Skip to main content
Racconti di Dominazione

La Cinesina

By 20 Novembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

 

Respirai profondamente, praticamente quasi un sospiro di sollievo, e premetti il tasto di invio. Il comando partì, e a venti chilometri di distanza il server cominciò il riavvio. L’ultimo, speravo. Guardai l’orologio: le nove di mattina, sabato. Tutta la notta passata a ripristinare server in remoto, da casa. Un posacenere pieno e un mal di testa epico, gli occhi rossi, la stanchezza che mi attanagliava la testa.

Pensai a quanto mi pagavano per essere reperibile. Non abbastanza. Non abbastanza per ingoiare la rabbia di dover sempre essere io a rimettere tutto a posto, essere costretto a passare le notti insonni, fuori orario di lavoro, a mettere pezza su pezza a quello che i miei gentili colleghi combinavano durante il giorno. “Ci possiamo fidare solo di te”, dicevano i capi.

E ti credo, dodici server schiantati e il servizio offline tutta la notte.

Feci un altro respiro profondo, mi alzai e mi versai un bicchiere d’acqua. Presi un aspirina e la buttai dentro, fissando le bollicine che salivano. Ci pensai un attimo, poi ne aggiunsi un’altra: due meglio che una, così magari sarei riuscito a farmi una lunga, meritata e rilassante dormita. Col telefono spento, magari.

Pia illusione, ero reperibile tutto il fine settimana. Mi rimisi alla tastiera e scrissi un rapido resoconto di tutto quello che avevo fatto durante la notte, cercando di non essere troppo cattivo nei confronti dei colleghi… Anche se, almeno credo, un bel po’ di veleno trasparì tra le righe. Inviai la mail, rifeci un rapido check di tutti i servizi. Tutto su, tutto perfettamente funzionante. Anzi, magari un po’ meglio di prima. Avevano ragione a fidarsi di me – anche se  la modestia vorrebbe che non si dicessero mai certe cose – visto che ero il migliore. E se questo significava rimanere in reperibilità metà delle volte e tutte le notti pazienza, mi piaceva essere il migliore in quello che facevo.

Mi alzai e mi stiracchiai, la schiena mezza bloccata dal lavoro della notte, tutto il tempo accucciato sulla tastiera. Avevo bisogno di fare un po’ di esercizio fisico.

Si, certo, un’altra volta però, va bene?

Pensai di dare uno sguardo a Facebook e Twitter, per vedere un po’ cosa accadeva in giro.

– Stupido. – dissi, a nessuno in particolare, e spensi il computer. Avevo bisogno di sonno, niente Internet né cyberscorribande. Solo tanto sonno, poi magari una passeggiata per sgranchirmi un po’, forse, ma soprattutto tanto, tanto sonno. Mi diressi verso la camera da letto, chiusi le persiane e mi stesi sul letto. Occhi chiusi, pronto a crollare nel sonno.

Ora, ci sono occasioni in cui si può essere certi che Dio esista. Che ci guardi dall’alto. Che pensi a noi. E che non voglia fare altro che renderci la vita impossibile. Perché proprio in quel preciso momento, non un secondo prima né un secondo dopo il campanello della porta squillò. Due volte, anche con un po’ di insistenza. Dio andava ripagato di tanta attenzione: bestemmiai. Per un momento mi dissi “adesso mi giro dall’altra parte, non l’ho sentito il campanello, sto già dormendo, non me ne frega proprio niente.” Ma squillò di nuovo. Feci un respiro profondo ed andai ad aprire. In mutande e maglietta, chi se ne fregava.

Tutto potevo immaginare, tranne quell che vidi alla porta. Una ragazza, anzi una ragazzina mi guardava con un sorriso. Era bassina, mi arrivava giusto al petto, capelli lunghi e neri, gli occhi a mandorla che sembravano due fessure. Il sorriso era un po’ artificioso, ma gli orientali, almeno quando non sono pronti a farti fuori con un paio di mosse di Kung Fu sorridono sempre. Anzi, credo proprio che anche mentre stanno rompendoti le ossa con i calci rotanti rimangano con quel sorriso stampato sulla faccia. Credo che ci sia da qualche parte uno studio sull’incidenza delle paresi facciali in Estremo Oriente.

