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Racconti di Dominazione

l’ultima prova

By 21 Febbraio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

“Ti ho prestata, andrai da un mio amico questa sera stessa e passerai il fine settimana con lui. Sarai a sua totale disposizione e farai ciò che ti dice, tutto ciò che lui vorrà, quando tornerai saprò se il tuo addestramento può dirsi concluso.”

Sara ebbe un tremito, era la prima volta che veniva prestata, aveva fatto mille esperienze, di tutti i tipi, ma lui era sempre stato al suo fianco e nonostante le avessero fatto provare sofferenze inaudite, la sua presenza bastava ad infonderle coraggio e tranquillità. Ovviamente non osò fiatare nè lui le chiese alcunché. Alle sette di sera entrò nella sua stanza, le ordinò di spogliarsi, le mise il collare di cuoio, la cappa in velluto turchese, il guinzaglio e la fece salire in macchina. Tutto nel più assoluto silenzio. Prima di uscire dalla villa le legò i polsi dietro la schiena con un laccio in cuoio e una maschera sugli occhi perché, fu l’unica spiegazione, non doveva sapere dove andava.

La macchina si avviò e Sara cominciò a preoccuparsi. Perché quell’improvvisa decisione, perché per la prima volta non le veniva detto cosa sarebbe successo e con chi? C’era un non so che di insolito e di inquietante nell’atteggiamento di Marco, provava in sentimento di paura ed eccitazione al tempo stesso. Ma non aveva scelta, tutto era stato deciso sin dal primo giorno, quando avesse rifiutato un qualunque ordine tutto sarebbe finito e lei non lo voleva di certo. Era schiava dentro, amava essere torturata, posseduta, violentata, amava essere considerata un oggetto di puro piacere e dunque non poteva che accaderle anche questo.

Mentre pensava udì un colpo di clacson, un cancello che si apriva, “sono atteso dal Professore”, “passi pure, siamo stati informati del vostro arrivo”.

Sara si senti tirare dal guinzaglio ed a fatica scese dalla macchina, la maschera, i tacchi altissimi e le mani legate non agevolavano il cammino sul sentiero ghiaioso e gli strattoni sempre più violenti la sbilanciavano in continuazione.

“Ciao Marco, legala a quell’anello, andiamo a bere qualcosa”. Sara sentì il guinzaglio tirare verso l’alto, si sforzò con la testa per seguirlo, un nodo, avrebbe atteso in quella posizione, in punta di piedi, quasi appesa.
Una attesa snervante, faticosa, i crampi cominciavano a farsi sentire, finalmente una porta si aprì, una voce estranea e perentoria “Marco se ne è andato, ora vedremo se ti ha addestrata a dovere”. Venne slegata e la cappa le cadde ai piedi. Un brivido le percorse la schiena, era nuda, davanti ad un estraneo, nel buio assoluto, che cosa le sarebbe successo? Venne accompagnata contro qualche cosa, sì, era una spalliera di una poltrona o un divano, venne spinta all’indietro e si trovò inarcuata, a testa in giù, con la schiena su quella pelle fredda. Si sentì allargare le gambe e poi due mani cominciare a frugarla, ovunque, con brutalità, quasi a controllare la merce. Improvvisamente si sentì penetrare, era una mano, con tutte le dita, cacciò un urlo, non era ancora eccitata e la dilatazione fu dolorosa, urlò, la mano entrò ed uscì più volte, rapidamente poi, scorrendole sul ventre, raggiunse il seno, afferrò il capezzolo e si strinse come una morsa. Un altro urlo cui seguì un forte ceffone. “Taci! Non è che l’inizio. Se urli ancora ti metterò il bavaglio”. Si sentì sollevare e rigirare, ora a pancia in giù, via le scarpe, le gambe furono allargate al massimo, una corda grossa e ruvida venne applicata alle caviglie e poi tirata con forza, era totalmente aperta, il dolore si ripartiva tra le cosce e le caviglie, ma questa posizione così oscena la conosceva, era una di quelle che preferiva, rivelava tutta la sua perversione, la sua disponibilità, cominciò ad eccitarsi ed a provare un senso di piacere. Un sibilo, il fiato in gola, doveva essere una lunga frusta, neppure il tempo di rendersene conto altri due tre colpi consecutivi.. finalmente riuscì ad urlare, con tutta la sua forza, la sua disperazione. Le natiche vennero massaggiate per alcuni minuti, il respiro tornò regolare ed il cuore rallentò la sua corsa, una strana, calda sensazione, sì, la stava leccando, prima dietro poi il clitoride, sempre più velocemente, sentiva la sua lingua penetrarle dietro, bagnarla con la saliva, poi un dito, due, tre, la stava penetrando con la mano, come aveva fatto davanti ma questa volta con più dolcezza. Sentiva che stava per godere, chissà se poteva farlo, decise di chiederglielo. “sono eccitata, sto per venire, posso, signore?” La mano si ritirò per un secondo poi si chiuse a punta e penetrò con una forza inaudita procurandole un dolore fortissimo. “Dovresti saperlo che non ti è concesso!”

Arretrò di un passo poi il sibilo che ormai conosceva. Cinque frustate, terribili, come lame, non resistette, urlò e pianse. Un campanello, una voce femminile, “desidera signore?”, “che questa cagna vada nella sua stanza, dalle l’unguento, falla riposare e rimettila in ordine, questa notte dovrà divertici e la voglio in forma”. Venne slegata, a fatica si rialzò, il sedere in fiamme, sentì il moschettone del guinzaglio, la donna la stava trascinando via. Entrò in una stanza dove finalmente le fu tolta la maschera e slacciati i polsi, la stanza era illuminata da candele, doveva essere una villa antica oppure un castello, si voltòper vederla in volto ma fu delusa, era certamente giovane e ben fatta nel suo vestito da cameriera attillato, ma aveva un cappuccio nero e ne vide solo gli occhi scurii e luminosi.
La ragazza la fece sdraiare in una vasca e la lavò con cura, con gentilezza, quasi complicità. Non osò fiatare. Fu dolce nell’asciugarla, avendo cura di non farla soffrire sui segni lasciati dalla frusta, forse era una schiava anche lei, forse avrebbe dovuto fidarsi. La fece coricare sul letto e poi prese a massaggiarla dolcemente con una crema profumata. Un senso di benessere la pervase, si rilassò, chiuse gli occhi e pensò a Marco, non lo avrebbe deluso, a qualunque costo.

