Il maggiore osserva compiaciuto, mentre il ventre di Caterina si muove e lei non riesce più a trattenere i gemiti. Quando alla fine toglie la mano la vagina della mia amica e compagna di sventura è completamente bagnata.
è il mio turno. I miei lunghi capelli biondi vengono via a ciocche, alcune mi finiscono sulle spalle, altre arrivano sul pavimento dopo aver veleggiato un po’ nell’aria.
Di fronte, sopra il lavandino, c’è uno specchio e posso seguire in diretta la mia rapatura.
Mi è rimasto solo un ciuffo che mi scende sulla fronte e davanti agli occhi, poi la macchinetta, con un’ultima passata, elimina anche quello, e mi fanno alzare.
Il pavimento è pieno dei nostri capelli, ovunque chiazze bionde e rossicce, che si mischiano al grigio del pavimento.
Io lì sono depilata, ma il soldato decide comunque di controllare e ci passa delicatamente la mano.
Non serve, penso io, ho tolto tutto due giorni fa, e poi non sono mai stata molto pelosa.
Sembra che io abbia passato l’esame, ma la sua mano scende in basso e decide di riservarmi lo stesso trattamento di Caterina.
Dopo tutto quello che ho subito il giorno prima, non me l’aspettavo proprio, ma mi scappa subito un lamento, e lui insiste.
Con la mano completamente stretta sulla mia vagina, comincia a massaggiarmi, all’inizio è un tocco leggero, superficiale, poi come sente che il mio sesso inizia ad aprirsi, le sue dita si fanno strada ed io prendo a respirare in maniera affannosa, con il ventre che si muove in maniera sempre più evidente.
Vorrei stringere le gambe, per scacciare quella mano, e invece mi accorgo che, al contrario, ho allargato le cosce, facilitando il suo compito.
Basta così. Il maggiore ha fatto un cenno e il soldato si è fermato. Si asciuga la mano sulla mia pancia e mi lascia lì, in piedi, piena di vergogna per quello che ho appena mostrato loro.

Siamo nella vasca da bagno, tutte e due.
L’acqua è piacevolmente calda e cerchiamo di non far caso al fatto che siamo in presenza di due uomini che ci osservano mentre laviamo i nostri corpi nudi.
è tanto il piacere di toglierci di dosso tutto quello schifo, che passiamo sopra a questo particolare, come pure cerco di non far caso al cattivo odore del sapone grezzo, probabilmente usato per fare il bucato, che ci hanno dato.
A turno, strofiniamo la nostra pelle con la spugna, poi sciacquiamo via il sapone e ricominciamo da capo.
La prima acqua è così sporca che sembra quasi fango, così ci fanno fare una seconda passata in acqua pulita.
Quando finalmente possiamo uscire dalla vasca, siamo perfettamente pulite, non certo profumate, perché l’odore di quel sapone mi infastidisce, poi però penso che è meglio sentire quello che il misto di sperma e sudore che ci ha accompagnato finora.
Scendiamo ancora quella maledetta scala, ma ora, giù, al piano terra, non ci sono più soldati che dovranno cercarci.
Mi chiedo cosa ci faranno ora.
Un soldato porta due pastrani militari e ce li fa indossare.
Ci portano fuori.
Caterina mi sussurra nell’orecchio: ‘Anna, questi ci portano nel bosco e ci ammazzano.’
No, non ha senso, perché ci avrebbero fatto il bagno? Gli serviamo ancora, di questo ne sono sicura.
Il piccolo corteo, formato da due donne rapate, che camminano scalze, con addosso un cappotto militare, in mezzo a quattro soldati, attira gli sguardi incuriositi dei militari che stazionano lì vicino.
è presto e l’aria, ancora non scaldata dai raggi del sole, penetra sotto il cappotto e ci fa rabbrividire per il freddo, mentre cerchiamo di star attente a dove poggiamo i nostri piedi nudi, per evitare pietre e pezzi di vetro presenti nel piazzale in gran quantità.
Incontriamo anche una infermiera che ci guarda con curiosità.
La cuffia che porta in testa è di foggia leggermente diversa ed anche la divisa ha qualche dettaglio differente, ma, tutto sommato è vestita come lo eravamo noi.
Aspetta che i nostri riconquistino questo posto e vedi che servizietto ti fanno, penso in un impeto di cattiveria.
Me l’immagino mentre scende le scale, affranta, con i vestiti a brandelli, dopo essere stata stuprata per l’ennesima volta, ma è solo un attimo, lei mi sorride mentre ci incrociamo e noi proseguiamo in direzione del bosco.
