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Racconti di Dominazione

L’interrogatorio

By 29 Agosto 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando si era arruolata aveva messo in conto tutto, anche l’eventuale cattura da parte di un ipotetico nemico, ora però che questo evento si era realmente verificato, Jane non era più così sicura che le cose sarebbero andate come era scritto nei libri che aveva studiato.
Aveva passato un’intera giornata chiusa in una minuscola cella, in attesa di un interrogatorio che non c’era stato e la notte, trascorsa dormendo poco e male, non aveva fatto altro che aumentare le sue angosce.
Solo al mattino successivo erano venuta a prenderla.
Beh, almeno qualcosa succederà, si era detta mentre camminava in mezzo a due giovani soldati barbuti.
Il colonnello, anche lui con la barba, ma grigia, corta e molto più curata rispetto ai primi due, la guardò dritto negli occhi e le parlò in un inglese perfetto, lasciandola stupefatta.
Finora, nessuno dei nemici con cui era venuta in contatto, aveva dato segno di parlare la sua lingua.
Ma la cosa che aveva stupito maggiormente Jane era che le aveva ordinato di spogliarsi.
No questo non poteva farlo: le convenzioni, i trattati, ecc ‘
Eppure qualcuno al campo, le aveva spiegato che questa non era una guerra da manuale e che angherie e violenze nei confronti dei prigionieri erano considerate normali, per il personale femminile, poi, in diversi casi, si era arrivati allo stupro.
Certo, prima mi fanno spogliare e poi mi violentano.
Sarà poi così spiacevole?
Jane, ma che cavolo ti passa per la testa.
I suoi pensieri furono interrotti da un rumore metallico.
Il colonnello teneva in mano una grossa pistola automatica, e il rumore, per lei familiare, della scarrellata, significava che aveva appena messo il colpo in canna.
Si avvicinò a lei e glie la puntò.
No, non alla testa.
Jane se ne stava dritta in piedi, più o meno sull’attenti, davanti alla scrivania ingombra di carte, il colonnello aveva abbassato il braccio che teneva l’arma, e l’aveva poggiata contro la parte esterna del suo ginocchio.
Pensò al proiettile che avrebbe attaversato prima il suo ginocchio sinistro, per poi proseguire il tragitto nel destro ed infine abbandonare il suo corpo, dopo aver sbriciolato le sue ossa.
No, accidenti!
Non ho neanche trent’anni, ho quasi tutta la vita davanti a me e voglio ancora camminare e correre.
Osservò con la coda dell’occhio il dito del colonnello che si era poggiato sul grilletto, sarebbe bastata una leggera pressione ‘
Il tenente Jane Farrell iniziò ad aprire la mimetica ed il colonnello allontanò la pistola, poggiandola sulla scrivania.
I due giovani soldati sembravano molto presi dalla scena, mentre il colonnello, che si era nuovamente seduto alla scrivania, appariva più interessato alla lettura di un fascicolo, che allo strip tease di una giovane soldatessa.
Jane si fermò una volta tolta la mimetica, ma bastò uno sguardo del colonnello per farle capire che avrebbe dovuto continuare fino alla fine.
I due soldati erano sempre più agitati ed eccitati, figuriamoci, in un posto dove le donne girano coperte dalla testa ai piedi, la visione di una straniera completamente nuda, doveva apparire loro come qualcosa di pazzesco.
I loro sguardi, spaziavano dai seni parzialmente coperti dai suoi capelli biondi, alle lunghe gambe, che lei cercava di tenere il più possibile unite, per non mostrare quello che sicuramente era l’obiettivo principale dei loro desideri.
Stava tenendo la scena decorosamente, anzi, era stupita del suo self control, fino a questo punto.
Il colonnello ruppe l’incantesimo con un secco e breve ordine che fece scattare i due soldati.
Fu questione di un attimo, la presero di peso e la trascinarono dall’altra parte della stanza, deve c’era una specie di poltrona di legno scuro.
Prima che Jane potesse protestare (ma certo sarebbe servito a poco), la misero a sedere e le legarono i polsi ai braccioli, con delle cinghie di cuoio.
