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Racconti di Dominazione

La sottomissione di Chiara

By 31 Agosto 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

CAPTOLO 1: L’esame

Chiara era davanti alla camera 651 di un grande albergo di lusso; uno di quegli alberghi anonimi, usati da uomini d’affari. Era vestita esattamente come Carlo le aveva richiesto: scarpe nere lucide con tacco 12; autoreggenti nere trasparenti con balza in pizzo finemente decorato; gonna aderente nera sopra il ginocchio, camicetta leggera bianca con ampia scollatura e senza reggiseno. Sulle mutandine Carlo aveva dei gusti, o meglio delle esigenze, talmente particolari, che le aveva acquistate lui su internet e le aveva spedite al suo indirizzo: erano dei micro-tanga aperti di pizzo nero con un sottilissimo nastro viola che, chiudendosi con un piccolissimo fiocco, le si posava sul clitoride e lasciava vedere le labbra vaginali. Qualsiasi donna si sarebbe sentita meno esposta se fosse stata completamente nuda piuttosto che indossando quelle mutandine.

Chiara aveva ventiquattro anni. La sua statura era nella media. Tuttavia, aveva un corpo tonico e slanciato. Le caviglie fini; gambe affusolate e asciutte che creavano un ampio spazio d’aria a forma di cuore sotto la figa. Un sedere piccolo, all’insù e molto sodo le cui forme e la cui consistenza trasparivano attraverso la leggera gonna nera. Un ventre estremamente piatto e una vita stretta. Dei seni di dimensioni medie ma estremamente sodi, che senza reggiseno si muovevano in modo compatto sotto la leggera camicetta e rischiavano a ogni passo di fuoriuscire dalla profonda scollatura. I suoi capelli erano lisci e, a causa delle sue origini finlandesi da parte di madre, naturalmente biondissimi e lo stesso erano i peli del pube, che erano naturalmente pochi al punto che non aveva bisogno di depilarsi. La pelle era estremamente chiara, quasi bianca. Soprattutto vestita in questo modo, non passava inosservata, e quando entrò nella hall dell’albergo con il suo trolley e sentì gli sguardi di uomini e donne posarsi su di lei, sentì una profonda vergogna.

Era ferma in piedi in quell’ampio e silenzioso corridoio scuro davanti alla camera 651. Aveva paura di entrare ma allo stesso tempo era estremamente eccitata. Il sottile nastro viola che era poggiato sulla sua figa era completamente pregno dei suoi umori.
Carlo l’aveva istruita in ogni minimo dettaglio.
‘Dal momento in cui busserai a quella porta dovrai funzionare come un orologio’ le aveva detto. ‘Ogni minima sbavatura sarà punita’
‘Si Signore’
‘E se le sbavatura saranno troppe, oppure troppo marcate, non passerai l’esame: non potrai avere l’onore e il piacere di essere la mia schiava’.
‘Si Signore’

Controllò l’orologio. L’ultima volta che si erano visti, quando avevano deciso che lei avrebbe sostenuto l’esame, Carlo le aveva ordinato, fra le altre cose, di arrivare esattamente alle 15 in punto ‘Non un secondo prima, non un secondo dopo’, disse.
Chiara stava per chiedere il permesso di fare una domanda ma Carlo la zittì sollevando leggermente un dito. Prevedendo la sua domanda, le dette un orologio sincronizzato col suo: ‘Non un secondo prima, non un secondo dopo’ ripeté.
‘Si Signore’.
Chiara aspettò qualche minuto in silenzio, con le gambe dritte e unite, l’ora e nel preciso istante in cui l’orologio segnò le 15:00:00, col cuore in gola e gli occhi chiusi, come lanciandosi nel vuoto, bussò alla porta.

Sentì dei passi dall’altra parte della porta avvicinarsi con calma. La porta si aprì. Carlo, un bell’uomo atletico di quarant’anni, era sempre vestito elegantissimo: abito scuro di taglio sartoriale con tessuto comprato in Savile Row a Londra; camicia chiara perfettamente stirata; cravatta ben abbinata, seria ma non austera; scarpe assolutamente classiche e perfettamente curate. Carlo la lasciò entrare senza dire una parola. Si mise a sedere su una poltroncina dell’ampio salottino della suite accavallando le gambe. Chiara era stata istruita su quello che doveva fare. Entrò nella stanza camminando lentamente con un piede perfettamente davanti all’altro. Poggiò il suo trolley accanto al muro. Si portò davanti alla poltrona dove era seduto Carlo e iniziò a spogliarsi lentamente e sinuosamente cominciando dalla gonna. Si ricordò le parole di Carlo: ‘Ricordati che il tuo obiettivo &egrave diventare, fra le altre cose, il mio oggetto sessuale. Ogni tuo movimento dovrà sempre essere un invito a usarti. Dovrà sempre sottolineare, in ogni istante, la tua accessibilità e prontezza nel soddisfarmi’.

Chiara si spogliò il più lentamente e sinuosamente che poteva. Si era allenata a casa davanti allo specchio per molte ore. Il microtanga era completamente fradicio e una goccia dei suoi umori colava lungo l’interno di una coscia. Mentre si toglieva la leggera camicetta scollata Carlo infilò un dito nel microtanga attraverso il sottile nastro viola per valutare quanto era bagnata: ‘bene’ disse ‘questo &egrave il grado di umidità che esigerò in ogni istante, se tu passerai l’esame’
‘Si Signore’ rispose Chiara con un tono della voce roco, quasi inudibile per l’eccitazione.
‘Posso?’ chiese toccandosi leggermente il microtanga.
‘Continua’ rispose Carlo.
Chiara si tolse il microtanga lentamente. La sua figa era chiarissima e i peli biondi e lisci, pur non essendo mai stati depilati, corrispondevano quasi esattamente alla forma che Carlo prediligeva, che era abbastanza stretta ed estremamente curata.

Come da istruzioni, Chiara, rimasta solo in autoreggenti e scarpe nere con tacco 12, si inginocchiò davanti a Carlo.
Carlo prese un foglio di carta dal tavolino accanto alla poltroncina e, come prima cosa, le lesse le regole del rapporto di sottomissione. Si trattava di regole a protezione della schiava: la volontarietà del rapporto, la possibilità di interromperlo in qualunque momento da ciascuna delle due parti, la parola d’ordine per interrompere la sessione di dominazione, il gesto sostitutivo della parola d’ordine nel caso in cui la schiava fosse impossibilitata a parlare, l’obbligo da entrambe le parti di produrre i risultati di un test HIV eseguito nei giorni immediatamente successivi all’esame, se superato, ecc.
‘Si Signore’ disse Chiara quando Carlo terminò di leggere le regole. Stava per chiedere se poteva firmare quel documento ma per fortuna si ricordò all’ultimo momento delle istruzioni ricevute: avrebbe firmato i due documenti solo nel caso in cui avesse passato l’esame, non prima. Così si trattenne in tempo.

Carlo poggiò il primo foglio sul tavolino e prese il secondo. Si trattava della lista di pratiche e situazioni a cui era necessario che la sua schiava si rendesse disponibile per poter passare l’esame. Se avesse rifiutato anche una sola di queste pratiche o situazioni, avrebbe fallito l’esame. Poteva o accettarle in blocco oppure rifiutarle in blocco.
‘Alcune di queste pratiche ti procureranno dolore. Altre ancora ti disgusteranno. Altre ti umilieranno’ disse Carlo, con un tono della voce calmo e sicuro. ‘Questo, tuttavia, &egrave del tutto irrilevante. Se supererai l’esame, il nostro rapporto di dominazione e sottomissione sarà per il piacere di entrambi. La differenza sarà che il tuo piacere dovrà venire esclusivamente dal servirmi, compiacermi e soddisfarmi in qualunque momento e modo io desideri. Queste cento pratiche e situazioni, che sto per elencarti, mi danno piacere, oppure sono modi che ritengo necessari per educarti a darmi maggiore piacere o a servirmi meglio: a migliorarti come schiava. Se tu non ti renderai disponibile, e con entusiasmo, anche a una sola di queste pratiche o situazioni, vorrà dire che non hai capito o, peggio, che non hai interiorizzato la regola di base: quella che il tuo piacere deve venire solo dal soddisfarmi. Quindi fallirai l’esame’.
‘Si Signore’ disse Chiara con tono sottomesso e timoroso. Era una novizia pura: non aveva mai avuto alcuna esperienza nel campo BDSM. Prima di incontrare Carlo non aveva mai nemmeno immaginato di averla. Sapeva di alcune pratiche (sculacciate, frustate, bondage e poche altre) che identificava col BDSM. Tuttavia non riusciva a immaginarsi minimamente come potessero esistere cento pratiche e situazioni diverse. La sua paura era quasi superiore alla sua curiosità, e contribuiva a darle un’eccitazione che non aveva mai provato prima. La sua figa grondava di liquido.

Carlo iniziò a leggere la lista:
‘1. Sesso orale con ingoio dello sperma;
2. Sesso anale;
3. Sesso vaginale;

Le prime voci erano rassicuranti. Non aveva mai fatto sesso anale e non aveva mai ingoiato lo sperma di nessuno. Tuttavia queste pratiche erano ben al di sotto del minimo che si aspettava di dover fare per soddisfare il suo Padrone. Era quasi delusa. Carlo tuttavia continuava a leggere lentamente la lista:

15. Essere legata, anche in posizioni scomode e umilianti;
16. Frusta;
17. Costrizione capezzoli e vagina, anche per aspirazione;
18. Pet play

Chiara era ancora a suo agio. Le pratiche descritte adesso coincidevano con quello che si attendeva. Non sapeva cosa Carlo intendesse con ‘aspirazione’. L’aveva informata che poteva chiedere il permesso di fare delle domande se la pratica non le era chiara, tuttavia evitò. Mentre elencava le voci della lista, Carlo le toccò di nuovo la vagina per testare il suo livello di eccitazione. Adesso c’erano diverse gocce di umore che calavano su entrambe le coscie.
‘L’umidità della tua vagina sta raggiungendo il massimo tollerabile, contienila’ le disse.
‘Si Signore’ rispose Chiara frustrata, senza sapere come fare. Era tesa come una corda di vilino ed era bastato che Carlo la sfiorasse per farle quasi raggiungere un orgasmo istantaneo.

