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Racconti di Dominazione

la schiava Olga

By 17 Aprile 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Al mercato delle schiave

Luigi era contento di provare con Lucio la novità.

Un vero mercato di schiave!
“lì si comprano e si vendono, e come puoi capire con una schiava ci fai quello che vuoi!”

Luigi non voleva crederci, così Lucio era stato più chiaro.
“Sono donne che hanno assolutamente bisogno di denaro perchè hanno un sacco di debiti. Non sapevano più cosa fare e così si sono messe in vendita. Intendo dire che hanno stabilito di rinunciare alla loro dignità per il tempo che saranno assoggettate. Alcune sono italiane, la maggior parte straniere.
Devi dargli una paga mensile un po’ superiore a quella che si dà ad una cameriera e dai i soldi al protettore, che ci pensa a sistemare la cosa. Non hanno giorno libero e sono a tua disposizione ventiquatr’ore su ventiquattro. Puoi fare quello che vuoi, basta non rovinarle. Tutte le settimane c’è un mercato dove puoi prendertene una e se vuoi puoi riportare indietro quella vecchia. Se la riporti paghi una mensilità al protettore, a prenderla nuova paghi niente. Il protettore se la riporti indietro è contento: paghi il mese, poi dice che in questo modo capiscono meglio il loro posto.
Imparano a pensare come schiave, oggetti, e diventano sembre più obbedienti.
La cosa aveva fatto arrapare Luigi, che si era convinto. Una schiava per tre mesi, per cominciare, poi su vedrà. La cascina di Luigi era grande, e c’era spazio per fare tante cose.
arrivarono al magazzino. Lucio conosceva l’ambiente, e il negro di guardia alla porta li fece passare subito. Andarono da Frank. Era un uomo tarchiato, grasso, con un sorriso sulle labbra che prometteva decisione.
“Il mio amico vuole una vacca: gli ho raccontato la cosa e gli piace.”
Frank sorrise subito. “Ne hai mai avute?”
“No, ma la cosa mi ha arrapato”.
“Cosa vuoi farne?”
“Ho una cascina grande e mi voglio divertire”
“Per quello te ne prendi una normale e dopo un’ora è a letto”
Era vero, ma Luigi voleva qualcosa di più.
“No, voglio una schiava da fottere e da cambiare quando sono stanco o anche per capriccio. Una bestia.”
Frank annuiì e sorrise.
“Hai qualche preferenza?”
“No, cosa mi consigli?”
Già parlavano delle donne come fossero animali.
” Se vuoi divertirti comincia con alcune molto usate. Sono disponibili a tutto.”
Andarono così in una stanza larga dove c’erano una decina di donne, dai trentacinque anni in su. Tutte con le braccia lungo il corpo, le gambe leggermente larghe. Quando entrarono si misero a guardare davanti a loro, fisse.
“Queste sono tutte state molto usate, hanno passato non so quante aziende per soddisfare gli extracomunitari che lavorano da noi. Sono molto docili.
“Saranno sfondate da far paura!”
“Naturalmente, ma ti puoi divertire molto. Diciamo che sono le vacche da monta per chi vuole avere pochi grattacapi. Accettano tutto. ”
Frank sussurrò qualcosa al negro che lanciò un ordine alle donne. Subito queste si scoprirono i seni e sollevarono la gonna, sempre a gambe larghe, per mostrare il pube. lo sguardo era sempre fisso in avanti.
“Naturalmente non hanno reggipoppe e mutande. Le schiave non li portano.”
Non erano giovanissime, ma non erano brutti corpi. Luigi si avvicinò ad una.
Era alta, con un bel seno, i capelli neri, non era grassa. Guardava come le compagne nel vuoto e aveva lo sguardo intelligente.
“Chi è questa?”
“E’ Olga, usatissima e usabilissima. Fatti vedere, Olga!”
