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Racconti di Dominazione

I SOGNI MUOIONO ALL’ALBA

By 10 Febbraio 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Sette mesi. Sette mesi sereni dopo un inizio quantomeno terrorizzante. All’inizio cercavo un lavoro che mi permettesse di finire l’università. Sono matricola. Poi un lavoro che mi permettese di vivere dignitosamente. Infine mi accontentavo di lavoretti saltuari per sopravvivere. Chi cerca un diciannovenne che ha appena finito il liceo? Alla fame. Quel sabato mattina cercavo nei bar un giornale con le inserzioni di lavoro . Niente, però un tizio cercava qualcuno che parlasse bene, molto bene l’inglese. Mi son fatto avanti. Sia pur con pudore gli ho raccontato di me. Non era molto convinto. Alla fine mi propose un mese di prova. Se la superavo, mi avrebbe regolarizzato: vitto, alloggio, un mensile che neanche pensavo possibile, ferie pagate…per le frequenze universitarie e lo studio vedi tu. Prima il lavoro. Se ce la fai…Avevo aiutato per tre anni mamma, ammalata, quando frequentavo il liceo. Sapevo usare gli elettrodomestici, lavare e stirare, tenere pulita la casa. Una sola cosa mamma faceva: cucinava. Male ma cucinava. Non aveva mai amato la nostra cucina. Questo quasi mi costò caro, persi quasi il lavoro, lo stipendio, la camera ed il bagnetto tutto per me. Ma alla fine del mese il dottore mi ha preso. Più per la buona volontà ed i progressi che per i risultati. E’ un galant’uomo ma anche piuttosto pignolo. Ho imparato che per lui le sei sono le sei, magari un minuto prima, non un minuto dopo. Ho fatto brillare i vetri, l’argenteria, i lampadari e le posate. Tengo i suoi vestiti in ordine, stiro bene le camicie…e sto migliorando in cucina. Per il servizio a tavola o cose del genere nessun problema. Le ho viste fare dall’altra parte della barricata, prima della disgrazia. Sono sopravvissuto, sopravviverò di certo. Ho anche superato con voti discreti due esami sui tre che ho preparato. Se va bene,finisco l’anno in pari con gli esami.
Ho studiato fino a mezzanotte come sempre o quasi, e sono a letto.. La porta della camera socchiusa sia per sentire il rientro del padrone, vedere se gli serva qualcosa, sia per fare un pò di corrente. Fa caldo. Mi alzo subito sentendo la chiave che gira nella serratura. Il tempo di infilare la vestaglia ed arrivare alla porta e sento delle voci. Accosto i battenti quasi del tutto. Uscire? Così, spettinato ed in disordine certamente no. Anche solo col dottore non lo faccio mai. Una donna, impossibile sbagliarsi. Ragione di più per starmene da parte. Il padrone, se gli servo, chiama. Aspetto un poco. Passi, parole bisbigliate, la sua porta che chiude. Tra le nostre camere c’è solo il bagno. E’ stata pura fortuna la mia, quando già pensavo… no non si pensa a diciannove anni al suicidio, ma ero disperato. Morto papà è andata sempre peggio. Tiravamo avanti con il vitalizio della mamma. Se ne è andata poco dopo il mio compleanno. Pensavo di farcela con i pochi soldi rimasti. Mi sono iscritto anzi all’università. Poi sempre peggio. Chi offre un lavoro a me con tanti laureati a spasso? Vivevo dentro un sottoscala già freddo ed umido in novembre. Cerco di non pensarci ma non riesco.
Faccio il cameriere. E allora? Certo se incontrassi vecchi conoscenti dell’altra vita mentirei, forte degli abiti che il dottore mi ha fatto confezionare dal suo sarto.
