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Racconti di Dominazione

La colonna

By 20 Aprile 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Il fruscio delle foglie accoglie il nostro arrivo alla casa in collina, immersa nel verde e isolata dal resto del mondo.
Respiro, a pieni polmoni, i profumi della terra appena calpestata. Il silenzio ci avvolge in una pace che ristora dallo stress delle settimane che ci hanno visto separati, distanti, uniti solo dalla voce, filo impalpabile della nostra presenza.
Scendiamo dalle macchine e la frenesia di toccarci e baciarsi è dirompente.
– Mi sei mancato da morire Stregatto! ‘ ti sussurro mentre le nostre bocche si
mangiano insaziabili.
Affondo il naso sul collo in cerca del tuo profumo, il calore della pelle mi amplifica l’aroma.
– ah la micia che annusa tutto! ‘ mi prendi bonariamente in giro abbracciandomi
Sorrido e mi infilo sotto la tua ascella, mi sento al sicuro tra le tue braccia che a momenti mi soffocano, tanto mi stringi. Tiri fuori la chiave di casa e ammicchi verso la porta. Arriccio il naso all’idea di lasciarti, mi pesa ogni piccolo distacco, ma mi sciolgo lentamente da te.
– non so come potrei ringraziare Giacomo ‘ dico sospirando ‘ per averci messo a disposizione questa casa, è un regalo senza pari! –
Mi baci e commenti che anche lui ne è cosciente, poi ti volti e inizi a scaricare le valigie. Apriamo la porta e il fresco tipico delle case chiuse ci fa rabbrividire. Spalanco le finestre e il sole inonda il piccolo appartamento, unica parte terminata dell’immensa villa in ristrutturazione. Ogni volta provo ad immaginare come sarà, quando i lavori saranno conclusi: due piani e un seminterrato di fronte ad un panorama stupendo, mi perdo nel verde della vallata con lo sguardo. Portiamo dentro la spesa, i borsoni e la borsa delle corde, la più leggera, ma di certo la più emozionante. I nostri sguardi si incrociano mentre la porto in camera, la malizia ci accende gli occhi.
Lascio il borsone e ti salto addosso, nello spazio ridotto della minuscola camera, e finiamo sul letto: sei come una droga e non ne posso fare a meno, quando mi sei vicino.
Nella frenesia del momento commetto il solito errore, affondo i denti nella morbida pelle del collo. E’ un attimo che le tue dite tra i capelli si chiudono in una morsa da togliermi il fiato, l’altra mano scende pesante e schiocca sulle mie natiche impreparate facendomi sussultare.
– non ti è permesso mordere, lo sai, micia. Vedi di ricordartelo’ –
La voce è sottile come un rasoio, trattengo a stento una protesta e abbasso gli occhi per evitare di scoprirmi. Sento la risata che ti scuote.
– non crederai che basti abbassare le palpebre per far si che non capisca cosa ti passa per la mente, vero miciotta? – il sorriso filtra dalle tue parole, ironico.
Mi sforzo di rimanere impassibile, anche se dentro sto sorridendo anche io, preferisco rimandare le nostre schermaglie a momenti più appropriati, quando assumi un certo tipo di voce è meglio non rischiare.
Finiamo di sistemare le nostre cose e finalmente siamo liberi da tutte le incombenze per dedicarsi solo a noi. Entriamo in camera e te chiudi la porta alle spalle. Brutto segno, penso già eccitata dalla situazione, mi allontano di qualche passo, provando a capire cosa ti passa per la testa.
Hai seguito ogni mia mossa con un sorrisino sbieco, il tuo sguardo risale lungo il mio corpo fino agli occhi. Fai solo il cenno di avvicinarmi. Rimango dove sono, combattuta tra la voglia di inginocchiarmi ai tuoi piedi e la sfida che sempre mi agita.
– Avvicinati’ – sussurri senza nessun tipo di flessione della voce.
Ora sono io che sorrido eccitata dal braccio di ferro, dall’idea di vedere che fai al mio rifiuto.
Aspetti ancora, sai benissimo che l’attesa mi stressa e mi fa cedere, è solo questione di tempo. Lentamente ti togli gli occhiali e con estrema cura li appoggi sul comò. Ora inizio a preoccuparmi. Torni a fissarmi, il volto serio, senza nessuna espressione particolare.
Mi chiedo quanto posso ancora forzarti, sfidare il mio stesso ruolo. Lo stomaco ha un crampo, la tensione è alle stelle. So già che è una battaglia persa in partenza, ma ogni volta ci provo, curiosa di scoprire, andare oltre’muovo i primi passi verso di te, mentre il cuore mi batte all’impazzata e la voglia di baciarti è fortissima.
