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Racconti di Dominazione

il foulard rosso

By 5 Gennaio 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Vedo un uomo…un uomo normale come ce ne sono tanti in giro.Vedo un uomo che come tanti ha una vita normale, un lavoro normale, una famiglia normale. Vedo un uomo tifoso di calcio come tanti, un uomo che passa le feste in famiglia come tanti, un uomo che ha 2 macchine e un televisore in ogni stanza della sua casa come tanti, un uomo a cui piace viaggiare come tanti.
Vedo un uomo che come tanti si nasconde, nasconde il suo essere perch&egrave vive in una società che si professa emancipata ma che in realtà non si rende conto di quanti tabù siano ancora presenti.
Vedo un uomo che cerca di evadere dalla routine del quotidiano, che cerca avventura, che cerca mistero, che cerca di conoscere una dimensione parallela alla sua, perch&egrave, ne &egrave sicuro, deve esistere qualcuno in grado di scavargli nell’Io, qualcuno libero da condizionamenti, o almeno, libero più di lui, qualcuno con cui sperimentare, qualcuno con cui tornare a vivere.
E poi vedo lei, una ragazza normale come ce ne sono tante.Una ragazza che adora la musica, una ragazza a cui piae scrivere, disegnare e passare ore davanti ad un cruciverba sperando di finirlo.Una ragazza con una casa normale, una famiglia normale, con un cane e tre gatti.
Una ragazza che però non si nasconde, una ragazza che ha fatto partecipe del mondo intero di adorare il sesso in tutte le sue forme, una ragazza che ha scelto di esibirsi in cam davanti a qualcuno perch&egrave adora essere guardata, adora sentirsi dire che il solo vederla provoca a chi &egrave seduto dall’altra parte del monitor, un eccitamento improvviso e forte, una ragazza che sa che il sesso &egrave uno dei motori del mondo, una ragazza che spesso ha provato esperienze forti, una ragazza che cerca di trovare se stessa anche attraverso l’arte antica dell’erotismo.
Dal primo momento in cui lui la vide, capì che non poteva essere come le altre.Il suo viso pulito e, all’apparenza, puro, nascondevano, ne era sicuro, una passione irrefrenabile, un animo ardente e una voglia senza confini.
Forse erano i suoi capelli ricci che la facevano somigliare ad un diavoletto scatenato.
Forse erano i suoi stivali in pelle con il tacco a spillo che la rendevano aggressiva.
Forse era il suo sorriso magnetico a farti cadere nella sua trappola di lussuria.
Lui nn lo sapeva. L’unica cosa certa era che quella giovane ragazza aveva tanto da dare e tanto da insegnare.
Il loro incontro avvenne su internet, in una chat.
Si scambiavano opinioni, esperienze di vita. Lui la leggeva affascinato dalle sue parole e dal modo di essere delineato alla perfezione da ciò che scriveva e da come lo scriveva. Affrontava la vita con entusiasmo, in tutte le sue sfaccettature, in tutti i suoi modi, nell situazione serene o in quelle dolorose. Era sicura…sicura che presto o tardi le cose cambiano, sicura che in un mondo fatto troppo spesso di dolore e sofferenza, di egoismo e cinismo, lei ne sarebbe uscita vincitrice, a testa alta.
Era sicura di poter dominare il mondo.
La sua sicurezza a volte lo intimoriva. Non sapeva se la ragazza fosse in grado davvero di poter dominare il mondo, ma sapeva con certezza che poteva dominare lui e lo stava già facendo anche se non ne era consapevole…o forse si?
Lui si accorgeva che ogni giorno di più, la ragazza gli parlava in tono autoriario, ogni giorno di più il carattere predominava sul suo, ogni giorno di più aveva la certezza che le avrebbe donato tutto, anche la sua libertà.
Ma lei non ebbe bisogno di chiedergliela. Lei non aveva bisogno di chiedere nulla…ciò che voleva lo prendeva, e in quel momento, voleva lui e la sua adorazione.
Quando si incontrarono per la prima volta, lo fecero in un bar al centro della città.
Arrivò puntualissimo, lui, anche in anticipo, mostrandosi al massimo dell’eleganza.