Subito obbedì. Sorrise, si chinò davanti, fece ondeggiare il seno, poi si voltò, sollevandosi le gonne anche dietro. Con le mani allargò la figa e il buco del culo.
“Ha passato tutte le fabbriche della zona. Puoi fare di lei quello che vuoi. Il padrone di un bordello da poco la voleva, poi non ci siamo accordati perchè voleva risparmiare sull’ingaggio. Là avrebbe fatto ottanta cazzi al giorno, che non sono pochi nemmeno per lei. Se la comperi potrai trattarla come una bestia, bel vero senso della parola”.
Olga era rimasta ad ascoltare in silenzio, nella posizione di prima.
“Capisce l’italiano?”
Chiese Luigi. Per tutta risposta Frank le diede una pedata nel culo.
“Sei sorda vacca?”
“Si signore, lo capisco benissimo!”
“E’ vero quello che ha detto Frank?”
Olga aspettava il permesso di rispondere, sempre chinata e a gambe larghe, con le mani ad aprire le fessure.
“Si signore”
Il permesso lo aveva avuto da un altro calcio in culo.
“Si signore”
Un altro calcio aveva sveltita la risposta. Frank però non si accontentò. Le mollò una sberla in faccia gridandole:
“allarga i buchi che si vede niente!”
Olga obbedì.
“e’ vero che sei una schiava da usare come una bestia?”
“Sì signore, sono una bestia”.

“Va bene. La compero”.
Olga si ricompose, prese la sacca in fondo allo stanzone e seguì il nuovo padrone. Giunta al’auto chiese:
“Dove devo mettermi?”
Luigi pensò di metterla nel bagagliaio, poi decise che si sarebbe divertito durante il viaggio. La fece salire al suo fianco. La fece salire al suo fianco. Perchè tutto fosse chiaro le alzò la gonna e le mise una mano sulla figa. Non voleva perdere tempo in smancerie. Olga allargò ancora di più le gambe, per offrirsi meglio.
Luigi era contento del suo affare, ma voleva qualcosa di più.
“Come mi scarico i coglioni?” Chiese rivolto alla schiava.
“Cosa preferisce padrone? Bocca figa o culo? O preferisce prima divertirsi usandomi in qualche modo?”
Parlava bene l’italiano,e questo colpì Luigi. Decise così di interrogarla.
Che studi hai fatto, che parli bene l’italiano?
“Sono laureata nel mio paese e amo molto le lingue, ne conosco diverse.
E come mai sei i Italia in questa maniera?
Sono separata da mio marito e devo mantenere due figli e dare dei soldi a lui perchè non cerchi di portarmeli via.Loro sono la mia vita. Mi basta sapere che avranno una vita diversa dalla mia. Quando li ho lasciati ho detto loro che andavo lontano e ho supplicato mio marito di parlare bene di me. Così lui mi ricatta. Devo mandare molto denaro e stare zitta.”
“Sa che sei una puttana?”
“Di sicuro, e se non mando i soldi lo dice a mio figlio e a mia figlia”.
“Sei ridotta male, Olga.”
“Sono una vacca da monta, buona per tutto”.
Il tono di voce, neutro, di Olga stava a significare che oramai per lei era normale. Aveva sempre tenuto le gambe aperte e teneva su la gonna per impedire che scendesse a coprirla.
Luigi aveva accostato ad una piazzola. Tirò giù il sedile di Olga per stenderla e la penetrò in un attimo, senza nemmeno abbassarsi i pantaloni. Quando ebbe finito guidò la bocca di Olga al suo cazzo perchè lo pulisse. Poi le disse:
“Non sporcarmi con la sborra che ti cola il sedile o ti ammazzo di botte”. Ma non le diede nessun fazzolettino. Anzi, non volle si asciugasse nemmeno con la suan gonna.
“Voglio che ti coli addosso la sborra che ti esce, così sarai marchiata.”
Olga allora tenne larghe le gambe, per fare vedere che lo sperma la sporcava, e fece in modo che la gonna impedisse al seme di imbrattare l’auto.