Uno dei due si inchinò e le spinse indietro il piede sinistro fino a farlo coincidere con la gamba posteriore del sedile, mentre l’altro, lesto, le bloccò la caviglia con un’altra cinghia di cuoio, poi ripeterono la stessa manovra con l’altra gamba.
Ora era completamente immobilizzata, con le braccia saldamente fissate ai braccioli, e le gambe allargate e tirate verso l’indietro, con i piedi che poggiavano a terra solo con le punte.
A questo punto avvicinarono a lei un carrello di metallo con sopra un apparecchio elettrico, che dalle dimensioni poteva sembrare una radio da campo.
Il colonnello si avvicinò tenendo in mano una scatolina di metallo grigio, grande più o meno come una saponetta e la mise proprio sopra la vagina di Jane.
La fissò alla pelle della donna con dei pezzi di robusto cerotto e infine collegò al misterioso oggetto due fili elettrici, provenienti dall’apparecchio sul carrello.
Aveva sentito fantasticare di torture con l’elettricità, praticate ai prigionieri, ma non ci aveva mai creduto seriamente.
Ora invece si apprestavano a far attraversare il suo corpo da scosse elettriche, utilizzando la parte più sensibile di lei.
Cercò di muoversi, ma le cinghie erano strette e riuscì solo a farsi male ai polsi. Cercò di tirare indietro la pancia, nel disperato tentativo di allontanare la corrente dal suo sesso, ma il cerotto tirato a dovere, impediva di alleggerire il contatto.
Il colonnello si avvicinò all’apparecchio ed azionò un interruttore.
Jane chiuse gli occhi e strinse i denti, ma non accadde quello che temeva.
Un ronzio, una vibrazione, ma nessuna scossa, neanche leggera.
Le veniva quasi da ridere.
Un vibratore, mi ha applicato una specie di vibratore.
Il colonnello girò una manopola e rumore aumentò.
Beh, se sono queste le torture che vogliono usare su di me, non è poi così male.
Aumentò ancora l’intensità e lei ebbe un sussulto, mentre i due soldati si avvicinavano per godersi la scena.
A Jane sfuggì un piccolo gemito e le sembrò di scorgere un sorriso maligno sul volto del colonnello.
Si stava aprendo, ora sentiva il suo sesso che lentamente si apriva, così l’effetto della vibrazione entrava più in profondità.
Il colonnello si avvicinò a lei e con la mano le premette la scatolina contro la vagina.
Jane ora respirava a bocca aperta e dalle labbra le sfuggivano dei gemiti che stavano letteralmente facendo impazzire i due giovani soldati, che, se non ci fosse stato il loro superiore, le sarebbero sicuramente saltati addosso.
Nonostante fosse nuda e nella stanza non facesse minimamente caldo, stava sudando.
Il colonnello le infilò una mano dentro e Jane gridò.
Infilò un dito sotto la pelle che ricopriva il clitoride e lo scappucciò, poi, prima tornasse a posto, ci spinse sopra la scatolina.
L’effetto fu immediato e devastante sia per la donna che ora gridava, gemeva e si dimenava, sia per i due soldati, che sembravano impazziti.
Uno dei due, dopo aver avuto il permesso dal colonnello, le si avvicino e la cominciò a palpeggiare, quando le afferrò i seni e cominciò a toccarle i capezzoli, Jane rovesciò la testa indietro e raggiunse l’orgasmo.
Il vibratore si fermò e solo in quel momento si rese conto della vergogna e dell’umiliazione a cui era stata sottoposta.
Il colonnello le si avvicinò con una siringa e lei gridò di paura.
‘Tranquilla, non ti farò male, serve solo per aumentare il tuo piacere.’
Aspettò qualche minuto prima di avviare nuovamente il vibratore, mentre Jane cominciava a sentirsi strana.
La seconda volta, probabilmente a causa della droga che le aveva iniettato, fu tutto molto più forte, come se ogni sensazione venisse amplificata.
I due soldati erano così eccitati che alla fine il colonnello fu costretto a mandarli via e rimasero soli.
Il suo aguzzino doveva avere una grossa esperienza in materia, perché tirò la cosa per le lunghe, sembrava che riuscisse a capire quando lei stava per venire e allora abbassava potenza del vibratore, per poi rialzarla dopo un po’.