‘Si alzi, debbo prepararla, è ora’.
Sara obbedì, e subito fu presa da quella piacevole ansia che precedeva i giochi a cui veniva sottoposta. Nuda, solo il collare, i polsi legati sul davanti con un semplice laccio di corda. Un guinzaglio, sempre di corda, che la cameriera annodò con cura. Si incamminarono per un lungo corridoio illuminato da poche candele. Come avrebbe voluto che Marco fosse accanto a lei, a mitigare questa sua apprensione, a condividere l’emozione di questo momento, ad assaporare il frutto dei suoi insegnamenti. Non era innamorata di lui, ne era consapevolmente plagiata, ne subiva il fascino. Lui aveva saputo interpretarla quando, anni prima, all’uscita dal cinema in cui aveva visto Histoire d’O, la aveva abbordata e, senza mezzi termini, le aveva sussurrato all’orecchio che avrebbe voluto vivere quella storia con lei.
Ne fu profondamente turbata perché, per tutto il film, aveva desiderato di vivere una simile avventura, aveva immaginato che qualcuno la iniziasse al piacere della sottomissione, un piacere covato a lungo tra libri, fumetti, filmini visti e rivisti con una mano tra le gambe. Ora, dopo sei anni di lento e progressivo avvicinamento al piacere dell’SM, si sentiva pronta a tutto e per tutti, e provava gratitudine per la dolcezza ma anche fermezza con cui Marco l’aveva portata a quel punto. Avevano instaurato un rapporto dapprima saltuario poi sempre più frequente, sino a quando lei aveva abbandonato il suo lavoro e si era interamente dedicata a lui, pur sapendo che non sarebbe stato per sempre.
Una scala, piccola e ripida, sembrava interminabile, poi una grande porta in quello che doveva essere l’ingresso ad uno scantinato o una tavernetta, un luogo buio e tetro, eppure non freddo, un ambiente creato ad arte, lo si intuiva, e dietro la porta un vocio di persone, diverse persone, il cuore alzò il ritmo, all’ansia si sostituiva la paura.
La cameriera bussò tre volte, il vocio smise di colpo, poi la porta si aprì e Sara fece il suo ingresso in un grande salone, un mormorio le fece capire di essere apprezzata, ed in effetti era una gran bella donna, alta, magra, dalla pelle ambrata e soda, un seno grande con capezzoli larghi e turgidi, una folta chioma corvina, insomma un fisico perfetto per i suoi ventotto anni. Come entrò nel salone si rese conto della situazione, un palco, con tutte le attrezzature solite, la croce, un cavalletto, un verricello, una gogna, ed una poltrona come quelle da ginecologo, ma interamente in legno, poi, appese alla parete, una serie di fruste di tutti i tipi ed infine il lungo tavolo su cui c’era di tutto, un assortimento impressionante. Verso il centro della sala, disposte a semicerchio, una quindicina di persone.
Sara notò che erano tutti elegantissimi, le donne con abiti da sera e gli uomini in giacca e cravatta, avevano in comune una maschera di tessuto nero sul viso, tutti sembravano essere intervenuti ad una rappresentazione teatrale.
Ecco! Aveva capito, lei sarebbe stata lo spettacolo della serata, la ciliegina sulla torta di un party di lusso. Sara realizzò tutto questo in una manciata di secondi, il tempo necessario a percorrere i pochi metri che la portarono al centro del semicerchio. ‘Questa è la schiava di cui vi ho parlato amici, Marco me la offre per la serata come dono per il mio compleanno, ed io ho piacere di condividerla con tutti voi. E’ stata addestrata a lungo, Marco vuole che la valutiamo’. Con un sorriso beffardo si rivolse alla cameriera ed aggiunse: ‘Giada, falla vedere da vicino’.
La cameriera obbedì prontamente, raccolse il guinzaglio intorno al polso sino a raggiungere con la mano il collare, poi tirando verso l’alto obbligò Sara ad alzare la testa e la trascinò in mezzo ai presenti. Ad ogni passo veniva toccata, ora sul seno, ora tra le cosce, ora dietro, veniva pizzicata, penetrata, un ospite si alzò dalla poltrona, infilò nella bocca di Sara due dita e lei, sapendo quale fosse il suo dovere, iniziò a succhiarle, a leccarle con impegno, poi le dita divennero tre, quattro, spingeva in profondità, con cattiveria, ebbe un conato di vomito, subito controllato, ma le costò un ceffone violento, poi, dopo quella interminabile passerella, venne finalmente trascinata sul palco.
Spinta contro un tavolo con sopra la gogna, venne fatta piegare, la testa ed i polsi imprigionati, era di schiena al pubblico e, allargate le gambe e fissate con dei lacci, offriva tutta se stessa, completamente aperta.