Abiti da lavoro ma anche normali per uscire. Poca roba di questi. Ci sono andato agli esami. Sono un buon cameriere. Sto imparando bene il mestiere. Ce l’ho messa tutta, ce la metto tutta. Che mi piaccia del tutto no… Vivo e vivo Bene, una vita ordinata. La sera di norma, doccia e barba, questa ogni due giorni. Studio un paio d’ore e spengo. La svegli suona alle sette ma in genere sono già in piedi da una decina di minuti. Preparo la sua colazione, caffè in camera alle otto con i giornali che trovo sullo zerbino. Prima delle nove compare ed in venti minuti esce. Di solito rientra alle sette e si cena alle otto. Raramente esce. Ospiti ancor più raramente e solo per il caffè con un liquore che servo tutto azzimato. Non si fida ancora della mia cucina. Sono sempre in ordine. Tenere la casa come dico io, come veniva tenuta la nostra, lavare, stirare, smacchiare o rinfrescare gli abiti, fare la spesa e cucinare,il dottore non è di bocca buona, porta via tempo. Riesco però a studiare anche di pomeriggio, almeno un poco. E’ pignolo. Bene, lo sono diventato pure io. Agli inizi ho ricevuto qualche rimprovero. Ne ho fatto tesoro. Penso di essere stato nella disgrazia molto fortunato. Silenzio. Lui e lei fanno quello che devono senza chiasso. Qualche risatina attravero la porta, ovviamente chiusa, mentre la supero andando in cucina. Una sosta nel mio bagnetto ed un sorso d’acqua minerale. Ho già visto la lavagnetta sul tavolo. Caffè per due alle ore sette e trenta. Bussare. Colazione per due alle otto e trenta in sala. Due caffè completi. Acqua anche temperatura ambientedetto. Ci penso su. Tolgo dal frigorifero le marmellate con cui riempio le scodelle di cristallo. Faccio una tripla razione di riccioli di burro.
Le fette di pane no. Le preparo domani mattina. Sarà più fragrante. Preparo il tavolo e poi a letto.
Sono un poco assonnato. Non amo le sorprese, ma lui è il padrone di casa. Mentre faccio il pignolo, immagino i due: se lei fosse nuda, no impossibile. Se fosse sotto le lenzuola ma col petto nudo? Almeno un poco scoperto. Potrei offrirle una maglietta del padrone. Potrei offrirmi di prepararle il bagno, chiedere se…E’ ora, busso. Entro solo dopo “l’avanti” del padrone. Lei non c’è, o meglio c’è solo un mucchietto di lenzuola ed un suo occhio, uno scampolo di viso o poco più. Bravo, metti qui sul mio comodino. Senza guardare verso di lei, torno sui miei passi. Serve altro? La colazione sarà servita in sala tra un’ora. Comincio a tirare fuori le marmellate, mezz’ora più tardi il tavolo è a posto. Una marmellata in più di quanto richiesto, due acque, una temperatura ambiente, Tre fette abbrustolite in più. Sono in ritardo. La caffettiera comincia a gorgogliare sul gas. Hai visto? Te lo avevo detto o no, è un fenomeno. Ed a voce più alta: bravo. Il tavolo fa bella figura. Vassoio d’argento. Una “guantiera”, per essere precisi. Tazze, piattini, piatti, burriera, coppette, bicchieri del servizio “bello”, compreso la caffettiera dello stesso servizio che ho scaldata con l’acqua bollente. Soddisfatto delle lodi faccio il mio lavoro. Con le orecchie tese ovviamente. Lei è caruccia, belloccia anzi. Vecchia però. Per me almeno. Daltronde il dottore ha quasi quarant’anni.
Vado in camera a prendere l’orologio che la signora ha dimenticato. Niente bagaglio, solo una borsa. Biondina, con due belle… ed un bel… abbondante ma senza esagerare.
Sto finendo di lavare tutto. Suona il telefono. Capita spesso. Casa del dottor Z…Un attimo per favore. Morale: il dottore che doveva accompagnarla all’aeroporto deve andare, di sabato, in ufficio. Dopo mille esitazioni mi affida l’amatissima auto nuova. Partiamo tra mille altre raccomandazioni.
Sono quasi le due quando rientro, sudato fradicio.Come accendere il condizionatore? Non me lo aveva detto.
Il tempo di spogliarmi e sono sotto la doccia. Esco dal bagno asciutto e pettinato ,quasi mi scontro con il dottore. Sei qua, tutto bene? Si dottore. Ho però parcheggiato in cortile, ho preferito non rischiare con il box. Anche lui è in vestaglia, scarmigliato però. Mi hanno richiamato. Ho dormito ed adesso ho fame. Fammi un panino poi preparami il bagno per piacere. Mi vesto dottore e… Lascia stare, ti vesti dopo. Dall’espressione mentre mastica direi che il panino lo soddisfi. Vado a prepararle il bagno. Il letto è più incasinato di questa mattina, le lenzuole fradice attorcigliate, un cuscino per terra, la giacca ed i pantaloni a mucchio sulla poltroncina. Pensavo ad altro quando ho portato il caffè. Il portafogli è a terra. Non lo riconosco più il dottore. Certo che la fanciulla non era male. Un sospiro e comincio a far scorrere l’acqua. Ho comprato, dopo la prima discussione su acqua calda e fredda, un termometro apposta. Finite le discussioni. A quanti gradi dottore? Il termometro è sempre dentro l’acqua quando arriva.