Jane era sempre lì, vicinissima al limite, ma senza riuscire a superarlo.
Era stanca, si sentiva bagnata e sudata e desiderava solo venire, raggiungere l’orgasmo, e poi poter riposare.
Sulla prima cosa fu accontentata, perché il colonnello, ad un certo punto, poggiò la mano sul vibratore e lo spinse leggermente, causandole un nuovo orgasmo, sulla seconda, invece, la povera Jane ignorava che il suo tormento era solo all’inizio.
Si era leggermente assopita, quando si sentì toccare i seni.
La stimolazione subita le aveva causato un notevole inturgidimento dei capezzoli ed il colonnello, dopo averli tirati in fuori, ci passò intorno alla base uno spago sottile.
Si mise alle sue spalle e cominciò a massaggiarli con il palmo della mano e lei si rese conto, forse per effetto dell’iniezione, che questo già era sufficiente a causarle una notevole eccitazione.
Gridava, gemeva e, quando lui rimase con le mani ferme, poggiate sui suoi seni, Jane iniziò a muoversi.
A questo punto mise nuovamente in modo il vibratore e lei venne per la terza volta.
Andò avanti per l’intera giornata, Jane passava da momenti di riposo, in uno stato di dormiveglia, a fortissime eccitazioni, che terminavano con orgasmi via via più violenti, nonostante si sentisse sempre più debole e sempre più stanca.
Nel pomeriggio le fece una seconda iniezione, che la rinvigorì, ma le aumentò la sensibilità alle manipolazioni che subiva.
Ora le bastava il minimo tocco per farla gridare di piacere, era sudata in tutto il corpo e gli umori che continuavano ad uscire dalla sua vagina arrossata, avevano prima inzuppato la poltrona di legno, per poi formare un’ampia pozza sul pavimento.
Era combattuta tra il desiderio che tutto questo finisse e potesse finalmente riposarsi, e la voglia di continuare a godere, ma siccome il colonnello non la lasciava in pace, vinceva sempre la seconda e Jane passava da un orgasmo all’altro, incapace di controllare il suo istinto.
Verso sera le tolse il vibratore, lo strappo del cerotto sulla pancia la fece gridare, perché la sua pelle era ormai così sensibilizzata che avrebbe sentito anche il tocco più leggero.
Le sciolse le cinghie che le tenevano polsi e caviglie e la fece alzare sostenendola sotto le ascelle.
Jane si accorse che, sia per la posizione scomoda tenuta troppe ore, sia per tutto quello che le aveva fatto il colonnello, non riusciva a stare in piedi.
Lentamente, appoggiandosi all’ufficiale di fronte a lei, scivolò giù, come afflosciata.

Jane era finita in ginocchio, aggrappata ai fianchi del colonnello, tremante e sfinita.
L’ufficiale la prese da dietro, poggiandole una mano sulla nuca, e le spinse il capo in avanti.
Le sue labbra incontrarono il pene eretto e lei aprì la bocca per accoglierlo.
‘Brava, troia, succhia il mio cazzo!’
Fu colpita dalla frase, perché, per tutto il giorno, lui non le aveva più rivolto la parola.
Pensò che nei trattati internazionali non era previsto che un militare prigioniero facesse pompini a chi lo interrogava.
Ma non mi ha interrogata. Cosa vuole da me, allora?
Il colonnello allentò la presa sulla sua nuca, ma lei non si staccò, anzi, si piegò leggermente in avanti, ingoiandolo completamente.
Si chiese solo un attimo se lo faceva per non farsi sparare in un ginocchio o perché voleva farlo, poi iniziò a succhiare.
Il colonnello grugniva di piacere, aveva resistito impassibile tutto il giorno, avendo davanti a sé lo spettacolo di una donna giovane, completamente nuda, che si dimenava e gemeva, in preda ad incontenibili orgasmi, ed ora si stava prendendo la sua rivincita.
Quando lo sperma iniziò a schizzare, lei rimase ferma, immobile e docile, mentre l’uomo esauriva le contrazioni nella sua bocca.
Proprio in quel momento si aprì la porta e ricomparvero i due soldati barbuti che la presero sotto le ascelle e la portarono via.
