Skip to main content
Racconti di Dominazione

Le Dévidoir des Dieux

By 8 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Ho ancora negli orecchi quel rumore antico, grigio, di macchina, rumore melanconico, rinchiuso nel cupo di una stanza solitaria.

C’era una finestra sola, col vetro rotto, per guardare il mondo.

E si vedevano le montagne, bianche bianche, ammantate di neve, un piccolo lago, ghiacciato, dove neppure i fanciulli andavano a giocare più.

Si vedeva tutto questo, sì’

E si sentiva una voce triste, la più triste di tutte, sapete?

Era quella del silenzio, che vagabondava senza meta per quelle lande deserte, e ogni tanto entrava nella stanza bigia, di cui vi ho parlato. Alle pareti, erano appese delle catene’

L’arcolaio lavorava sempre’

A farlo funzionare, c’era una povera giovane, dagli occhi celesti e pieni di azzurro, ma altresì di rassegnazione, ahim&egrave, io non so che cosa volesse dire l’espressione di quel volto.

Ma sembrava come accettazione di un destino di cattività, e di passione.

Sembrava questo, e nient’altro.

Di tanto in tanto, vedevate la sconsolata che sorrideva vagamente, oppure si asciugava una lacrima furtiva con il fazzoletto ricamato.

Oh, era come se non avesse nessuno!

Io lo so perché. E adesso ve lo racconterò, benché l’amarezza e il presentimento del destino quasi mi tolgano le forze.

Quel povero essere, sempre avvolto nella sua vestaglia bianca e viola, o in un mantello di velluto nero, era rimasto solo con un cattivo.

E rammento che la giovane stava sovente affacciata alla finestra col vetro rotto, al calar delle stelle.

Ammirava le sue montagne, bianche bianche’ Il freddo penetrava nella stamberga, dalle pareti sconnesse e mal intonacate. Il piccolo fuoco che ardeva nel camino non bastava per riscaldare, no, non bastava.

Tutto diventava turchino’

E si sentiva la voce della bufera, che ululava’

Allora, l’uscio veniva spalancato all’improvviso e con violenza, facendolo cigolare forte sui cardini sconnessi.

Era arrivato il padre cattivo della sconsolata, tutto vestito di grigio, con gli stivaloni neri e lo zaino sulle spalle, lordo quanto una gerla, il fucile a tracolla e un volto da delinquente.

Era un contrabbandiere, sì!

E la sua povera creatura gli diceva sempre di smetterla di fare quel brutto mestiere, di non fare così, di cercarsi un lavoro onesto, perché non era giusto continuare con quello.

Ma lui non la ascoltava’ la testa alta, la mano sulla cartucciera che portava indosso, faceva paura. Si lisciava spesso i lunghi baffi neri’

E la bella continuava, pregandolo in nome di quel Dio in cui ella credeva.

Il cattivo le dava sempre uno schiaffo’ Oh, che crudele, quale perfidia bruciava negli occhi di quell’uomo!

Io non so da dove venisse quel sentimento triste, davvero, proprio non lo so’

Ma poi lui si metteva a raccontare alla figlia cose che la facevano piangere! Sì, cose che le strappavano il pianto’

Perché gli piaceva vederla con le lacrime agli occhi, sì!

E le diceva dei mille pericoli che aveva corso, nel bosco. Le parlava di inseguimenti furibondi, di fucilate’ Le diceva che avrebbe voluto farsi ferire dalle guardie e farsi prendere, perché nessuno gli voleva bene, e non poteva amare una figlia come lei.

– Oh, papà, queste che tu mi dici sono bugie, sì! ‘ diceva allora l’angelo.

Ma lui continuava, raccontandole di come cacciasse di frodo nella foresta, di come i cinghiali lo inseguissero, nel cuore della notte, di come, una volta, la neve candida si fosse macchiata del sangue suo.

– Sai che ti dico? Un giorno prenderò questo vecchio fucile, e andremo a fare una passeggiata col fucile, sotto gli abeti, per un sentiero remoto, dove non ci incontrerà nessuno’ Così mi sarò liberato di te! Eh eh!

Oh, che cosa le diceva! Come la maltrattava! Ed ella era soltanto la sua schiava.

Infatti, lavorava tutto il giorno all’arcolaio, e a volte anche la notte, alla luce delle candele, non vedeva il mondo che attraverso la grata della finestra, la sua unica compagna era la neve bianca, quando cadeva a fiocchi dal cielo triste.

E l’infelice non poteva neppure piangere sulla spalla di suo padre!

Il destino crudele non le concedeva neppure questa misera consolazione’ Non gliel’aveva concessa mai, da quando era rimasta sola al mondo, e aveva incontrato quell’Uomo Nero, che l’aveva rinchiusa nella sua stamberga, per farne la sua prigioniera.

