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Racconti di Dominazione

Le sado-padroncine

By 27 Novembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Irina ed Anchelka appena arrivate profughe dalla Moldavia. Gli occhi furbi dell’una e quelli storditi dell’altra, rispettivamente.
Rabbia, frustrazione, un rossetto ed un pacchetto di tamponi assorbenti per giovanissime. Un po’ di rimmel e di fard, qualche vestito, regali delle amiche generose di Kishinev.
Un pappone conosciuto a Bucuresti. Stessa lingua,stesse abitudini. Amori mercenari. Odore di sesso stantio, muffa, sperma, sangue.
Anchelka. 19 anni appena, per un documento. La realtà di una bambina.
Più timida perchè già vinta dalla vita. Irina un anno di meno. Viziata.
La sua famiglia benestante, il padre-padrone protettivo. La madre dolce. Tanti sogni e progetti e poi la fuga. Le luci di Lubiana. Il treno per l’Italia, l’arrivo a Verona. La prima tappa.
Rabbia subalterna.
Rabbia. Sentimento di apartheid. Le ragazze italiane in tiro e tu a mendicare la marchetta: 50 euro e lo succhi ad un vecchio porco.
Untume. Grasso. Odore di pneumatici. Barbe mal rasate. Cazzi calati dalle patte giù all’autoporto transfrontaliero. Tir. Gomme bruciate per riscaldarsi e sigarette senza filtro slovene.
Una tirata di fumo ed un pompino. Gli ultimi spasimi della prostata del vecchio accasciato sullo schienale. Vecchio autista. L’ultima tratta per Milano a trovare mogliettina e pargoli.

Irina sei sempre lì. Le coscette sugli stivali luccicanti. Anchelka ti segue spaesata. Alla sua età non l’ha ancora preso in mano.
Tu conduci il gioco. Tu sei la grande. Tu scopi. Pisci in faccia se necessario. Godi. Non hai scrupoli di sorta.
Non usi il guanto. Avrai un figlio. Che si fotta. Meglio l’aids. In culo al mondo. Si fotta la Madonna e pure il papa.
Ti limi le unghiette scosciata sul muretto. Hai fatto la notte. Il sonno non ti prende. Gli stivaletti allentati. Le autoreggenti strappate dall’ultima trombata.
Il crucco era stato lento a venire. Voleva sborrarti dentro la seconda volta. Era mezzo moscio. Prendesti tu l’iniziativa. Un ceffone ben dato e gli istinti del meranese si svegliarono.
Gliela sfregasti veloce in faccia. Le grandi labbra a vellicare la punta del naso.
Un odore di fica ambrosia per quel grosso crauto. I baffoni bianchicci imperlati di gocce di brina perlacea.
La tua fica pulsava turgida e rosea. Volevi godere. Prendesti il randello e lo cavalcasti veloce. Due, tre colpi ben dati ed il vecchio rantolò sul materassino nel retro-cabina.
Altri 50 euro erano fatti. Pronti in saccoccia per il prossimo giro.
Una coca. Una focaccia smunta ed un rutto. Anche una scorreggia mentre Anchelka si stiracchiava imfreddolita.
-Iri dove andiamo?
-Non ti preoccupare troietta.. forse il porco ci porta a Milano.
-Dici?
-Ma sì, vedrai. La promessa di fargliela vedere ancora. Le mie labbrette conquistano.

Mentre parlava Iri si limettava i bordi delle unghiette nere laccate stile dark -diceva lei.
Una limettata cosi sbadatamente sulle punte. Un morso alla focaccia unta. Unte pure le mani.
Che schifo quelle mani dalle dita ossute che sapevano di campagna e di grano d’estate. Mani di ragazzina.
Iri l’avrebbe succhiato pure a suo padre per andare fuori da quel cesso di posto. Aveva 15 anni e già Dmitri l’insidiava. Dmitri il cuginetto di una noia mortale. Più anziano. Con lui giocava laggiù al torrente che dava sul Dnestr.

Dalle coscette aperte s’intravvedeva l’orlo della mutandina. Una piccola peluria. Iri non era di quelle ragazze di città che si danno la ceretta anche lì. L’elettrocoagulazione, poi roba da ricche.
No natura anche lì.
“Pelo su pelo.. aspetta un momento che te l’infilo” le diceva il nonno sporcaccione quando ancora giocava con le bambole a Kishinev.

Un rombo lontano, uno stridio di freni improvviso.
-E che cazzo! Sbottò Irina.
-La ghe me scuse putea.. ahh. Che ghe la vo far.. se ghe’l mutèr!
-Ciapa lì!
E le gettò una bella stecca di Marlboro sulla gonnellina a quadri.
Iri fece in tempo ad evitare che scivolassero negli stivali. Quasi galosce aperte.
Con un breve guizzo mostrò la patatina al suo interlocutore. Giusto un lampo.
Gli occhi saettarono. Colsero il dettaglio. Annusarono quasi il profumo.
Era fatta. I baffi dell’uomo vibrarono come vibrisse impercettibilmente.
Un languore gli arse la lingua.

-Era fatta! Pensò la troietta.
-Ora ci pensiamo noi due a questo stronzo!

(1. Continua)

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