Ti sono di fronte, non riesco a frenare il sorriso sbarazzino e gli occhi brillanti di malizia. Non ti muovi, resti seri e immobili
– Hai finito? Hai portato quello che ti ho chiesto? ‘
‘peste!’ penso, sai benissimo che non ho trovato la cosa che mi hai ordinato. E’ già pazzesco cercarla poi ho pure pochissimo tempo. La rabbia di intuire dove vuoi andare a parare mi sale dentro, nello stesso tempo ho delle piacevoli fitte al pube che mi fanno rabbrividire. Scuoto la testa in segno di diniego. Il tuo sospiro è teatrale come il tono che usi:
– ahhhh! Miciotta, come devo fare con te? Non esegui mai i miei semplici ordini! ‘
Alzo gli occhi di scatto fulminandoti per la menzogna che hai appena detto. Trovo dei denti scintillanti ad accogliere il mio furore.
Mi passi alle spalle, vedo che prendi una corda, la guardo con simpatia, nonostante tutto amo le tue corde perché in buona parte sono loro che contribuiscono al mio piacere.
Mi prendi i polsi li porti dietro la schiena e li leghi con vari passaggi. Non sono stretti, un po’ di movimento mi resta, potrei pure provare a raggiungere il nodo, ma sappiamo entrambi che non lo farò. Ho un breve sospiro, una dolce sensazione di piacere mi coglie, quando mi leghi o mi metti i simboli del tuo possesso, non lo ammetterò mai, ma solo da quel momento mi sento al mio posto’
– Inginocchiati! ‘ l’ordine è perentorio.
Non so quanto della lotta interiore traspare dal mio volto, ma provo a resistere all’istinto che si adatta umilmente al tuo volere, ancora una volta cedo alla voglia di sfidarti, di vedere dove è il tuo limite e magari scoprire cosa c’è ‘dopo’.
Mi appoggi le mani sulle spalle e spingi giù con decisione e alla fine mi inginocchio. Sento gli umori che mi bagnano le cosce, il cuore ormai ha le ali e il respiro è sincopato. Mi giri attorno e vai a sederti al mio fianco sul fondo del letto. Mi carezzi lentamente la schiena, il calore dei tuoi palmi supera la stoffa della camicetta. Amo e odio il ‘tuo’ piacere nel prolungare le attese, che dilati senza un criterio che io possa prevedere. Mi sento ancora scivolare sul ghiaccio, inesorabilmente.
Mi concentro sul respiro, su qualunque cosa non sia l’attesa: l’odore delle coperte, il fastidio dei ginocchi sul pavimento, il leggero freddo che da esso sale, ma le tue mani mi distraggono e mi riportano a ‘sentirti’. Il tuo profumo sovrasta gli altri inebriandomi, aumentando la mia eccitazione. Ad un tratto, ma è solo per un attimo, le tue mani si fermano, mi afferrano sotto le ascelle e mi trovo buttata senza troppi riguardi sulle tue ginocchia.
Qualcosa scatta in me. Mi agito, provo a togliermi da quella posizione che prelude ad una punizione inevitabile.
Il primo sculaccione arriva bruciante come una frustata, ne seguono altri senza sosta. Continuo ad agitarmi con più rabbia, grido senza fiato. Non rallenti. Provo a morderti, non so come, la tua mano diventa ancora più pesante. Urlo e mi affloscio senza fiato, il bruciore non ha più una locazione specifica, ma è solo un pulsare doloroso. Sono una pozza di sudore.
La tua mano si appoggia sulle mie natiche bollenti e inizia un lento massaggio. Il mio respiro frammentato mi scuote quasi in singhiozzi. Non sono tranquilla da rilassarmi, non mi fido (sorrido di questo pensiero così assurdo e contro senso nel nostro gioco!), ormai so che puoi ricominciare in ogni momento se così aggrada alla tua ‘bestia’.
Il dolore si attenua in una sorta di calore irradiante. Alzi la mano e mi tendo come una molla, pronta ad attutire il prossimo colpo, ma la mano cala leggera in una lunga carezza. Passi un braccio sotto il mio seno e mi fai scivolare di nuovo in ginocchio sul pavimento. L’impatto mi fa trattenere il fiato.
Ti alzi e mi vieni davanti, senza pensarci affondo il viso nei tuoi pantaloni, strusciandomi sensualmente su di te. La tua eccitazione sbatte sulle mie guance: ci stiamo cercando.
Senza una parola, slacci la cintura, un brivido di preoccupazione per questo gesto mi inchioda lì, ma vedo che la slacci e la getti sul letto e torno a respirare normalmente. La zip scende , il tuo odore mi investe le narici. Afferri la mia testa tra le mani, me la alzi verso di te, i nostri occhi febbricitanti s’incrociano per un momento, ti chini e mi baci. Mi perdo nella morbidezza delle tue labbra, la tua lingua mi invade, possessiva marca il suo territorio.