Il padrone di casa, il Professore, prese un divaricatore, Sara poteva vedere poiché il tavolo degli attrezzi le stava di fronte, era in acciaio. Il padrone lo portò davanti alla sua bocca, lei non esitò ad aprirla e cominciò a leccarlo e cercò di inumidirlo il più possibile, sapeva bene che le conveniva.
Ecco, una mano le allarga la natica, poi, lentamente, l’attrezzo le viene infilato dietro. L’apparecchio si stava aprendo, sempre di più, sino a diventare pian piano doloroso, sembrava non fermarsi mai, Sara si morse le labbra, cercò di trattenersi dal lamentarsi, ecco, smette, ancora un attimo e avrebbe urlato. ‘Bene’ esclamò il padrone,’ sembra che come dilatazione sia perfetta, è arrivata quasi al massimo e senza fiatare, ora è opportuno lavarla, se vorremo entrare in lei dovrà essere degna di riceverci’. Così dicendo prese dal tavolo una brocca di vetro molto grande, in cui c’era del liquido bianco che somigliava al latte, tornò dietro a Sara, prese il divaricatore e lo spinse verso l’alto provocandole un dolore fortissimo poi si sentì invasa da quel liquido, era caldo, era tanto, sentiva il suo ventre gonfiarsi, rimuginare, contorcersi.
Al termine, Giada, la cameriera, si avvicinò, le tolse il divaricatore e mise il pollice nel buco schiacciando con la mano e impedendo al liquido di uscire. Alcuni minuti, poi venne liberata, fatta accovacciare su un contenitore in vetro, e, rivolta verso il pubblico, le venne ordinato di trattenersi dal versare anche una sola goccia. Sara si rese conto di quanto fosse umiliante trovarsi in quella situazione, il dolore al ventre la obbligava a sforzi incredibili che si esprimevano sul suo volto, per il divertimento dei presenti. Di tutte le torture, quella della pubblica umiliazione era per lei la peggiore, non le piaceva, non provava alcun gusto in quel genere di gioco, avrebbe preferito la frusta o gli aghi, o qualunque altra cosa piuttosto che quello, ma non aveva scelta e non le rimase che sperare che finisse in fretta. ‘Ecco, adesso puoi liberarti’ finalmente Sara si rilassò ed il liquido colò abbondante nella vasca di vetro, misto a tutto il resto, una liberazione che le diede un grande senso di piacere, dimenticò persino lo spettacolo che stava offrendo. Giada rimosse il contenitore, la fece alzare e tornare al tavolo della gogna, fu fatta piegare ma non fu imprigionata, le fu ordinato di allargarsi le natiche al massimo dopo di che si sentì leccare, la ragazza la stava ripulendo con cura. ‘Bene, ora possiamo cominciare, ma è troppo nuda, meglio vestirla un po’ – così dicendo il padrone prese due morsetti a vite e, trascinando la schiava verso il pubblico, li offrì ad una donna affinché li applicasse. Sara si inginocchiò automaticamente e sollevò i suoi splendidi seni offrendoli al supplizio. La donna apprezzò il gesto e si accinse all’operazione. I capezzoli vennero imprigionati con decisione, la donna seguiva con attenzione tutte le smorfie di dolore che Sara esprimeva ed anzi sembrava volerne cogliere le differenze ad ogni giro di vite. Nel frattempo il padrone aveva preso delle pinze e l’uomo accanto alla donna chiese di poterle mettere lui. Fu accontentato, Sara si alzò, gli si avvicinò, ma non aveva idea di cosa volesse, anche se poteva intuirlo.
L’uomo le fece sollevare una gamba e le mise il piede sul bracciolo della poltrona, la posizione offriva tutta la comodità necessaria all’operazione.
‘Ah! Due labbra stupende, sembrano fatte apposta’ fu il suo commento. In effetti anni di torture di tutti i tipi avevano dilatato sensibilmente le labbra della vagina di Sara, e nonostante due anelli ne occupassero il centro, erano sufficientemente grandi per potervi applicare diversi tipi di morse.
Con una brutalità inaudita l’uomo prese uno dei due anelli e lo tirò verso il basso, provocandole un dolore acuto, una scarica elettrica, temette che il labbro non avrebbe retto, ma evidentemente l’uomo era esperto, perché non successe nulla di irreparabile. Con quella dilatazione fu facile all’uomo applicare i morsetti che erano a scatto, duri ma sopportabili.
Il padrone continuava a provvedere il materiale ai suoi ospiti e fu così che un fallo in gomma nera fu offerto ad un’altra donna che prima se lo mise avidamente in bocca, lo succhiò, vi sputò sopra e poi chiese alla schiava di voltarsi e piegarsi e la penetrò dietro in un solo colpo, con forza, terminando l’operazione con un violento schiaffo sulla natica. All’uomo accanto toccò di appendere due grossi pesi ai morsetti delle labbra, due piombi che per la loro larghezza impacciavano molto il cammino di Sara, già impedita dal fallo che aveva dietro. Fu poi la volta di un fallo altrettanto grosso che le fu messo davanti e che la obbligarono a camminare a gambe allargate, era goffa e ridicola, ne aveva la consapevolezza e, ancora una volta, provò il disagio di una umiliazione odiosa. Per ultimo un uomo che doveva essere molto giovane prese dalle mani del padrone un morso in cuoio con due catenelle, lo portò davanti alla bocca della schiava che immediatamente la aprì, lui le mise il morso tra i denti e legò il bavaglio dietro la testa poi, ad una ad una, agganciò le corte catenelle ai morsetti dei seni, obbligandoli ad erigersi in una trazione dolorosa.
‘Ora vai’ il padrone era perentorio ‘ raggiungi il palco e aspetta. Sara si avviò, barcollando, ingombrata com’era da tutti quegli arnesi, pian piano raggiunse il suo posto e, a testa bassa, attese gli eventi.
Venne accompagnata a lato del palco e, all’improvviso, dall’altra parte entrò un ragazzo di colore, molto alto, bellissimo, era completamente nudo, una muscolatura possente, ma, soprattutto un pene che, a riposo, raggiungeva la metà della coscia ed aveva un diametro notevole.

Giada gli si avvicinò, si spogliò, gli si inginocchiò di fronte e comincio a prenderglielo in bocca. Aveva una bocca piccola, a fatica inghiottiva la punta, lavorava quindi molto di lingua e si accaniva con grande foga.
Sicuramente le piaceva ciò che stava facendo ma, pensò Sara, doveva riuscire a farglielo diventare duro in fretta o il padrone l’avrebbe punita, era una situazione che lei aveva già vissuto in precedenza. In effetti il ragazzo cominciava a mugolare, ed il pene si ingigantiva a vista d’occhio, stava diventando impressionante, solo su qualche rivista ne aveva visto di simili, si augurò di non doverlo subire, aveva già preso falli enormi sia davanti che dietro, ma di quelle dimensioni mai, neppure finti. Ecco, era pronto, aveva un non so che di mostruoso, di deforme, era arcuato, largo, nervoso, un brivido le corse lungo la schiena. Il padrone fece il giro della sala ed ogni uomo bisbigliò qualche cosa nel suo orecchio, alla fine salì sul palco e decretò la fortunata tra le donne presenti che avrebbe assaporato quell’enormità. ‘La fortunata è lei’ disse indicando una donna che doveva avere circa quarantanni, molto robusta ed in carne, con i capelli biondi e corti ed un viso che, se pur nascosto in parte dalla maschera, rivelava tratti nordici, molto duri. La donna si alzò e ringraziò i presenti per averla scelta, rideva mentre si avvicinava al ragazzo. Come voleva la regola del gioco, le fu portata una moneta, la sorte avrebbe deciso dove fosse penetrata. Il lancio, il padrone fece vedere a tutti i presenti, sarebbe stata presa davanti. La donna rise di nuovo di gusto, poi si diresse verso il giovane. In un attimo sciolse una grande gassa raccolta sul seno ed il bellissimo abito da sera si disfò ai suoi piedi lasciandola completamente nuda, tra il mormorio di stupore dei presenti. ‘Giada, scaldamelo ancora un po” disse e si avviò verso la poltrona da ginecologo. Mentre la donna si sedeva e spalancava le gambe, appoggiandole ai cavalletti laterali, Giada si era nuovamente avvicinata al ragazzo e dopo aver leccato il fallo più volte lo avvolse tra i seni andando avanti e indietro. La donna intanto aveva preso a toccarsi, si molestava il clitoride e poi si penetrava con tutte le dita, si vedeva chiaramente che era già eccitata e le dita uscivano completamente bagnate, dopo qualche attimo ‘ecco’sono pronta’ disse allargandosi e spingendosi in avanti verso l’estremità della sedia. Il ragazzo si mise tra le sue gambe, volgeva la schiena al pubblico ma la sedia era così bassa da far sì che tutti potessero vedere quella particolarissima penetrazione.
La donna lo prese con tutte due le mani, e lo guidò pian piano al suo interno, forse per paura che l’irruenza del giovane le procurasse dei danni, o forse per sentirlo ancora più suo, ancora più dentro. Il ragazzo cominciò a pompare, la penetrava sino a circa la metà del suo formidabile attributo, poi le mani della donna fungevano da fine corsa, del resto non avrebbe mai potuto prenderlo tutto. Furono attimi interminabili, la donna ansimava e non tratteneva il suo piacere, urlando e dimenandosi, il ragazzo le stringeva i seni e spingeva con un ritmo incredibile, poi, sicuramente istruito, all’improvviso chiamò Giada, uscì dalla donna si girò verso la ragazza ed eiaculò in un calice che lei gli aveva porto. Una quantità incredibile di sperma, più di mezzo calice fu riempito, scoppiò un fragoroso applauso ed il ragazzo si allontanò in fretta. La donna, sudata, scomposta, raccolse il suo abito e si allontanò anch’essa, su palco rimase Giada con il calice e Sara ferma in un angolo.
Pian piano il silenzio, Giada posò il calice, si avvicino a Sara, le tolse il bavaglio con le catenelle, poi allentò i morsetti e la liberò dei pesi tra le gambe, infine i due falli che erano in lei. Era tornata integra nella sua splendida nudità. Fu fatta inginocchiare e, come sempre, Sara allargò le gambe e mise le mani dietro la schiena, poi la ragazza prese dal tavolo un divaricatore in vetro si avvicinò a lei e glielo mise in bocca. Lentamente girò la farfalla sino a che la bocca non fosse completamente spalancata, infine, quasi come un sacro rituale, prese il calice e pian piano ne versò il contenuto. Il liquido, vischioso, ancora tiepido, colò adagio lungo il vetro sino a sparire nella gola di Sara che, a fatica, inghiottiva a più riprese badando bene a non muoversi, era eccitata da impazzire, questa situazione la gratificava e la faceva godere.