50. Servire nuda o con abbigliamento scelto dal Padrone gli ospiti di quest’ultimo;
51. Soddisfare in ogni modo che il padrone deciderà i suoi ospiti, siano essi maschi o femmine;
52. Essere esposta pubblicamente;
53. Soddisfare il Padrone pubblicamente;

Adesso Chiara cominciava a sentirsi a disagio. Le pratiche e le situazioni descritte non le aveva mai immaginate. Era pronta a soddisfare il suo padrone in ogni modo lui desiderasse, ma non voleva avere rapporti con sconosciuti: era lui la persona che l’aveva totalmente affascinata. L’idea di soddisfare sessualmente altre persone la disgustava e avere un rapporto sessuale con una donna per lei era intollerabile. Questi pensieri la distrassero e le impedirono per un certo tempo di ascoltare le voci seguenti della lista. Si ricordò le parole che Carlo aveva posto a premessa del suo elenco: ‘Alcune di queste pratiche ti procureranno dolore. Altre ancora ti disgusteranno. Altre ti umilieranno. Questo, tuttavia, &egrave del tutto irrilevante. Se supererai l’esame, il nostro rapporto di dominazione e sottomissione sarà per il piacere di entrambi. La differenza sarà che il tuo piacere dovrà venire esclusivamente dal servirmi, compiacermi e soddisfarmi in qualunque momento e modo io desideri. Se tu non ti renderai disponibile, e con entusiasmo, anche a una sola di queste pratiche o situazioni, vorrà dire che non hai capito o, peggio, che non hai interiorizzato la regola di base: quella che il tuo piacere deve venire solo dal soddisfarmi. Quindi fallirai l’esame’. Riuscendo a non farlo vedere a Carlo, era stata distratta diversi minuti. Quando ritrovò la sua concentrazione si rese conto che era alla fine della lista e che dopo pochi secondi avrebbe dovuto accettare o meno queste pratiche e situazioni nella loro interezza (o respingerle) senza averne ascoltate quasi la metà: la metà più pesante, fra l’altro.

99. Lavare con la lingua il pene del Padrone dopo che questo ha urinato;
100. Bere l’urina del Padrone.’

Chiara fu scioccata da queste ultime pratiche. La disgustavano talmente che fu presa da un attacco d’ansia. Poteva rinunciare. Oppure poteva accettare in blocco una serie di pratiche che in parte non aveva ascoltato e che in parte la ripugnavano. Tuttavia non poteva esitare. Esitare avrebbe significato rinunciare: l’uomo bello ed elegante a cui stava per sottomettersi era stato chiaro: il suo piacere doveva derivare solo dal piacere di lui, e la sua totale messa a disposizione avrebbe dovuto avvenire con entusiasmo, quindi senza esitazione. Fece questi pensieri in poche frazioni di secondo mentre Carlo finiva di leggere la sua lista. Alla fine, sapendo di avere uno o al massimo due soli secondi a disposizione per decidere se iniziare questo percorso di piacere perverso con la persona di cui aveva subito il fascino in modo per lei irresistibile, si concentrò su una sola variabile. La fiducia. Per una serie di motivi solo alcuni dei quali misurabili, si fidava di quest’uomo. Si fidava di lui completamente. Con gli occhi spalancati, quasi terrorizzati e allo stesso tempo eccitati, come se li avesse chiusi, scelse di abbandonarglisi completamente:
‘Si, Signore’.

Carlo aveva notato l’estrema tensione con cui Chiara, nuda in ginocchio davanti a lui e quasi tremante, aveva accettato le pratiche a cui, se avesse completato l’esame, l’avrebbe sottoposta nel corso del loro rapporto. Si era sforzata di rispondere in modo convinto ed entusiasta ma l’istante di ritardo con cui aveva risposto diceva che era spaventata. Tuttavia era anche molto eccitata. Era pronta per la seconda parte dell’esame, quella pratica.

‘Mettiti a quattro zampe e girati’ disse Carlo, con la sua voce ferma e sicura ma non violenta.
Chiara eseguì quasi con precipitazione.
‘No, così non va bene’ disse Carlo ‘Ti ho già detto che i tuoi movimenti devono essere lenti e sinuosi, non a scatto. Inoltre devi inarcare la schiena’
‘Chiedo scusa Signore’ disse Chiara inarcando la sottile schiena bianca.
‘No. Non ci siamo. Inarcala di più. Il tuo sederino deve puntare verso l’alto. Ti ho già detto che ogni tua posizione deve essere un invito a essere usata’.
Chiara si sforzò di inarcare la schiena il più possibile, fino a quando il dolore fu quasi insopportabile.
‘Così va meglio’
Carlo prese un dilatatore anale gonfiabile nero. Lo lubrificò e lo inserì delicatamente nel culo di Chiara. Era la prima volta che questo veniva penetrato e Chiara reagì istintivamente modificando la sua posizione.
‘Non ti muovere. La tua schiena non &egrave più inarcata. Inarcala ho detto’
‘Si Signore, mi scusi Signore’
Una volta che il plug sparì dentro l’ano di Chiara, Carlo strinse la piccola pompa che teneva in mano. Il dilatatore si gonfiò nel culo di chiara e questa si scompose, emettendo quasi un grido di dolore e sorpresa.
Carlo si alzò in piedi. Prese la frusta dal tavolino e le dette una dura frustata sul sedere.
‘&egrave la terza volta che mi costringi a dirti di non muoverti e di inarcare la schiena. La prossima volta che accade ti rivesti e te ne vai’ disse Carlo senza perdere la calma ma in tono duro.
‘Si Signore, mi scusi Signore’
Carlo si sedette di nuovo sulla poltroncina. Riprese in mano la pompetta collegata al plug e la strinse di nuovo fra le sue mani. Il dilatatore si gonfiò ulteriormente nel culo di Chiara ma questa volta, sebbene tesa, lei non si scompose e non emise alcun gemito.
‘Brava’ disse Carlo dandole un colpettino incoraggiante sul culo arrossato lungo la linea colpita dalla frusta. Quindi chiuse la valvola e staccò la pompa del dilatatore, lasciando quest’ultimo gonfiato dentro il culo di Chiara ‘Questo ti aiuterà a rilassare i muscoli e ad accogliere il mio pene più tardi. Per adesso, metti le mani dietro la schiena’.
Dopo aver esitato un istante, Chiara poggiò la testa a terra stando attenta a mantenere la schiena inarcata, e portò le mani dietro la schiena. Carlo le legò sia al livello dei polsi che a quello dei gomiti. Le braccia della giovane ragazza erano completamente immobilizzate.
‘Adesso mettiti in ginocchio, girati, avvicinati, aprimi i pantaloni e prendimelo in bocca’.
Chiara eseguì l’ordine stando attenta a muoversi in modo lento e sinuoso mentre in ginocchio si avvicinava a Carlo che era seduto nella sua poltroncina e aveva allargato le gambe. Ebbe qualche difficoltà ad aprire i pantaloni di Carlo con la bocca. Tirare giù la lampo coi denti fu invece facile. Il cazzo di Carlo, dritto, durissimo e particolarmente spesso, pulsava dietro i boxer elastici. Il suo sforza di addominali e della schiena per rimanere in questa posizione scomoda era evidente. Chiara abbassò questi i boxer con la bocca e finalmente accolse il pene di Carlo nella sua bocca.
‘Più profondo’ disse Carlo rilassandosi contro lo schienale della poltroncina.
Chiara si sforzò ma evidentemente per Carlo non era abbastanza, così egli le prese la testa per i sottili capelli biondi e la premette con forza contro il suo cazzo. Questo affondò nella gola di Chiara fino allo scroto. Lei si scompose ed ebbe delle contrazioni che accennavano a dei conati di vomito.
‘Questa &egrave la profondità che voglio’ disse Carlo ‘continua’.
Chiara si sforzò con tutta sé stessa di accogliere il pene di Carlo nella sua gola fino a dove a lui faceva piacere. Tuttavia non ci riuscì.
‘Qui hai molta strada da fare’ le disse Carlo ‘Adesso girati e appoggiati sul letto. Vediamo se il tuo culetto si &egrave allargato a sufficienza’.
Chiara si staccò dal suo pene e per un istante guardò Carlo con gli occhi lucidi a causa della lacrimazione prodotta dal profondo pompino che gli aveva fatto.
‘Aspetta, vieni qui’ disse Carlo prendendo un fazzoletto dal suo taschino. Asciugò dolcemente il viso della giovane ragazza che, come da istruzioni, non aveva trucco. Lei mosse leggermente il viso come se volesse abbandonarsi alla sua mano.
‘Ora vai: appoggiati sul letto’
Chiara andò in ginocchio verso il letto e vi si poggiò fino alle spalle, stando attenta a tenere la schiena il più possibile inarcata. Sentì Carlo che finiva di spogliarsi. Questi ricollegò la pompetta al dilatatore e premette sulla valvola per sgonfiarlo. Chiara ebbe una sensazione di sollievo. Carlo si infilò un preservativo, lubrificò il suo pene e il culo di Chiara, e poi la penetrò, sodomizzandola con forza fino ad avvicinarsi all’orgasmo. Si tolse quindi il preservativo e, ordinando a Chiara di girarsi immediatamente, le venì in bocca.
‘Ingoialo tutto’ Brava, così’.
Si distese sul letto, e ordinò a Chiara di seguirlo e di continuare a tenergli il pene in bocca. In ginocchio sul letto, con le mani legate dietro la schiena e uno sforzo evidente di addominali e lombari, Chiara continuò a tenere il pene di Carlo in Bocca e a leccarlo. Sapeva che non poteva fermarsi fino a quando lui non glielo avesse chiesto. Tuttavia i muscoli cedevano e lei non riusciva più a tenersi. Un attimo prima che lei appoggiasse la testa sul ventre di lui, Carlo le ordinò di tornare in ginocchio sul pavimento, in posizione eretta ma con la schiena sempre inarcata e il giovane culetto non più vergine bene in fuori.
Le si avvicinò. In piedi sopra di lei la sovrastava.
‘Apri la bocca, ho bisogno di urinare’.
Chiara sentì un brivido correrle lungo la schiena ma eseguì l’ordine senza scomporsi, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E questo la stupì.
Carlo si svuotò nella sua bocca, interrompendo di tanto in tanto il flusso di urina per darle il tempo di deglutire. Quando ebbe finito, andò in bagno. Prese un asciugamano. Tornò verso di lei e le asciugò delicatamente il viso dal sudore. Non una sola goccia di urina era fuoriuscita.

Quella era la fine dell’esame. Chiara lo sapeva. E sapeva che lo aveva superato. Aveva una gioia che non riusciva a contenere. Voleva anticipare i tempi, ma non si scompose. Carlo la guardò in silenzio. Era nuda, in ginocchio, con le autoreggenti ancora intatte tranne che per una leggera sfilatura sul ginocchi sinistro. Le accarezzò dolcemente la fronte e la guancia. Lei questa volta, sorridendo con dolcezza, mosse il viso come per trattenere la sua carezza. Lui le liberò i polsi e i gomiti. Tirò fuori da un cassetto il sottile collare di cuoio nero con gancio lucido in acciaio, e lo strinse al collo sottile della giovane ragazza.

‘Sei stata molto brava Chiara. A partire da questo momento, e finché lo vorrai (o io lo vorrò), sei la mia schiava. Sai già quali sono i tuoi doveri. Quello che forse ancora non sai &egrave che il nostro sarà un rapporto. Non mi limiterò a usarti per il mio piacere. Quando ci siamo conosciuti dopo la mia lezione all’università sono stato colpito, oltre che dalla tua bellezza, anche dalla tua intelligenza, dal tuo spirito vivace e attento. Le nostre discussioni sono state interessanti, stimolanti. Molte sono state anche divertenti. Mai banali. Lo scambio &egrave avvenuto in entrambe le direzioni. Io voglio che lo scambio continui. Voglio condividere con te non solo il piacere della dominazione ma anche pensieri e bellezza. Voglio che tu sappia che io ti rispetto. E ti ammiro. Considero la tua scelta un’espressione di libertà. Tu mi piaci Chiara. Mi piaci molto’.
Chiara era commossa. Le sue lacrime ora non erano meccaniche ma di autentica commozione.
‘Vai in bagno adesso. Lavati prima di lavarmi. Poi preparati come ti ho detto mentre io prenoto il ristorante. Usciamo a cena’.