Ti stacchi all’improvviso e di forza mi pieghi sul tuo pene cacciandomelo in gola. Quasi soffoco e ho un singulto, vorrei prendere aria, ma le tue mani me lo impediscono. Il suo sapore dilaga nella mia bocca, ricordi appena sopiti da lunghe distanze, la lingua torna a sentire il gusto , la morbidezza, il calore, riconosce ogni sua piccola venatura. La danza inizia lenta, irrefrenabile in un crescendo di sospiri e di emozioni.
In questi non penso, sono troppo frastornata dai sensi che la mente non può trascendere. Vivo solo sul presente, questo presente. Quando il tuo piacere mi esplode in gola ho sempre un attimo di incertezza, retaggio di vecchi ‘muri’ che mantengono ancora qualche mattone. Ma sono solo attimi. Mi piace il tuo sapore e provo ad assecondare il tuo pulsare, ingoiando e asciugandoti, fino a quando non mi fermi.
Sento le tue carezze sulla testa, in quei momenti vorrei saper fare davvero le ‘fusa’ per dimostrarti quanto sto bene , ma posso solo strusciarmi dolcemente contro le tue mani.
Mi fai alzare, mi abbracci e finiamo distesi sul letto, ignorando tutto tranne il calore che ci unisce.

In questa villa c’è qualcosa che attira entrambi, che scuote ogni volta la ‘bestia’ che vive in noi: è il seminterrato. I due piani non ancora terminati non danno la stessa carica erotica del piano sotto terra. E’ la prima cosa di cui mi hai parlato, quando mi raccontasti della casa, trasmettendomi quella forza scatenante della fantasia che ci trova molto vicini in questo rapporto.
Fin da piccola quando nelle fiabe c’era il castello della strega, fata, principe o orco, pensavo sempre alle segrete sotterranee, che già da allora stuzzicavano la mia fantasia. Ho molti anni più di allora, ma i sotterranei mi attirano ancora oggi, per quanto nella maturità abbia sviluppato ‘sensazioni’ diverse e contrastanti, quali una leggera claustrofobia e una aracnofobia verso ragni grossi e scuri, che tolgono molto all’eccitazione di quei luoghi.
Quando mi hai portato a esplorarlo, sono stata colta da un brivido mentre scendevo le scale in cemento, polverose e ricoperte qua e là di foglie secche.
I miei occhi sono saettati in giro col cuore in gola per scoprire la presenza di ragni, senza per altro trovarne traccia. Il posto in sé non ha tutto il fascino che mi aspettavo: è ampio, lineare, vuoto, con diverse finestre da cui passa sufficiente luce per rendere accogliente, per così dire, un luogo così scarno, varie colonne a base quadra che sorreggono il pavimento del piano superiore .
Ho girato lo sguardo in cerca di ganci o appigli e non ne ho trovati. Ridacchiando, ti sono venuta vicino.
– Hai visto? Non ci sono modi per appendermi! – ho esclamato
Con uguale sorriso, mi hai risposto.
– Sì vero? Ma ci sono delle belle colonne, non trovi? – e, con un ampio gesto, ne indicasti una vicino a me.
La mia allegria è un po’ scemata ho arricciato il naso pensando alle varie possibilità che quella costruzione in cemento poteva darti, allo stesso tempo ho sentito una forte scarica d’adrenalina scuotermi
– E’ sporco qua sotto! ‘ mi sono sentita dire, mentre la mia mente era ben lontana dagli aspetti pratici della situazione.
– Sì, infatti, ma niente che non si può risolvere con una bella pulita ‘ hai commentato quasi distrattamente, lanciandomi un ordine come al tuo solito, tra le righe. Mi devo scordare che tu me ne dia mai uno diretto! Mi fa innervosire questo tuo modo di fare, mi obbliga a capire se è un tuo desiderio o una semplice sfida. Non ho risposto alle tue parole, anzi, mi sono allontanata di qualche passo come a distanziarmi dalla tua ‘bestia’ che scuote la mia.
Ho continuato a guardarmi in giro, gli occhi si sono posati su una grata che chiude la finestra più ampia. Un brivido mi ha scosso.
– Usciamo! ‘ ho detto risoluta e mi sono avviata verso l’altra rampa di scale che sale di sopra.
– Quanta fretta! ‘ hai sussurrato cingendomi la vita e riportandomi vicino a quella colonna.