A un certo punto si rivolse al padrone.
“Mi scappa da pisciare, posso farla da qualche parte?”
Luigi fermò l’auto ad uno spiazzo frequentato da camionisti e indicò dove andare ad Olga. Era un posto non troppo nascosto. Lei si accucciò e pisciò senza pensare a nascondersi. Subito arrapati i camionisti la guardarono e si avvicinarono. Ma Luigi non voleva perdere tempo e la fece salire.
“Sei proprio una lercia vacca in calore!”
“Mi scusi, mi hanno insegnato a fare così. Mi dica lei come devo fare.”
“Come ti hanno insegnato?”
“Quando parlo di me devo dire figa culo merda piscia, chiavare fottere, inculare, tette poppe sborra pompino. Devo dire le cose con le parola di una vacca. E quando sono in giro devo farmi vedere da tutti, come un animale. Poi mi hanno insegnato che tutti mi possono toccare e fottere, se il mio padrone non vuole mi allontana ma io non devo fare mai nulla, perchè un animale non ha diritti.”
“Va tutto bene.” Luigi era contento, ma voleva divertirtsi con questa schiava. GLi venne in mente un’idea, rubata da una film che aveva visto e adattata alle sue voglie.
“Devi raccontarmi come sei diventata la merda che sei. e devi eccitarmi. Se sarai brava sarai la mia vacca da monta. Lavorerai per me, ti userò, ogni tanto ti presterò ma sono un tipo calmo. Se mi annoierai una sola volta ti riporterò indietro da Frank e andrai a soddisfare ottanta negri al giorno, alla metà di quello che prendi da me. Che ne pensi?”
” Grazie padrone, farò del mio meglio. La prego, mi lasci riordinare le mie storie e non se ne pentirà! ”
“Voglio cominciare da stasera.”
“La prego, questa sera mi faccia fare qualcosa di umiliante che la ecciti. Solo per questa sera!”
Impietosito Luigi la portò a casa e la fece stendere nella vasca da bagno dell’appartemento vecchio. Le pisciò addosso, poi le fece aprire la bocca per sputarle dentro dentro e controllare che avesse dentro tanta piscia. Olga accettò tutto, mettendo nella vagina le dita, come voleva Luigi. Poi disse grazie. La lavò con la pompa e la fece dormire nella gabbia del maiale. Poi andò a dormire, al momento soddisfatto.
Il giorno dopo Luigi si alzò e andò a vedere la sua nuova proprietà.
Dormiva ancora nella gabbia dei maiali, accucciata.
Ci pensò un poco, poi decise di svegliarla con una pedata.
non disse una parola, solo la pedata in culo.Così svegliata Olga lo guardò. Abbassò lo sguardo, umile, ma non cercò di riparararsi. Aspettò che il padrone facesse quel che voleva. A Luigi piaceva quel tipo di umiltà.
-Sei una vacca e una cagna. Vieni a leccarmi la mano.
Olga corse.
Luigi la prendeva a sberle e le faceva baciare la mano.
Poi stanco del gioco, di mise a palparle le tette e la figa. Olga, silenziosa, lo assecondava.
Ti pace fare da buco per il tuo padrone?
Olga annuì.
-E’ il meno per te, vero?
– Si padrone. Quando Frank mi ripenderà mi manderà nei bordelli a poco prezzo, per clandestini. E non potrò dire di no. Lavorerò per quattro soldi e ne farò tanti. Poi quando avrò finito quel circuito implorerò Frank di vendermi ai ricchi depravati, sperando di non lasciarci le penne.
Quindi è meglio per te venire sfondata dal tuo padrone, che ti venderà per quel cesso che sei
-Certo padrone.
Le lacrime scendevano dagli occhi di Olga, mentre allargava la vagina per mostrarsi al padrone.
Eccitato Luigi glielo mise in bocca e le venne dentro. Poi le disse di non staccarsi e le pisciò sempre nella bocca.