Mi riportano in cella, pensò, Jane, mentre lo sperma le scolava sul mento e le scendeva lungo il collo.
Era così stanca che dovevano sostenerla, altrimenti sarebbe caduta in terra, infatti riusciva solo a mettere un piede davanti all’altro, come se fosse un automa.
No, non mi riportano nella cella dove ho trascorso la notte scorsa, non riconosco la strada.
Il tragitto terminò all’improvviso, dopo una svolta a 90′, in un braccio di corridoio cieco.
Uno dei due soldati l’afferrò da dietro e la tenne sollevata da terra, mentre l’altro si apriva i pantaloni
la sua vagina era così dilatata che, nonostante l’uomo fosse ben fornito, le entrò dentro senza sforzo, ma non poteva certo dire senza accorgersene, perché ogni centimetro della sua pelle era sensibilizzato, figuriamoci poi lì.
Le mise le mani sotto le chiappe, le allargò le gambe e la tirò a sé.
Jane, aggrappata alle sue spalle, sussultava, mentre l’uomo la penetrava sempre più profondamente. L’effetto della seconda iniezione era ancora forte e quando i suoi capezzoli, ancora stretti dallo spago annodato, strusciavano sulla ruvida stoffa della sua divisa, lei gridava di piacere.
Raggiunse l’ennesimo orgasmo ma lui neanche se ne accorse e continuò a sbatacchiarla finché non la inondò di sperma.
Jane si era quasi addormentata, ma si risvegliò di nuovo aggrappata ad un uomo, doveva essere l’altro soldato, perché il movimento che le imprimeva, le sembrava diverso.
Ancora il contatto della stoffa sui capezzoli, le sembrava di impazzire, sentì l’uomo che aumentava il ritmo e venne di nuovo.
Basta, per favore, fatemi riposare, voglio dormire!
Nonostante avesse finito, il soldato non la metteva giù, capì come avrebbero continuato, quando sentì le mani dell’altro che le allargavano le natiche.
Già, ci mancava solo questo.
La penetrò dietro, di colpo e brutalmente, Jane questa volta gridò, ma non di piacere, poi il dolore lentamente si placò, come se il suo ano si fosse abituato all’intruso, e lei riprese a godere.
Il soldato le venne dentro e la staccò da sé,
Jane avvertì nettamente il pene gonfio e bagnato che usciva dal suo ano dilatato, e subito dopo fu afferrata dall’altro che, senza farle toccare terra, le entrò dentro nuovamente.
Doveva solo resistere ed aspettare che finissero.
Ancora il senso di bagnato che si diffondeva dentro di lei e poi, alla fine, la sensazione di essersi liberata di un corpo estraneo che la invadeva.
I suoi piedi toccarono di nuovo terra e, inspiegabilmente, le sue gambe rimasero dritte, senza cedere.
Tornarono indietro, ripercorrendo a ritroso, il cammino fatto fin lì.
Ora Jane camminava meglio, perché era talmente grande il suo desiderio di essere riportata in cella e lasciata in pace, che non si sarebbe fermata neanche se avesse dovuto camminare sui carboni ardenti.
Ad ogni passo che faceva sentiva fiotti di sperma uscire dai suoi orifizi violati e colare lungo le gambe, ma doveva resistere, perché pensava, mi riportano in cella e potrò finalmente riposare.
Quando la porta si aprì, capì subito che non era la sua cella e, soprattutto, che avrebbe avuto poco da riposare.
L’uomo che l’afferrò era enorme, un vero gigante, la sollevò di peso e la mise in piedi davanti a sé, mentre i due soldati chiudevano la porta alle loro spalle.
Posò le sue manone sopra la schiena della donna e la spinse violentemente in basso.
Le gambe di Jane non poterono far altro che piegarsi di colpo, al punto che sbattè violentemente le ginocchia sul pavimento.
Si ricomincia, pensò lei.
Il suo viso era a pochi centimetri dai pantaloni aperti del gigante e in mezzo alla sua pancia, tra una folta pelliccia di lunghi peli, neri e ricci, spuntava il più enorme pene che lei avesse mai visto.
Era così largo che dovette spalancare completamente la bocca e l’odore, anzi la puzza, che emanava, le dava il voltastomaco, ma non aveva scelta.