Posso portar via l’abito? Andrebbe… certo. Metti le mie cose sul comodino. Portafogli ed il resto, tranne i due fazzoletti che gli cambio tutti i giorni affiancano l’orologio. Appendo sull’ometto l’abito, lo controllerò poi. Preferisco rifare il letto. Sto finendo di sistemarlo con biancheria di bucato e lui esce dal bagno. La stanza è in ordine. A prima vista almeno, visto che non ho fatto altro. Pantaloni grigi, maglietta beige e mocassini in tinta. Poi gli accessori naturalmente. Si fa più vicino per prendere qualcosa dal comodino e mi urta con la spalla. Sto girandomi, sono sbilanciato, cado sul letto. Non mi preoccupo più di tanto. Scusi dottore. Cerco in una volta sola di alzarmi, riallacciare la cintura e ricoprirmi il bassoventre non ben coperto. Ride, almeno sorride. Mai fare, dice, troppe cose in una volta. Allunga il braccio per tirami su ed io cerco di tirarmi su. Gli finisco addosso. Pure lui ha la vestaglia slacciata. Non mi viene da ridere. Lui invece per un attimo sussulta. Poi mi stringe. Allibito resto inerte. Mi spinge, cadiamo, o lo faccio cadere sul letto appena rifatto ed ora da rifare. E’ il mio primo pensiero. Poi ho altro cui pensare. All’ avambraccio sotto la mia testa, alla mano che mi si posa li. Sussulto incredulo. Mi fissa. Uno sgurdo che non conosco, che non capisco, che mi fa paura. Mi fissa ancora poi il viso si avvicina, fino a posare la bocca sulla mia. Ho la pelle d’oca, i brividi. Vorrei gridare scuotermi, ed un poco mi scuoto e qualcosa mormoro. Ho la testa e le spalle bloccate , potri scalciare. Non oso, forse non voglio. Con una lentezza esasperante o forse mi sembra soltanto sia così, la mano tiepida percorre il mio ventre e ciò che sento mi spaventa, certo che mi spaventa ma..Poi raggiunge di nuovo il suo obiettivo. Non dovrebbe, certo non dovrebbe succedere, eppure, quando lo sfiora mi accorgo dell’improvviso turgore. Un turgore che anzi si accentua man mano che viene stretto, manipolato lentamente. Mi manca il fiato, sospiro…mi dibatto ancora. Poco, pochissimo; mormoro o forse immagino, mi propongo di dire…mentre la sua lingua già mi ha schiuso le labbra. Supera anche la barriera dei denti non più serrati. mi riempie, mi fruga. Ho baciato delle ragazze, solo qualcuna, senza mai andare oltre un bacio, qualche carezza. Mi abbandono, cedo senza difendermi. Chiudo gli occhi. Ho la bocca libera, le sue labbra, si posano lievi ovunque sul mio corpo, morsi sempre più piacevoli, intriganti tochetti con la lingua, ovunque, si, intriganti da mandarti e mi mandano fuori di testa. Mi sento però usato. Non voglio, dico. Un attimo prima avevo i piedi a terra, ora sono steso sul letto. Mi sfiora appena il membro con le labbra se ne discosta di nuovo. la bocca sulla mia, la mano sullo scroto, oltre lo scroto. il dito… Non voglio. Certo non voglio, ma quando mi prende la mano guidandola tra le sue cosce nervose non la ritiro. Neppure mi ritiro qualche momento appresso o comunque quando dopo, sale sopra di me quasi a montarmi come fossi una donna. Non mi nego quando mi carezza le natiche nè quando si fa carezzare. Guardo tra l’incredulo e l’incuriosito lui che stringe i due membri l’uno contro l’altro, quasi a misurarli, a confrontarli. Non uscirei bene dal confronto . Un flash, immagini, desideri,paure, non penso ad altro. Ho ancora paura. Ma non scappo. Non scappo neppure quando le braccia di lui non trattengono più con forza quasi fossi prigioniero ma solo avviluppano con dolcezza. Non lo confesserò assolutamente mai. Gli sarò sempre grato per quel brevissimo istante. L’ho racchiuso e protetto nel pugno, l’ho portato alle labbra, poi al cuore. L’avrò sempre con me. Ora mi stringo a lui cercandone le labbra, succhiandolo dentro mia la bocca. Ora sono bocconi, percorso da un languore mai provato: brividi, dolcissimi, irresistibili brividi; brividi ed il crescente calore che mi avvolge rendendomi inerte ed inerme. Le labbra, la lingua scendono carezzevoli e calde, stuzzicanti e lascive lungo la spina dorsale. La mano di lui va tra le cosce, lo cerca e lo trova, lo stringe per qualche attimo per poi lasciarlo e stringerlo e lasciarlo ancora. Mi schiude le natiche, ne percorre la fessura, si sofferma più di un attimo sul buchetto a questo punto serrato. Una battaglia viene combattuta e persa. Persa da me. La paura ed una sia pur breve vita trascorsa nella irragionata certezza che tutto questo fosse impossibile, vengono sconfitte dalla lingua, carezzevole, puntuta, morbida ma prepotente.