Raccontami ora qualche porcata, cagna.

Le racconterò come Frank mi ha preso, signore.
Non avevo speranze di restare in Italia. Il padrone che mi aveva assoldato si era stancato di me. Ero stato con lui circa un anno a fargli da serva e da vacca. poi si era stancato. Non conoscevo nessuno: lui non mi faceva mai uscire.
– Te ne tornerai al tuo paese e li ti divertirai facendo la troia come fai qui.
Sapeva che dovevo mandare i soldi a mio marito e alle figlie e non potevo smettere. Mi inginocchiai davanti a lui. Avrei accetttato tutto.
-Se vuoi ti porterò da un padrone che fa lavorare sodo ma paga.
Ti va di fare la puttana?
Annuiì. Non avevo scelta e lui lo sapeva. Senza documenti, senza soldi senza possibilità di tornare indietreo. Ero pronta.
Mi portò subito da Frank, in un bar. Parlarono cinque minuti poi il mio padrone venne da me.
– Se vuoi lavorare con Frank devi prima farti vedere all’altezza.
Vai dove c’è quella porta ed entra. Lì saprai.
Andai verso la porta. Mi accorsi che gli avventori mi guardavano, come capissero. entrai.
Era una stanza deserta. Dentro c’era un negro alto e muscoloso.
-Cosa vuoi?
Mi chiese. Non risposi.
-Vuoi farti conoscere?
Annuì.
– Bene, facciamo un gioco. Mettiti nuda.
Lo guardai.
– Non pensare che ti spogli io. O fai tutto quello che ti dico o vai fuori dai coglioni.
Mi misi nuda. Mi guardava con sufficienza. Quando non ebbi più miente addosso mi passò un manico di scopa.
-Mettilo sulle spalle e facci passare le braccia.
Lo feci. ero come imprigionata dal manico che avevo sulle spalle su cui avevo messo le mie braccia.
– Ora entreranno delle persone. Ti guarderanno, ti palperanno poi si divertiranno con te. Potrai dire solo: “bocca culo figa”.
Annuì. Avevo capito cosa voleva facessi. Ero pronta.
entrarono dala porta, poco dopo, due avventori del bar. Io ero in piedi nella stanza, nuda.
– Come ti chiami, bellezza?
– Bocca culo figa
Era l’unica cosa che potevo dire.
Mi ascoltarono e si misero a ridere. Iniziarono a toccarmi. Era naturale che mi toccassero come volevano e non aveva senso che opponessi resistenza. Ogni tanto mi chiedevano:
-Ti piace?
Io rispondevo solo:
– bocca, culo figa.
Dopo un decina di minuti uno di loro mi stese e me lo mise dentro.
Venne in fretta e mi chiese:
– ti è piaciuto?
Io gli risposi solo:
– bocca, culo figa.
Anche l’altro mi venne dentro. Mi fece voltare e me lo mise in culo.
Ridevano e parlavano tra loro.
Poi andarono a chiamare gli amici.
Entrarono altri quattro. Io mi ero rialzata, come mi era stato ordinato, e li guardavo, nuda con le braccia sul manico di scopa.
-Ti piace l’Italia?
Mi chiese uno.
– bocca, culo, figa.
Si avicinarono e cominciarono a palparmi tutti assieme.

Le loro mani mi frugavano le tette il culo e tutti i buchi. Io stavo zitta.
-Ti piace?
– Bocca culo figa.
Mi presero tutti e continuavano a dirmi:
-Di qualcosa, vacca schifosa!
Io ripetevo solo: ” bocca culo figa ” e questo li faceva ridere.
Quando finirono se ne andarono, sghignazzando.
Il negro era rientrato.
-Bene, non sei una spia.
mi diede un abitino per vestirmi alla meno peggio e mi portò in macchina. ma non era finita. mentre mi frugava la figa con le mani mi disse ridendo:
-Adesso lavorerai un po’ per me. poi ti riporto da Frank.