CAPITOLO 2: L’arrivo alla villa

Un sole di primavera straordinariamente caldo illuminava la delicata pelle di Chiara dal finestrino. Lei era felice, e aveva voglia di sentire l’aria sul viso, fra i capelli. Fuori scorreva una campagna mediterranea: dolci colline verdi coltivate a fieno e intramezzate da pini marittimi, lecci, querce, cipressi.
Era un giorno di metà settimana. La strada che percorreva le colline era quasi vuota. L’automobile di Carlo era estremamente silenziosa, la sua guida era rilassante. C’era una bella musica Jazz di sottofondo, non troppo alta per non disturbare la conversazione. Questa passava con facilità da una riflessione sulle cose più diverse a una battuta scherzosa; da un commento sulla bellezza del paesaggio alla condivisione di un aspetto importante del loro passato; dalla spiegazione, da parte di Carlo, di un concetto di teoria economica alla spiegazione, da parte di Chiara, del disegno del suo prossimo abito. Chiara infatti, oltre a essere una brillante studentessa di economia all’ultimo anno, aveva la passione di disegnare e realizzare vestiti che per eleganza e originalità avevano impressionato Carlo.

“Signore, posso aprire il finestrino?” chiese Chiara, aspettando un momento di pausa nella conversazione.
“Certo”, rispose Carlo, col suo tono di voce calmo e forte che la rassicurava e la riscaldava.

Facevano regolarmente dei brevi viaggi di due o tre giorni: era il modo in cui preferivano incontrarsi. Entrambi erano infatti impegnati in una relazione sentimentale ma potevano spostarsi liberamente: lui essendo un uomo d’affari, lei essendo una studentessa.

Carlo conviveva da meno di un anno con Elisabetta, una bella donna di trentacinque anni: attiva e dinamica. Il loro rapporto, che durava da quasi tre anni, era sentimentalmente appagante e fare sesso con lei era bello. Ma non aveva nulla a che vedere con la dominazione erotica, a cui Elisabetta era totalmente chiusa.

Quando aveva ventotto anni, Carlo scoprì di avere una natura eroticamente dominante. Il rapporto di dominazione lo eccitava e soddisfaceva come nient’altro. Attraverso di esso, riusciva a esprimere, a conoscere e a rispettare la sua natura profonda, che peraltro era in lento e continuo cambiamento. Per dieci anni, fino all’incontro di Elisabetta, ebbe solo rapporti di dominazione. Era stato il periodo sessualmente più appagante della sua vita. Tuttavia, in nessuna delle sue schiave aveva trovato l’affinità necessaria per andare oltre il rapporto di dominazione erotica. Arrivato a trent’otto anni, aveva bisogno di altro. Anche di altro. Aveva bisogno di amare una donna. Quando capì che il rifiuto della sottomissione faceva parte della natura di Elisabetta tanto quanto il bisogno di dominazione faceva parte della sua natura, Carlo provò a farsi violenza per amore: provò a reprimere la sua natura. Non funzionò. Per tre anni rimase fedele a Elisabetta, ma la sua frustrazione era crescente. Fino al giorno in cui conobbe Chiara. L’affinità con quella giovane e stupenda ragazza fu talmente potente e immediata che nemmeno per un istante considerò l’ipotesi di non tradire Elisabetta. Non voleva perderla. Non voleva perdere la vita che avevano costruito insieme. Ma non aveva più intenzione di reprimere una parte così fondamentale di sé.

La situazione sentimentale di Chiara era per certi versi speculare a quella di Carlo, anche se rapportata alla sua età più giovane. Aveva un ragazzo di un anno più grande di lei, Giuseppe. Un bravo ragazzo. Credeva di esserne innamorata. L’incontro con Carlo, tuttavia, le fece scoprire una dimensione dell’attrazione e del piacere prima sconosciute. La dominazione erotica non era che un comparto, tuttavia, del loro rapporto. Questo si arricchiva sempre più anche di altre dimensioni: intellettuale, affettiva, di svago. Sotto Carlo, Chiara stava crescendo su ogni piano. Imparava da lui moltissime cose, soprattutto nel campo dell’economia in cui lui era esperto, ma non solo. Anche Carlo imparava da lei. Chiara sentiva che il suo entusiasmo e la sua freschezza gli facevano bene, e questo le dava una gioia che era diventata quasi una droga. Non riusciva a farne a meno. Il rapporto con Giuseppe continuava su un binario separato. Tuttavia lei aveva l’impressione che questo binario divergesse sempre di più dalla sua vita. Aveva la sensazione di aver preso il volo, e che Giuseppe fosse il suolo. Tuttavia il rapporto con Carlo era così diverso, così assurdo, così parallelo alla “vita normale”, che non riusciva a staccarsi da quest’ultima.

Arrivarono a destinazione: una bella villa isolata sul mare che Carlo aveva preso in affitto per un mese. Questa sarebbe stata la mèta dei loro “week-end infrasettimanali”, come li chiamavano, per quel periodo.
Dopo essere entrata dall’ampio cancello e aver percorso il viale d’entrata, l’automobile si fermò nell’ampio piazzale davanti alla villa. Chiara uscì dall’automobile e fu impressionata dalla bellezza del posto, che era esaltata da quella splendida giornata di cielo limpido.
Nonostante l’edificio avesse una struttura antica, l’interno non era austero: l’arredamento era elegante ma leggero. C’era una combinazione di mobili antichi e di design contemporaneo talmente essenziale e da essere quasi invisibile. La casa aveva ampi spazi che ne esaltavano la luce. I saloni si affacciavano a Sud con grandi porte finestre che davano su una bella piscina rettangolare di pietra chiara, protetta da alte siepi di bosso.
Chiara aprì la larga porta finestra e uscì in giardino, fermandosi sul bordo della piscina. Illuminata dal sole, con i capelli biondi mossi da una leggera brezza, si girò e guardò Carlo, che era appoggiato con una spalla allo stipite della porta finestra. Chiara rideva. L’espressione del suo viso era l’immagine della gioia pura.
Ebbe l’istinto di correre verso Carlo e di saltargli in braccio, stringerlo forte, ma sapeva che non aveva il permesso di farlo. Non era la sua ragazza. Era la sua schiava. Carlo tuttavia notava sempre questi slanci di Chiara nei suoi occhi, e ne era contento.
“Vieni qui”.
Chiara gli si avvicinò.
“Ho bisogno di usarti”
“Certo Signore. Cosa preferisce che indossi?” chiese Chiara in modo spontaneo e sottomesso.
Indossava dei jeans attillati che mettevano in evidenza le sue stupende gambe affusolate e il suo piccolo culetto; delle semplici infradito di pelle e una camicetta color avorio di un materiale sottilissimo decorato con piccoli fiori di colore rosa antico. Al di fuori delle loro sessioni di dominazione, aveva il permesso di vestirsi sempre come voleva. Anzi, a Carlo piaceva che lei lo facesse. In primo luogo perché il modo in cui lei si vestiva gli ricordava piacevolmente la loro differenza di età (quarantuno anni lui, ventiquattro lei). Ma soprattutto perché alla base del loro rapporto, in tutte le sue diverse dimensioni, c’era l’espressione di sé. La dominazione di Carlo, così come la sottomissione di Chiara, non erano altro che espressioni di una parte di sé. Il piacere derivava da quello. E Carlo voleva che Chiara si esprimesse liberamente in ogni dimensione, anche nel vestire. Tra l’altro, il suo modo di vestire gli piaceva molto.
Tuttavia, durante le loro sessioni, quando lui la usava per il suo piacere o per servirlo, doveva vestirsi esattamente come lui le ordinava. Ogni singolo dettaglio del suo abbigliamento era stato scelto e comprato da Carlo con attenzione, di solito su internet, mentre lei, in ginocchio davanti a lui sotto il tavolo, e con i polsi e i gomiti legati dietro la schiena, gli succhiava delicatamente il pene. Durante ogni incontro lei doveva cambiarsi molte volte al giorno, quasi come una modella, per eccitarlo con tenute sempre nuove.
“Ora ti voglio semplicemente nuda”
Chiara sospirò di piacere. Quasi le mancò il fiato: “Certo Signore”
Si spogliò lentamente: sapeva che non le era permesso fare movimenti veloci. Soprattutto, sapeva che Carlo ci teneva molto che la sua schiena fosse sempre inarcata fino quasi allo spasimo. Col tempo, e con diverse punizioni, aveva finalmente imparato a inarcare la schiena come piaceva al suo Padrone.
Il sole le illuminava i capelli biondissimi e i delicati peli della fighetta rosa: questi erano di un colore così chiaro che quasi si confondevano con la pelle bianca. Il suo corpo perfetto e leggero sembrava di una ragazza ancora più giovane.
Carlo le prese con forza i capelli e li tirò in basso, perché lei portasse indietro la nuca. Il sole le fece chiudere gli occhi. Lui la baciò. Era la prima volta che lo faceva. Chiara sentì le ginocchia quasi piegarsi. Paradossalmente, questo primo momento romantico aveva prodotto in lei un desiderio ancora maggiore di essere brutalmente soggiogata da lui. La sua figa era un lago.
Carlo la scopò e sodomizzò selvaggiamente. Il suo culetto adesso era elastico e accogliente. Uscì dal suo culo poco prima di venire. Chiara sapeva quello che doveva fare. Si mise in ginocchio e aprì la bocca. Carlo la penetrò direttamente in gola. Bastarono pochi colpi perché venisse. Chiara era riuscita, per la prima volta senza polsi e gomiti legati, a tenere le mani dietro la schiena.
Rimase in ginocchio sulla dura pietra del bordo piscina col cazzo di Carlo in bocca. Aveva imparato che a Carlo piaceva rimanere nella sua bocca a lungo dopo l’orgasmo. Mentre Chiara in ginocchio gli succhiava delicatamente il cazzo turgido, Carlo prese il telefono che aveva poggiato sul tavolino accanto. Dal tono della sua voce, freddo e perentorio, sembrava una conversazione di lavoro. Tuttavia Chiara sentì che dava delle indicazioni stradali per raggiungere la villa. In quel momento, mentre stava al telefono e guardava negli occhi la giovane ragazza che stava ai suoi piedi, Carlo mise il telefono su mute e disse a Chiara: “Stai dritta, non inarcare la schiena”.
Questo era strano, la schiena sempre ben inarcata col culetto in fuori era un requisito costante a cui era stata duramente educata. Mentre riprendeva la sua conversazione, continuando a guardare Chiara, iniziò a urinarle in bocca. Questa volta non interruppe il flusso per darle il tempo di berlo tutto. Si rilasciò completamente dentro di lei. L’urina cominciò a sgorgare dalla sua bocca. Dato che il suo busto adesso era dritto e non proteso in avanti a causa dell’inarcatura della schiena, l’urina che non riuscì a deglutire iniziò a colarle sui seni turgini, sul ventre perfetto, sulle cosce.
Carlo chiuse la conversazione.
“Ora puliscilo per bene” le disse.
Chiara iniziò a leccarlo con la lingua. Ormai nella sua bocca si mischiavano sapori diversi: quello dello sperma di lui, quello della sua urina e quello del suo stesso buchetto. Chiara sapeva che doveva continuare fino a quando lui non le avesse dato altre istruzioni. Le punte delle ginocchia sulla pietra cominciavano a farle male e ad arrossarsi. Tuttavia era un lago e il suo stesso liquido, che le colava abbondantemente fra le gambe, si mischiava al sudore e all’urina di lui.
“Questa sera avremo un’ospite” le disse, mentre lei continuava delicatamente a succhiargli l’uccello in ginocchio.