La aspettò nel locale, ordinando un bicchiere di vino bianco.
La vide entrare. Riconosceva nello sguardo della ragazza che era appena entrata la sicurezza che aveva letto nei confronti del mondo.
Era vestita di nero: camicetta nera, minigonna nera, giacca nera e stivali alti, neri anch’essi, e con il tacco a spillo, di pelle.Un foulard rosso legato al collo.
Anche lei lo riconobbe. La stava guardando, forse imbarazzato, forse intimorito.
Il dubbio divenne certezza quando, una volta giunta con passo felino verso il suo tavolo, notò un lieve rossore sulle guance dell’uomo che aveva cominciato a balbettare.
Era questo il suo potere. Era quella la fonte della sua forza. L’imbarazzo, la paura, il timore degli altri, accrescevano il suo dominio, la sua sicurezza, la sua sfrontataggine.
Mentre parlavano, si presentavano, si conoscevano, la ragazza sentiva crescere in lei il desiderio di punire quell’uomo, punirlo per la sua dimostrazione di sottomissione, punirlo per la sua incapacità di affrontare una conversazione con una semisconosciuta senza mantenere la calma, punirlo per i discorsi inarticolati che pronunciava.
Il tempo di finire la consumazione, poi avrebbe fatto ciò che doveva.
Senza girarci troppo intorno, gli chiese di condurla nel suo appartamento.
Non le importava se era troppo diretta o se poteva essere scambiata per malducata o per invadente. Voleva mettere in chiaro ciò che lui aveva già capito da un pezzo: era lei che comandava, era lei che decideva il gioco, come e quando farlo, era lei il burattinaio che muoveva i fili della sua marionetta, era lei che aveva il controllo e le bastava un semplice sguardo fugace per ottenerlo.
Una volta a casa, la ragazza, guardandolo negli occhi, gli chiese di procurare spago, mollette, candele e una cinta.
L’uomo nn si chiese perch&egrave, non chiese nulla…l’unica sua risposta fu di abbassare lo sgurdo e andare a recuperare l’occorrente richiesto.
5 minuti più tardi fece di nuovo la comparsa trovandola con indosso solo un corpetto nero ricamato, un perizoma nero e gli stivali di pelle.
Non poteva resistere…gettò tutto per terra e si inginocchiò ai suoi piedi, baciandole le scarpe.
Che misera prova di sottomissione, pensò lei nel vederlo già così vinto.
“Mia signora, farei qualunque cosa per lei…tutto per il suo piacere.”
Parole…semplici parole…musica per le orecchie di lei.
Alzò la gamba e posizionò il piede sulla sua spalla, spingendolo e facendolo cadere a terra.
“Spogliati, avanti. Non ho voglia di perdere tempo con te.”
Si spogliò…altra scena pietosa mentre lui, togliendosi i vestiti, li piegava ordinatamente per avitare che si stropicciassero.
Cominciava a darle fastidio, cominciava a non sopportare le sue manie di perfezione. Lo facava apposta per essere punito?
In ogni caso lo sarebbe stato.
Quando fu nudo gli ordinò di rimettersi in ginocchio e leccarle le scarpe, dalla pelle alla suola, al tacco. Tutto doveva brillare.
Notando il disgusto di lui mentre puliva la suola, gli spinse il tacco sulla spalla, non sopportando più quell’espressione di schifo, facendolo gemere dal dolore.
“Non deve farti schifo leccare i stivali della tua padrona, devi essere onorato che ti permetta di farlo, o forse, vuoi essere punito più severamente?!”
L’Uomo si accorse di aver finalmente trovato ciò che cercava.
Quella ragazza si ergeva sopra di lui, guardandolo con durezza e soddisfazione nel vederlo ai suoi piedi, nel sentire l’abbandono al suo volere.
Aveva trovato la padrona più severa, più intransigente e più bella che potesse desiderare e, forse, aveva già cominciato a pensarlo inconsapevolmente, quando nei giorni precedenti all’incontro accendeva il computer con l’unica speranza che lei fosse collegata, con la speranza che lei gli parlasse di nuovo, con la speranza che prima o poi avrebbe potuto servirla, ancora e ancora e ancora.