– Tutta questa agitazione per così poco? ‘ hai detto serafico, appoggiandomi le labbra sul collo e spingendomi verso il cemento della colonna. Sono stata colta da un forte fremito, senza capire se per l’eccitazione o la sottile ansia che mi ha preso in quel momento.
‘ogni volta un passo, un piccolo passo, mai indietro sempre avanti, insieme..’ Le tue parole leggere come una filastrocca infantile sono penetrate nella mia mente frenetica e l’hanno placata.
La luce del pomeriggio mi ha quasi accecata, quando siamo usciti nel giardino e da quel momento io e quella colonna ci stiamo aspettando.
E’ pomeriggio inoltrato, ci stiamo godendo il tè al sole, nel silenzio e nella pace estiva. Ad un tratto ti alzi, mi vieni vicino, mi tendi la mano e mi inviti a seguirti. Le corde sono già sul letto, bianche e morbide mi aspettano. Il tuo borsone è sparito, noto che ti sei dato da fare, mentre mi riposavo fuori. Sorrido ai tuoi occhi che adesso sono scurissimi, hanno quella sfumatura di colore dei momenti più intensi, di quando il gioco non è più scherzare.
Il cuore mi balza in gola, un brivido mi scorre giù per la schiena, sei di fronte a me e aspetti la mia risposta.
Sappiamo entrambi quale sarà, abbasso gli occhi e allungo verso di te i polsi per l’ennesimo salto nel buio. Senza una parola, in un silenzio carico di aspettative, mi passi le corde sulla pelle, hai scelto una corda lunga, mi chiedo come hai intenzione di legarmi.
Bloccati semplicemente i polsi, ti volti e da un cassetto dell’armadio, prendi il collare. Ingollo a vuoto, tanta accuratezza nei particolari è sicuro preludio a un gioco sottile e sofisticato che ci metterà entrambi alla prova, ognuno con il suo lato oscuro.
– Inginocchiati ‘ la tua voce è quasi un sussurro. Mi piego docilmente abbasso il capo, i capelli mi coprono il viso. Sento il cuoio freddo appoggiarsi sul collo, il mio respiro accelera il ritmo, la sensazione di soffocamento è sempre lì in agguato. Mi concentro su altre sensazioni, il profumo del cuoio lavorato, i piccoli rumori. ma quando me lo stringi un po’ più del solito, mi irrigidisco.
Lo scatto del lucchetto mette fine alla mia speranza, il collo è bloccato dall’alto collare che m’impedisce di piegarlo in avanti.
Mi pare perfino di ingollare con difficoltà, poi sento le tue mani che mi accarezzano le spalle, con delicatezza rilassano la mia tensione. Esco dalla spirale in cui mi ero cacciata. Ritrovo la realtà di ciò che sto vivendo, l’emozione profonda di aver indossato il TUO collare e ciò che essa simboleggia. Piego il viso verso le tue mani che mi sfiorano le guance, senza smettere di carezzarmi le passi sulle mie labbra e seguendo un bisogno quasi ancestrale tiro fuori la lingua e seguo i tuoi palmi in umide scie. Stai al gioco e mi porgi un dito per volta ed io me ne prendo cura con minuziosa attenzione. All’improvviso mi afferri la mandibola e il tuo dito mi penetra prepotente la bocca ispezionandola, barbaro invasore, re del suo regno.
Il gesto mi toglie il fiato, mi fa tremare e bagnare improvvisamente.
Nello stesso modo in cui è iniziato tutto finisce. Togli la mano dal mio viso, afferri la corda avanzata dai polsi, la fai passare dall’anello del collare e tiri in alto. Le mani scattano in su, ma allo stesso modo la mia testa viene tirata in alto.
Mi alzo al muto comando, cerco i tuoi occhi per sentirti vicino e meno sola in questo turbine di violente emozioni. Sei tu il mio scopo, la mia realtà per cui vivo questi magici momenti, ho bisogno di vedere che sono ciò che vuoi che io sono per te.
Questa volta non dici niente, ti volti con la corda tra le mani e ti avvii lasciandomi con l’unica possibilità di seguirti.
Usciamo fuori e insolitamente passiamo dal retro della casa, arriccio il naso, mentre schivo materiali edili, ammassati qua e là. Un brivido mi scuote, mentre entriamo nel vano delle scale che portano al seminterrato. Di botto ti fermi, ti volti e mi guardi per un lungo istante. I nostri occhi si incrociano maliziosi, poi diventi serio e quasi freddo. Il gioco è iniziato.
Col cuore in gola per l’ansia e l’eccitazione, sfida e voglia di sapere, scendo le scale facendo attenzione a non inciampare. Cammino lenta lungo il corridoio buio e quando giro l’angolo l’esclamazione di sorpresa è sincera e spontanea.