CAPITOLO 3: L’ospite

Carlo aveva ordinato all’ospite di arrivare alle 19:30 in punto. Il cancello si sarebbe aperto a quell’ora e si sarebbe richiuso subito dopo. Alessia arrivò dieci minuti prima e aspettò trepidante davanti al cancello, senza suonare e con la macchina accesa.
Alessia, una bella donna di trentuno anni con un fisico da modella, era stata l’ultima schiava di Carlo prima che questi iniziasse il suo rapporto con Elisabetta. I due continuavano a incontrarsi saltuariamente ma solo al ristorante o in qualche bar per prendere un drink. A Carlo piaceva mantenere buoni rapporti con le sue schiave anche dopo la fine del rapporto: le aveva selezionate con cura, non solo per il loro aspetto fisico ma anche per la loro sensibilità, intelligenza e altre qualità. Con ciascuna di esse aveva trovato un’affinità, anche se questa rimaneva limitata al piano della dominazione erotica.
Dopo Carlo, Alessia non era mai più riuscita a trovare un Padrone che avesse la sua autorevolezza. Attraverso internet incontrava master improvvisati, oppure esperti ma rozzi e volgari. Di Carlo le mancava, oltre che la naturale autorevolezza, l’originalità del pensiero, il gusto estetico, la capacità di sorprenderla. Soprattutto, quello che le mancava di Carlo era la fiducia. Di Carlo si fidava ciecamente. Fu grazie a questa fiducia assoluta che aveva in lui che riusciva ad abbandonarsi e a raggiungere picchi di piacere prima sconosciuti.
I suoi tentativi di cercare un nuovo Padrone si arenarono tutti entro i primi incontri. Spesso addirittura alla prima vista. Senza Padrone, con una mancanza di Carlo che le corrodeva il cuore, Alessia era entrata in depressione. I saltuari incontri con Carlo erano l’unica cosa a cui si aggrappava. Prendeva tutto quello che Carlo poteva darle, anche se erano pochi minuti di conversazione in un caff&egrave del centro.
Il cancello si aprì alle 19:30 in punto. Ad Alessia saltò il cuore in gola. Per la prima volta da tre anni avrebbe avuto quello che in questo periodo aveva bramato ogni singolo giorno: essere dominata ancora una volta da Carlo.
Arrivando in macchina nell’ampio piazzale Alessia vide Chiara nuda in piedi sullo stipite del portone d’ingresso. Chiara indossava delle eleganti scarpe nere con tacco dodici; delle autoreggenti nere trasparenti con la balza in pizzo particolarmente alta e finemente ricamata con alcuni dettagli color argento. Il suo collare era girato all’indietro: con l’anello non sulla gola ma dietro la nuca. Anche senza vederle la schiena, Alessia sapeva quello che questo voleva dire: un gancio anale, probabilmente di acciaio cromato, era inserito nell’ano della ragazza. Dall’estremità del gancio partiva un guinzaglio a catena che passava all’interno dell’anello del collare e ridiscendeva sulla schiena per finire con un manico di pelle nera che ciondolava all’altezza dell’ano.
Alessia uscì dall’auto e, salendo i gradini di pietra che portavano al portone d’ingresso, scrutò quella che evidentemente doveva essere la nuova schiava di Carlo, di cui lui le aveva parlato brevemente durante il loro ultimo incontro.
Guardandola, Alessia accennò un sorriso amaro: fu una reazione spontanea, non controllata, di gelosia. La ragazza era davvero bellissima. Ed era più giovane di quando lei, a ventotto anni, iniziò il suo rapporto di sottomissione a Carlo.
Le due donne non dissero una parola. Chiara fece entrare l’ospite e le richiuse il piano portone alle spalle. Alessia si fece fare strada da Chiara, che camminava davanti a lei nuda con una grazia che la umiliava.
Entrata nel salone, Alessia vide Carlo seduto su una poltrona che l’aspettava.
‘Signore” disse la giovane donna con il cuore in gola.
‘Ciao Alessia. Ti trovo in forma’ Il tono di Carlo era come sempre fermo e calmo.
‘Grazie Signore. Ho cercato di prepararmi al meglio” disse con un tono della voce emozionato. Tirò fuori dalla borsetta una busta di carta e la porse a Carlo. Era il test HIV, che Carlo le ordinò di fare il giorno prima. In realtà non ne aveva bisogno. Si era informato da Alessia sulla protezione dei suoi rapporti precedenti e di lei si fidava. L’ultima persona con cui aveva fatto sesso non protetto era stato lui.
Era vestita con un abito lungo nero che si era comprata per l’occasione. Il vestito aveva un’ampia scollatura sul petto e degli spacchi vertiginosi fino all’inguine che a ogni passo mostravano la balza di pizzo delle autoreggenti per intero e le sue bellissime gambe da modella. La depressione l’aveva fatta dimagrire e il suo seno era leggermente diminuito, ma il suo corpo era bello come Carlo se lo ricordava.
Chiara era in piedi alla destra di Carlo, con le gambe unite e le mani dietro la schiena.
‘Siediti’ Disse Carlo accennando con un dito alla poltroncina davanti alla sua ‘Posso offrirti qualcosa da bere?’.
Prima ancora di aspettare una risposta le versò dello Champagne in due calici di cristallo.
‘Grazie Signore’.
Alessia riconobbe la marca di quella piccola produzione di Champagne che Carlo si faceva spedire apposta da Reims, in Francia. Diverse immagini le tornarono alla mente. Riusciva a stento a contenere la sua emozione.
Carlo prese dal tavolino accanto alla poltrona una candela. Con l’altra mano tirò verso il basso il guinzaglio. Essendo questo collegato al gancio anale infilato nel culetto della ragazza, la sua schiena si inarcò subito mentre lei si inginocchiava. Chiara sapeva cosa voleva dire la candela. Poggiò la sua guancia sul pavimento rivolgendo il viso a Carlo con le mani sul pavimento allineate al suo viso e tirò insù il culetto, fino a formare una piramide di cui il suo ano doveva essere il vertice. La piramide non era perfetta: la schiena non era sufficientemente inarcata e il buchetto era leggermente fuori asse rispetto alla verticale. Carlo si alzò in piedi, prese una frusta dal tavolino e le sferrò un unico, duro colpo sul sedere, senza alcuna rabbia ma anzi con estrema calma:
‘La posizione non &egrave corretta, Chiara’
‘Chiedo perdono Signore’ disse Chiara inarcando ulteriormente la schiena e tirando ancora più in su’ il suo culetto.
‘Così va meglio’ Disse Carlo rimettendosi a sedere.
Alessia era estasiata, e completamente fradicia. Rivedere l’autorevolezza di quello che non aveva mai smesso di considerare il suo Padrone e assistere di nuovo al suo stile calmo e sicuro di dominazione l’aveva eccitata come non le accadeva da anni.
Carlo lubrificò il culetto di Chiara con una goccia di gel e vi infilò la candela accesa. Chiara sapeva che avrebbe dovuto mantenere la sua posizione come se fosse un oggetto, indipendentemente dal fatto che dopo poco la cera bollente avrebbe iniziato a colargli sulla delicata pelle rosa, attorno all’ano, lungo le delicate labbra della vagina, fra le cosce.
Carlo iniziò una conversazione del più e del meno con Alessia. Questa tuttavia era talmente eccitata che non riusciva ad ascoltare le parole di Carlo. I suoi umori avevano attraversato il vestito e bagnato la stoffa della poltrona. Ebbe l’istinto di allargare le gambe per anticipare il momento in cui Carlo l’avrebbe usata per il suo piacere. Tuttavia sapeva che sarebbe stato uno sforzo inutile e anzi controproducente. I tempi e i modi li decideva sempre Carlo. Cercò con tutte le sue forze di concentrarsi, di rispondere a Carlo, di continuare la conversazione, aspettando con trepidazione il momento che aspettava da tre anni.
La cera aveva iniziato a colare sul culetto e sulle cosce di Chiara, che era restata talmente immobile e muta da far dimenticare ad Alessia della sua presenza.
Dopo circa mezz’ora, Carlo spense la candela e la estrasse dal culo di Chiara.
‘Ho bisogno di usare la mia ospite. Preparala’
‘Si Signore’.
Alessia respirò profondamente. Il momento era arrivato. Non aveva certo bisogno di essere lubrificata: la sua figa era burro fuso. Tuttavia sapeva quanto al suo Padrone piacesse vedere due donne che facevano sesso. Così aprì le gambe e scostò il lungo vestito. La sua figa era depilata nel modo preferito da Carlo, con una sottile striscia di peli corti. I peli della figa erano neri, come i capelli. E la fighetta non era rosa come quella di Chiara ma più scura intorno al clitoride e più slabbrata.
Chiara cominciò a leccare il clitoride. Era la prima volta in vita sua che leccava la figa di una donna. Non era mai stata attratta dalle donne ma il suo piacere adesso derivava solo dal soddisfare Carlo. Sapeva anche lei che questo lo eccitava e questo la faceva bagnare.
‘Entra dentro’
Chiara fece scivolare la lingua dentro la vagina di Alessia che era talmente fradicia che le bagnò le labbra e il naso.
Ricevette una frustata senza accorgersene. Le scappò un urlo.
‘Più in profondità’
Chiara si spinse ancora più in profondità nella vagina di Alessia. Le faceva male la lingua
Alessia godeva. Godeva per la giovane ragazzina che le stava leccando la figa. Godeva nel vedere il suo Padrone eccitato. Godeva nel vederlo frustare la ragazzina. Voleva pregarlo di continuare a frustarla ma sapeva che non aveva il permesso di fare richieste. Non poteva nemmeno prendere la ragazzina per i capelli e spingerla più a fondo nella sua figa. Conosceva le regole: era Carlo che stabiliva la misura e che dava gli ordini. Venne in bocca a Chiara urlando di piacere. Fu un urlo liberatorio. L’orgasmo fu lunghissimo, sembrava non finire.
‘Ora Alessia girati. Fatti preparare il secondo buco.’
‘Si Signore!’ rispose Alessia quasi con impeto.
Senza farselo dire, Chiara iniziò a leccarle l’ano.
Ricevette un’altra frustata, ancora più forte della precedente.
‘Dentro. Non fuori’
‘Si Signore. Mi scusi Signore’ rispose la ragazza interrompendo per un istante la sua attività.
Carlo si alzò in piedi e fece una telefonata di lavoro. Chiara sapeva che non poteva interrompersi. La sua lingua era allo stremo.
La telefonata durò a lungo. Durante la telefonata, Carlo non distoglieva lo sguardo dalle due ragazze. Chiara non sentiva più la lingua. Alessia era un lago. I suoi umori le colavano lungo le cosce e faceva sempre più fatica a controllare i suoi gemiti.
Finalmente Carlo finì la telefonata e camminò con calma verso le due ragazze.
‘Va bene’ disse a Chiara ‘adesso prepara me’
Chiara fu enormemente sollevata. La sua lingua le faceva male. Sempre in ginocchio si girò e, tenendo le mani dietro la schiena, aprì i pantaloni del suo padrone con la bocca. Gli abbassò i boxers e gli prese in bocca il pene. Andò il più in profondità che poteva, accogliendolo in gola.
Dopo poco, Carlo dette istruzioni alle ragazze. Chiara doveva sdraiarsi sulla schiena. Alessia doveva mettersi a pecorina sopra Chiara, con la sua figa all’altezza della bocca di Chiara. Una volta assunta la posizione, Carlo scopò selvaggiamente Alessia, mentre Chiara le stimolava il clitoride con la lingua. Alessia urlava dal piacere ed ebbe subito un altro orgasmo. Dopo il terzo orgasmo di Alessia, Carlo la sodomizzò violentemente. Le venne dentro l’ano.
Prima di uscire dal culo di Alessia, ordinò a Chiara di essere pronta ad accogliere lo sperma che ne sarebbe fuoriuscito. Chiara entrò nuovamente con la lingua nel buco di Alessia per raccogliere lo sperma di Carlo, e lo deglutì.