Il bosco, già. Forse ha ragione Caterina, ci portano lì, lontano da occhi indiscreti, un colpo in testa e giù nella fossa, che magari ci hanno fatto scavare prima, come ho visto in certi film.
Devo interrompere le mie fantasticherie perché il viottolo che esce dalla radura e si addentra nel bosco è ingombro di pietre e rami secchi.
La casa compare quasi all’improvviso, dopo una curva. Ora mi ricordo, doveva essere la casa del giardiniere, una piccola costruzione di mattoni rossi, che avevamo deciso di non utilizzare perché troppo lontana dalla villa.
Per fortuna Caterina si è sbagliata, per ora ci portano lì’, nella casa del giardiniere. La casa del giardiniere è una piccola e graziosa costruzione di mattoni rossi, lontana dalla villa e immersa nel verde.
Quando la porta si è chiusa alle nostre spalle, abbiamo sentito il rumore della serratura che girava.
Siamo prigioniere, senza possibilità di uscire, perché le finestre sono tutte provviste di robuste inferriate.
I soldati che ci hanno portate lì, prima di andarsene si sono ripresi i pastrani e quindi siamo rimaste completamente nude, ma per fortuna la casa è riscaldata.
Non ci resta che esplorare la nostra nuova prigione: una stanza spoglia con un fornello a 4 fuochi, un tavolo con due sedie ed una panca, questo è tutto l’arredo del primo ambiente, quello che affaccia sul portoncino esterno, un porta poi conduce in un piccolo disimpegno su cui affacciano due stanze ed un bagno, tutto qui.
Le stanze sono piccole e spoglie, praticamente contengono soltanto un letto ad una piazza, una sedia ed un attaccapanni, però sembrano pulite.
Il tempo di rendersi conto di come è fatta la casa, che sentiamo di nuovo aprirsi la porta esterna.
Sono il maggiore ed il soldato barbiere, quello che ci ha rapato la testa ed anche il resto, quest’ultimo tiene in mano due pacchi, avvolti in un foglio di carta da imballaggio legati con lo spago.
‘Vi abbiamo portato le vostre divise da infermiere’, ci dice il maggiore, ma dal ghigno che mostra, non mi sento per niente tranquilla.
Mi spingono in una delle due stanze dopo avermi dato uno dei due pacchi.
Dentro ci sono soltanto, un paio di zoccoli bianchi da infermiera, un cuffia e due paia di calze bianche.
Non si tratta dei collant che abbiamo ora in dotazione , ma proprio di calze singole, quelle che si usavano una volta, con il reggicalze, che infatti trovo in fondo al pacco, e nient’altro.
Se prima potevo avere qualche dubbio sulle loro intenzioni, ora mi appare chiarissimo come passeremo il tempo nei prossimi giorni.
Della cuffia sono contenta perché almeno servirà a nascondere il mio cranio rasato, anche gli zoccoli, li calzo con piacere perché il pavimento è freddo e ruvido, ma le calze mi creano un po’ di problemi, perché assai poco elastiche e probabilmente troppo corte per le mie gambe, ma alla fine riesco ad infilarle e, con un po’ di fatica, agganciare le giarrettiere al bordo superiore. Chissà dove hanno scovato questa roba, forse in fondo ad un magazzino, deve trattarsi di qualche rimanenza delle divise delle infermiere di molti decenni fa.
L’insieme è orribile ed inquietante, fatto apposta per eccitare le fantasie maschili, come ho visto a volte su certe riviste porno, che i militari ricoverati tenevano sotto al materasso.
Ora che sono vestita, si fa per dire, mi fanno uscire dalla stanza da letto. Anche Anna è conciata come me e se ne sta in silenzio con le mani davanti all’inguine, come a voler riparare il suo sesso da un probabile nuovo assalto.
Il maggiore mi prende per un braccio e mi riporta nella stanza da letto.
‘Vediamo cosa ti hanno insegnato ieri i miei uomini’, mi dice mentre inizia a spogliarsi.
I suoi vestiti finiscono sull’attaccapanni, mentre per togliersi le scarpe usa la sedia, io intanto aspetto seduta sul letto e rifletto sull’essenzialità dell’arredamento della stanza: un posto per appendere i vestiti, una sedia per levarsi comodamente le scarpe e un letto con sopra una donna da scopare.
Semplice ed essenziale.
Si svolge tutto in pochi minuti, poi il maggiore si riveste e mi raccomanda di andarmi a lavare, perché, per un’infermiera, la pulizia è fondamentale.
Così esco dalla stanza e sgocciolando vado in bagno.
Quando esco dal bagno trovo Anna che aspetta per fare la stessa cosa e, quando torno nella mia stanza, trovo ad aspettarmi il soldato barbiere, che si è già tolto i pantaloni.
