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Racconti di Dominazione

Meister

By 23 Aprile 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Era una calda giornata di luglio quando, terminate le code in autostrada, l’aria di mare penetrò nell’abitacolo da un finestrino aperto.
Il Maestro, così si faceva chiamare da chi cedeva alle sue lusinghe, sorrise e respirò a fondo. Finalmente, con la mente libera dal lavoro e dalla famiglia, avrebbe potuto vivere quelle che erano state in passato le sue fantasie più deliziose.
Un lungo periodo passato a sognare, digitando tasti e leggendo quello che altre scrivevano più o meno velocemente ed in modo più o meno coinvolgente. Cercava con ogni mezzo di legare a sè, con parole, frasi e fantasie, le emozioni più nascoste da ogni donna che aveva trovato per caso ospite della rete.
Di ognuna ricordava i sogni, i desideri e ad ognuna donava le parole che questa voleva sentirsi sussurrare.
Questa volta non aveva il pc che poteva ammortizzare o amplificare le sue emozioni e quelle delle altre deliziose lettrici.
Sarebbe stato solo, di fronte a degli occhi. Solo, di fronte ad una bocca. Solo. Questo era il lato più eccitante della situazione, finalmente era libero dai legami della vita quotidiana.
La famiglia era da poco partita in vacanza per un periodo abbastanza lungo e l’avrebbe raggiunta solo fra qualche settimana. Il lavoro impellente era stato completato e la località di mare era stata scelta ad hoc per poterlo verificare in una città campione, questa aveva le caratteristiche ideali della città: potersi dedicarsi di giorno al lavoro e di notte alla fantasia.
La villa, presa in affitto per il periodo di soggiorno, si trovava in una zona periferica della cittadina, collinare, fresca di sera.
Una casa isolata, silenziosa, immersa nel verde, l’ideale per il relax di un uomo stanco della quotidianità e proiettato, da tempo, nel mondo della fantasia.
Parcheggiata l’auto nel piazzale della villa, dopo aver percorso un viale cosparso di ciottoli di fiume che scricchiolavano ospitali in un silenzio paradisiaco, si ricordò dell’unico altro abitante del luogo indicato dall’agenzia: una gentile domestica, abile e discreta, che completava l’offerta turistica.
Scaricati i bagagli, cominciò un’attenta visita della nuova dimora; il maestoso portone d’ingresso era laccato di bianco ed aveva al centro un gran pomello d’ottone lucido, la porta era socchiusa ed ospitale. 

Entrò deciso, vide una sorridente signora di mezza età presente nella sala, in piedi in attesa di eseguire ordini. Com’era abituato a fare con ogni donna, esplorò il suo aspetto cercandone ogni dettaglio: capelli biondi lisci raccolti in una coda che ondeggiava sulle spalle, piccoli monili d’oro bianco ai lobi, un tenue colore sulle guance, occhi azzurri, un piccolo naso, una bocca carnosa ma volutamente poco ammiccante. Aveva un bel viso. Le sorrise e guardò oltre, le sue piccole mani con le unghie ben tagliate, un bel punto vita arricchito da seno e fondoschiena invitanti, delle ciabattine con un piccolo tacco su cui le strette caviglie salivano imperiose. Una bella donna. La camicetta aveva un motivo floreale di cotone, molto fresca, come i bianchi pantaloni di lino corti sotto il ginocchio. Dietro di lei, nell’ampio salone, una scala lambiva le pareti per andare al piano superiore.
La signora chiese di portare i bagagli in camera, ma fu fermata dall’uomo. Non importa, le disse. Sorrise mentre lo diceva, pensando a quante volte nelle fantasie senza limiti, rese possibili da internet, aveva avuto a che fare con le donne e come le aveva deliziosamente curate.
Salendo sulla scala di legno, i gradini cigolavano uno dopo l’altro. La villa era stata costruita all’inizio del secolo ed era stata riadattata per i soggiorni estivi; niente riscaldamento, niente aria condizionata, niente telefono. L’unico lusso era quello di avere disponibili l’acqua calda e la corrente elettrica.
Avrebbe visitato le altre stanze nei giorni successivi; adesso aveva bisogno di riposarsi. Proseguirono fino alla camera al secondo piano. Le porte erano di colore verde chiaro con al centro, dipinto, il numero della stanza circondato da tralci di edera, pomelli rotondi di ceramica al posto delle classiche maniglie, riccamente dipinti con motivi floreali. Ruotandolo entrò nella stanza, era spaziosa e accogliente: un gran letto di lato, un armadio capiente, una scrivania d’epoca con una lampada che emanava una luce soffusa, in fondo una porta portava al bagno, una larga vetrata nascosta da una pesante tenda portava su una terrazza panoramica da cui, sebbene in lontananza, si vedeva il mare. La tipica vista mare delle agenzie turistiche, pensò, anche se a molti chilometri di distanza. 
Accostate le valigie in un angolo della stanza, si diresse al bagno. Il bagno d’epoca era in pieno stile inglese d’inizio secolo; notò la grande vasca che riempì d’acqua e dei sali che erano stati lasciati sulla mensola. Il bagno fu rigenerante, seguito da un riposo nel letto che accolse il corpo, ormai rilassato, per qualche ora.