– Si? – cercai di non apparire troppo scocciato e insofferente, ma dovetti ammettere che solo l’essere così stanco e privo di riflessi mi impedì di sbattere la porta in faccia a quella sconosciuta. Anche perché avevo notato che aveva in mano una cartellina di quelle dei sondaggi di opinione…

– Oh… Signore, buongiorno. – disse. Solo che quello che disse fu una specie di “SignoLe BuongioLno” con una “r” talmente arrotata da sembrare quasi una “l”. – Io qui per fare un po’ di domande a lei se lei è tanto gentile da farmi entrare un minuto, un minuto soltanto, posso?

Tutto me stesso mi diceva di chiudere la porta con un sonoro “vaffanculo” e tornarmene a letto. Non avevo voglia di rispondere a niente, non avevo opinioni e soprattutto non volevo comprare proprio niente. Ma ero stanco, troppo stanco, e non avevo riflessi. Bofonchiai qualcosa aprendo un po’ di più la porta e lei, prendendolo come un si incondizionato, entrò decisa. E va bene, era andata così.

La ragazza era in piedi accanto al tavolo, dove troneggiavano il notebook chiuso e il posacenere stracolmo. La guardai meglio. Magra, molto magra, vestita con un jeans e una maglietta bianca. Una borsa di plastica da due soldi. Zigomi alti e un po’ pronunciati. Sembrava avere delle tette un po’ grosse, ma forse era il reggiseno e poi le orientali a parità di seno sembrano avere sempre le tette un po’ più grosse. Non era particolarmente bella, ma il suo corpo magro disegnava delle forme femminili. Minuta, non anoressica. Le orientali, con quei lineamenti eleganti, sembrano sempre un po’ carine…Quella non faceva eccezione. Anche se, a dire il vero, in quel momento la odiavo profondamente. Volevo dormire e quella mi era entrata in casa come se niente fosse…

– Posso sedere signore? Qui?- annuii e lei spostò una sedia e si sedette. – Vuole sedere signore? – Disse indicandomi una sedia. Mi sedetti, sorridendo e scuotendo la testa, senza che lei deviasse nemmeno per un momento da quel sorriso standard stampato sulla faccia. Impossibile capisse l’ironia della cosa, lei che chiedeva a me di sedermi proprio in casa mia.

– Oh… Signore, io sono qui per chiedere a lei solo dieci minuti di suo tempo, si? Niente di difficile. Solo rispondere alcune domande. Vuole? Si?

L’accento era pesantissimo, sicuramente non era in Italia da molto. Parlava lentamente, con delle “o” sonore e, come ho già detto, quasi senza “r”. Aveva una vocetta squillante e fastidiosa. Ero indeciso se cacciarla subito su due piedi o prima prendermi il disturbo di dirle che non mi interessava minimamente rispondere alle sue domande del cazzo, magari sollevandola e cacciandola in malo modo, prendendola per quelle spalline minute…

Strano. Per quanto stanco fossi a quel pensiero sentii che qualcosa si stava ingrossando nelle mutande. Mi fermai un attimo a pensarla come una donna e non come ad un gigantesco stritolamento di coglioni – non che le due cose siano sempre scollegate – e la cosa non mi dispiacque.

Ma si vede che la ragazza sapeva fare il suo lavoro, perché subito cominciò a parlare. Evidentemente aveva deciso che il mio silenzio, quel mio guardarla un po’ stralunato dovessero essere un si. A ben pensarci niente tranne un sonoro calcio nel culo avrebbe impedito a quella scocciatrice di sciorinare il suo sondaggio del cavolo.

– Signore, io faccio un po’ di domande su sue entrate e su cose che compra, va bene? – Annuì ancora una volta e lei cominciò a sparare a mitraglia tutta una serie di condizioni, di accordi, di cose che avrei dovuto firmare alla fine dell’intervista. Avrei dovuto ascoltare con attenzione, stare attento che non mi stesse fregando, che fra tutte le condizioni che mi poneva non ci fosse anche il fatto di dover acquistare tredici aspirapolvere a mille euro ciascuno, ma avevo a malapena due neuroni in funzione in quel momento. Uno pensava a tornare a letto per piombare in un meritatissimo sonno. L’altro, devo essere sincero, cominciava ad avere qualche pensiero impuro nei confronti di questa rompicoglioni che mi stava parlando a mitraglia di cose assolutamente inutili ed insignificanti. Non era un granché, ad essere sinceri, ma penso che, in certi momenti, il cervello converte le scocciature infinite in qualcosa di più accettabile anche solo per evitare lo schifo più totale. E poi non avevo mai scopato un’orientale… E le cinesine fanno pare delle fantasie di tutti gli uomini occidentali.