Dopo un po’ si rese conto che l’odore non si sentiva più, e cominciò a pensare che un arnese così grande, quando avrebbe schizzato, l’avrebbe soffocata, a causa della gran quantità di sperma che avrebbe emesso.
Niente di tutto ciò, l’uomo la rialzò bruscamente e la sbatté su un letto.
Le molle della rete emersero un cigolio sinistro mentre il corpo di Jane rimbalzava sul materasso.
Fu questione di un attimo, il gigante le salì sopra, schiacciandola con il suo peso ed il pene, che lei aveva provveduto a far rizzare completamente, la inchiodò al materasso come se fosse una spada.
Mentre l’uomo la scopava furiosamente, lei si rese conto che intorno al letto c’erano diverse altre persone, che osservavano incuriosite la scena.
Quello continuava e lei, schiacciata dal peso di quel corpo che la teneva inchiodata al letto, non poteva fare nulla se non aspettare che lui finisse.
Accidenti è ancora l’effetto dell’iniezione, oppure ‘
Si stava eccitando di nuovo, non doveva… non poteva ‘, invece ‘
Il gigante le venne dentro, proprio mentre Jane raggiungeva l’ennesimo orgasmo.
Devo fermarmi, se continuano così, mi ammazzano, ma avevano già ricominciato.
Qualcuno la fece rotolare sul letto, ora era distesa sulla pancia, di traverso e con le gambe allargate.
Si sentì di nuovo aprire le chiappe, dal fastidio che provava, probabilmente era il gigante che voleva finire di sfondarla.
Ma quanti uomini c’erano in quella stanza?
Molte volte, quando era alla base, aveva avuto spesso degli incubi notturni.
Immaginava la sua cattura ed il successivo stupro da parte dei nemici.
Si vedeva in balia di un gruppo di uomini armati, in mezzo alle montagne, che prima le strappavano di dosso la divisa, e poi la violentavano tutti insieme.
Tenuta stretta, in mezzo a loro, penetrata contemporaneamente avanti e dietro, mentre un altro la costringeva a fare un pompino.
Invece, la divisa se l’era tolta spontaneamente, anche se sotto minaccia, ed ora era in balia di un gruppo di uomini, che abusavano di lei a turno.
Sarebbe durato per tutta la notte?
No, non poteva resistere, sarebbe morta, perché loro erano tanti e potevano riposarsi, mentre lei era sempre la sola ed unica, poi fu travolta da un nuovo orgasmo.
Continuarono realmente per tutta la notte, uno per volta, mentre Jane cercava inutilmente di riposare.
Sbattuta su quel letto, intriso di sudore e di sperma, Jane veniva girata e rigirata, per assumere la posizione che risultava più comoda a loro.
Ma quanti erano? Dieci, forse venti, e non sembravano stancarsi mai.
Ora l’effetto dell’iniezione doveva essere finito, ma il piacere e l’eccitazione non l’abbandonavano mai.
Devo dormire, così forse riuscirò a spezzare questa specie di incantesimo e, quando mi sveglierò, sarò tornata la Jane di prima, e non questa specie di animale che sono ora.
Ma dormire, in una situazione del genere, era impossibile.
Una paio di volte era quasi riuscita ad appisolarsi, ma una schiaffo secco e delle dita che le aprivano a forza la bocca, l’avevano subito fatta tornare in sé.
No Jane, non puoi dormire mentre fai un pompino, lo capisci, vero?
Così aveva aperto la bocca ed aveva serrato le labbra sul pene che nel frattempo le avevano infilato dentro.
Ad un certo punto aveva udito un rumore secco e metallico e, all’improvviso, gli uomini intorno al lei si erano fermati.
Aprì gli occhi, vide che la porta si era aperta di nuovo ed erano comparsi due soldati che spingevano una sedia a rotelle vuota.
Era finita, aveva superato la notte ed ora la portavano via.
La sedia a rotelle era vecchia e le ruote cigolavano. Anche l’imbottitura del sedile era strappata e sentiva le spaccature della finta pelle del rivestimento sulla schiena e sulle cosce.
Le avevano buttato addosso una vecchia coperta ed ora la stavano portando chissà dove.