Si svegliò al trillo di uno dei telefonini che aveva portato: era quello della famiglia. Tutto bene, sono arrivato, a domani, ciao. Era di poche parole. Non sempre. Spense il telefonino usato per la professione che era rimasto acceso. Cercò in valigia, trovò il cellulare che permetteva di sublimare le fantasie. Lo accese, nessun messaggio. Bene, pensò. Aprì la rubrica e cercò il nome con calma. Sara. Preparò il messaggio con la solita dovizia di particolari e lo inviò. Spense anche il terzo cellulare.

Erano circa le quattro di un caldo pomeriggio, il cellulare di Sara emise un flebile trillo dalla sua borsetta: un nuovo messaggio era arrivato, nuove emozioni per lei da vivere. Così, con mano tremante, frugando di nascosto al lavoro lo cercò, come per soffocarlo. Andò, come era solita fare, al bagno, dove leggeva in completa segretezza le fantasie che avrebbe potuto vivere, le pazzie che avrebbe compiuto guidata dal suo Meister, come amava chiamarlo. Il suo Maestro mandava i messaggi sul suo cellulare, come se avesse avuto un telecomando fra le mani. Lui cambiava la sua vita. E decideva per lei cosa fare. Come vivere.
Le dita, freneticamente, scivolavano sui tasti per estrarre il testo tanto bramato. Trovò queste poche parole: – Alle 18 recati in Viale Verdi nr. 12, indossa sandali bassi neri, top di seta nero con spalline e gonna bianca lunga al ginocchio, con spacco – . Era sempre così attento ad ogni particolare, pensò, ad ogni dettaglio. Aveva solo due ore per prepararsi e raggiungere il luogo da lui prescelto. Chiese di uscire prima dal lavoro e scappò a casa. Appena arrivata si regalò una doccia rinfrescante per poi indossare gli abiti richiesti ed applicare un trucco leggero, prima di uscire. Conosceva il viale, ma non ricordava cosa avrebbe trovato. La strada aveva tanti negozi, al numero indicato trovò un negozio etnico, – Gazzella – ; aveva visto qualche volta la vetrina passando. Curiosò davanti le vetrine aspettando le 6 del pomeriggio e all’ora indicata entrò. Un intenso odore d’incenso penetrò le sue narici, aspirò piacevolmente il delizioso aroma per cominciare la sua vita parallela, quella in cui era come guidata, nelle mani di chi cercava di donarle le emozioni più coinvolgenti per il suo piacere: fantasticare ad occhi aperti. Vide in terra cuscini di seta variopinti e cangianti sotto i raggi del sole, alle pareti tende da sole, leggere come le nuvole e trasparenti come le onde del mare il cui colore era indescrivibile tanto era particolare, oggetti nei materiali più svariati di ogni foggia a testimoniare una capacità di plasmare la materia senza ricorrere agli utensili moderni, ma solo con la mente e rozzi scalpelli. Lo sguardo si soffermò sulla commessa del negozio, forse la proprietaria, che sorridendo le andò incontro e le chiese: – Desidera qualcosa di particolare? – . Sara non sapeva cosa rispondere, le indicazioni date erano solo per raggiungere il negozio e in che modo vestirsi e non che cosa avrebbe dovuto fare; pensò al Maestro se fosse entrato in negozio, lo avrebbe finalmente visto. Ne ignorava, infatti, ogni dettaglio fisico, poteva essere chiunque. Chissà, forse, poteva essere la donna che la stava servendo. Scacciò quest’ultimo pensiero con un sorriso. Con voce flebile emise un – Sì, cercavo qualcosa di particolare – .
La signora tolse ogni imbarazzo alla situazione sussurrando, – Mi scusi, lei si chiama Sara? – . Un rossore colse la giovane sentendosi chiamare per nome. – Sì – emise flebilmente. – Ho un pacco per lei, allora – aggiunse. – Ed anche una busta, buona serata – , porgendole il pacco e la busta. – La ringrazio, anche a lei – balbettò, imbarazzata per la situazione, uscendo.