Cominciai a rispondere alle sue domande meccanicamente, una dopo l’altra. Quanto guadagnavo, se avessi mai comprato qualcosa a rate, le mie abitudini, le mie spese abituali. Quanti anni avevo e se fossi sposato. Che lavoro facevo.

Parola dopo parola quella voce stridula si faceva sempre più odiosa. Sentivo le domande che mi martellavano in testa e anche il minimo di concentrazione necessaria per dare qualche risposta coerente mi spossava. Mi baloccai per un momento con l’idea di cominciare a dare delle risposte assurde, giusto per il gusto di rendere completamente inutile quell’intervista, ma anche quello sforzo era troppo per la mia mente completamente ottenebrata dalla stanchezza.

– … E quand’è stata ultima volta che lei signore è andato in vacanza?

Mi fermai per un attimo e dovette sembrarle che mi fossi fermato a riflettere.

– Signore? – chiese, facendosi un po’ insistente.

Alzai una mano per fermarla. Il problema era un altro.

– Devo… Devo andare in bagno. Un secondo. – dissi. Dovevo pisciare. Mi alzai, e così facendo le puntai il mio cazzo duro sotto le mutande in faccia. Fu assolutamente non intenzionale, mi ero quasi dimenticato di quell’erezione rafforzata dalla pisciata incombente, ma mi fece piacere vedere il sorriso svanirle per un secondo dalla faccia mentre la bocca si atteggiava in una “O” di sorpresa. Sorrisi, e lei ritornò alla sua espressione standard. Andai in bagno con un sorrisetto soddisfatto sulla faccia. Piccola puttanella cinese, di sicuro non aveva mai visto un cazzo così grosso in vita sua.

Ci misi un po’ a pisciare, non era facile con il cazzo duro, e, ad ogni buon conto, grugnii anche un po’. Giusto per scandalizzarla ancora. Tirai la catena, mi sciacquai le mani e ritornai. Lei stava armeggiando con la sua borsa, ma quando sentì la porta del bagno aprirsi si rimise subito nella sua posizione professionale, voltandosi verso di me con il suo sorriso falso come una banconota da trenta euro. Il cazzo mi tendeva ancora le mutande. Strabuzzò un po’ gli occhi,almeno credo, non era facile capirlo con quegli occhi a mandorla. Stavolta le sorrisi di rimando. Piccola troietta cinese.

In un attimo riprese le sue domande, per niente scandalizzata. Almeno in apparenza ma… Chi poteva dirlo dietro quella maschera sorridente? Una dopo l’altra, senza fermarsi quasi mentre annuivo, davo cenni di diniego appena accenati, bofonchiavo qualche numero a caso. I dieci minuti del mio tempo erano diventati più di mezz’ora e con ogni domanda cresceva il mio fastidio per quella voce stridula, la voglia di farla finita con quell’intervista idiota, di prenderla alle spalle, sollevarla e… Si, anche qualche cos’altro cresceva, mentre la mia mente ottenebrata dalla stanchezza vagava, fermandosi sempre su idee che mi parevano assurde ma tremendamente eccitanti. Come quella di farla stare zitta infilandole la mia mazza in bocca.

A un certo punto però, mentre mi stava facendo l’ennesima domanda, la sua borsa all’improvviso urlò. Lei si fermò a metà della frase, io alzai gli occhi spalancati dalla sorpresa, il sorriso falso scomparve dalla sua faccia. Improvvisamente i miei sensi si fecero attenti, ogni traccia di sonno svanita, le fantasticherie evaporate in un attimo.

Per lavoro devo controllare sistemi informatici. Lo faccio da anni e sfrutto ogni possibilità offerta dalla tecnologia. Un sistema controlla in maniera automatica ogni server sotto la mia responsabilità. Se tutto va bene non fa niente, ma se trova qualcosa che non va invia immediatamente un’email con la diagnosi approssimata, il grado di pericolosità e l’urgenza. Ho uno smartphone per leggere la posta e, non appena arriva una di queste email, mi avvisa. Con un certo grado di perversa ironia l’avevo programmato per emettere un ululato di dolore non appena una di queste email arrivava. Così, giusto per essere sicuro che le prestassi la giusta attenzione.