Ulrica era sempre sulle spine, schiava del suo affetto’

Ricordo che una notte si agitava nel sonno, fra le lenzuola fredde’Oh, Cielo! Aveva visto il cattivo, a cui voleva tanto bene, mentre lo uccidevano’ Era nel bosco, vicino al burrone, il sangue macchiava la neve’ sì, il sangue macchiava la neve! E la bufera, gigante vestito a lutto, messaggero del silenzio, era venuta da lei, per sussurrarle che sarebbe accaduto presto, presto, tanto, tanto presto.

– Papà, ho tanta paura che tu muoia! ‘ aveva detto Ulrica al suo uomo, un giorno.

Ma il perfido si era messo a sghignazzare, arricciandosi i baffi e mostrando le gengive sdentate. Perché lui doveva continuare a commerciare le sue sigarette di contrabbando, sì!

– Papà, ti prego, ascoltami! Ti amo tanto’

La bella quasi si inginocchiava.

Sì, davanti al suo padrone!

Ma il contrabbandiere la fece cadere per terra, e l’infelice se ne scappò via, in pianto!

Il bruto la inseguì, questo faceva parte del loro gioco. Egli amava tanto incatenarla e liberarla dai ferri a suo piacimento, e quando lei doveva essere sua, lo era davvero.

Io non vi ho ancora detto dell’avvenenza di Ulrica, dei suoi grandi seni, mostrati dalla bella sottoveste di pizzo bianco, delle sue gambe di donna, dolci come quelle di una statua greca, dei suoi piedi scalzi, e di come nel profondo dell’animo suo ella amasse essere schiava d’amore.

Quella volta, il contrabbandiere la seguì in camera sua e chiuse a chiave, come faceva sovente. Le strappò i vestiti uno a uno, mentre lei gli indicò la frusta, che giaceva in un angolo, come dimenticata.

Era bionda, e amava carezzare con i suoi boccoli biondi il suo bell’uomo. Lo fece anche in quella notte stellata, mentre quelle mani irsute serravano il suo dolce corpo entro catene.

La bella piangeva e si lamentava, di piacere. Implorava la frusta, implorava la frusta, e gli schiocchi squarciarono il silenzio, trasformandosi in fuoco, sulla carne, nella notte.

A lei piaceva vendicarsi con le labbra. Ma quando lo fece, lui rispose, cominciando a penetrarla, la verga sempre stretta in una mano, io non so come la usasse. Nell’altra, la ciocca bionda della sua bella.

La schiava implorava il suo padrone di ucciderla di piacere. Follie!

Al perfido piaceva di legarla al letto, con i suoi vestiti strappati, di morderla, e di vendicarsi delle sue tenerezze torturandola, per poi inondare il suo ventre con il fuoco.

I due non erano padre e figlia. Ma Ulrica aveva sempre chiamato il contrabbandiere con l’appellativo di papà, perché le faceva tenerezza. E, fatalmente, era caduta innamorate della sua cattiveria, sin dal primo istante.

A volte lo riempiva di premure e di coccole, gli carezzava il petto forte con le sue mani bianche, con le sue dita dalle unghie rosse, dipinte, e portava il rossetto per il suo uomo.

Era il suo Pierrot’ Ma se ella gli donava un tenero bacio, lui le morsicava il seno.

Era da tanto, tanto tempo che giocavano al loro gioco fatto di schiaffi e punizioni, la bella doveva stare sempre all’arcolaio, a lavorare le tele degli angeli, a volte, incatenata’

Pregava gli dei del silenzio e del mattino, affinché le donassero la passione.

Oh, sì, questa doveva essere una storia di bufera, di gelo, di tristezze, di colombe morte, che insanguinavano la neve, di guardie crudeli, di infelici che tremavano di freddo, di camini fumanti, in cui avvampava un fuoco feroce.

Oh, sì!

Quella era stata l’ultima volta che la figlia aveva parlato al suo papà.

Poi, il cattivo era andato incontro alla sua sorte.

Lo uccisero i gabellieri, il giorno in cui lo inseguirono col fucile!

E la giovane cara aveva visto tutto ciò, come in una visione lugubre. Aveva visto le fronde spoglie degli alberi, il volto di suo padre, e poi, il teschio della morte! E aveva anche sentito il grido dei gabellieri, il tuono dei fucili, la voce di Caronte, che rideva, portando via con sé l’anima del crudele.

Cielo!

– Oh, che cosa faremo, adesso, fratellino mio? Il buon Dio ci soccorrerà, sì’

– Sono felice che quel cattivo se ne sia andato! Sono davvero contento!