Il locale, che avevo pulito in precedenza, è illuminato da tante candele sparse sul pavimento, che danno una calda atmosfera a quel luogo arido.
Sono messe quasi a raggiera intorno ad una colonna, la prima entrando, che hai scelto e preparato per l’occasione.
Nella parte superiore, infatti, è coperta per almeno 40 cm da svariati giri di corda azzurra e su tre lati pendono dei moschettoni attaccati alle corde, quello frontale poco più alto degli altri due laterali. La stessa cosa l’hai fatta alla base, dove, però ci sono solo i due moschettoni laterali.
Ti guardo interrogativamente, la tua risposta è un sorriso sbieco che cela ogni altra spiegazione.
Hai portato giù anche qualche sedia, su una è appoggiato il borsone delle corde e dell’attrezzatura con cui giochiamo, su un’altra le polsiere e le cavigliere, la terza è vuota.
Mi porti vicino alla sedia sgombra, mi sfili la corda dal collare e con la pacatezza che ti è solita, mi sciogli le mani.
– Spogliati ‘ indicandomi la sedia per riporre i miei abiti.
Arriccio ancora il naso e le labbra, poco convinta, il posto non è il massimo dell’igiene e questo m’innervosisce.
– Muoviti! ‘ inciti con un tono piatto che mi scuote. Mi tolgo ogni capo e con cura li piego sulla sedia. Il fresco dell’ambiente mi fa rabbrividire, ma la cosa mi preoccupa poco.
Mi chiedi di prendere le polsiere e le cavigliere che chiudi, ben strette, su di me, vestendomi di ciò che ti piace. Mi sento meno nuda adesso. Mi abbracci dal dietro, baciandomi le spalle le tue mani cercano i seni, palpandoli e strizzandoli, regalandomi scariche di adrenalina che mi fanno rabbrividire di piacere.
Provo a sottrarmi a quest’intenso piacere che da un momento all’altro può diventare dolore puro. Il tuo corpo mi blocca ogni tipo di fuga. Stai ridacchiando.
– Miciotta miciotta … ti sottrai anche al tuo stesso piacere … Quando smetterai di lottare contro te stessa? – Mi abbracci forte e mi porti alla colonna. Mi prendi i polsi e li agganci ai moschettoni laterali con gli anelli delle polsiere. Ti abbassi e sento che lavori ai miei piedi, intravedo la corda, ma non potendo piegare il collo, la mia visuale è molto limitata.
Passi la corda dall’anello della cavigliera e lo fissi al moschettone della colonna, sollevandomi il piede fino a che il tallone non appoggia più sul pavimento. Noto appena che ti è avanzata della corda che ti alzi e mi osservi soddisfatto. Giocherelli ancora con i capezzoli, già induriti dal gioco, mi strappi dei mugolii di piacere. Sali lentamente fino a sfiorarmi il viso.
– Apri la bocca –
Ecco questo è un comando che odio davvero. Il respiro si accelera all’istante, serro le labbra e verifico quanto riesco a respirare col naso. La mia bestia nera si sveglia prepotentemente, si agita inquieta, morde i lacci che io le metto per tenerla a freno. Sente l’odore della sofferenza, del disagio di cui si nutre, sente che tra poco si ciberà e tornerà a poter ruggire.
Sento freddo, un freddo intimo che si alterna ad ondate di calore bollente. L’ansia che mi coglie prima del salto è lì, che blocca col suo peso ogni mio movimento, ma voglio dar sfogo alla bestia, anche se mi costa moltissimo sciogliere quei lacci.
– APRI! –
La tua voce entra nei miei pensieri, mi lasci sempre del tempo per la mia decisione, pero ora sai che me ne occorre’
Con un profondo respiro allento la mandibola.
Soffio di rabbia e spalanco la bocca, bruciandoti con lo sguardo.
Mi aspettavo il bavaglio con la pallina nera e invece tiri fuori un fazzoletto e velocemente me lo metti in bocca.
Panico! Sto soffocando! Urlo, mi agito senza controllo e provo a sputare quell’orrenda stoffa, mentre tu imperterrito me l’aggiusti in bocca. Provo a stringere i denti, ma la mano che mi tiene la mandibola stringe in modo doloroso e cedo.
Ho la bocca piena di cotone e la lingua mi si asciuga, continuo a temere di soffocare, respiro velocemente dal naso fino a tormentare tutta la zona circostante. So che mi devo calmare, ma non ci riesco.
Intanto hai preso dalla borsa un rotolo di nastro adesivo piuttosto alto. Me lo passi sulla bocca e intorno alla testa sigillandomi. Grido disperata, ma i soli suoni che si sentono sono mugolii assurdi e bassi. Sono impotente e molto eccitata.