Annui.
Mi portò in una appartamento puzzolente dove stavano sdraiati cinque altri negri, i suoi amici.
– Volete scaricarvi i coglioni?
Mi guardavano come si guarda un oggetto da comperare o meno.
-Quanto vuoi?
Non lo dicevano a me. Con me l’unica cosa che facevano era palparmi e mettermi le dita nei buchi.
– Lavorate per me per quel lavoretto e fate con lei quello che volete.
Annuirono. Mi misero su un materasso e cominciarono a fottermi. Mentre scopavano mi chiamavano vacca, troia puttana. Risposi a uno: “Si padrone” e mi venne subito nella figa. Imparai così che ad assecondare chi mi voleva usare potevo evitare cose drammatiche. Dissi anche agli altri: “Si padrone” e quando mi chiamavano cagna da monta rispondevo che ero li per quello. Vennero in breve tempo.
Il negro che mi riportò da Frank era soddisfatto.
– Con questa puoi fare quello che vuoi!
disse a Frank. Io tenevo gli occhi bassi: non sapevo se era un complimento o un insulto.
-Bene, la strizzeremo per un bel po’. Sei contenta vacca che starai con noi un sacco?
Annuì. Avevo trovato un posto di lavoro. Luigi era soddisfatto del racconto. Per questo le mise un collare al collo senza picchiarla e la trascinò, nuda, dai suoi cani. la strattonava e le gridava: “mena le poppe, cagna!”
Olga obbediva pronta.
Arrivati al recinto dei cani la prese e le mise una mano nella vagina.
“Guarda i loro cazzi! Se mi stancherò di te li conoscerai bene!
Obbediente Olga li fissava.
“Continua a raccontare .”
“Il primo giorno che lavorai da Frank venni messa in una stanza da sola. Ero vestita con un semplice abito corto.
-Mutande e reggipoppe dimenticateli: ora sei una vacca da monta!
Dovevo stare in piedi. La porta della stanza era aperta. Ogni tanto veniva qualcuno a guardarmi, acompagnato da Omar, il negro che mi aveva provato la prima sera. Entravano mi palpavano, mi frugavano il buco del culo, la bocca, la figa, mi strizzavano le tette. Qualcuno chiedeva ad Omar: -posso palparla quanto ne ho voglia? Lui annuiva.
A me non chiedevano mai niente: una cagna conta un cazzo. Qualcuno poi mi scopava, o meglio ancora portava con se un uomo che mi chiavava mentre gli altri mi guardavano. Mi facevo fottere poi quando l’altro aveva finito restavo a gambe larghe, distesa. Se Omar mi diceva: -alzati vacca! Mi alzavo e mi mettevo davanti a tutti a gambe larghe. La sborra che colava sul pavimento li faceva sempre ridere e questo evitava a me altre botte. Finalmente venni comprata. Dico comprata perchè oramai avevo capito quello che ero: una vacca una schiava, una bestia da usare come meglio piaceva ai miei padroni. E chiamavo già “padrone” chi mi palpava, mi fotteva, mi picchiava, sperando che uno di loro mi comperasse. Mi acorsi di essere stata comperata perchè l’uomo che era entrato era già stato lì. Mi aveva palpato per un sacco di tempo, mi aveva fatto fottere da due suoi uomini, mi aveva guardato mentre a gambe larghe ascoltavo i loro commenti su di me. Poi aveva detto: -E’ docile. E’ addestrata? -No, se l’addestri tu lo puoi fare come meglio credi. L’uomo aveva annuito. Quando era ritornato mi aveva messo un cappio al collo e mi aveva portato in auto. Ero accucciata dietro, con i suoi due uomini che mi palpavano con le mani e con i piedi e mi deridevano. Conoscerai i maschi, animale! Ti insegneremo noi come farli divertire! Io lasciavo che mi palpassero e baciavo umile le mani che mi toccavano, i piedi che mi colpivano. Baciavo i loro cazzi posando devota la bocca sulla patta dei loro pantaloni e quello dava loro piacere. Ero una schiava, e lo sapevo-
Arrivata a destinazione venni fatta scendere. Ero nel cortile di una fabbrica, così mi pareva. In un locale parecchie donne lavoravano di gran lena ma non venni messa in mezzo a loro. Tirandomi per il cappio mi portarono in uno stanzone. Lì mi aspettava una donna vestita in maniera rozza, ma che i maschi trattavano con rispetto e obbedivano. Mi misero davanti a lei ed io, istintivamente, mi misi in piedi a gambe larghe e con gli occhi bassi. Lei non era alta, era tracagnotta e molto decisa. Gridò una sola parola: “nuda!”