Un altro applauso sgorgò spontaneo dai presenti, un uomo robusto e piuttosto anziano si avvicinò al padrone e gli chiese qualche cosa, lui gli rispose di accomodarsi e fare ciò che voleva. L’uomo si avvicinò a Sara che era ancora ferma in quella posizione, in ginocchio, con il divaricatore in bocca, si sbottonò i calzoni, estrasse il suo membro e cominciò a masturbarsi appoggiando la punta sull’attrezzo. Non passò che qualche secondo e Sarà bevve il caldo sperma che sgorgò abbondante dall’uomo. Un altro, vista la scena volle fare lo stesso, senza neppure chiedere prese il posto del primo e cominciò anche lui a masturbarsi, il suo fallo era di piccole dimensioni, tanto che lo infilò parzialmente nel divaricatore e cominciò a pompare come la volesse scopare in bocca. Le faceva male, colpi continui contro il palato ed i denti, già la bocca era indolenzita per il lungo periodo di apertura forzata, per fortuna anche lui era eccitatissimo e venne in poco tempo, lasciando poche gocce nella gola della ragazza. Vi fu anche un altro che si avvicinò, era alticcio, quasi ubriaco, affermò che gli scappava e che non poteva trovare cesso migliore, si avvicinò con il membro in mano, Sara ebbe un sussulto, si tirò indietro e si tolse il divaricatore dalla bocca rannicchiandosi su se stessa, quasi tutti i presenti avevano seguito la scena e calò un rapido e gelido silenzio. Il padrone si rese conto della situazione ed intervenne.
‘No, scusate, è colpa mia, non ve lo avevo detto, Marco è stato categorico, qualunque cosa ma non sangue e non escrementi, amico, ti prego, lasciala stare o sfogati con lei in altro modo.’ L’uomo brontolò e poi si ritrasse, ma intanto nella sala continuava il silenzio. Il padrone disse a Sara di ricomporsi e tornare in ginocchio, dopo di che la rimproverò perché lei non avrebbe dovuto comunque reagire in nessun modo e per questo sarebbe stata duramente punita.

‘Dieci frustate con il gatto, poi dieci con il frustino, poi dieci con la bacchetta, così imparerai che spetta a me e solo a me decidere ciò che devi o non devi fare’. Sara venne legata alla croce e Giada si occupò delle prime dieci frustate con il gatto, furono vigorose ma non eccessive, quasi che una sorta di complicità la inibisse. Se ne accorse il padrone che, all’improvviso, fece partire una staffilata con una frusta lunga in direzione della schiena della ragazza, lei, colta di sorpresa, barcollò e poi cadde in ginocchio trattenendo il respiro e stringendo le labbra, si vedeva chiaramente dalla striscia violacea e leggermente sanguinante che la frustata era stata tremenda.
Sara si voltò per vedere Giada, nonostante ciò che la aspettava, ebbe pietà per lei, inginocchiata a terra in una smorfia di dolore; ebbe anche qualche secondo per vederne la schiena, con quella lunga striscia violacea e sanguinante ma anche con diverse cicatrici molto evidenti che ne segnavano la storia.
‘girarti cagna!’ fu l’ordine perentorio dopo di che partirono le dieci scudisciate con il frustino, dolorose, al limite della sopportazione, ma già la mente di Sara andava alla bacchetta, delle fruste era quella che temeva di più, sia perché la più dolorosa che per il rischio di lasciare segni anche permanenti.
Ebbe quindi un forte fremito di terrore quando il Padrone scelse una canna molto lunga e la offrì a quell’uomo che voleva orinarle in bocca, per fortuna i polsi erano ben ancorati e tesi poiché le gambe le cedettero di schianto.
‘Contale schiava, conta le frustate, e non sbagliare o si ricomincia’ Dieci frustate terribili, fortissime, Sara era certa che i suoi splendidi glutei sarebbero rimasti segnati irrimediabilmente, urlò i numeri con rabbia, con disperazione, piangendo senza alcun ritegno, poi , stremata, cadde in una sorta di svenimento, non ricordava di aver mai provato un simile dolore e non fu in grado di sopportarlo, anche se riuscì con uno sforzo di volontà incredibile, ad arrivare sino alla decima bacchettata prima di collassare.

Una penombra, un vocio sommesso, Sara aprì a fatica gli occhi e si guardò intorno, era sdraiata a pancia in giù su di un letto, un uomo, con la maschera in volto le stava accanto, ‘coraggio’ le disse dolcemente’ è tutto finito, sono un medico, non si preoccupi, è solo svenuta per qualche minuto poi si è assopita’. Poi, intuendo il pensiero di Sara ‘ non rimarranno cicatrici, la canna usata è sagomata in modo da non produrre eccessive lesioni, la sua splendida pelle tornerà perfetta, anche se ci vorranno un po’ di giorni, adesso riposi, questa sera Marco sarà con noi, e saremo lieti di informarlo che lei è una splendida schiava’.