Incapace di trattenermi contraggo e rilascio lo sfintere. Mi sembra quasi di esserne aperto, dolcemente violentato. Più volte sul punto di eiaculare, ascolto il cuore battermi in gola, nel petto, squassandomi quasi, grandiosa e dolce sensazione, mentre mi sugge i testicoli per risalire verso il glande scoperto, fossi quasi un estraneo lo vedo prenderlo tra le labbra e stringerlo. Piano, molto piano, muovendo appena il capo. Il tempo si è fermato, anzi il tempo non esiste, non è mai esistito nè esisterà mai. Solo io qui ora. Il centro del mondo. Lui ed io. Il centro di tutti gli universi. Tra le sue ginocchia, il capo riverso, a serrare tra le labbra la sua virilità che mi riempie ed imbavaglia, giù fino a frugarmi la gola. Devo scostarmi o rigetto. Di nuovo stretti l’uno contro l’altro a contendeci l’aria che respiriamo…Quando, cosa è successo? Poi ” è la prima volta anche per me” non capisco e non mi interessa. Seguo ubbidiente la pressione delle sue mani magiche, sono di nuovo bocconi. Di nuovo l’ansia e la paura. Temperate però da… Temperate e basta. Ecco, temperate da una specie di aspettativa. Per quanto assopita però la paura dell’ignoto è vera. Meno vera invece ogni mia ripulsa. Ogni mio :” per piacere no, non voglio, cosa penserà di me”. Gli intrido il glande di saliva. Non mi prende, non mi entra dentro. Ci gioca soltanto. Lo fa scorrere lungo la riga del sedere, ogni tanto lo punta, preme un poco senza farmi male, anzi un poco, forse, poi ancora lo mette, il pene intendo, piatto nella riga stessa, vi grava muovendo i fianchi, tanto da trasmettere la pressione ed un poco il movimento al mio coso sottostante e premerlo, muovendolo, contro il copriletto. E’ bello…Poi fa sul serio. Sentirai un poco male. Irrigidito lo sento premere. Un fastidio prima, un dolore cescente mentre mi penetra, lo allarga, si fa strada nel mio sedere. Protesto. Fai come ti ho detto. Spingo come per andare di corpo. Forse ha cominciato a uscire perchè ne provo sollievo, non piacere, certo. Sto per ringraziarlo, vorrei chiamarlo caro, quando spinge di nuovo, con più forza. Trattenendo a stento e con molta fatica un grido ma non un gemito profondo, mordo il cuscino. Più tardi lo troverò bagnato della mia saliva. Ora la sensazione, il timore di essere lacerato ed il dolore sono minori. Non si ferma e lentamente entra, finchè lo scroto non batte sul mio corpo ormai oppresso. Immobile, forse un poco sollevato aspetto. Ti ho fatto male? Un poco. Non importa. Non importa? Sono una farfalla trafitta. Mi sento suo, sono suo e non voglio. Ma cosa voglio? Vedrai, adesso il male passa. Un pò di pazienza. Pazienza con un palo di carne dentro di me oppressivo e continuamente , indimenticabilmente presente ad ogni istante. Dentro di me. Freme e fremo pure io. Poi lo seguo in una specie di gioco di equilibrismo. Ci ritroviamo, ancora uniti, stesi sul fianco sinistro. Sotto la mia testa il suo omero. Alza le ginocchia. Si bravo, così. Dentro di me, si è dentro, lo sento, non posso non sentirlo bruciante, non poi tanto, non insopportabile, piacevole? Bello?Grandioso? Il dolore scema. Lo sento, dentro di me. Sopratutto lo sento dietro di me e… davanti. La mano. La mano che mi carezza l’inguine. di nuovo lo stringe. Basta il calore della mano per ridare al mio…cazzo. si cazzo, cazzo cazzo. Cazzo, sto per venire. Lo intuisce e si ferma. Purtroppo.