La borsa dell’intervistatrice aveva appena emesso quell’urlo di dolore. La troia stava cercando di fregarmi il telefono.

Ero perfettamente sveglio in quel momento, tutta la nebbia che mi ottenebrava il cervello spazzata via in un attimo. Mentre lei balbettava qualcosa, probabilmente in cinese, mi alzai di scatto e presi la sua borsa, rovesciandola sul tavolo. Il telefono e un paio di mie carte di credito in mezzo a un sacco di cianfrusaglie. Non c’era dubbio di quale fosse il suo vero scopo. La cinesina si alzò di scatto ma io le abbrancai la spalla, rimettendola a sedere.

– Che cazzo fai? Rubi a casa mia? Ma che cazzo fai? – le urlai in faccia. Lei mi guardava con occhi sbarrati, terrorizzata, lamentandosi debolmente in cinese. Le scossi la spalla violentemente, tremava come un fuscello, mi sembrava che mi si potesse spezzare tra le mani.

– Oh signore, scusa scusa scusa… – balbettò – Io non volevo, mi dispiace, scusa scusa scusa…

Scusa un cazzo. Presi il telefono. – Adesso chiamo i carabinieri, – dissi – e poi vediamo se loro accettano le tue scuse.

Se possibile la puttanella sbarrò gli occhi ancora di più, con un’espressione di terrore dipinta in faccia. – No, no, signore per favore, no, tu non chiama carabinieri, per favore, per favore, loro mandano me via, non chiamare…

Abbassai gli occhi. Vidi la sua faccia terrorizzata, implorante. Probabilmente non aveva nemmeno il permesso di soggiorno, Dio solo sa cosa c’era nei suoi documenti, se i carabinieri l’avessero presa l’avrebbero sicuramente espulsa. La sentivo tremare come una foglia tra le mie mani. Il cazzo mi si era fatto durissimo, a pochi centimetri dalla sua faccia impaurita. Non avevo mai scopato una cinese. Fino a quel momento.

Fu una decisione di un attimo. Posai il telefono, fuori dalla sua portata, tenendola sempre per le spalle. La guardai negli occhi.

– E va bene, non  gli chiamo i carabinieri. – dissi con voce calma.

Abbassai una mano e liberai il cazzo dalle mutande. Era duro da farmi male, la cappella violacea e tesa, Mi avvicinai ancora di più a lei, il cazzo che puntava deciso sulla sua bocca, la punta sulle sue labbra. La puttanella mi guardò con gli occhi sbarrati, non so se avesse capito fino in fondo cosa stesse succedendo. E a dire il vero neanch’io. Agii d’impulso, quasi senza pensare. Avere quella piccola zoccola tra le mani, terrorizzata, completamente alla mia mercé mi aveva eccitato oltre ogni dire. Volevo scoparmela. E volevo fargliela pagare, che si pentisse di avermi provato a fregare. E volevo godere di quel corpicino magro, di quella boccuccia sottile.

Spinsi un po’. Le labbra rimanevano chiuse, più per paura e perplessità che per altro, credo. Spinsi ancora. Lei aprii la bocca e io sentii il calore delle sue labbra che avvolgevano la cappella. Spinsi ancora e il cazzo le entrò in bocca, sentii la lingua rugosa sulla pelle. Cominciai a pompare lentamente, mentre lei tremava e mugolava impercettibilmente. Pompai per un po’, scopandola in bocca, poi mi tolsi. La cinesina respirò violentemente, ebbe un conato, sputò un po’ di saliva. Cominciò a piangere.

– Oh, no, signore, no, per favore… – Non la feci nemmeno finire e le piantai di nuovo il cazzo durissimo in bocca, riprendendo a scoparla con lentezza e metodo mentre lei piangeva e tremava. Tirai di nuovo fuori il cazzo e ne approfittai per toglierle la maglietta. Le slacciai il reggiseno e un paio di tettine con i capezzoli quasi neri spuntarono fuori. Aveva veramente il corpo magro, si potevano vedere le costole, e i seni spiccavano, non grossi ma con delle belle areole pronunciate. I capezzoli erano dritti come chiodi. Mi eccitai come una bestia a quella visione e le infilai di nuovo il cazzo in bocca, spingendo ancora più a fondo. Un colpo dopo l’altro, sentendola singhiozzare. Le carezzai un capezzolo, era turgido e duro, glielo strizzai e la sentii lanciare un mugolio strozzato mentre il mio cazzo le tappava la bocca fino in fondo. Lo tirai fuori, lei sputò la saliza, piangendo piano e respirando a fatica.