Vorranno approfittare pure loro del suo corpo?
No, per favore no!
Le era piombata addosso, di colpo, una stanchezza terribile, l’unica cosa che deisiderava, era un letto pulito in cui dormire per 24 ore.
Ma non la riportarono nella sua cella.

Alzarono la sedia a rotelle da dietro per costringerla a scendere, e Jane scivolò lentamente a terra.
Era in una stanza, completamente rivestita di piastrelle bianche e lei capì subito quello che doveva fare.
Raggiunse carponi l’angolo dove aveva visto un tubo con la doccia che usciva dal muro e si rimise in piedi aggrappandosi al rubinetto.
L’acqua gelata la rinvigorì e, dopo un po’, si accorse di riuscire a stare in piedi da sola.
Uno dei soldati le lanciò un pezzo di sapone grezzo, facendolo scorrere sul pavimento.
Rimase molto tempo sotto il getto d’acqua fredda, dopo essersi prima insaponata accuratamente. Le sembrava che più acqua scorresse sulla sua pelle e più avrebbe cancellato quella terribile esperienza.
Delle parole che lei non comprese, accompagnate da gesti eloquenti, le fecero capire che il tempo della doccia era terminato, così chiuse l’acqua e si avventurò sul pavimento bagnato.
Le passò per la mente, rapido, un pensiero: mi hanno fatta lavare perché ero sporca da fare schifo, ora che sono pulita, devo ricominciare con loro.
Invece non accadde nulla di tutto ciò, lasciarono lì la sedia a rotelle con la coperta e si limitarono a scortarlo lungo il corridoio.

Il colonnello sembrò contenta di vederla.
Jane era stanchissima ed abbattuta psicologicamente, se ne stava in piedi, davanti all’ufficiale, con il capo chino in avanti.
Lui si avvicinò e le fece alzare la testa,poggiandole un dito sotto il mento.
Era la stessa donna del giorno precedente, ma le occhiaie profondissime e l’espressione dolente e impaurita, la facevano sembrare dieci anni più vecchia.
Le soppesò i seni, come per accertarsi che le violenze, che lei aveva subito durante la notte, non li avessero sciupati, poi il suo sguardo andò più in basso.
Jane teneva le gambe leggermente larghe, per evitare di perdere l’equilibrio, a dir la verità precario a causa della stanchezza, ed anche i suoi occhi guardarono dove stava guardando il colonnello.
‘Mi spiace tenente Jane Farrell, temo che la sua vagina, non potrà tornare come prima, dopo l’esperienza della scorsa notte, ma credo che, tutto sommato, può dire di essersela cavata bene, finora.’
Jane rabbrividì, sotto il piccolo ciuffo di peli biondi, c’era una specie di voragine, dai bordi arrossati e slabbrati.
Le veniva da piangere, ma si trattenne. Maledetti bastardi, mi avete massacrato la fica, mi avete sfondato il culo, ma non mi arrenderò.
Quando voleva farsi forza, diceva dentro di sé frasi dure e volgari, lei era stata allevata in una famiglia molto all’antica, dove certe espressioni non erano tollerate, e questa specie di gioco segreto, che non aveva mai confidato a nessuno, si era mostrato sempre efficace.
‘Veniamo ora al nostro interrogatorio.’
Il colonnello aveva spiegato sul tavolo una carta della zona e cominciò a farle domande,. Riguardo il dislocamento dei reparti.
‘Sono il tenente Jane Farrell, n’ di matricola …’
La bloccò con un gesto imperioso.
‘Non credo che questa sia una buona risposta.’
I due soldati che l’avevano accompagnata fin lì l’afferrarono da dietro a la trascinarono verso la poltrona di legno.
‘Ieri non lo sapeva, ma ora suppongo che comprenda bene come proseguirà la sua giornata e la successiva notte, è sicura di volermi dire solo il suo nome ed il suo numero di matricola?’
I due soldati le legarono con le cinghie polsi e caviglie mentre il colonnello avvicinava a lei il carrello con la macchina del vibratore.
Jane era paralizzata dal terrore: non avrebbe potuto sopportare un’altra giornata legata alla poltrona di legno e, soprattutto, una notte come quella appena trascorsa.