CAPITOLO 4: Il giaguaro

 

La mattina del giorno dopo, Carlo e Chiara si svegliarono tardi, come sempre accadeva durante i loro incontri. A Carlo piaceva svegliarsi col pene nella bocca di Chiara. Questa doveva quindi svegliarsi prima di lui e prendere il suo cazzo fra le sue labbra mentre lui dormiva. C’erano volute diverse settimane e diverse sculacciate o frustate perché lei imparasse a muoversi con la delicatezza necessaria per non svegliarlo prima che il suo cazzo fosse al caldo nella sua bocca. Quella mattina fece questa operazione in modo talmente delicato che Carlo non si svegliò per parecchi minuti.
Quando si svegliò, era estremamente riposato. Scese dal letto. Chiara sapeva che doveva mettersi in ginocchio con le mani dietro la schiena e aprire la bocca: la prima cosa che Carlo faceva la mattina era urinare nella sua bocca. Chiara aveva cominciato ad amare questo momento. Nel bere l’urina di Carlo non ci vedeva più nulla di sporco. Per lei era diventato un gesto di intimità, oltre che di sottomissione.
“Cosa devo indossare questa mattina Signore?” Chiese Chiara dopo aver finito di deglutire.
Carlo la guardò in silenzio. Adorava ascoltare la sua voce: era dolce e perversa allo stesso tempo; fresca e insieme sensuale. E adorava guardarla. Dimostrava ancora meno dei suoi ventiquattro anni. Trovava il suo fisico al di là della perfezione: le sue gambe longilinee, asciutte e toniche, affusolate e con le caviglie fini; le sue ginocchia arrossate per la posizione che doveva spesso tenere; il suo culetto piccolo, perfettamente rotondo e all’insù; le sue tette sode e dalla forma collinare, con i capezzoli chiarissimi e delicati che seguivano la sagoma del seno e che quando erano turgidi si gonfiavano di piacere; il ventre piatto e asciutto; la figa rosa e delicata con la sottile peluria bionda. Poteva guardarla per ore, e Chiara adorava sentire il suo sguardo su di lei. La biancheria intima e l’abbigliamento che lui ogni giorno sceglieva per lei durante le loro sessioni aveva la funzione di esaltare la bellezza e sensualità del suo corpo.
“Oggi scegli tu. Andiamo alla spiaggia”.
Chiara fu sorpresa. La villa aveva una caletta privata di scogli di granito. Era la prima volta che andavano alla spiaggia.

Essendo una giornata settimanale di primavera, sulla spiaggia c’erano poche persone. Camminavano sulla battigia a piedi nudi e parlavano. Carlo indossava dei jeans e una delle sue camicie bianche botton-down di cotone. Chiara adorava quelle camicie: ne adorava il tessuto e il taglio. Carlo le indossava spesso e Chiara aveva scelto di indossarne una sopra il suo elegante e classico bikini a sottili righe orizzontali di tutti i colori. Naturalmente la camicia le stava grande, ma era quello lo scopo. Adorava avere addosso una camicia di Carlo.
Passarono davanti a un chiosco di legno dipinto di bianco, che stranamente era aperto.
“Vuoi qualcosa da bere?”
“Dell’acqua Signore, grazie”
Carlo andò al chiosco. Chiara lo vide da lontano estrarre il portafoglio di pelle dalla tasca posteriore dei jeans e tirarne fuori una banconota per pagare. Quella banconota le fece tornare in mente il primo giorno che lo vide, all’università. Era stato invitato dal suo professore come esperto di economia monetaria. Il professore lo aveva presentato dicendo che avrebbe illustrato un approccio economico ‘non ortodosso’. Quando Carlo entrò in classe, Chiara fu immediatamente colpita. Era così diverso dai suoi professori: più giovane, forte, sicuro di sé, diretto, elegante. Era evidente che non era un accademico: il suo corpo e i suoi movimenti esprimevano anche attività, non solo riflessione. Non riuscì a categorizzarlo, e questa cosa le piacque.
Carlo iniziò la lezione chiedendo agli studenti se qualcuno fra loro avesse mai messo in discussione il monopolio legale del denaro da parte della banca centrale. Ci fu un silenzio assoluto, quasi imbarazzato. Fra quaranta studenti di economia all’ultimo anno, nessuno di loro si era mai chiesto perché, nel settore del denaro, non dovesse esserci il libero mercato così come in qualunque altro settore. Quella domanda fu l’inizio della lezione più straordinaria che Chiara avesse mai ascoltato nella sua vita. Era arrivata quasi alla fine del suo percorso di studi di economia e non c’era mai stata una volta che si fosse entusiasmata per quello che studiava. Nemmeno una. Questo bellissimo uomo, per la prima volta nella sua vita, le faceva amare l’economia. E le creava dei dubbi sul fatto che quella che aveva studiato fino ad allora fosse scienza economica. Quanto meno adesso capiva che c’erano diverse campane e che fino ad allora ne aveva ascoltata solo una. Adesso stava ascoltando l’altra, e le piaceva di più. Ma forse era perché le piaceva quell’uomo così sicuro di sé ed elegante.
Quella lezione finì con la spiegazione di cosa fosse bitcoin: la moneta di mercato non controllata da alcuna entità centrale, non inflazionabile e non aggredibile dai governi, il cui valore in meno di sette anni era passato da pochi centesimi di euro per un bitcoin a oltre 2000 euro.
Sulla spiaggia, mentre lo guardava comprare una bottiglietta d’acqua con delle banconote, Chiara sorrise. La persona che accettava la sua banconota non sapeva. Non immaginava. Vedere Carlo fra le altre persone per lei era come vedere un Dio in incognito fra gli umani. E il fatto che lei conoscesse il segreto, la commuoveva ogni volta.

“Signore, vorrei condividere una cosa con lei” disse Chiara quando lui tornò con la bottiglietta d’acqua.
“Dimmi”
“Prima di venire qui ho ricevuto una mail da un’importante casa di moda americana in cui mi dicono che apprezzano moltissimo i miei modelli e che vorrebbero incontrarmi per discutere i termini di una possibile collaborazione”.
Carlo la guardò in silenzio con un sorriso nuovo, che non gli aveva mai visto.
“È una notizia splendida. Davvero splendida” rispose Carlo. “Sono fiero di te”.
Era felice. Spesso lei lo aveva visto appagato, soddisfatto o contento. Ma felice mai. Quella era la prima volta che lo vedeva felice. Era felice per lei.
“Lo devo a lei Signore”
“No. Questa che ti sto per dire è una cosa importante, non la dimenticare: lo devi a te stessa. A nessun altro”.
“Non avevo mai avuto il coraggio di contattare una casa di moda prima. Avevo paura di un rifiuto. Ero estremamente insicura. Ma da quando sono sua, è come se paradossalmente mi sentissi più forte, più sicura di me. Così ho inviato il mio lavoro e… per questo lo devo a lei”.
“No. Proprio per questo lo devi a te stessa. Sei tu che hai avuto il coraggio di esprimere una parte di te attraverso la sottomissione”.
Chiara lo guardò con i suoi occhi liquidi: “Ho capito Signore”.
Lui le prese i sottili capelli biondi da dietro la nuca, la spinse a sé e la baciò. Lei inarcò il proprio giovane corpo sottile verso di lui, per poterlo schiacciare il più possibile contro il suo. Ne sentì l’erezione ed ebbe un bisogno immediato di essere posseduta, soggiogata a Carlo.
Si resero conto di essere osservati da una coppia non troppo distante. Lui sui trent’anni, lei dell’età di Chiara più o meno, sui venticinque. Molto bella, anche se non raffinata: castana, con belle gambe e un seno abbondante. La coppia li guardava perché era incantata dalla bellezza di Chiara ed incuriosita dal modo in cui Carlo la stringeva a sé: quel modo chiaramente implicava una qualche forma di dominazione.
Carlo osservò discretamente la ragazza. Aveva l’impressione che fosse eccitata. Continuò a baciare Chiara accarezzandole il culo e infilandole il costume fra le natiche, in modo che potesse essere visto meglio. La coppia li fissava con sempre maggiore attenzione. Chiara sapeva che al suo Padrone piaceva che lei fosse ammirata e desiderata. Così cominciò a strusciarsi contro Carlo in modo ancora più sinuoso.
“Siediti” disse Carlo.
Chiara si sedette sulla sabbia, rivolta verso il mare. Carlo le si sedette alle spalle e la fece appoggiare con la schiena al suo petto. Le divaricò le gambe e cominciò ad accarezzarle le cosce.
La coppia stava alla loro destra, a ore due. Si spostò mettendosi davanti a Carlo e Chiara per osservare quest’ultima fra le gambe a una certa distanza. Carlo non li guardava, ma controllava completamente la situazione. Li vide avvicinarsi con fare casuale, come se fossero sul percorso della loro camminata.
“Buongiorno” disse il ragazzo “bella giornata per stare al mare…”.
Aveva una voce leggermente stridula, uno sguardo insicuro, un sorriso finto. A Carlo non piaceva. Ma la ragazza, vista da vicino, era ancora più bella. Era evidentemente attratta da Chiara, al punto che non riusciva a toglierle gli occhi di dosso.
“Buongiorno” rispose Carlo guardandolo negli occhi. La differenza nel tono della voce era impressionante: quello di Carlo era calmo, sicuro, profondo, diretto: esprimeva forza ed equilibrio tanto quanto quello del ragazzo esprimeva fragilità e instabilità. La bella ragazza non parlava: bella e sensuale, continuava a guardare Chiara che adesso la ricambiava. Fu per la ragazza castana che Carlo stette al gioco. Ne era attratto. Voleva vederla nuda. Voleva scoparla mentre lei leccava la figa di Chiara.