Si gettò come una furia sugli stivali della padrona, leccandoli, adorandoli, adorando lei e il suo essere sottomesso.
L’espressione compiaciuta della ragazza gli riempiva il cuore di gioia…voleva dimostrarle di essere degno di essere suo servo, degno di subire, degno di essere trattato come un oggetto.
Lo fece alzare e lo fece disporre con la schiena contro il muro.Gli fece allargare le cosce e legò le caviglie con lo spago, alle gambe dei mobile che aveva accantoLe braccia in alto, aperte anch’esse, i polsi legati e lo spago che li teneva incastrato nei chiodi che reggevano i quadri appesi.
Quando fu pronto e si rese conto di non potersi più muovere, la sua sottomissione divenne chiara e un velo di paura gli offuscò la mente, facendolo sudare ed eccitare improvvisamente.
La padrona se ne accorse, prese la cinta e sferrò il primò colpo, in pieno torace.
Un colpo secco, un dolore acuto e lancinante. Gli mancò il fiato e cercò di piegarsi e di piegare le braccia per difendersi. Tutto inutile, nn poteva muoversi, non aveva difese, era nudo di fronte a lei.
Gli legò gli occhi con il suo foulard.”Così potrai godere anche del mio profumo servo.” Gli disse prima di sferrare un altro colpo.
Sempre nello stesso punto, sempre un dolore forte confuso dal suo odore, dal suo sapore di donna, di femmina dominante, di femmina cacciatrice.
Un altro colpo e un altro ancora…la pelle bruciava, la voce strozzata in gola…un erezione sempre più accesa.
Sentì le mani della padrona sul corpo…un tocco delicato, leggero, vellutato…desiderava quelle mani, le desiderava su tutto il corpo, ma sapeva che doveva dimostrare di meritarle.
Sentì che qualcosa gli stringeva i capezzoli e realizzò subito che si trattava di mollette.
Quante ne stava mettendo? Forse 5 su ogni capezzolo, altre 4 sui fianchi, 2 per parte, e altre ancora sui testicoli, 3 in tutto.
Poi il silenzio…nessun tocco…nessun rumore…nessuna percezione di ciò che stava succedendo intorno a lui…nessuno spostamento.
Solo dopo qualche secondo si accorse di qualcosa che fendeva l’aria ma, prima che potesse realizzare cosa fosse, sentì il pizzico dilaniante della mollette scosse dal colpo violento della cinta che aveva tentato, inutilemente, di staccarle.
“Queste biricchine non vogliono venir via…dovrò colpirle più forte.”
“La prego, no…mi fa male”
Ancora parole sublimi e richieste di aiuto, suppliche, preghiere…come godeva lei della sua potenza. Invece di essere clemente, sferrò un altro colpo, più forte del primo, più preciso, che fece saltare tutte e 5 le mollette lasciando scoperta la carne.Probabilmente, causa il colpo, i capillari si erano rotti e la pelle dove erano attaccate stava diventando di una colore violaceo e livido.
Anche all’altre parte fù riservato lo stesso trattamento. Un colpo secco e saltarono anche le altre, e quelle sui fianchi.
Il dolore aumentava come la sua paura e la sua eccitazione, eccitazione che non poteva più controllare, eccitazione che impediva alla padrona di staccare le mollette dai testicoli.
“Guarda quanto sei verme”, gli disse “Io ti punisco, io ti faccio male e tu non sai fare altro che lamentarti come una cagnetta ed eccitarti”
Gli sputò addosso…”Mi fai schifo”.
Inutile cercare di resistere, inutile provare a calmare la voglia che aveva di lei. La sua voce autoritaria, la sua saliva che gli colava addosso, i suoi discorsi di disprezzo…tutto lo faceva eccitare, tutto lo portava in uno stato confusionale. La testa gli girava, le braccia e le gambe cominciavano a soffrire di quella posizione forzata ma sapeva che non era finita, che non era ancora il momento di essere libero, e forse, non voleva essere libero.
Altra serie di frustate con la cinta, altro dolore, poi di nuovo il silenzio.