Sara sorrise debolmente, era frastornata ma contenta, aveva superarto la prova, non si era negata a nulla ed aveva sopportato tutto sino in fondo, quel cedimento finale era solo la conferma di quanto alto fosse stato il suo sacrificio.

Dopo una giornata passata a riposare finalmente, all’imbrunire, venne accompagnata nella sala delle torture, ove Marco ed il Professore la attendevano. Marco le andò incontro, la baciò su una guancia e le disse che era fiero di lei.
Il professore la salutò a sua volta e li lasciò soli. Poi, esattamente come in Histoire d’O, Marco le disse che la sua avventura con lui finiva lì e che il suo amico sarebbe stato lieto di farle proseguire il cammino intrapreso sino a portarla ai massimi livelli. Non si stupì Sara, è come se lo avesse presagito, ora spettava a lei decidere, poteva tornare indietro e riprendere la sua vita di sempre, o andare avanti, con un nuovo padrone, per una nuova esperienza.

‘Addio Sara’ Marco si avviava verso la porta ‘se vorrai proseguire con il mio amico dovrai raggiungerlo tra due giorni ad Amsterdam, dove salirai sulla sua barca e diventerai la sua schiava, diversamente ti auguro buona fortuna’

Sarà non ci pensò che per un attimo, la sua vita era definitivamente segnata, voleva viverla così, sino alla fine, essere schiava la appagava, la soddisfava intimamente, e per nulla avrebbe rinunciato al profondo incomprensibile piacere che provava nell’essere legata, esibita, torturata, violentata.
Due giorni dopo saliva su uno splendido grande veliero, nel porto di Amsterdam, che sembrava essere lì solo per lei. Infatti, appena a bordo, tutto l’equipaggio, una decina di uomini, si attivò freneticamente, furono levati gli ormeggi, avviati i motori, poi, lentamente, verso l’uscita, verso il mare, verso la libertà di essere schiava, una folle contraddizione che le ubriacava la mente. La scelta
Il grande veliero dalle vele color amaranto procedeva lentamente, il porto di Amsterdam si allontanava e cominciava a perderne i contorni, all’orizzonte un grande motoscafo bianco si avvicinava velocemente ed alcuni marinai si apprestarono ad allestire la scaletta. Eccolo, era lui, il Professore.

Come salì a bordo le andò incontro, le baciò la mano, ‘grazie di avere accettato la mia offerta, se sei come penso non te ne pentirai e riuscirai a trovare te stessa sin negli aspetti più reconditi’. La ragazza si stupì di quella gentilezza, si aspettava da subito l’atteggiamento duro e sprezzante con cui era stata accolta alla villa, quando Marco la aveva offerta in dono, ed il suo stupore fu colto dall’uomo che proseguì ‘sarò il tuo padrone solo quando saprai sino in fondo ciò che ti aspetta e lo avrai accettato, per ora sei solo una gradita ospite ed è giusto che tu sia trattata come tale.’

Le fu fatta vedere la sua stanza, grande ma completamente disadorna, un letto a due piazze, con catene sulla testata ed alle gambe, sulle pareti anelli un po’ ovunque, un tavolo stranamente ampio, una gogna ad una estremità.
Una vera e propria sala di tortura, c’era persino un verricello in legno con i paranchi simili a quelli per ammainare le vele. Alcune matasse di corde, di catene e lacci in cuoio erano ordinati su una panca, accanto ad altri attrezzi di vario uso. Non c’erano oblò e la luce filtrava da un lucernaio a soffitto che dava sul ponte di prua, era piuttosto grande, tutto in vetro, da sopra si sarebbe potuta vedere la stanza interamente.

Poi, il Professore le fece visitare gli altri alloggi padronali e quelli dei marinai, la sala grande e la cucina. ‘Ora riposati, io ho da fare, ti farò chiamare tra qualche ora e ti chiarirò sino in fondo cosa voglio da te, cosa ti aspetta, avrai ancora una possibilità di accettare o rifiutare, potrai essere ricondotta in porto o salpare con me per nuovi orizzonti.’

Era stupita, frastornata, non certo per il lusso o l’ambiente, proveniva da una famiglia ricchissima di Bruxelles, ne era già abituata, ma l’atmosfera e soprattutto il fascino dell’incognito verso cui quello strano personaggio, inquietante e misterioso, l’avrebbe portata. Passò circa un’ora ed un marinaio la pregò di seguirlo. La sala era illuminata da candele, il Professore sudi una poltrona le disse di accomodarsi al centro. Ciò che subito la colse impreparata era la presenza dei marinai, erano in sei, seduti sui divani tutt’intorno, come fossero essi stessi degli ospiti. ‘Adesso ascoltami bene’ disse ‘questi uomini sono miei fedelissimi, sanno tutto di me, delle mie abitudini, del mio stile di vita. Essi mi ubbidiscono in tutto e sono molto fidati. Sono qui per conoscerti ed anche per essere testimoni di quanto sto per dirti.’ Sara si sedette sulla sedia al centro, era tesissima, non si aspettava certo di essere esposta così pubblicamente in quello che, pensava, dovesse essere una chiacchierata assolutamente privata, per cui si sentì a disagio, più di quanto non fosse stata quando, nuda, davanti a più persone, subiva umiliazioni e torture. ‘Marco mi ha precisato quali sono stati i limiti che avete concordato ed io li ho rispettati sino a questo momento, ma se accetterai di essere la mia schiava dovrai accettare anche i miei desideri, quindi sappi già sin da subito che le limitazioni che vi eravate posti cesseranno di esistere, tu sarai mia in tutto e per tutto, nessuna condizione di sorta.’
Nella pausa che seguì Sara tentò di realizzare in fretta cosa volesse dire e si rese conto che limiti quali gli escrementi o giochi di sangue sarebbero caduti. Si sentì avvampare, questo non lo aveva previsto, questo andava oltre tutte le esperienze sin qui vissute, non era affatto certa di volerlo, anzi ne fu molto spaventata. Sentì il suo viso avvamparsi, aveva addosso gli sguardi di tutti quegli uomini, seri, attenti, curiosi. ‘Mi sta a cuore la tua incolumità, non ho nessuna intenzione di deturparti o danneggiarti in modo permanente, ma non posso garantirti che sul tuo corpo non rimarranno i segni del mio piacere, mai in volto, certo, ma ovunque disporrò di te a mio piacimento e senza freni. Ti lascio ancora un ora, ritirati e riflettici, tra un ora, se avrai deciso di andare avanti, presentati qui, completamente nuda, sarai marchiata a fuoco con i miei simboli e sarai definitivamente mia.’