La feci alzare e le slacciai i jeans. Glieli abbassai. Aveva delle mutandine celesti con dei gattini disegnati sopra. Abbassai anche quelle, liberando una fighetta sottile con pochi peli intorno. La baciai, più per il mio piacere per il suo, infilando la mia lingua in quella boccuccia calda mentre lei piangeva e singhiozzava, incapace di muoversi, ancora tremante. Sentii i suoi capezzoli durissimi che mi accarezzavano il petto. Feci scendere una mano lungo il suo fianco magro e ossuto e le accarezzai il sedere. Piccolo, ma tondo e sodo. Passai davanti e feci scorrere un dito sul suo taglietto. Era umido.

La troietta piangeva, singhiozzava e tremava, mugolando in cinese e cercando di dire “no”, ma sembrava eccitata. Non capivo e non mi importava, ma quel sentirla eccitata mi diede alla testa ancora di più. Con una mano le abbrancai una chiappa soda, stringendo piano, mentre le chiudevo la bocca con un bacio. Con l’altra le accarezzai piano il pube bollente, poi feci scivolare un dito nella fica. Stretta, stretta all’inverosimile. Vergine, pensai, ma questo non fece che eccitarmi ed incitarmi sempre di più ad andare avanti. Premetti ancora e sentii l’imene ancora intatto, mentre lei piangeva sempre di più. Sorrisi dentro di me.

La feci liberare dei pantaloni e delle mutandine che ancora erano ai suoi piedi e la misi a sedere sul tavolo. Era leggerissima, le gambe magre. Le accarezzai una coscia, un ginocchio, il polpaccio, fino alla caviglia. Sentii i brividi che le attraversavano il corpo mentre lo facevo. Le allargai le gambe e mi avvicinai.

Lei mi guardò, la faccia disfatta dalla paura, le lacrime che gli scendevano dagli occhi a mandorla, quel poco di rossetto che aveva disfatto, mischiato con la sua saliva, sbavato. Mi guardò, implorante. – Oh, no, signore no, per favore… – provò a dire.

Piccola stupida. Quelle parole, quel volto, non fecero altro che rafforzare la mia determinazione. Presi il cazzo e lo avvicinai alla sua fighetta, la capella appoggiata sulla stretta fessura. La guardai sorridendo, lei piangeva a dirotto, ma i suoi capezzoli erano duri come se, in fondo in fondo, tutto questo le piacesse e la eccitasse. Spinsi.

Un solo colpo, nessuna gentilezza, una brutalità calma e controllata. Sentii il cazzo che si faceva strada nella sua fessura strettissima, l’imene che, per un momento, faceva resistenza. Spinsi ancora e sentii che qualcosa si rompeva mentre la cappella si faceva strada sempre più a fondo, il calore umido della fica della cinesina che mi avvolgeva il cazzo. Spinsi ancora una, due volte e sentii il cazzo tutto dentro quella fessurina strettissima. La troietta aveva aperto la bocca in un urlo muto di dolore, solo un mugolio sommesso veniva fuori dalla sua bocca mentre le lacrime scorrevano a profusione. Mi fermai per un attimo, poi cominciai a pompare, piano all’inizio, anche perché era così stretta da farmi quasi male, poi, con molta calma, alzando il ritmo un colpo dopo l’altro. Sentivo che un liquido caldo mi bagnava il pube. Non ebbi dubbi che si trattasse del suo sangue virginale… Inutile dire che anche quello non fece che eccitarmi di più. Pompai metodicamente, il cazzo duro come il ferro che andava su e giù per la fica della cinesina sempre più agevolmente mentre lei stringeva bocca ed occhi con disperazione, un mugolio più di dolore che di piacere che le spuntava dalla gola. Alzai il ritmo. Ad ogni colpo la puttanella dava un piccolo urletto. Tremava meno adesso, e rispondeva anche ai miei colpi. Sembrava stesse cominciando a piacerle. Spinsi più a fondo, riempiendola tutta, la strada sempre più agevole dopo ogni botta che le davo. Si, stava decisamente rispondendo. I mugolii sembravano sempre di più urletti di piacere che gridolini di dolore. La troietta stava godendo.