Mi baci sopra lo scotch, vorrei sentire il calore delle tue labbra, attingere la forza che mi danno, ma la plastica isola anche queste sensazioni, oltre ai suoni.
Sorridi e ti volti per prendere una corda, è di quelle lunghe stavolta, forse mi legherai alla colonna con un bel karada, penso, ma già da subito capisco che sono fuori strada.
Afferri un capo e lo leghi al moschettone sopra la mia testa, la fai scendere alle mie spalle e la leghi alla colonna all’altezza della mia vita. Fai diversi giri intorno ad essa ed alla mia vita, fissando il mio corpo alla colonna. Sento la corda che rimane battere sulle mie gambe, è più grossa delle altre, e rimane e pendere pigramente verso terra.
Mi sei più vicino ora, la tua mano mi accarezza il pube liscio e depilato, scende tra le gambe. Cerchi il clitoride, e ci giochi. Mi irrigidisco mentre il tuo massaggio aumenta la mia agitata eccitazione. Rallenti, mi baci e ti allontani, lasciandomi frustrata. Seguo con gli occhi ogni tua mossa. Ti avvicini alla grata che chiude la finestra davanti alla colonna a cui sono legata. Ti volti sorridendo serafico, sollevi l’altro capo della corda e la passi attraverso una sbarra, fai tutto molto lentamente, da sadico mi dai il tempo di capire cosa sta succedendo. Vedo la corda tendersi e salire in alto fino a sfiorarmi il sedere. Ho un sobbalzo, istintivamente provo ad alzarmi sulle punte dei piedi, tirandomi su con le braccia. Tiri ancora e la sento entrare tra le natiche aprendomi. Grido di rabbia e preoccupazione, le punte dei piedi infreddoliti dal cemento iniziano a dolermi per la scomoda posizione. Li muovo per quanto mi concedono le corde, mi dolgono i muscoli delle gambe, la tensione li fa tremare. Tu sei ancora là che mi guardi e aspetti. Chiudo gli occhi davanti alla tua fredda compostezza. Ti insulto a voce alta, tanto non mi senti e io posso sfogare un po’ della mia agitazione, mentre i miei piedi, lentamente, tornano alla posizione iniziale. Mi poso tremante sulla corda che mi sale davanti, dura come un legno, che mi spacca in due.
Solo adesso fai un nodo alla corda, tirandola ancora un pochino e fissandola tesissima.
Torni vicino a me, la mano scende tra le gambe, verso la corda che si sta bagnando dei miei umori. Cerchi ancora il clitoride, compresso dalla corda, lo stuzzichi, lo massaggi senza sosta, e quel dolce piacere diventa dolore quando nel suo ingrossarsi la corda me lo schiaccia.
Mugolo disperata, mi muovo in modo inconsulto, ma peggioro la cosa. Afferri la corda e l’abbassi di poco, con l’altra mano sistemi le grandi labbra attorno ad essa in un abbraccio umido e dolente.
La carne, infastidita, inizia a bruciarmi. Torno a sollevarmi per dare un minimo di sollievo, faccio forza sui bracci per non appesantire le gambe, ma ora non reggo a lungo e torno sulla corda.
Ad occhi chiusi provo a deviare l’attenzione altrove, ma tu lo intuisci e non me lo permetti. Appoggi la mano sulla corda e tiri strappandomi un gemito lungo di dolore che mi fa spalancare gli occhi angosciati.
Respiro velocemente e sono coperta da sudore. Vedo che ti avvicini al borsone e ciò che ti brilla tra le mani mi fa gridare furiosamente.
Le lunghe clips scivolano nel tuo palmo
– NO! NO! NO! –
La mia voce urla in testa, caduta nel panico.
La bestia sbava la sua melliflua saliva dalle ganasce allentate dall’eccitazione.
I miei occhi ti supplicano, mentre mi rispondi con una fredda occhiata di scherno.
Non riesco a stare ferma, la corda mi sfrega violentemente, ma pare avere meno efficacia del pensiero di quelle dannate clips!
Per quanto provi a sottrarmi mi afferri un seno e i capezzoli già induriti dall’eccitazione, si alzano tra le tue dita.
Inesorabili vedo le punte laccate delle clips che si stringono sul primo capezzolo. Leggere, quasi non le sento, mentre le appoggi sulla pelle sensibile, ma è un’illusione. Fai scorrere l’anello su, piano, ma ancora più su e il dolore arriva puntuale, bruciante come un tizzone di brace, mi esplode dentro.
Non riesco a trattenere il grido, lungo che mi esce dalla gola, liberatorio per l’ansia che mi assale. La bestia gioisce, in quel dolore trova la sua dimensione e la sua libertà.