~

Arrivati alla villa, presero qualcosa da bere in salotto. La coppia (Cristina e Luigi) fu impressionata dalla bellezza del posto. Inizialmente i due avevano un’aria intimidita e allo stesso tempo eccitata. Niente era stato esplicitamente accordato: poteva essere semplicemente un’occasione per fare quattro chiacchiere con delle persone conosciute sulla spiaggia. Ma tutti sapevano che non era così. La tensione era palpabile. Tuttavia era chiaro a tutti che doveva essere Carlo a fare la prima mossa.
A un certo punto, mentre parlavano del più e del meno, Carlo disse:
“Elisabetta, ti piace Chiara?”
Lei esitò. La sua figa era un lago. Il gioco era iniziato e lei non riusciva a contenere la sua eccitazione.
“Si, la trovo stupenda” disse quasi balbettando.
Fece un cenno a Chiara di alzarsi.
“Puoi spogliarla se vuoi”.
Elisabetta si alzò timidamente e si avvicinò a Chiara da dietro. Era visibilmente eccitata. Iniziò ad accarezzarle il collo delicatamente. La baciò dietro le orecchie. Guardò timidamente Carlo, come per chiedere il permesso di continuare. Carlo mosse impercettibilmente la testa in forma di assenso. Elisabetta iniziò a spogliare Chiara, che era rimasta in bikini e camicia. Le sbottonò quest’ultima lentamente. Poi le tolse la parte sopra del bikini, accarezzandole con le mani l’interno dei seni. Infine, sempre da dietro, mentre le guardava il corpo, le infilò le dita nelle mutandine del costume, fino a sentirle il sottile pelo biondo. Poté sentire quanto era bagnata e questo la eccitò ancora di più. Gliele sfilò dolcemente, accarezzandole il pube.
Luigi, il suo compagno, sorrideva avidamente, in modo rozzo e goffo. La sua presenza disturbava Carlo. Luigi si alzò e iniziò a toccare le tette di Chiara, poi la sua figa. Carlo sembrava teso, e questo avevo messo a disagio Chiara. Mentre Luigi palpava il corpo di chiara, Elisabetta si era messa in ginocchio davanti a Carlo.
“Sai, anch’io sono un Master!…” disse Luigi aprendosi la patta dei pantaloni e strofinando il suo cazzo duro contro il culo di Chiara.
Elisabetta stava per iniziare ad aprire la cerniera dei pantaloni di Carlo ma questo la fermò con un gesto del dito. Aveva gli occhi fissi su Luigi, che non se ne accorgeva: in preda all’eccitazione, si stava spogliando velocemente senza distogliere gli occhi dal corpo di Chiara in piedi davanti a lui.
“Schiena a terra, troia!” disse Luigi. Chiara guardò Carlo che era sempre più teso.
“Stai attento” disse Carlo. Sembrava sul punto di scoppiare. Ma Luigi era talmente eccitato che non sentì nulla.
Chiara eseguì titubante e si distese sul pavimento.
Luigi si avventò su Chiara prendendola per il collo e schiaffeggiandole il viso:
“Apri le gambe, puttana!”
A quel punto Carlo gli si avventò contro con una velocità e una violenza tali che Luigi fu sbattuto al muro diversi metri dietro di lui. C’era qualcosa di bestiale e allo stesso tempo di freddamente calcolato nei movimenti di Carlo: gli si scaraventò addosso con la forza di un orso e l’agilità di un giaguaro, ma nei suoi movimenti c’era una precisione quasi militare. Teneva Luigi immobilizzato con una sola mano contro il muro, premendo su due punti nevralgici al lato del collo. Era una furia. Lo guardava in silenzio. Sembrava che stesse facendo uno sforzo sovrumano per controllare la sua ira. Per non massacrarlo.
“Ti ho dato forse permesso di picchiarla, stronzo?”
Elisabetta era terrorizzata. Emise un grido spontaneo. Chiara era stranamente calma. Era tesa prima, quando sentiva la tensione di Carlo accumularsi. Ma adesso che quella tensione veniva rilasciata la sua angoscia era finita. Sapeva che Carlo aveva di nuovo la situazione sotto controllo. Si fidava ciecamente di lui.
Luigi riusciva a stento a parlare:
“Pensavo che…”
Carlo strinse ulteriormente la presa.
“Ti ho dato forse il permesso di toccarla?” ripeté con calma furiosa.
“N… no…” disse Luigi con un filo di voce “sc…. susami”
“Non è a me che devi chiedere scusa, cane”.
“Scusa Chiara…” disse con una voce sempre più fioca, meccanicamente.
Carlo lo rilasciò. Tenendolo con una mano per il collo, lo accompagnò alla porta.
“Vieni” disse a Elisabetta.
Questa prese in fretta i vestiti di Luigi e li seguì.
“Fuori dai piedi” gli disse sbattendolo nudo fuori dal portone.
“Mi dispiace” disse Elisabetta con una voce bassa.
“Non è colpa tua. Ti consiglio di scegliere meglio le persone con cui esci. Sei in gamba e carina. Non hai bisogno di uscire con un verme”.
Elisabetta guardò Luigi che si stava infilando i pantaloni, sconvolto. Poi riguardò Carlo per un istante senza dire nulla, imbarazzata.
Quando l’automobile uscì da cancello, Carlo ritornò in casa. Era furioso. Vide Chiara in piedi, nuda, stupenda. La sua pelle era talmente chiara e delicata che l’arrossamento della guancia e del collo era fortissimo. Le si avvicinò.
“Scusami Chiara” disse ritrovando la calma, con tono grave.
Chiara era sorpresa. Carlo non aveva nulla di cui scusarsi. Non solo perché non era colpa sua, ma perché lui era il suo Padrone. Vederlo turbato l’addolorava. Si inginocchiò.
“Signore, quegli schiaffi non mi hanno fatto male. Mi fa male vederla turbato. Se lei avesse avuto piacere dal vedermi schiaffeggiata, quegli schiaffi mi avrebbero dato piacere. Mi hanno fatto male solo perché hanno fatto male a lei”.
Aprì la bocca. Aveva un bisogno irrefrenabile di soddisfarlo, di dargli piacere col suo corpo.

CAPITOLO 5: L’abito

Erano passate diverse settimane dal loro soggiorno alla villa sul mare. Al loro ritorno, qualcosa nel rapporto fra Carlo e Chiara era cambiato. Era come se il loro rapporto fosse andato più in profondità.

Quel giorno era il compleanno di Carlo. Il pomeriggio lo avrebbe passato con Chiara. La sera invece sarebbe uscito a cena fuori con Elisabetta, la sua compagna, in un elegante ristorante del centro. I rapporti con le sue schiave non avevano mai alterato il suo equilibrio con Elisabetta. Viaggiavano su binari diversi. Elisabetta non sapeva nulla della vita erotica parallela di Carlo. Quel giorno, tuttavia, Carlo voleva passare tutto il tempo con Chiara. E non poterlo fare gli dava una frustrazione nuova, sconosciuta.

Avevano fissato di incontrarsi nel solito albergo, nel tardo pomeriggio. Chiara si presentò come lui le aveva ordinato: tacco 12; autoreggenti nere trasparenti con balza alta in pizzo; micro-perizoma in pizzo nero; e un tubino nero che rendesse possibile accedere ai suoi buchi semplicemente agendo con la punta di un dito. Quando entrò in camera, Chiara aveva una grande e leggera scatola nera avvolta da un grande fiocco viola. Non c’era alcuna marca. Carlo la baciò a lungo appena entrò. Lei schiacciò il suo giovane corpo contro quello del suo Padrone.

“Buon compleanno Signore” disse lei col suo tono della voce giovane, tenero e perverso. “Ho un regalo per lei” aggiunse dopo con una strana eccitazione nella voce. “Sono settimane che aspetto di darglielo”.

“Come facevi a sapere che è il mio compleanno?” chiese Carlo stupito.

“Me lo ha detto lei. Il primo giorno che ci siamo conosciuti, all’università, lei fece una battuta dicendo che era nato lo stesso giorno del suo economista preferito. Allora sono andata a controllare”. Carlo era sorpreso e divertito. “Ho iniziato a pensarci dal primo giorno che sono diventata sua. Ci ho lavorato per mesi” disse Chiara, mentre Carlo scioglieva il grande fiocco viola per aprire la scatola. La voce di lei, eccitata e ridente, la faceva sembrare una ragazzina molto più giovane dei suoi ventiquattro anni. “Sono settimane che è pronto e che non sto nella pelle”.

Quando Carlo aprì la scatola non gli fu chiaro cosa contenesse. Sembrava una leggera sciarpa di seta nera. Ma la forma era troppo strana. Poi capì. Era un vestito. Un vestito da donna. Un vestito per Chiara.

“Lo ho disegnato e cucito io, Signore. Per lei. Cioè per me, ma per lei. Credo che nessun vestito che lei mi ha fatto indossare soddisfacesse esattamente i suoi gusti. Alcuni vestiti coprivano troppo il mio di dietro, altri troppo il davanti. Dopo averla conosciuta in questi mesi credo che questo vestito risponda perfettamente alle sue esigenze”

Chiara era radiosa. Carlo la guardò fisso negli occhi. Era toccato. Lei lo capì, nonostante lui mantenesse la sua corazza impenetrabile. Aveva imparato a leggere cosa avveniva sotto. Almeno in parte.

“Posso indossarlo?” chiese lei.

“Certo. Indossalo ora.”

“Prima però devo andare in bagno e devo starci venti minuti” disse Chiara con un sorriso eccitato “devo fare una cosa che fa parte del regalo. Capirà quando la vedrà…” Carlo era confuso, non riusciva a capire.

“Ok. Ti aspetto qui” disse prendendo il suo libro di economia e mettendosi a sedere sulla comoda poltroncina del salottino della suite.

In bagno Chiara si spogliò ed estrasse dalla sua borsetta due fiale di vetro e la relativa pompetta che si era portata con sé. Si sdraiò nuda sul pavimento. Applicò la pompetta ai suoi capezzoli rosa che erano già naturalmente gonfi ed iniziò ad aspirare l’aria. Quando ebbe finito di aspirare, chiuse la pompetta e rimase immobile per venti minuti. Il vuoto d’aria faceva affluire il sangue ai capezzoli, gonfiandoli a dismisura e rendendoli incredibilmente sensibili. Dopo venti minuti riaprì la pompetta, estrasse l’aria e ripose le fiale. I suoi capezzoli erano diventati gonfi in modo osceno e bastava sfiorarli per provocarle una sensazione straziante di dolore e piacere insieme. Indossò il vestito che aveva fatto lei e lo fece pianissimo: anche solo un leggero sfioramento dei capezzoli la faceva sobbalzare. Poi uscì dal bagno e si avvicinò a Carlo.