La mano va altrove. Ne resto deluso. Volevo godere, voglio godere. Sono col suo cazzo nel culo. Tutto, lungo, duro. Più che darmi piacere, mi eccita. Sono cose che traduco in pensieri solo più tardi. Ora sono perso, certo non inorridito nè schifato. Ed ancora finalmente, la mano sul cazzo. Mi carezza ed al tempo stesso a piccoli colpi di reni mi monta, mi chiava, mi incula. E’ bello? Non so. Mi piace? Non so. Voglio che smetta? Cazzo NO! Esce dal mio buchetto, rientra. Non è più proprio un buchetto. Entra ed esce senza fatica e, cosa per me più importante, senza farmi quasi male. Entra solo un poco. Cazzeggia anzi con il mio sfintere. Quando comincia a dolermi, per fortuna si spinge dentro. Sempre più dentro. Sussulto sotto i suoi colpi crescenti, lunghi, possenti , da padrone e conquistatore. Sono conquistato. Capisco cosa intenda una donna nel dire “essere posseduta”. Lui mi possiede. Io sono posseduto, suo, conquistato, perso. Ora il cazzo mi impala dolorosamente .per, ma,..non importa. Un poco di dolore che conta? Perso in quelle che sono solo sensazioni scoordinate che turbinano inafferrabili non me lo aspetto, soffia, trema leggermente ma a lungo, si scuote. Mi sta godendo. Sono di nuovo sorpreso ed incredulo, perso direi, ed in quell’attimo, il mio cazzo si prepara ed esplodere. Non era stato zitto. Ora il tepore, non un fuoco, tepore, solo tepore, cresce, monta travolgente inarrestabile travolgendo qualsiasi altro. godo, Godo, GODO! Letteralmente spiro, mi spengo tra le sue braccia. In quel momento certo in estasi.
Più tardi, nella notte, mi sveglia, mi vuole, mi prende di nuovo. Assonnato e subito desto mi do a lui, sottostò al suo desiderio, fiero di essere così desiderato, di sapergli dare tanto piacere E’ bello ma…non è la stessa cosa anche perchè ora mi brucia di più. Lo dico. Ancora più tardi, dopo essersi fatta la doccia, mi sveglia. Qualche carezza, va bene, ma iil resto no. Ci provo ma non posso. Proprio non posso. Non richiesto, mi chino sul suo cazzo. E’ bello il cazzo del padrone. E’ bello anche così, ormai stanco e quasi rilassato. Voglio vederlo orgoglioso, svettante. Lo lambisco. Lui sorride. Mi carezza il capo. me lo bacia, ma non è quello che voglio. Lo lambisco di nuovo, lo succhio. Il primo pompino della mia vita. Non so come fare, padrone. Prova lo stesso, mi dice Lo stringo tra le dita. Lecco lo scroto e, come ha fatto lui percorro la fessura tra le natiche. Cerco e trovo facilmente il buchetto, lo premo con la lingua puntuta, ma non è questo che voglio. Torno alle palline, torno alla sua nobile verga, al grosso cazzo. Più grosso del mio almeno, e più lungo del mio. Ormai l’ho conosciuto, lo conosco intimamente, a fondo. Lo lecco. Lo succhio. Calando la testa, stringendolo appena tra le labbra socchiuse, lo faccio scivolare sulla lingua, una passatoia per cazzi, lo voglio dentro fino alla gola, dentro alla gola. Non ci riesco. Mi cresce in bocca però. Si allunga, torna vivo, esigente,prepotente. Si svuota dentro di me per la terza volta. Non mi spiace il suo sapore. sputo nella tazza del bagnetto. Quando torno ripulito lui dorme. E’ notte fonda. Sdraiarmi nel suo letto? Lo desidererei ma non oso. Silenziosamente raccolgo la vestaglia e torno nel mio di letto.