Il dorso della tua mano accarezza la mia guancia, un tocco che mi calma appena. Il dolore è tanto, la mia contrastante eccitazione non si placa.
Afferri l’altro seno, gemo, quando la catenella che unisce le due clips si tende verso l’altro capezzolo. Il bruciore è insopportabile. Mi sono chiesta spesso quanto un essere umano può sopportare, quando gli è impossibile sottrarsi al dolore, fin dove può arrivare.
Per alcuni secondi credo di impazzire, tutto grida dentro di me, non mi agito più, anzi! anche il respiro affrettato mi causa fitte lancinanti ai seni.
Sto ferma il più possibile, ma non basta.
‘fin dove si può arrivare? ‘
Socchiudo gli occhi e incontro i tuoi, brillanti, vicinissimi, emozionati. Con un sorriso che non promette niente di buono, afferri tra le dita la catenella e la tiri su.
‘BASTARDO!!!!!’ vorrei dirti ma il bavaglio ingoia tutti i miei suoni.
Il dolore si riaccende come brace sotto il vento.
Dalla borsa adesso tiri fuori un’altra corda: è sottile e colorata. La leghi alla catenella, la porti fino alla grata, la passi da una sbarra e ritorni accanto. Vedo che ti pieghi e leghi la cordicella all’alluce del piede destro. La tiri un poco per metterla in tensione e i capezzoli mi paiono esplodere.
Pizzichi la corda tesa in un gesto di soddisfazione che mi fa urlare.
Ho gli occhi umidi, serrati, conto i secondi, prima che l’ondata di dolore si attenui.
L’impatto della benda sulla faccia mi fa sobbalzare. Sento il dolore ovunque, le gambe iniziano a dolermi e i piedi vorrebbero toccare terra finalmente. Mi tiro su con i bracci, ma i seni in questo gesto si tendono e l’urlo a quella scossa accecante mi svuota i polmoni.
Sono al buio, il corpo ormai è distaccato dalla mente, recettore di sensazioni violente, alimenta la ‘bestia’, finalmente libera di ruggire e ergersi in tutta la sua fierezza. Mi sento stordita. Mi hai eliminato quasi tutti i sensi di percezione, solo la mente resta in ascolto, solo io e la ‘bestia’ Prima o poi ci dovremo affrontare e conoscersi io e Lei, visto che lei è parte di me, quella oscura che vive in me da sempre, dentro di me, ripudiata troppo a lungo , temuta e amata in segreto. Ora, la sua essenza è libera in tutto il mio essere. Darle la libertà vuol dire provare ad addomesticare la sua selvatica indole, vuol dire civilizzarla, pur sapendo che non sarà mai doma.
Sento che passi un’ennesima corda dagli anelli dei polsi e mi chiedo, sfinita, cosa intendi fare dal momento che quegli anelli sono già fissati ai moschettoni.
Non potendo vederti ho difficoltà a seguire le tue mosse. Non riesco a concentrarmi perché il dolore rende impossibile staccarsi dal suo effetto devastante e totale.
Sento che passi la corda anche dagli anelli delle cavigliere. ‘ma cosa stai combinando?’
Mi chiedo quanto posso ancora resistere. se fossi senza bavaglio ti urlerei di sciogliermi.. ma non serve pensarlo.. ora è così. Il tuo respiro mi scalda l’orecchio facendomi capire che ti sei alzato, ancora non capisco cosa fai e questo aumenta l’ansia e la mia eccitazione. Il tormento ormai è come una cantilena di sottofondo che non si ferma mai.
Ad un tratto sento che tiri la corda dal polso destro, piano piano tira e, senza capire come, il piede destro viene tirato verso l’alto. La stessa cosa succede sul lato sinistro. Perdo un altro appoggio e grido di paura, mi sento cadere in avanti e la corda mi brucia la carne della vulva, la corda legata alla catenella dei morsetti ai capezzoli, sempre più in tensione, mi strappa nuovi tormenti.
Con difficoltà data dalla stanchezza e dallo stress, mi tiro su con l’ausilio del moschettone, i seni ormai sono due pozze incandescenti di lava che bruciano. Sono ormai in un frenetico panico, fatto di dolore e di pura ansia, la mia voce è un lamento continuo, entro in uno stato di stordimento mai vissuto prima.
Provo ad allentare i bracci, i seni lanciano un’altra fitta, nello scendere, però mi accorgo che mi accascio di più sulla corda che mi schiaccia il clitoride gonfio e mi forza sull’ano dolorosamente. Il dolore ha un’impennata che non riesco nemmeno più a quantificare.
Mi togli la benda, vorrei stropicciarmi gli occhi lacrimosi, mi prude il naso vorrei.. vorrei che tu mi baciassi e sentissi brividi che sento io. Il dolore che mi toglie il respiro, la bestia che palpita felice.