Il colonnello le applicò il vibratore, spingendolo dentro prima di fissarlo con il cerotto.
La sua vagina si era così dilatata, dopo quella notte, che la scatolina di metallo le era entrata dentro quasi completamente.
Sobbalzò quando mise in moto la macchina e si rese conto che l’effetto, forse perché il vibratore era sistemato più in profondità, era molto più forte rispetto al giorno prima.
Il colonnello si avvicinò tenendo in mano la siringa, dopo aver spento il vibratore e Jane chiuse gli occhi per non vedere l’ago che le forava la pelle.
Ebbe la sensazione che la quantità di sostanza iniettata fosse maggiore, rispetto al giorno precedente, e cercò di immaginare l’effetto che avrebbe fatto questa volta.
Il vibratore ripartì e lei cominciò a muoversi e a gemere sempre più forte.
‘Jane, quanto pensa di resistere, un altro giorno, una settimana, un mese?’
L’intensità del rumore e della vibrazione aumentò, poi il colonnello poggiò la mano sopra la scatolina e premette leggermente.
Jane piantò le unghie nei braccioli e gridò.
Il colonnello prese a muovere leggermente la scatolina in su e in giù.
Jane tremava e gemeva disperatamente.
Silenzio, aveva spento il vibratore e i due soldati, che si stavano godendo la scena, avevano emesso un mormorio di disapprovazione.
Tutto il giorno così, poi quei due, che non vedono l’ora di scoparmi, mi porteranno via e poi, per finire ‘ la notte ‘
Il vibratore ripartì, interrompendo le riflessioni di Jane, che riprese subito a gemere e ad agitarsi, poi arrivò l’orgasmo, improvviso ed incontrollabile.
Rimase per un po’ abbandonata, con il capo poggiato sulla spalla, mentre il vibratore implacabile, continuava la sua opera.
Capì che non avrebbe potuto continuare, sarebbe impazzita prima che venisse sera.
‘Basta ‘ va bene …’
‘Va bene cosa?’
Non riusciva neanche a parlare, perché dalla bocca le uscivano solo gemiti, sempre più forti.
Il colonnello mise al massimo il vibratore e Jane cominciò a scuotersi sempre più violentemente.
Questa volta non lo fermò sul più bello, per riprendere dopo, ma lo mandò avanti fino in fondo.
Lo staccò solo quando lei raggiunse nuovamente l’orgasmo e rimase immobile, con la testa piegata in avanti.
‘Allora, cosa diceva, tenente Jane Farrell?’
‘Basta ‘ dico tutto …’
Sentì le cinghie che si allentavano, poi qualcuno la prese sotto le ascelle e l’aiutò ad alzarsi.
Le pulsava forte il sangue sulle tempie e le tremavano le gambe, mentre i due soldati l’aiutavano a fare i pochi metri che separavano la poltrona di legno dalla scrivania del colonnello.
Nel sostenerla le palpeggiavano i seni ed il sedere, tanto per farle capire cosa avrebbero fatto se non fosse stato presente il loro superiore.
Uno le infilò pure una mano in mezzo alle cosce e Jane reagì con un gemito.
Era tornata al punto di partenza, nuda e in piedi di fronte al colonnello.
Questa volta non sbagliò e rispose a tutte le domande.
Alla fine il colonnello aveva un’espressione soddisfatta, molto meno i due soldati, che vedevano sfuggirsi una preda succosa.
Quando la portarono fuori, Jane era sicura che le sue traversie fossero finite, però, finché i due soldati non la depositarono sana e salva nella sua cella e se ne andarono, la paura di dover subire un supplemento di trattamento, non l’abbandonò.

Il tenente Jane Farrell fu liberato dopo una settimana di prigionia, trascorsa nella sua cella, senza che le accadesse nulla di particolare.
Per tutto il tempo fu costretta a restare nuda e, gli sguardi dei carcerieri, quando venivano a portarle da mangiare, le facevano venire i brividi, ma nessuno si azzardò a toccarla.
Solo l’ultimo giorno fu portata nella stanza con la doccia e, alla fine, le fu restituita la divisa insieme alla biancheria.
Naturalmente non parlò mai con nessuno di quanto capitatole durante i suoi giorni di prigionia.

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