Fece fatica ad alzarsi, le gambe tremavano, senza guardare nessuno, gli occhi a terra, la fronte imperlata di sudore, si avviò lentamente nella sua stanza.

Si sedette sul letto e la sua mente corse alla schiena striata da profonde cicatrici di Giada, la cameriera della villa, ebbe un brivido, pensò a tutto ciò che poteva accaderle e le venivano in mente atroci torture. Ne aveva subite di tutti i tipi, trazioni, sospensioni, frustate, scariche elettriche, penetrazioni, aveva fatto esperienze sessuali con più persone ed in tutti i modi, ed alla fine ne era sempre uscita stremata, dolorante, contusa, ma, dopo qualche giorno tornava integra e pronta a nuovi giochi. Ora le si chiedeva di andare oltre, di offrire il suo corpo in modo totale, permanente, definitivo. Si strinse in se stessa, si accarezzò le braccia, poi le gambe, quasi a cercarsi, quasi ad interrogarsi anche fisicamente e fu così che ebbe la risposta alle sue angosce. La mano passò tra le gambe, non portava mutandine, non le era consentito, quindi toccò accidentalmente il suo sesso e rimase sconvolta quando si accorse che era bagnata, era eccitata, si ritrasse e vide macchie dei suoi umori sul letto, come mai non le era accaduto prima.
Quasi incredula tornò a toccarsi, con timore, poi con curiosità, infine prese a masturbarsi ed in pochi attimi ebbe un orgasmo come non ne aveva mai provati, intenso, lunghissimo, si contorceva ansimando e contraendosi, non si rese neppure conto che stava urlando il suo piacere.

Non c’erano dubbi, il suo corpo aveva deciso per lei. Si alzò, si tolse la minigonna, la camicetta, i sandali, poi, completamente nuda, si avviò al suo destino.

L’iniziazione
Nella sala il Professore la attendeva accanto ad un braciere ardente, una brace rossa e viva celava l’estremità di una bacchetta in acciaio.
‘Mettetela sul tavolo’ il tono della voce era totalmente cambiato, secco, deciso, risoluto.
Tre uomini presero la ragazza e la stesero sul tavolo, uno le si sedette dietro la testa, le sollevò le braccia, incrociò le sue mani dietro la nuca e le strinse in una morsa che sembrava di ferro, gli altri due allargarono le sue gambe, le sollevarono portando le caviglie vicino al loro collo ed arretrarono allargandola all’estremo, anche loro serrarono le mani possenti imprigionandola. Il Professore estrasse il ferro rovente dal braciere, si avvicinò alla donna che, istintivamente, chiuse gli occhi e si girò da un lato. ‘apri la bocca’ si sentì ordinare, lo fece e si sentì riempire da una specie di palla spugnosa, poi tornò a voltarsi ed attese. Passò qualche secondo e sentì il suo ventre bruciare, un dolore indescrivibile, lampi negli occhi, un senso di soffocamento, poi il nulla. Quando si risvegliò, nella sua stanza, era sul letto, un uomo la osservava in silenzio, alzò a fatica la testa, un grande cerotto le copriva il monte di venere, il dolore era intenso, tornò ad assopirsi. Non seppe quante ore aveva dormito, sicuramente le avevano iniettato sedativi, ma ora stava bene, il dolore era scomparso ed anche il cerotto. Ora poteva vedere il segno del dominio che avrebbe portato per sempre con lei, la testa di un falco circondata da una catena a forma di scudo. Era sola e libera, pian piano si accarezzò, non provava sofferenza, si accarezzò quel segno, la leggera cicatrice ancora fresca e cosparsa di uno strano unguento le restituì un lieve fremito, poi la mano scese, cominciò ad accarezzarsi, leggermente, poi sempre con più vigore, si pizzicò il clitoride, si penetrò con due dita e si lasciò trasportare.

‘Vestiti, ti aspetto tra dieci minuti di là, la tua iniziazione è solo cominciata.’

Fece in un lampo, era estate, faceva caldo e non aveva istruzioni, mise quindi una gonna lunga sino ai piedi ed una camicetta annodata sul davanti, sotto, ovviamente, nulla. Il motoscafo era già pronto, la nave era ferma, il silenzio fu interrotto da potenti motori, appena a bordo partì in direzione del porto che si intravedeva all’orizzonte. Un porticciolo di una cittadina, per le strade non c’era un’anima, era tarda mattinata ma la zona era deserta.
Una targa, Dott Himak, un portone in legno socchiuso, il Professore le fece cenno di seguirlo e vi entrò con sicurezza dirigendosi verso una scala.
Quando bussò e disse il suo nome gli fu immediatamente aperto ed un signore anziano lo salutò cordialmente. ‘Ti aspettavo ed ero curioso’ poi, rivolto alla ragazza, ‘spogliati e stenditi su quel lettino’ le ordinò con voce decisa. Sara non se lo fece ripetere, un bottone, il nodo, ecco era nuda, si coricò a pancia in su, allargò le gambe lasciandole pendere dal lettino e mise le mani dietro la nuca, fissò il soffitto, interamente decorato da un intreccio di antiche travi in legno scuro, quella casa doveva essere vecchissima, anche se tenuta in modo perfetto. L’uomo le si avvicinò, estrasse da sotto il lettino due specie di braccioli, li girò ed ecco una sorta di poltroncina ginecologica, sollevò le gambe di Sara e le posizionò in modo che fosse totalmente aperta e pronta. ‘Cos’altro mi farà?’ si chiese con una certa apprensione, non vedeva attrezzi, solo quell’uomo che si infilava guanti in lattice. Poi si recò presso un armadio, lo aprì ed estrasse un tronchesino piuttosto grosso tornando tra le sue gambe. Si tese, ebbe un brivido, cosa mai le avrebbe fatto? Si rasserenò quando si accorse che stava asportando i due anelli d’oro che Marco le aveva imposto e saldato nelle labbra della vagina. Certo, pensò, era giusto rimuovere i segni di un altro padrone. ‘Ecco’ disse il Professore, ed allungò all’uomo un piccolo lucchetto in oro e diamanti. Sara intuì, avrebbe sostituito gli anelli e, data la forma, avrebbe sigillato le labbra impedendo parzialmente l’accesso. Ovviamente l’operazione non fu dolorosa, i fori precedenti erano già di grandi dimensioni, in un attimo fu imprigionata. I due anelli rimossi le vennero applicati ai capezzoli, e quella invece fu un’operazione più sofferta perché erano ben più grandi degli anelli rimovibili che era solita mettere quando le veniva ordinato. Ma quell’uomo doveva essere un grande esperto perché procedette gradatamente allargando i fori con diversi spessori prima di applicare e sigillare quelli definitivi. Ecco, a quel punto non avrebbe potuto più rimuoverli se non facendoli nuovamente tagliare, se anche avesse indossato un costume si sarebbero visti, ma non le importava, anzi le piaceva l’idea che si sapesse chi fosse e come viveva.