Torno in me. Ore di di dubbi, paure, vergogna, perchè no, pentimento. E adesso? Si intreccia il bruciore alla vergogna ed al timore di essermi fatto marchiare. Sei un culo, mi dico. Si certo. No non è vero.Ma al tempo stesso il lavoro. Se mi licenzia? Se non mi licenzia cosa sono,cosa sarò. Il suo culo. Mi è piaciuto? Mi dico di no e mento. Al tempo stesso… almeno un poco…o molto? E’ deciso. Una decisione dolorosa, sofferta e drammatica. Tornare fuori al freddo, alla fame, ad un futuro certamente buio. Ma è la sola decisione possibile. In poche ore tutto è finito, ho perso tutto. Fa presto mattina, siamo in estate. La mia vecchia valigia. Le altre mie vecchie cose non esistono più, buttate dal dottore, indignato per il loro stato. Biancheria, l’abito estivo e quello invernale che mi ha regalato. I libri e poco altro. Jeans e maglietta, il giubbino e sono pronto. Allo scrittoio per spiegargli. Non è facile .Ho il magone, ma in tasca ho i documenti del mio conto in posta. Mesi di salario quasi intatti. Ci riprovo. Forse riesco a dare il terzo esame. Certamente rimpiangerò questa sistemazione, la camera, il bagnetto tutto per me ed il dottore, un datore di lavoro fuori dell’ordinario anche se…mi ha rotto il culo. Lo sento bene e continuerò a sentirlo per qualche giorno. Comincio a scrivere. Vestito di tutto punto secondo lo stile giorno festivo il dottore entra. La porta era aperta, dice. Vieni in sala. Poi: te ne stavi andando lasciando solo una lettera. E’ una accusa che mi muove. Si dottore, è la mia risposta. Non posso restare. Mi fissa un attimo. Pure questo uno sguardo che non ho mai visto. Un’altro e diverso ovviamente anche rispetto a quello, famelico, di qualche ora fa a letto. Uno sguardo affettuoso. E’ stata colpa mia, ti ho forzato, fatta violenza. Me ne scuso, me ne vergogno. E’ la prima volta, te l’ ho detto, prima. Con un uomo intendo. Con qualche donna si, capita, ma raramente. Ora capisco ma non cambia niente. Se ti dicessi che non succederà più?
Esito, ma tutto quello che ho pensato in queste ultime ore resta valido. Se resto capiterà ancora ed ancora. Non è colpa vostra, non solo vostra dottore. Potevo dire di no. Non mi ha mica puntato contro una pistola, legato e violentato. Non importa proseguo, che diciamo basta. E’ successo. Sarà una barriera, una macchia che ricordemo tutte le volte che ci vediamo. Devo andare, perchè la stimo, le sono grato per un mucchio di cose. Spero che nonostante questo, la stima che spero nutra ancora nei miei confronti non si cancelli. Ma questo succederà solo se non sarò più qui. In realtà penso e ne sono certo che restando qui il dottore mi salterà di nuovo addosso. O forse mi offrirò io, temo che se mi volesse io risponderei di si anche adesso. Non può e non deve capitare. Cosa farai? Dove andrai? Resto zitto perchè non ne ho la minima idea. Ascolta io penso…. La proposta è inaccettabile. Cosa cambierebbe restando suo ospite…. Quasi bisticciamo. Poi si porta la mano al mento. Tra parentesi mi ha graffiato la faccia con la barba. So che una conoscente dice…Alla fine accetto. E’ corretto. Forse il mio sogno non si è infranto all’alba di questa bella giornata estiva. Mentre riposo nel mio letto in attesa dell’ora in cui potrà telefonare alla sua conoscente, guardo al futuro. Un futuro ancora incerto. Con un mentore come lui alle spalle però posso essere fiducioso. Non dovrà sapere mai, assolutamente mai, quanto io lo… e desidererei …ma non sono un culo. Non voglio esserlo.

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