Ci fissiamo, mentre il sudore mi cola lungo i contorni del viso, intridendomi i capelli.
– non ce la faccio più’. – urla isterica una voce dentro di me. Evito il tuo sguardo sto soffrendo troppo, e se inizio a cedere so che verrò sommersa da ciò che ora ascolto, vivo ma a modo mio ancora controllo.
Le tue dita sono ora sulla corda fradicia dei miei umori, frugano, solleticano, trovano il cuore palpitante e con lui si divertono.
Il massaggio che di solito mi porta in alto adesso è solo uno stimolo in più ad aumentare la sofferenza. E’ tremendo. Provo a sottrarmi, è quasi istintivo, ma pare che sia come la vittima di un ragno. Più mi muovo e più peggioro la situazione.
Sei serissimo, mi osservi quasi con distacco, annuso il selvatico della tua bestia eccitata , smaniosa di altro e altro ancora e la mia reagisce scuotendomi da dentro in un lungo brivido.. ‘non lasciare che lei ti prenda la mano..’ Ti supplico con gli occhi, ma i tuoi vedono altre immagini proiettate dalla mente delle ‘bestia’!
Sei a qualche passo da me, senti i miei lamenti, inutili che si perdono nel silenzio del seminterrato.
Non ce la faccio davvero più.
Sto impazzendo, mentre vedo che ti avvicini e mi passi un dito sotto gli occhi.
– .ancora non hai versato una sola lacrima. solo umido..- commenti pacato
Vorrei morderti a sangue e non so come resistere ancora.
Fisso la mano che va a toccare il moschettone a lato, lo apre, lo slaccia dall’anello della polsiera, il braccio mi scende stanco dalla forzata posizione.
Scatta anche l’altro moschettone, mentre ancora non capisco cosa sta succedendo.
I bracci indolenziti e pesanti si abbassano nello stesso momento: in questo modo però, la corda legata alle polsiere che passa dal moschettone, scorrendo tira verso l’alto i piedi, lasciandomi completamente sollevata da terra e vincolata alla colonna dalla sola corda legata strettamente in vita.
Con un urlo pauroso mi sento proiettata in avanti. La corda tra le gambe è come un ferro rovente, il fiato mi esce di schianto ed i seni si tendono per la corda collegata all’alluce.
Il cuore quasi si ferma, ormai fuori controllo, a causa di questo sentire allucinante che mi sta portando in un’altra dimensione. Lacrime copiose scendono, scivolano sul collare fino ai seni.
Sento la tua mano aperta appoggiarsi, calda, sulla pancia e riportarmi indietro. Mi togli le polsiere che, non più trattenute dai miei polsi, sono trascinate verso alto. Essendo ancora legate con la corda fissate alle cavigliere, mi permettono finalmente di poggiare i piedi per terra.
Finalmente tace quel rumore che mi stava spaccando la testa. Con sgomento scopro che era la mia voce che urlava.
Ti chini a slacciare la corda dall’alluce, la lasci andare e la recuperi. Non sento il sollievo che credevo, ma le ondate lancinanti si sono calmate.
Respiro meno velocemente.
Vedo che ti abbassi e afferri una candela. Ti avvicini.
Non riesco più nemmeno a muovermi, solo la testa si agita incontrollata, perfino i muscoli facciali sono intorpiditi, fisso come a rallentatore le prime gocce di cera fusa che cadono sui capezzoli.
Le gambe cedono di schianto. I sensi si ottenebrano. La ‘bestia’ ulula la sua vittoria, mentre le tue labbra sfiorano la mia tempia umida.
I nodi si sciolgono. Scivolo tremante e felicemente riconoscente tra le tue braccia, mai avrei creduto di poter vivere momenti simili, mai avrei creduto di arrivare a tanto e di sentirmi così tua.

Alzi gli occhi dai fogli che hai appena letto, ci fissiamo in silenzio, ma sono la prima che lo rompe.
– Ti è piaciuto? ‘ ti chiedo in trepida attesa.
Studio la tua espressione, ma non capisco i pensieri che il mio racconto ti ha suscitato.
– Vieni qui –
A voce bassa mi chiami. Mi avvicino perplessa.
– Inginocchiati ‘
Eseguo ancora curiosa e non convinta di ciò che vuoi fare.
Una corda appare come per magia tra le tue mani.
Mi prendi i polsi e inizi a legarli
– C’è un seminterrato che ci aspetta da troppo tempo, miciotta ‘ mi sussurri all’orecchio.
Il cuore mi parte impazzito, mentre un brivido mi scende lungo la schiena.
Che il gioco abbia inizio!

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