Ma non era finita, fu la volta della lingua, il Professore volle che fosse forata e predisposta per un altro anello che fece vedere al Dottore. Un anello apribile, anch’esso in oro, delle dimensioni di una fede. Ci vollero diversi giorni prima che Sara si abituasse a quel foro e quando le fu applicato l’anello per la prima volta fece una fatica notevole a sopportarlo. Ma le fu immediatamente tolto ed al suo posto una sferetta, seppe che l’anello sarebbe stato usato solo per certi giochi o punizioni. Ecco, l’iniziazione, dal punto di vista estetico era completata, era pronta per essere usata, per il piacere di chiunque avvesse voluto il suo nuovo padrone, entrò in bagno, si mise un fazzoletto in bocca per non farsi sentire e cominciò a toccarsi, non ci volle molto, l’eccitazione era tale che venne subito, e poi…ancora.
In rotta verso la Spagna, verso nuove sensazioni…

Il Professore si era assentato per alcuni giorni e lei aveva vissuto in barca, in navigazione continua, stranamente ignorata dai marinai, quasi non esistesse se non per essere servita ai pasti che consumava sola nella sua cabina. Prendeva il sole sdraiata in prua, completamente nuda e senza remore, oppure leggeva o guardava la televisione, le ore non passavano mai.
‘Il professore al telefono, è per te’ disse il marinaio entrando improvvisamente nella stanza e le porse la cornetta “da adesso sarai a disposizione dell’equipaggio, fa tutto ciò che ti ordinano, hanno istruzioni e limiti precisi che non oseranno varcare, uno di essi è lì per rendermi conto di come ti comporterai, sii con loro come saresti con me e attenta, ti conviene assecondarli in tutto e bene, ripassami il marinaio”, Sara chiamò l’uomo e gli ripassò la cornetta, parlarono alcuni minuti, lui annuiva e la guardava accennando ad un sorriso beffardo. Come chiuse la conversazione si avvicinò a lei e con un gesto rapido e violento le strappò la maglietta sul davanti poi la fece girare e la sfilò dalle braccia, prese il bordo inferiore della gonna e lo strappò verso l’alto aprendola completamente e buttandola a terra.
‘Ecco, da ora in poi sarai vestita così, come sei adesso. Era completamente nuda. Le ordinò di togliere anche i sandali e poi di recarsi in sala ad aspettarlo. Era sconcertata, sapeva che prima o poi qualcosa di simile sarebbe successo e le sue fantasie erano spesso andate in quella direzione, immaginando giochi di gruppo, torture, stupri. Si era eccitata, anzi, lo era anche adesso, sentiva i suoi umori aumentare in lei, lentamente si avviò e scese in coperta. Si mise al centro ed attese, poi, dopo pochi minuti entrò quel marinaio, aveva in mano una corda, la fece voltare e legò i suoi polsi dietro la schiena, poi, facendo passare la cima in un anello al soffitto cominciò a tirare obbligandola ad abbassarsi man mano che le braccia venivano trascinate verso l’alto. In pochi secondi si trovò a novanta gradi. L’uomo prese un bastone lungo circa un metro, con due anelli alle estremità, le fece allargare le gambe ed ancorò con altre due piccole cime le caviglie agli anelli, ora era aperta e pronta. Si tolse i pantaloni si mise davanti alla bocca e puntò il suo membro iniziando a masturbarsi. Sara sapeva cosa doveva fare in quei frangenti, aprì le labbra ed estrasse la lingua, attendendo immobile. Quando fu sufficientemente eccitato, l’uomo le si avvicinò e glielo mise in bocca, lei cominciò a leccare e succhiare con impegno, era un bel ragazzo, ben dotato e pulito, la cosa le procurava piacere, nonostante la costrizione cui era sottoposta. Ma durò poco, l’uomo prese a pizzicarle i seni, con forza, le faceva molto male, continuava a cambiare posizione e più si eccitava più stringeva, intanto cominciava a pompare dentro la sua bocca, diventava sempre più duro e più violento, poi prese a piene mani i suoi seni e strinse fi quasi a farli scoppiare quindi venne abbondantemente.
Fece fatica ad ingoiare tutto, il dolore ai seni la faceva urlare ma non poteva e si sentiva soffocare. Dopo aver goduto, lui si ritirò dalla sua bocca, si allontanò e tornò con uno straccio che mise sul pavimento, lei non capiva, non aveva neppure versato una goccia, perché quello straccio? Non ebbe il tempo di chiederselo che un getto caldo la colpì in viso, sbarrò gli occhi, incredula, questo non lo aveva previsto, non ci era abituata, era la prima volta, ebbe immediatamente conati di vomito. L’uomo le diede un ceffone e le gridò di aprire la bocca immediatamente, lei non riusciva, era come bloccata, come in una morsa d’acciaio si sentì premere le mascelle, una pressione incontenibile, cedette, aprì e fu inondata da quel liquido caldo, acido, che dovette in gran parte ingoiare per poter al tempo stesso respirare. Ma non resistette e vomitò tra gli insulti dell’uomo che si ritrasse, la maledì ed uscì dalla stanza senza neppure rimettersi i pantaloni.
Era sconvolta, un gusto amaro ed acre in bocca, la testa pesante chinata, sudata e dolorante per la trazione delle braccia, era al limite delle forze.
Passarono diversi minuti, l’uomo rientrò, la slegò e le gettò in faccia uno straccio ordinandole di pulire tutto per bene, poi se ne uscì ridendo, le disse che avrebbe dovuto abituarsi a questo e a ben altro, e avrebbe dovuto farlo in fretta o la sua vita sarebbe stata un inferno continuo.
Era intenta a quell’odioso lavoro, chinata sul pavimento, non si era accorta che era entrato qualcuno ed improvvisamente si sentì penetrare dietro, un oggetto duro, grosso, voltò la testa di scatto, un altro marinaio, più vecchio del primo, con un volto dai lineamenti asiatici, forse un arabo, teneva un mano un grosso bastone e glielo spingeva con forza dentro. Lasciò lo straccio, si abbassò al massimo ed allargò le natiche per alleviare il dolore ed agevolare la penetrazione, gemette ma cercò di contenersi, se non fosse stata colta di sorpresa avrebbe anche provato un certo piacere, essere penetrata dietro la eccitava molto, pian piano si rilassò e cominciò ad ansimare, l’uomo spinse avanti e indietro quel fallo artificiale, poi lo estrasse di colpo, arretrò di un passo e si mise ad osservarla. Lei era aperta, le mani ancora tese ad allargarsi, lo intravedeva, si slacciò la cintura, la sfilò, lei capì, si lasciò le natiche e si mise con i gomiti appoggiati in avanti, in attesa di ciò che arrivò immediatamente, una serie di cinghiate, da lontano, forti, precise in mezzo al solco, alle prime resistette poi cominciò a gemere, sino ad urlare, sembrava non finisse mai. Era in fiamme, tutta indolenzita, vide l’uomo riprendere il bastone e fu sufficientemente rapida da tornare ad allargarsi prima che lui la penetrasse nuovamente, infine, si sbottonò la patta, estrasse il membro e si sostituì al bastone.
Non era duro, ma il foro era ben dilatato e le entrò dentro senza fatica, si aspettava che cominciasse ad incularla, ma dopo qualche attimo si sentì inondare da un liquido caldo. Realizzò immediatamente ma si guardò bene dal reagire, sia perché in quel posto non le faceva ribrezzo, sia perché voleva assolutamente soddisfarlo e non irritarlo. Il marinaio si liberò completamente, poi uscì da lei e, prendendo lo straccio dal pavimento, glielo porse dicendole di andare in bagno a ripulirsi, di tornare a lavare la sala e poi di ritirarsi nella cabina, per quel pomeriggio l’avrebbero lasciata in pace ‘forse’ e se ne andò ridacchiando soddisfatto.
Entrò in bagno, la porta doveva essere lasciata aperta, si sedette sulla tazza e si rilassò, il liquido le colò fuori, era tantissimo, poi entrò nella doccia, aprì l’acqua, sedette a terra e si lasciò andare, era stanca, ma intimamente sazia, aveva goduto a lungo, anche se si era guardata bene dal raggiungere l’orgasmo in presenza di quegli uomini. Adesso era sola, adesso poteva, prese a toccarsi, non ci volle molto per venire e lo fece senza remore, senza inibizioni, quasi urlando il suo piacere.
Uscì dalla doccia si asciugò, prese lo straccio e pulì accuratamente il pavimento, si avviò poi verso la sua cabina ma venne afferrata di sorpresa, si spaventò, un altro uomo, alto, biondo, a torso nudo, le prese un braccio e la trascinò con violenza contro la spalliera di una poltrona, poi le prese i capelli e tirandoli con forza la obbligò a piegarsi a pancia in giù. Sara barcollò, poi appoggiò i gomiti ai braccioli e cercò di capire cosa le stesse succedendo. ‘Ti è sfuggito un dettaglio, cagna, l’oblò della doccia era aperto ed abbiamo sentito tutti quello che hai fatto in bagno. Non sei autorizzata a godere, e lo sapevi, adesso ne subirai le conseguenze’. Così dicendo prese un frustino e cominciò a picchiarla, venti frustate, da contare ad alta voce, con una lunga pausa tra una e l’altra, quando finì di subire quel tormento si trascinò a quattro zampe nella sua cabina, piangendo a dirotto, si sdraiò sul pavimento e continuò a singhiozzare. Quella notte non riuscì a dormire.