Mi spogliai subito. Vi venne vicino e senza dire una parola mi mise due dita nella figa. Andò su e giù senza dire niente. Poi le tolse e me le mise in culo. Finita la cosa mi palpò i fianchi e le tette.
-Parli italiano?
-Si padrona.
-Hai figli?”
-Si padrona, due.
-Bene, sei disposta a tutto per loro
-Si padrona”.
Fece un gesto ad un uomo che era appena entrato.
-E’ per te Cisco. I patti però sono questi: La mattina te la lascio perchè fa le pulizie allo stanzone, lava e la usi come vuoi. La sera la usi per far scaricare i coglioni agli operai, perciò la tieni tu. Il pomeriggio me la porti che la faccio lavorare a fare le pulizie per la fabbrica. Va bene?
-Certo.
Cisco mi prese per il cappio nuda come ero e mi portò fuori. Mise in un sacchetto di plastica il vestitino e me lo diede in mano. La gente che mi vedeva passare non sembrava stupita. Pure le donne che lavoravano dicevano nulla: tutto normale. Io avevo capito, sommariamente i miei compiti. Arrivati in uno stanzone me li ripetè Cisco.
– Questo è il tuo regno. Lo stanzone tiene venticinque operai. Dovrai fare le pulizie, rifare i letti, lavare i loro vestiti. La sera si scaricano i coglioni. Tu ti metti a gambe larghe su quella branda e io decido i turni. Tu devi solo lasciarli fare quello che vogliono. Capito?
Annuì.
-Il pomeriggio sei dalla moglie del padrone, Gelinda. E ti assicuro non è una fortuna. detto questo iniziò anche lui a palparmi e a penetrarmi con le dita. poi mi scopò.
Apprezzò il mio. “grazie Signore” e mi disse che agli operai avrei dovuto dire solo: “grazie”.
A quel punto gli chiesi di pisciare. Mi indicò una latrina.
-Quando pisci devi sempre lasciare la porta aperta per farti vedere bene da tutti. Piscia in piedi, a gambe larghe. Se qualcuno ne avrà voglia ti accuccerai e ti allargherai la figa, ma deve dirtelo lui.
Annuì e mi diressi verso la latrina.
– Devo sollevare la veste?
– No, eccita anche la piscia che si vede uscire. Ricorda una cosa. Sei qui con ventisei maschi e non hai diritto ad un minimo di intimità.
Inoltre ricordati: chiunque ti può toccare come meglio crede, quando vuole.
Annuì, mi era chiara la cosa.
– All’inizio potrai fare fatica e un po’ di calci in culo ti chiariranno le idee.
Ricordati: qui chiunque può usarti.
Era chiaro. La sera capìì meglio.
Erano le sei quando gli operai tornarono nello stanzone.
Erano tutti immigrati: l’azienda dava loro da lavorare e da dormire. Cisco mi aveva detto mi mettermi in un angolo, in piedi. Nel vedermi cominciarono a parlare tra loro. E Cisco intervenne.
Come vedete avete di che divertirvi. non deve solo fare le pulizie. Tutte le sere è qui per voi. Potete scaricarvi i coglioni come e quando vi pare. L’importante è lavorare il giorno dopo. Risero tutti. “Dove la fottiamo?” Chiese uno.