– No, non devi dire così! Queste parole tremano di crudeltà, sai? E sono una maledizione’

La bella Ulrica accese una candela per il morto, oh, le veniva da piangere! Era rimasta sola nella stamberga con il fratello, che era venuto a trovarla, le catene sue erano spezzate, ma lo era anche il suo piacere di schiava.

– Che cosa mangeremo? Come vivremo? Oh, sorella cara, dimmelo tu!

Lei lo strinse tanto forte.

– Penserò io a te, sai? Penserò a tutto io, come una mamma.

– Ti amo tanto, e tu lo sai’Io non so se morirò.

– Non sopravvivrei senza di te. Tutto ciò che mi resta &egrave il tuo bel volto. Non dire queste cose! Non dirle, sono presagi di sventura.

– E invece ti dirò anche dell’altro. Sì, ti dirò anche che voglio mettermi sulle spalle la gerla del maledetto, e prendere il suo fucile! Farò come lui, vivrò come lui, morirò come lui’ Ma le guardie la pagheranno!

– No!

– La pagheranno, sorella mia!

– Oh, te lo giuro, finché sarò viva, ti impedirò di imboccare questi oscuri sentieri! Te lo giuro! Niente potrà rubarti ai miei abbracci!

E lo stringeva forte, gli posava le labbra rosse sul viso virile. Suo fratello era cresciuto, era uomo maturo, ormai, ed aveva stretto i pugni, le braccia sue erano robuste e terribili.

Le parole che si erano detti erano state come una reciproca dichiarazione d’amore, ma senza baci, né strette affettuose, fatta soltanto di parole pronunciate sottovoce e di silenzio.

Ella sapeva questo, si ripeteva anche che la passione e il destino non avevano mai fine, mentre guardava il suo arcolaio, vedeva la neve scendere oltre la finestra e dei rintocchi di campana, che suonava a morto, le giungevano.

La bella non aveva giammai concepito il male, dentro il suo cuore. Il suo amato fratello le aveva parlato così soltanto per disperazione, e adesso sarebbero stati felici.

Ma il buon Dio permise una cosa terribile.

Io vi ho detto che quel cuore era incapace di concepire il male’ E per questo il Fantasma del Male voleva far morire la sua nemica, e sghignazzava, nell’ombra, fregandosi le mani.

Cielo!

Ricordo che Ulrica aveva lasciato il suo arcolaio, che non funzionava, quel giorno, non funzionava.

Perché? Io non rammento.

Ma ella s’era incamminata fatalmente lungo un sentiero solitario, vicino al laghetto ghiacciato. Le case di legno del villaggio si vedevano lontano lontano, come in una visione.

Ella aveva corso, lungo i viottoli lastricati di grigio, aveva incontrato gli scolari, le lavandaie, i falegnami, gli armaioli, i cacciatori, che ritornavano dal bosco, le oche e tutti i più dolci ricordi di quel paesino sperduto.

Ma la bella portava dentro di sé la bufera, che ululava tanto forte, tanto forte, che non si può descrivere, ve lo giuro.

La parve di risentire la voce di colui che l’aveva resa schiava, e che per passione chiamava padre.

E dal profondo delle gole la chiamava, lamentandosi, ma era difficile, difficile dire da dove proveniva quel grido, che pareva risalire da un antro interdetto ai mortali.

– Vieni a salvarmi’ Vieni, ti supplico! Sono qui, caduto in un abisso! Tendimi la mano, ti scongiuro! Ti scongiuro!

– Papà! ‘ gli rispose lei, pazza, come lo chiamava nei momenti di passione. ‘ Dove sei? Dimmi! Dimmelo! Dove? Dove? Dove?

– Quaggiù’ Ti scongiuro’

Presto la voce del contrabbandiere si spense, nel muggito del vento. E forse, quella che aveva udito la giovane non era nemmeno la voce del suo vecchio.

Ella era come folle. Girava e rigirava su se stessa, smarrita chissà dove nella foresta; aveva freddo e non sapeva più dove fosse. Avrebbe voluto correre ma le mancavano le forze.

In quel luogo, crescevano i cespugli stregati del mistero. La sconsolata toccò le spine velenose di un rovo maledetto’ Oh, quel veleno poteva uccidere in un solo istante!

E io non so come quel rovo fosse potuto crescere lì, tra i ghiacci, né chi mai lo avesse piantato, oh, davvero, non desidero neppure chiedermelo!

L’anima della morta salì in Cielo’ Oh, no, il povero angelo non avrebbe potuto compiere sulla terra tutto il bene che voleva!

Il male gliel’aveva proibito, uccidendola per sempre e portando il suo amore via con sé.

Leave a Reply