Si intravedeva l’alba, tutto era ancora grigiastro, Sara si alzò, era piena di lividi ai seni e striature sulla schiena e sulle natiche, la nave beccheggiava paurosamente, dall’oblò del bagno si vedevano le spume di un mare che si andava gonfiando ed increspando. Entrò un marinaio, le disse che doveva sbrigarsi a raggiungere la cucina per portare il caffè ai suoi padroni.
Si affrettò, prese la grande brocca, le tazze su un vassoio, poi si diresse in sala dove c’erano quattro marinai seduti ad aspettarla. Dovevano avere fatto la notte perché erano fradici, il viso tirato. Ma erano anche allegri, lo si capiva dalle battute pesanti rivolte alla schiava, facevano a gara a disturbarla mentre versava il caffè o lo porgeva, minacciandola di non versarne una goccia o peggio per lei. Ma era difficile mantenere quell’impegno, oltre lo sballottamento della nave si sentiva frugare dappertutto, pizzicare i seni, tirare gli anelli dei capezzoli o infilarsi le dita dietro, un piccolo inferno, ma nulla di doloroso. Due se ne andarono e i due rimasti si sedettero sul divano, si abbassarono i pantaloni, presero a masturbarsi e dissero alla ragazza di eccitarli danzando. Era allegra anche lei, l’avevano palpeggiata, molestata, ma senza violenza, si era sentita utile ad alleviare le fatiche di quegli uomini, si recò verso lo stereo, accese la radio, passò alcuni canali sino a raggiungere una musica che le sembrò adatta, un sax in un blues lento ed armonioso. Prese ad ondeggiare, il ventre si contorceva mentre le anche sembravano cullarsi sul moto delle onde che lambivano lo scafo, si accarezzava lentamente i seni, si scioglieva i capelli e poi si voltava abbassandosi ed allargandosi, dolcemente, con sapienza, era davvero molto eccitante. Spiava gli attributi dei due uomini che non perdevano un solo movimento, ridacchiavano e lanciavano battute pesanti, ma la loro eccitazione cresceva in fretta, come il ritmo della loro mano. Ecco, uno di essi stava per venire, disse alla ragazza di avvicinarsi, di voltarsi e di impalarsi su di lui. Lei obbedì prontamente, si sputò sulle dita e si penetrò rapidamente, poi, leggermente lubrificata, prese in mano il membro duro dell’uomo, lo portò dietro e si fece penetrare, incominciando a scendere e sollevarsi, prima lentamente poi sempre più forte, intanto si mordeva le labbra, sperando in cuor suo di riuscire a trattenersi dal godere. Stava impazzendo, i seni turgidi, gli umori colarle dalle cosce, prese a pizzicarsi i capezzoli nel tentativo di procurarsi un dolore che la distogliesse dall’orgasmo imminente.
Pensò l’altro uomo a riportarla indietro, si alzò, si mise davanti a lei e, nonostante lei avesse immediatamente aperto la bocca, le venne sul viso, sugli occhi, sui capelli e poi, con il palmo della mano, le imbrattò il viso, spalmò il suo umore ovunque quindi, non pago, infilò la mano nella sua bocca ordinandole di pulirla accuratamente, cosa che lei fece senza smettere di ancheggiare e portare l’altro, dentro di lei, all’orgasmo, cosa che avvenne dopo pochi minuti. Rimase immobile ad attendere, mentre sentiva il membro afflosciarsi, l’uomo le diede una violenta pacca sulla natica e le disse di ritirarsi, lavarsi e riposarsi che la giornata era lunga.

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