Non parliamo perché non conosce la mia lingua, ma mi fa capire che vuole riprendere il giochino fatto in bagno in occasione della nostra tosatura, così, dopo avermi fatta distendere sul letto a gambe larghe, ricomincia a toccarmi.
All’inizio cerco di resistere, di pensare alle cose più disparate per evitare di eccitarmi, ma è tutto inutile, perché il mio corpo reagisce autonomamente agli stimoli e lui mi osserva attentamente per rilevare ogni mio più piccolo cambiamento.
Non riesco più a stare immobile, il mio ventre inizia a muoversi, mentre il respiro si fa pesante, allora lui aumenta la pressione, sento la vagina che si bagna e si apre, mentre lui mi affonda le dita dentro.
Ora le mie gambe si muovono, allargo le cosce come ad invitarlo a penetrarmi e lui sorride, si vede che si sta divertendo, mentre io non posso far niente, devo solo aspettare i suoi comodi.
Si decide a mettermelo dentro quando proprio non resisto più. Lo vedo sparire, inghiottito dalla mia vagina bagnata e dilatata.
Mi stringe forte le mani sulle cosce nude, costringendomi ad allargare completamente le gambe e la pressione delle sue dita, che affondano nella carne, aumenta la mia eccitazione.
Lui lo sa benissimo che sto per venire, tiene gli occhi puntati sul mio viso e continua a muoversi dentro di me, sempre più frenetico, finché, dopo aver affondato il viso nei miei seni, non si svuota.
Si è rivestito e se ne è andato senza neanche guardarmi, lasciandomi sul letto, a gambe larghe, mentre sento lo sperma che mi esce lentamente, bagnando le lenzuola.
La porta si è chiusa, ancora il rumore delle mandate della serratura, io e Anna siamo di nuovo sole, per ora.

è passato un anno da quel primo giorno nella casa del giardiniere e non siamo più uscite da lì.
Ora siamo le puttane infermiere, che allietano i momenti di pausa dei soldati nemici.
Tutto sommato ci trattano bene: pasti caldi e abbondanti e lenzuola pulite ogni giorno.
Poiché ce le portano la mattina, siamo costrette a dormire nel letto sporco del sudore e dello sperma delle decine di soldati che sono stati con noi nell’arco della giornata.
All’inizio ci faceva schifo, ma ora siamo abituate: quando l’ultimo soldato ha finito, rimaniamo dove siamo, cioè a letto, ci togliamo le calze, il reggicalze e la cuffia, e ci ficchiamo nude sotto le lenzuola bagnate di sperma.
è tanta la stanchezza che ci addormentiamo istantaneamente, la mattina dopo ci portano di buonora la colazione e le lenzuola pulite, allora ci facciamo una bella doccia, mangiamo, sistemiamo il letto ed aspettiamo i primi soldati, la nostra vita scorre così, giorno dopo giorno.
Sono sempre uomini diversi: reparti che vanno al fronte, allora i soldati sono puliti e pieni di energie, oppure reparti che tornano nelle retrovie, dopo mesi di combattimenti, sporchi e stanchi.
Meglio i primi, sicuramente, ma visto che non possiamo scegliere, è inutile ragionarci sopra.
L’unico che viene periodicamente è il soldato barbiere. Ogni mese, preciso e puntuale, si presenta con la macchinetta, per la solita depilazione e, naturalmente, dopo, ci scopa, come fanno tutti gli altri. La guerra sta andando per le lunghe ed il mio corpo comincia a risentire della prigionia e del ‘lavoro’ a cui è costretto. Le mie gambe sono diventate flaccide ed i miei seni si stanno ammosciando, delle volte, nei momenti di sconforto, penso che la guerra durerà ancora parecchi anni e, quando usciremo da qui, io e Anna saremo due rottami umani.

Mi guardo spesso la pancia, per capire se sono incinta o meno. A Caterina non è accaduto, forse è troppo vecchia, ma a me sì. Con un ospedale a pochi metri non c’è problema: una volta accertato il mio stato, mi hanno portata fuori con indosso un pastrano, poche ore di ricovero e sono tornata nella casetta del giardiniere, dolorante ma libera da intralci e pronta a riprendere il lavoro.
Oggi è stata una giornata leggera, solo una quindicina di soldati per ognuna di noi, quindi potremo addormentarci in un letto non troppo sporco, ma domani sarà dura: è venuto il barbiere per la solita depilazione e ci ha detto che ci sarà un’offensiva, quindi arriveranno molti soldati, desiderosi di farsi quella che potrebbe essere l’ultima scopata della loro vita, e noi saremo lì, pronte a soddisfare i loro desideri.

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