La presi in braccio, era facilissimo leggera com’era. Il cazzo scese completamente a fondo, sentii la parete dell’utero con la punta. La feci sobbalzare un paio di volte, ogni volta un urletto. La baciai mentre la scopavo a fondo, stavolta la sua lingua danzò contro la mia. Le stava piacendo.

Posai la cinesina a terra, il cazzo scivolò fuori con un rumore sgusciante. Era imbrattato di sangue virginale e dei suoi succhi. La forzai in ginocchio. Stavolta non ci fu bisogno di spingere: senza smettere di piangere lei aprì la bocca, le infilai il cazzo dentro e sentii la sua lingua leccarmi, poi un attimo ferma, un conato, forse di disgusto, poi riprese subito. Mossi i miei lombi mentre lei pompava in maniera incerta ed inesperta, sentendo il calore della bocca che mi avvolgeva il cazzo. Lo misi fuori, la sua linguetta mi seguì, leccando piano la cappella. Spinsi di nuovo, pompai, la scopai in bocca a lungo e profondamente. Quando lo tirai fuori di nuovo lei annaspò per l’aria, sputando saliva.

La feci alzare, la girai, la feci appoggiare al tavolo con le mani, lei era una bambola di pezza senza volontà, mugolava e piangeva. Appoggiai la cappella alla sua figa, aveva le cosce striate di rosso. Spinsi. Stavolta entrò con più facilità e non ebbi dubbi: il lungo gemito della cinesina era un gemito di piacere e non di dolore. Cominciai a pompare di nuovo, un colpo dopo l’altro, a fondo in quella fichetta stretta, calda ed accogliente. Misi le mani sulle chiappe per farla muovere, lei si faceva fare di tutto. Le allargai il sedere spingendo più a fondo, vidi il mio cazzo penetrare fino alla radice nella sua fessura. Sopra la rosellina del culo era piccola, di sicuro stretta, scura, invitante. La puttanella non aveva avuto ancora tutto quello che si meritava.

Le accarezzai le chiappe mentre la scopavo, soffermandosi per un attimo sul buchino. Mi misi il medio in bocca, lo bagnai di saliva, lo appoggiai alla rosellina grinzosa. Spinsi. Stretto, strettissimo, se possibile ancora più stretto della sua fighetta vergine. Ma non mi feci scoraggiare. Spinsi di più mentre le davo un colpo dopo l’altro nella figa. La punta del dito entrò, poi ancora più a fondo, una falange, due. La sentii mugolare a lungo, non so se avesse intuito cosa avevo in mente, non mi importava. Volevo solo quel culetto stretto e caldo.

Sfilai il cazzo dalla figa, il dito uscì dal culetto. Lo portai sulla figa, lo misi dentro, misi anche l’indice, cominciai a muoverli lentamente accarezzandola da dentro. Appoggiai la cappella al suo buchino. Feci un respiro profondo. Spinsi.

Stretto, stretto da far male. Sentivo il dolore che mi attanagliava la punta del cazzo, sentii la ragazzina orientale ricominciare a tremare. Non provò a divincolarsi, ma aveva stretto le chiappe per il terrore. Adesso aveva sicuramente capito cosa stavo facendo. Meglio, mi eccitava saperla terrorizzata. Spinsi ancora, ed ancora, incurante di quanto mi facesse male. Volevo quel culo. Spinsi, e sentii lo sfintere che si apriva, una sensazione di calore attorno alla cappella, ero dentro. Con una mano la tenevo e le accarezzavo la fighetta, con l’altra le tappai la bocca giusto in tempo, sentendo l’urlo muto sulle mie dita. Spinsi ancora. Mi faceva male, ma lei doveva sentire ancora più dolore mentre millimetro dopo millimetro il cazzo le entrava nel culo. Un colpo di reni violento per andare più a fondo, lei provò ad urlare ma la mia mano glielo impediva, tremava tutta e piangeva di nuovo a dirotto. Un altra botta dei lombi. Un’altra ancora. Il cazzo andava sempre più dentro, lo vedevo scomparire piano tra le sue chiappe. Un altro colpo. Un altro. Mi aveva fatto male, ma avevo il cazzo duro come una sbarra d’acciaio infuocata ed ero tutto dentro quel culetto stretto e grazioso, avvolto dal calore del suo intestino sottile. Provai a muovermi, stretto in quella morsa d’acciaio. Le prime volte con fatica, poi con più facilità mentre il suo buchetto vergine si allargava sempre di più, un continuo movimento su e giù, pochi millimetri per volta all’inizio, poi sempre di più Dopo poco la stavo pompando con energia, il culetto slabbrato e il cazzo umido di umori e sangue che affondava sempre di più nel suo intestino. La sua seconda verginità era stata più dolorosa da strappare della prima. Un premio più ambito, e adesso il caldo abbraccio del suo culo mi stava facendo godere come non mai.