Un piccolo rumore…un click…il click dell’accendino…il fuoco per accendere la candela.
Sentiva che si avvicinava…sentiva il suo profumo sempre più vicino, finch&egrave nn gli fu accanto e gli fece scorrere la fiamma della candela davanti alla benda che copriva gli occhi.
La fece scorrere accanto al suo corpo e si accorse che l’uomo cercava di contraere la pelle per allontanarla dalla fiamma.
Cominciò a sciogliersi la cera e lei la fece colare sul corpo di lui facendolo gridare dal dolore.
Una goccia di cera bollente che ti cade addosso da un pizzico acuto all’inizio, non appena si ferma sulla pelle, ma poi si fredda subito e non si sente più nulla.
Le gocce che bagnavano il suo corpo però cadevano continuamente come la pioggia…una goccia dopo l’altra, incessantemete, inesorabilmente, e pizzicavano, bruciavano, ustionavano il colore candido della pelle.
Se avesse potuto vederla…se avesse potuto vedere l’espressione soddisfatta e appagata da quella scena sublime che aveva di fronte agli occhi, se avesse potuto rendersi conto che lui, il suo schiavo, la stava rendendo felice, sarebbe stato orgoglioso di essere servo, si sarebbe sentito ultile, utile alla sua padrona e utile anche a se stesso che come obiettivo principale in quel momento aveva quello di servirla e riverirla.
Sentiva di avere il corpo coperto di cera. Le braccia e le gambe erano stanche, il respiro affannoso, la testa pulsava e la sua eccitazione, almeno quella fisica, stava diminuendo.
La ragazza ne approfittò per staccare le ultime mollette rimaste sui testicoli e l’uomo urlò di nuovo.
Ogni volta che sentiva la sua voce gridare e invocare pietà, si bagnava e non poteva fare a meno di toccarsi in mezzo alle gambe.
Vederlo cosi vinto, cosi sottomesso ai suoi capricci era uno spettacolo senza confronti, sublime, erotico, appagante.
Di più…voleva che urlasse di più.
Lo sciolse, sciolse caviglie e polsi e, non appena fu libero, cadde per terra sentendosi le articolazioni deboli.
“Alzati, avanti”.
Aveva ancora la benda sugli occhi, ma, non riuscendo ad alzarsi come gli era stato ordinato, scelse di strisciare per terra trascinandosi per i gomiti.Quando fu al centro della stanaza, la padrona lo legò di nuovo, questa volta a quattro zampe come i cani.Legò prima i polsi, poi le caviglie e, con un ulteriore pezzo di spago, unìì i due fili: se avesse provato a cambiare posizione nn ci sarebbe riuscito e sarebbe rimasto in quel modo.Salì sulla sua schiena a cavalcioni e gli ordinò di portarla in giro per la stanza mentre lei, da dietro, gli tirava i capelli come se fossero le redini di un cavallo e lei fosse un Amazzone.
L’uomo si accorse solo nel momento in cui cominciò a muoversi che aveva sistemato tutte le mollette sul pavimento, mollette a cui lui andava incontro, che schiacciava con le ginocchia e che gli facevano male.
Ogni volta che ne incontrava una, perdeva l’equilibrio rischiando di far cadere la sua passeggera che prontamente, gli rifilava un sonoro ceffone sulle natiche.
Schiaffi, schiaffi, e ancra schiaffi…la pelle martoriata, lui trattato come una puttana…la sua eccitazione nn aveva fine…in un attimo gli divenne di nuovo duro e ancora una volta non poteva toccarsi.
Lo fece fermare e scese dalla sua schiena.
Una buona metà della candela era rimasta intatta e lei decise di usarla per sodomizzare il suo schiavo.
Voleva sentirlo gemere come una puttanella mentre se lo inculava. Si posizionò dietro di lui e, senza umidificare n&egrave la candela n&egrave tantomento il buco, la infilò in un solo colpo facendogli emettere un grido più forte dei precedenti. Continuò a spingerla dentro senza muoverla e si accorse che, finalmente, grosse lacrime rigavano il volto del servo. Lacrime di dolore, lacrime di umiliazine, lacrime…lacrime di gioia per essere trattato così, lacrime di consapevolezza, la consapevolezza di essere servo vinto, cagnetta docile.