-Qui, su un materasso
-Di fronte a tutti?
-Certo, è più divertente.
– E se gli altri la palpano mentre la fotto?
– E che ti frega? Mica è la tua donna!
Risero tutti. Alcuni più prestanti cominciarono a venirmi vicino. Altri non parevano contenti. Alla fine Cisco disse:
– Facciamo così. Voi siete divisi in cinque squadre. Ogni giorno la squadra che fa meglio se la fotte per prima nello stanzino della biancheria sporca. Naturalmente potete cedere il diritto. Gli altri la fottono di qui.
La sera stavo quattro ore a gambe larghe, a farmi fottere da tutti i maschi che scaricavano così le loro tensioni. Per questo mi chiamavano vacca, roia, puttana e mi sputavano in faccia. Io lasciavo fare. Quando si erano scaricati tutti Cisco mi mandava nel dormitorio a pulire con lo straccio. Lo straccio era il mio abito. Nuda dovevo lustrare i serramenti, ma soprattutto passavo tra i maschi che mi palpavano, mi deridevano, mi insultavano. Dovevo stare a gambe larghe in modo che si vedesse bene la figa e se non facevo ballonzolare le tette erano pedate. le mani in mezzo alle cosce accompagnate da commenti erano la norma.
-quanti ne hai presi stasera?
Mentre le dita mi frugavano rispondevo:
-venticinque.
– Sei proprio sfondata. Mi fa schifo sfogarmi nel tuo buco, ma non c’è altro di meglio.
Mentre parlava io tenevo gli occhi bassi, bene aperta. Se qualcuno mi chiedeva:
-cosa sei?
-Sono un gabinetto.
rispondevo. Non potevo dire altrimenti. Cisco la mattina mi interrogava,e io ero quello che lui diceva.
– Cosa sei?
Se non rispondevo erano pugni in pancia.
– Un gabinetto, un rifiuto, una vacca da monta, una bestia.
A cazzotti capivo se dicevo bene. Dopo ogni cazzotto dovevo baciare la mano che mi aveva colpito.
-Così impari a non sbagliare.
Olga fermò il racconto. Luigi l’aveva piegata e stava allargando il buco del culo. Olga docile si prestava.
-In quanti ti sfondavano la sera?
-Venticinque padrone.
-Descrivi bene.
– Mi mettevano nello sgabuzzino della roba sporca ed entravano a gruppi di cinque. Il caposquadra stabiliva i turni. Se erano arrabbiati mi insultavano e mi sputavano addosso, Io chiedevo perdono. Il caposquadra stabiliva se fottermi senza tante storie o se prima farmi metter nuda in piedi a gambe larghe ad ascoltare i loro insulti.
– Ti pisciavano addosso?
– Dopo qualche mese un gruppo, dopo avermi chiavata, mi fece aprire la bocca e ricevetti la loro piscia. Da quella volta ogni gruppo, finito di chiavarmi, mi portava all’aperto e mi pisciava addosso. Così, sporca di piscia, mi dava in segno di scherno all’altro gruppo, che mi lavava con la pompa dell’acqua fredda, come le bestie. Mi asciugavo con gli indumenti sporchi dei maschi, quelli che dovevo lavare e che mi lasciavano usare e mi stendevo a gambe larghe. Avevano preso gusto, quando mi lavavo, a mettermi in bocca le mutande sporche con i segni della piscia, della sborra, della merda. Le facevano scegliere a me e guai se non le trovavo abbastanza sporche, erano botte.
Luigi le era venuto nel culo. Olga umile aspettava ordini.
-Devo pulirla con la bocca? Se ha il cazzo sporco la pulisco bene.
Luigi annuì. Olga, mostrandosi aperta al padrone, prese il cazzo in bocca e lo pulì dallo sporco della sua merda. Lavorava con devozione, con premura. Dopo venticinque cazzi per sera, per mesi, le pareva di vivere un rapporto intimo.

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