Sentii che non provava più ad urlare e mi azzardai a liberarle la bocca. Lei piangeva e singhiozzava disperata, mentre colpo dopo colpo le aprivo sempre di più il culo.

– Oh… Signore, no signore, per favore, fai male, fai male…

Per me era una goduria infinita. Il cazzo era come avvolto in un caldo e aderente bozzolo di piacere, sentire il suo anello di carne che mi strusciava attorno al cazzo mi dava un godimento infinito, sentii che stavo per venire. Aumentai il ritmo dei colpi che le davo, lei piangeva sempre più, sentii la sborrata che saliva sempre di più, le avrei inondato il culetto stretto e caldo di sperma bollente da un momento all’altro.

Ma non era questo che volevo. Estrassi il cazzo da quel budello accogliente. La rosellina, fino a poco prima stretta e graziosa, si era allargata in un buco slabbrato e pulsante. La feci girare e inginocchiare e le infilai il cazzo in bocca senza riguardo, con violenza. Lei lo accolse tra i singhiozzi. Diedi un paio di colpi, ma ormai c’eravamo: sentii montare un orgasmo incredibile, forse il più intenso che abbia mai avuto, sentii la sborra uscire, le tenni la testa pressata contro di me mentre le sborravo in bocca, costringendola ad ingoiare tutto. Fu una sborrata eterna, immensa, appagante, mentre la mia vittima ingoiava. Rivoli di sperma misti a saliva le scorrevano dagli angoli della bocca.

Finalmente finii, respirando a fatica. Le lasciai il cazzo in bocca ancora un po’, mentre sentivo l’eccitazione che cominciava a scemare. Respirava a fatica. Le liberai la bocca. Lei ebbe un conato, un gemito sommesso di dolore e umiliazione, sputò un po’ di saliva mista a sperma e agli umori del suo culo. Piangeva disperatamente, Senza fermarsi. Si abbattè al suolo, si rannicchiò, continuò a piangere. Avrei dovuto essere schifato di me stesso, avevo appena violentato una ragazzina, ma proprio non riuscivo a provare pietà per quella piccola puttanella che adesso era sul mio pavimento nuda, il culo e la figa sporchi del suo stesso sangue e della sua eccitazione, un mucchietto di stracci piangenti.

– Come vedi non ho chiamato i carabinieri, sei contenta adesso?

Lei alzo gli occhi, mi guardò asciugandosi le lacrime.

– Tu… Non chiama i carabinieri signore?

– No. Non ti manderanno via.

– Io ho tanto male, signore. Tu mi hai fatto male. Tanto male.

Sorrisi. – Ma non ho chiamati i carabinieri. – Mi sentivo un bastardo, mai come nella mia vita. Ma non avevo mai goduto tanto. Ero spaventato dall’aver scoperto quel mio lato così violento e brutale, ma mi era piaciuto. Mi era piaciuto troppo.

– Si signore. Tu non hai chiamato i carabinieri. Grazie signore. Scusa questa piccola ladra.

Sentii la potenza che mi derivava dall’avere questo piccolo mucchietto d’ossa nelle mie mani, in mio potere. Potevo farne ciò che volevo. L’aiutai a rialzarsi, la feci rivestire, l’accompagnai in cucina per bere un bicchiere d’acqua. camminava con passo malfermo, di sicuro doveva avere il culo in fiamme visto come gliel’avevo aperto. Cercai dentro di me un po’ di pietà e schifo per me stesso ma non lo trovai: la puttanella aveva cercato di fregarmi, gliel’avevo fatta pagare. Niente di più. A parte, forse, la scopata più bella della mia vita.

Quando quella cinesina se ne andò mi sdraiai sul letto, feci un respiro profondo e mi addormentai profondamente. Non sognai, e anche quello fu uno dei sonni più belli e riposanti che abbia mai avuto.

 

Leave a Reply