Rimase in piedi, composta e sorridente, davanti al suo padrone. Poi si girò lentamente su sé stessa. Lui la guardò a lungo, in silenzio. Stava assistendo a un’opera d’arte. L’abito in sé, per il suo disegno, per i suoi materiali, per il suo taglio, per la qualità dei dettagli nascosti che Carlo aveva immediatamente notato, era di per sé un’opera d’arte. Ma il corpo di Chiara lo era ancora di più: giovane, leggero, perfettamente tonico e armonioso, le gambe sottili e affusolate, il culo piccolo, tondo e all’insù, la figa rosa e con dei peli biondi che occupavano naturalmente una striscia talmente sottile che non c’era bisogno di depilarli. Il corpo di Chiara era semplicemente perfetto. Tuttavia quell’abito e quel corpo, insieme, formavano un’altra opera d’arte. Erano in armonia perfetta. Ed entrambi appartenevano a lui. Entrambi sembravano nati per soddisfare le sue perversioni. L’abito era attaccato al collo da un sottilissimo filo di seta nera, quasi invisibile. Da questo filo partivano due strisce di un materiale ultraleggero e semitrasparente, di colore nero, che le si poggiava delicatamente sui capezzoli e le lasciava scoperte le rotondità laterali del seno. I capezzoli erano enormi, straordinariamente gonfi ed evidentemente molto sensibili. Carlo capì cosa Chiara aveva fatto in bagno. Faceva parte della decorazione. Era un modo per dirgli: questo abito e il mio corpo sono un oggetto per il tuo piacere. Lui era esaltato e sorpreso per la sua creatività e iniziativa. Il taglio dell’abito era talmente perfetto che questo sembrava vivo sul corpo di Chiara. Le lasciava completamente nude le spalle, la schiena, i fianchi e, al di là di quelle due leggere strisce semitrasparenti che si poggiavano sui capezzoli gonfi, il petto. Le due strisce semitrasparenti si riunivano con un drappeggio circa un centimetro al di sotto la linea del sottile pelo biondo della sua fighetta. Questo, emergendo al di sopra del drappeggio, creava un netto contrasto col nero del vestito. La parte inferiore del vestito, di un materiale meno leggero delle due sottili strisce che le ricoprivano i seni, era nera non trasparente e tutt’altro che corta: arrivava fino a poco sopra le ginocchia. Ma sul retro l’attacco era estremamente basso, lasciando ben in vista l’inizio della fessura nuda del culetto. Quell’abito era un miscuglio di rigore, perversione, stile, eleganza, originalità: invece di essere sensuale in modo banale accorciando la lunghezza della parte inferiore verso l’inguine, lo era in modo scandaloso abbassando l’attaccatura, ma allo stesso tempo avendo una lunghezza quasi classica. Carlo non riusciva a staccare gli occhi dal corpo di Chiara. Rimase così a lungo, come incantato. Quasi stordito da tanta bellezza. Lei rimase immobile come una statua viva. Il fatto che la sua creazione stesse incantando Carlo a tal punto la mandava in estasi. La sua fighetta era un lago e i suoi umori cominciavano a colarle lungo le cosce. Aveva un bisogno impellente di soddisfarlo, di bere la sua urina, il suo sperma, di essere sodomizzata da lui, penetrata in gola e nella fighetta. Ma rimaneva immobile. L’anticipazione del piacere era talmente estrema che quasi le provocava dolore.

Il tempo passava. Carlo rimase immobile a guardare Chiara senza dire una parola. Il fatto che dopo poco sarebbe dovuto partire per andare a cena fuori con Elisabetta non lo preoccupava più. Aveva deciso di non andare. Prese il suo cellulare e inviò un messaggio a Elisabetta: “Stasera non posso. Ti spiegherò fra qualche giorno”. Quindi spense lo smart phone. Si alzò in piedi, continuando a guardare il vestito di Chiara con bramosia. La girò in modo da prenderla da dietro. Il corpo di lei era talmente sottile e leggero che poteva girarla nelle sue mani come fosse un giocattolo. Dopodiché la sodomizzò direttamente, brutalmente, in profondità, senza toglierle l’abito di dosso. Mentre lo faceva le sfiorava i capezzoli gonfi e ipersensibili. Chiara urlava di piacere. Urlava come non aveva mai urlato prima. Per la prima volta ebbe un orgasmo mentre veniva sodomizzata. Prima di venire, Carlo la prese per i capelli, le ficcò il cazzo direttamente in gola e le sborrò dentro. Chiara bevve il suo sperma con avidità e rimase in ginocchio, col pene di lui in bocca che faceva fatica a perdere l’erezione. Sapeva che Carlo l’avrebbe tenuta in quella posizione finché non avesse finito di urinarle in bocca, e anche dopo. Così fece.

“Ora puliscilo”.

Non c’era bisogno che Carlo glielo dicesse, ma lei sapeva che a lui piaceva dirglielo. Chiara lo leccò delicatamente, lavandolo con la lingua e con molta saliva. Quando Carlo fu soddisfatto, la sollevò prendendola delicatamente per le spalle. La guardò dritto negli occhi sfiorandole la fronte e poi passando con le dita lentamente dietro l’orecchio, senza distogliere lo sguardo dalle pupille di lei.

“Fai la doccia. Andiamo via di qui”

“Andiamo dove, Signore?”

Carlo aveva già preso il cellulare e inviato una chiamata.

“Ciao Andrea, sono Carlo. Prepara la barca per stanotte. Saremo lì fra circa tre ore”.

“Barca?” disse Chiara stupita. “Ma… Signore… io non ho nulla con me”

“Non ti serve quasi nulla. Quello che ti serve lo compreremo. Non abbiamo mai fatto shopping insieme, giusto?” le disse con una voce scherzosa.

Chiara era sbalordita ed eccitata. Le passavano per la testa tutti gli impegni che avrebbe dovuto annullare, ma non le importava. Non sapeva nemmeno quanto tempo sarebbero stati fuori. Ma era talmente eccitata che la sua figa era di nuovo un lago.

Chiara era nuda, in punta di piedi sul bordo dello yacht che era ancorato in una baia di una piccola isola mediterranea. Esitava a tuffarsi. L’acqua era trasparente come il cristallo e verso riva era colorata di diverse sfumature di bianco, verde, e blu dagli scogli sommersi. C’era un sole pieno, ma l’acqua era fredda: non l’aveva sentita, ma bastava guardarla per capirlo. Carlo la osservava in silenzio. Chiara si voltò verso di lui, stringendosi nelle esili spalle e ridendo:

“Non ne ho il coraggio!” disse raggiante.

Carlo non disse una parola, continuò a guardarla come se stesse ammirando un’opera d’arte. Chiara d’improvviso si tuffò, come se avesse tratto energia dallo sguardo calmo e sicuro del suo Padrone. Quando riemerse dall’acqua limpida urlò come una ragazzina:

“Ahhhh!… È gelida!…”. La sua voce era eccitata e felice.

Carlo ammirava quel corpo perfetto dai colori chiarissimi che si stagliava nel blu scuro dell’acqua in quel punto.

Nella baia entrò una barca a vela di proporzioni straordinariamente grandi. Carlo ne fu infastidito. Non gli piaceva condividere il mare con altri. In quel momento squillò il suo cellulare. Era una telefonata importante di lavoro. Esitando per un istante, tornò all’interno dello yacht per parlare al telefono avendo il computer davanti.

Chiara iniziò a nuotare. Era una brava nuotatrice e le piaceva nuotare a lungo. Passata la punta della baia, iniziò a essere trasportata da una corrente molto forte verso il largo. Talmente forte che non riusciva più a rientrare. Fu presa dal panico. Inizialmente non chiamò Carlo perché pensava di farcela da sola. Tuttavia la corrente la portò ancora più a largo. A quel punto urlò, chiamando Carlo, ma era già troppo lontana. Carlo non poteva sentirla.

Il proprietario della grande barca a vela si accorse che la ragazza era in difficoltà. Montò sul tender che era già in acqua, avviò il motore e la raggiunse in poco tempo.

Quando arrivarono allo yacht di Carlo, questi era ancora all’interno che lavorava al telefono. Sentendo accostare l’imbarcazione a motore, chiuse la chiamata e uscì. Fu sorpreso di vedere Chiara su un tender con un altro uomo. Indossava la camicia di lui e tremava.

“Buonasera” disse l’uomo. Aveva circa sessant’anni. La pelle molto abbronzata. Una voce sicura di sé “La signorina era un po’ in difficoltà a causa della corrente e ho pensato di darle un passaggio” disse in modo gentile mentre Chiara saliva sulla barca.

Carlo strinse Chiara per le spalle. Tremava ancora. La fece sedere e si assicurò che stesse bene. Poi si rivolse all’uomo:

“Non so come ringraziarla”

“Non deve” disse l’uomo ridendo mentre si apprestava a ripartire col suo tender.

“Posso offrirle qualcosa?”

“No grazie. Torno dai miei ospiti”

“La sua camicia…”

“Non si preoccupi”

“Gliela riporterò più tardi alla barca. Grazie ancora, davvero”

L’uomo lo salutò con un gesto del braccio mentre si allontanava sul piccolo gommone.

 

*   *   *

 

Le sottili caviglie di Chiara erano legate agli estremi di un’asta di acciaio che le teneva le gambe ben larghe. In mezzo all’asta c’era un anello. A questo anello era attaccato l’estremo di una piccola catena. L’altro estremo era attaccato all’anello del collare. La catena era corta, quindi il corpo di Chiara era ripiegato su sé stesso, col viso che guardava i piedi. Nel suo culetto era inserito un gancio anale, che era fissato con una corda a un anello fissato al soffitto: la corda era tesa in modo tale che Chiara non potesse piegare le ginocchia e fosse costretta a stare in punta di piedi. I polsi erano fissati alla parete, sotto la finestra dell’imbarcazione, all’altezza del suo collo e a una distanza maggiore della larghezza delle sue spalle. Non poteva fare alcun movimento.

Arrivò la prima sculacciata. Forte. Alla base della natica in modo che la vibrazione arrivasse alla fighetta. Chiara ebbe un brivido di dolore e di piacere insieme. Soppresse un grido.

“Mi scusi Signore. Grazie per punirmi Signore”

Arrivò la seconda sculacciata, ancora più forte.

“Ahhh!…”

Arrivò la terza, e poi la quarta. Poi silenzio. Senza un solo gemito, Chiara piangeva. Le sue lacrime cadevano sul pavimento di legno ben pulito. Non piangeva per il dolore. E nemmeno per l’umiliazione. Piangeva perché aveva turbato Carlo. Perché sentiva quanto era scosso alla sola idea di essere stato vicino a perderla.

Carlo la slegò, cominciando dal toglierle il gancio anale. Lei si afflosciò per terra. In ginocchio, si aggrappò alle sue ginocchia, bagnandogli le gambe con le sue lacrime. Lui la sollevò prendendole il viso fra le mani e la guardò negli occhi. La baciò con una forza che lei non aveva mai sentito. Poi la strinse a sé.

“Mi perdoni Signore” disse lei ancora singhiozzando “Non lo farò più. Non nuoterò più”

Lui la prese per i capelli dietro la nuca e tirò forte, staccando il suo viso dalla sua spalla.

“Non dire stupidaggini. Non devi smettere di nuotare. Devi imparare a non metterti in pericolo”

“Si Signore. Lo prometto”

“Non posso perderti”

“Lo so Signore. Mi dispiace così tanto”

“Tuffati di nuovo. Nuota stando attenta alla corrente e ritorna”

Chiara esitò per un istante. Ma capì subito. Carlo voleva che superasse la paura. E che imparasse. Chiara uscì e si tuffò. Nuotò abbastanza a lungo, sempre all’interno della baia. Nei punti dove c’era maggiore corrente, stando molto vicina alla riva. Carlo non staccò gli occhi da lei. Quando tornò, era lì ad abbracciarla.