Poi la mosse…avanti e indietro…dentro e fuori, con movimenti circolari che ispezionavano le pareti del suo ano…sempre più velocemente, sempre più dolorosamente, finch&egrave il dolore si attenuò e si trasformò in un piacere immenso, un piacere che non aveva mai conosciuto, un piacere senza confini, un piacere che sapeva nn avrebbe più abbandonato.
La candela nel suo corpo era come una lama che gli tagliava la carne, che penetrava nella sua anima, che lo distruggeva.
Attraverso quel semplice oggetto sentiva lei, sentiva la sua padrona e la sua immensa potenza, la sua forza e la sua dominazione. Era nulla al confronto. L’avrebbe servita per tutta la vita, ne era sicuro.
La sua eccitazione crebbe ancora quando lei lasciò la candela dentro, si tolse il perizoma e si avvicinò sol suo sesso alla bocca di lui.
Sentiva l’odore reale di femmina, sentiva i peli pubici che gli sfioravano il naso e le labbra, sentiva di volerla onorare con la lingua e lei glielo permise.
La leccò avidamente, introducendo più che poteva la lingua in lei, assaporando i suoi umori, godendo dei suoi gemiti di piacere.
La candela era ancora dietro ma voleva che si muovesse e lei lo capì. Capì che se anche gli avesse scioltò le manette non si sarebbe ribellato, capì di averlo nelle sue mani e, con un paio di forbici, tagliò lo spago, liberando una mano che lui utilizzò per impugnare la candela e fottersi da solo mentre la leccava.
Spingeva con tutta la forza che possedeva la candela nel sedere, velocemente, con lo stesso ritmo con cui la lingua adorava il fiore della sua padrona, un fiore sempre più eccitato.
L’eccitazione arrivò anche per lui, senza bisogno che si toccasse.
Le vene dei suo membro pulsavano, i testicoli si indurivano e la mano continuava a spingere il fallo dentro.
Sentiva l’orgasmo avvicinarsi, sentiva lo sperma salire e raggiungere la cappella, ma non doveva venire, voleva aspettare lei, doveva aspettare la sua padrona.
Lei gemeva, ansimava, urlava di piacere.
“Sto venendo…continua servo…continua a leccare, sto venendo.”
E solo quando si accorse che la padrona ebbe raggiunto l’orgasmo esplose anche lui, solo quando sentì i suoi umori sciogliersi in bocca si abbandonò al piacere.
Un piacere che aveva raggiuntò senza toccarsi, un piacere che aveva raggiunto sodomizzandosi, un piacere che aveva raggiunto leccandola.
Turbamento, brividi, caos nel suo corpo e nella sua mente.
La padrona si allontanò. Lui rimase lì, a quattro zampe, in attesa.
Dopo pochi minuti il silenzio fu interrotto.
“Hai le mani libere, pensa tu a liberare tutto il resto e rivestiti. Non ho più bisogno di te.”
L’uomo cercò di fare più in fretta che poteva per togliere lo spago dalle caviglie e la benda dagli occhi, ma quando tornò a vedere, lei era già scomparsa.
La stanza era vuota, si era rivestita ed era uscita.C’era ancora il suo profumo, e il suo foulard rosso, utilizzato come benda. Quello lo aveva lasciato, forse come ricordo.
L’uomo lo legò al polso e giurò a se stesso che mai lo avrebbe tolto, che mai sarebbe uscito senza.
Sapeva che nn l’avrebbe più rivista…sapeva che non la avrebbe più incontarta in internet e quel piccolo pezzo di stoffa era l’unica cosa che gli rimaneva, un segno distintivo per indicare al mondo che ovunque si trovasse, in qualunque situazione potesse capitare, lei sarebbe rimasta sempre la sua unica padrona, la sua unica donna, la persona alla quale dare tutto.
Gli aveva rapito l’animo, gli era penetrata nelle vene e nel sangue e ci sarebbe rimasta finche lui avesse avuto aria nei polmoni per vivere.

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