 

*   *   *

 

Poco prima del tramonto, il tender accostò la grande barca a vela. Un marinaio in divisa accolse Carlo e Chiara e fece loro strada.

“Buonasera!” disse energicamente l’uomo che aveva salvato quest’ultima, alzandosi in piedi.

Stava leggendo un libro sul ponte principale. Accanto a lui due bellissime ragazze che parlavano fra loro, probabilmente due modelle, in bikini e pareo. Sul tavolino c’era una bottiglia di Champagne mantenuta in un contenitore di acciaio pieno di ghiaccio e un vassoio con raffinati aperitivi.

“Non ci siamo presentati” disse Carlo stringendogli la mano.

Si presentarono. L’uomo si chiamava Riccardo. Chiara gli restituì la camicia, lavata e stirata.

“Non doveva”

“Grazie ancora per oggi, Riccardo” disse Carlo.

“Aaahh!…” rispose lui con un gesto della mano “Basta ringraziamenti. Chiunque avrebbe fatto lo stesso. Piuttosto, perché non mi fate compagnia” La domanda non aveva punto interrogativo. Riccardo fece un cenno a uno dei marinai; questi portò due bicchieri.

La discussione fra Carlo e Riccardo partì subito fluida. Avevano gli stessi modi e scoprirono di avere un interesse comune per l’economia e il discorso prese spontaneamente quella direzione.

Riccardo elogiava le politiche espansive delle banche centrali, cioè il fatto che queste aumentassero la quantità di denaro attraverso il cosiddetto Quantitative Easing e tenessero basso il “costo del denaro”.

“Questo è l’unico modo per uscire dalla crisi” disse.

“Sbagli, Riccardo. Sbagli oggettivamente. Questo è il modo per prolungarla”

Le due ragazze fecero a Chiara un complimento sul suo vestitino bianco di cotone con colori mediterranei. Lo fecero a bassa voce, per non disturbare la discussione di Carlo e Riccardo:

“Che carino! Dove lo hai comprato?”

“In Grecia” rispose lei rapidamente distogliendo l’attenzione dal discorso di Carlo e Riccardo per lo stretto necessario a non essere scortese.

Riccardo guardò Carlo con un’espressione seria e curiosa. Era evidente che Carlo era un uomo equilibrato e non si sarebbe mai esposto in questo modo se non avesse avuto argomenti solidi.

“Il tasso d’interesse di mercato non è il costo del denaro. È il prezzo del tempo”

“Dove in Grecia?” chiese una delle due modelle a Chiara.

Chiara non la sentì.

“Chiamalo come ti pare. È una questione di etichette” disse Riccardo quasi deluso dalla risposta di Carlo che non era un argomento.

“No, non è una questione di etichette. È la questione fondamentale. La componente primaria del tasso d’interesse di mercato sono le preferenze temporali delle persone. Più queste preferenze sono basse, cioè più le persone preferiscono il tempo futuro (il risparmio) al tempo presente (il consumo), maggiori saranno le risorse disponibili per gli investimenti; quindi, a parità di altre condizioni, minore sarà il prezzo per aggiudicarsi queste risorse: il tasso d’interesse. E viceversa”

Riccardo non capiva dove Carlo volesse andare a parare.

“Ehi!” insistette la modella sorridendo a Chiara. “In Grecia dove?”

“Non ricordo” disse Chiara senza nemmeno voltarsi.

“Se tu imponi un tasso d’interesse artificialmente basso come fanno le banche centrali con le politiche espansive, segnali la presenza di risorse disponibili per gli investimenti che in realtà non ci sono. All’inizio c’è una fase di espansione. Ma dopo, quando l’informazione falsa sulle risorse disponibili viene a galla, il castello di carta crolla e si ha la crisi”

“Il 2008…” disse Riccardo, improvvisamente interessato.

“Tutte le crisi cicliche, a partire da quella del ’29, sono il risultato della manipolazione monetaria e del credito da parte delle banche centrali. Prima della creazione delle banche centrali, le crisi cicliche erano un fenomeno sconosciuto”

Riccardo guardava Carlo con vivo interesse.

Carlo continuò: “Il tasso d’interesse di mercato è l’unica cosa che può coordinare risparmi e investimenti nel tempo, perché tiene conto delle preferenze temporali di ogni individuo in ogni momento. È la grande bussola: se invece di farle indicare il Nord viene modificata per indicare quello che secondo i burocrati delle banche centrali dovrebbe essere il Nord, la bussola non funziona più.”

“E le banche centrali non possono sapere quale è il Nord perché non possono disporre delle informazioni rilevanti” annuì Riccardo, proseguendo la metafora.

“Esatto. Solo le singole persone possono sapere quali sono le loro preferenze temporali in ogni momento. Queste informazioni non possono essere disponibili ad alcuna mente direttrice”

“Soluzione?”

“Tornare al libero mercato nel settore del denaro. Abolire il monopolio legale del denaro da parte delle banche centrali e con questo la loro capacità di manipolare il tasso d’interesse”

“Utopico”

“No. Già iniziato”

Riccardo lo guardò sorpreso.

Carlo gli parlò delle crittomonete, la prima e più nota delle quali è Bitcoin. Monete non inflazionabili (in quantità fissa, non modificabile), anonime, decentralizzate e quindi non censurabili dagli stati in quanto non controllate da alcuno. In altre parole, libere di far concorrenza al denaro di stato senza possibilità di essere ‘fatte chiudere’ da quest’ultimo.

 “Il monopolio imposto con la forza è sempre segno di debolezza. I migliori convincono i consumatori ad acquistare i loro prodotti, non li costringono a usarli.” Disse Chiara, intromettendosi timidamente nella conversazione.

Riccardo e Carlo si girarono verso Chiara in silenzio. Anche le due modelle si zittirono. Carlo la guardò incantato. Mai era stato più orgoglioso di una sua donna. Chiara sentì il suo sguardo e lo ricambiò. Si guardarono dritti negli occhi. A lungo. Lui le accarezzò il collo e la baciò.

“Mi ha convinto Chiara, non tu” disse Riccardo ridendo. “Ovviamente rimanete a cena” continuò, facendo un cenno a un marinaio.

La serata continuò in modo molto piacevole. Carlo e Riccardo non solo scoprirono di avere modi e interessi comuni, ma intuirono anche che erano entrambi dominatori. Dai modi in cui si relazionavano con le rispettive compagne, Riccardo capì che Chiara era la schiava di Carlo e quest’ultimo capì che le due modelle erano le schiave di Riccardo. Tuttavia fra Chiara e le due modelle c’era una differenza sostanziale ed evidente: le due modelle erano attratte dal denaro. Chiara era innamorata della persona. E Carlo l’amava. Questo cambiava tutto. E Riccardo quasi invidiò Carlo.

Quando si salutarono, Carlo invitò Riccardo e le modelle per una gita in barca il giorno successivo.

 

*   *   *

 

Lo yacht di Carlo era ancorato vicino a degli scogli molto a largo dell’isola, che si vedeva in lontananza. Non c’erano altre barche nelle vicinanze. Le tre ragazze prendevano il sole nude, sdraiate sul ponte di prua. Carlo e Riccardo erano sul ponte di comando, sopraelevato rispetto al ponte di prua. Una delle modelle, dopo aver finito di spalmarsi la crema su tutto il corpo, chiese a Chiara se ne voleva.

“Si grazie”

“Ci penso io. Girati…”

Chiara si girò a pancia sotto. La modella le si appoggiò con la figa sopra il culetto. La sua figa aveva una sottile striscia di peli pubici neri, molto ben curata. La sua pelle era molto abbronzata e creava un forte contrasto con quella di Chiara. Il suo corpo era longilineo e perfetto. Forse una virgola troppo magro. Iniziò a spalmarle la crema sulla schiena lentamente. Poi sui fianchi, accarezzandole la parte del seno che sporgeva di lato. Scostandosi, le spalmò la crema sul culetto, entrano nell’inguine e toccandole la fighetta. Chiara emise un leggero gemito. La ragazza guardò l’altra modella e sorrise. Insistette sul clitoride, massaggiandolo delicatamente, e poi le entrò nella fighetta, che era completamente bagnata. Sorrise di nuovo. Le spalmò la crema sulle gambe, insistendo parecchio sull’interno coscia.

“Ok, Adesso girati, ragazzina” le disse con un sorriso malizioso “mettiti a pancia all’insù”.

Chiara si girò e trovò su di lei anche l’altra modella.

“Massaggio a quattro mani” disse quest’ultima sorridendo.

Mentre la prima modella le massaggiava la fighetta da davanti, la seconda le massaggiava i seni da dietro. Poi quest’ultima mise la sua figa sopra la bocca di Chiara e ve la strofinò leggermente mentre anche lei, insieme alla sua amica, le toccava la fighetta.

“Che ne dici di usare la lingua, tesoro?” le disse la modella che stava strofinando la sua fighetta sulla bocca di Chiara.

Chiara era imbarazzata. Non sapeva cosa fare. Non aveva il permesso di Carlo e senza questo non poteva fare nulla. Cercò Carlo con gli occhi e lo trovò dietro di lei, con Riccardo, che osservavano la scena. Lui le fece un segno che poteva continuare. Chiara sapeva quanto a Carlo piaceva vederla giocare con altre ragazze: questo la eccitò ulteriormente e iniziò a leccare la fighetta della modella.

“Più forte, piccola” disse quest’ultima, mentre l’altra modella aveva iniziato a leccare la fighetta di Chiara. “Entrami dentro con la lingua…”

Chiara affondò la lingua nella figa della modella che la sovrastava. Questa le prese con forza la testa per i sottili capelli biondi e se la spinse contro il pube “Più in profondità ho detto!”

Chiara si sforzò ulteriormente. In quel momento da dietro arrivò Carlo. Prese la modella per i fianchi e iniziò a scoparla. Chiara sapeva che doveva continuare a leccarle il clitoride. Pochi istanti dopo, Riccardo la penetrò da davanti, mentre la modella si era spostata di lato e continuava a leccarle il clitoride.

Chiara venne subito con un orgasmo profondo. Gridò dal piacere.

“Aaahhhh!…”

Poco dopo venne anche la modella che Carlo stava scopando. Ma nessuno si fermava. Fu un susseguirsi di orgasmi delle due ragazze, mentre la terza non smetteva di leccare il clitoride di Chiara.

A un certo punto Chiara sentì che Carlo stava per venire. Staccò la sua lingua dal clitoride della modella e attese. Carlo venne dentro la modella, inondandola di sperma. Rimase dentro a lungo. Quando si staccò, Chiara si posizionò sotto la figa della modella e aprì la bocca. Quando lo sperma iniziò a fuoriuscire, infilò la lingua nella fighetta abbronzata della ragazza e lo prese tutto in bocca, continuando a leccarla. In quel momento Riccardo si staccò dalla sua fighetta bionda e venne in bocca alla seconda modella che, staccatasi in tempo dal clitoride di Chiara, aveva aperto la bocca per accogliere lo sperma del suo Padrone.

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