Camminò con passo svelto per il resto del viale e si fermò su una panchina poco distante. Chiuse gli occhi, li aprì di nuovo, guardò l’orologio: erano le 18 e 30. Respirò a fondo e aprì la busta.
Annusò la lettera, odorava d’incenso, la lesse soffermandosi di tanto in tanto, come se volesse tatuarla nella sua mente per poterla viverla. Forse era questo che avrebbe fatto. Vivere un’emozione, letta su un foglio, scritta da uno sconosciuto.
Il testo era il seguente:
– Buonasera Sara, ho un regalo per te, le mie fantasie, spero di non deludere le tue aspettative, per farti sentire Viva. Non aprire il pacco e vai in Via Udine nr. 7 e spingi il pesante portone, corri – .
Con il cuore in gola, la curiosità mise le ali ai piedi di Sara. In pochi minuti era arrivata alla nuova meta, un elegante portone di un edificio in disuso. Era aperto, spinse silenziosamente, l’androne era deserto. Al centro una busta bianca in terra. La raccolse, le mani erano sudate per la tensione, chissà cosa avrebbe letto, chissà; ma aveva fiducia, chi amava guidarla non aveva mai tradito le sue attese. Avrebbe voluto aprire il pacco, ma non le era stato permesso. Lesse il testo, finemente scritto come sempre, nel font – Bookman Old Style corsivo – ; non conosceva la sua scrittura a mano libera. Sorseggiandolo, si dissetò con le sue parole e le sue nuove indicazioni. Erano delle nuove istruzioni:
– Sara, adesso puoi aprire il pacco. Troverai dentro cosa ti serve e cosa dovrai fare. Mi aspetto molto da te, come sempre – . Tremava come una foglia per l’emozione dell’attesa, si sedette su una poltrona e cercò di allentare la tensione. Aveva appoggiato il pacco da aprire di fronte a sé carezzandolo con i piedi, insieme paura e desiderio del suo contenuto esplosivo. Si decise ad aprirlo: carta, carta, solo carta appallottolata: era vuoto. Non era possibile. Cercò meglio. Trovò una nuova lettera, la aprì senza esitare. – Mia cara Sara, non devi essere precipitosa, le emozioni si apprezzano poco a poco. Cerca dietro il bancone del portiere e troverai un nuovo pacco per deliziare la tua mente – . Fremente, si diresse verso il nascondiglio che la separava dal piacere di vivere le fantasie che la guidavano. Un involucro più grande si presentò seminascosto dietro il bancone. Era di colore verde acqua; amava quei toni pastello, amava il mare che era la sua fonte d’energia. Vivere in un luogo di mare, era per lei linfa vitale. Lo aprì. Prima di aprire il biglietto che accompagnava dettagliatamente gli oggetti contenuti, dette uno sguardo al contenuto, estraendolo ordinatamente sul bancone, una sorta d’inventario, la lista della spesa necessaria per le sue emozioni. Trovò una busta di velluto con dei monili dentro che sentì tintinnare, delle calzature, un abito e della biancheria intima.
Lesse le istruzioni, avida di conoscerne l’uso.

– Sara, chiudi il portone da dentro, per maggior sicurezza. Spogliati, completamente. Apri il sacchetto di velluto; l’anello a forma di onde intrecciate lo devi mettere al secondo dito del piede sinistro, la cavigliera alla caviglia destra. Indossa le mutandine color carne che ti ho preso, un colore che ami portare. Il reggiseno non lo metterai adesso. Ho scelto per te un abito di tela indiana bianco, molto fresco, con un delicato ricamo traforato floreale. Trasparente come una nuvola ai raggi del sole, mia deliziosa Sara. I sandali di cuoio bassi saranno comodi per te. Togli gli occhiali, non ti serviranno. Metti le tue cose e il reggiseno nella borsa che è sul fondo della scatola. Adesso puoi uscire. Adesso devi andare al Bar Sorriso, in fondo alla strada, ti metterai al tavolino sulla strada e prenderai un gelato alla fragola con panna. Accavallerai nervosamente le gambe e giocherai con sguardo malizioso a conquistare l’attenzione dei passanti, timidamente ma sensualmente, li guarderai fino alle 19 e 30, poi andrai all’edicola di fronte. Accendi il cellulare adesso – . Erano quasi le 19, si precipitò fuori con la borsa a tracolla. Cercando il Bar, cercando il tavolo, con il sudore sulla fronte. Si sedette. Ordinò il gelato. Inizio il gioco, vivere la fantasia di un uomo sconosciuto. Che tante volte, l’aveva fatta Vivere. Anche stavolta.
Cominciò a gustarsi il buon gelato, le gambe si muovevano sensualmente, lo sguardo cercava languidamente quello di uomini soli o in coppia imbarazzandoli. Era brava nell’arte maliziosa del corteggiamento, era ormai da qualche tempo che la esercitava sotto la guida esperta del suo Maestro. Attirò l’attenzione di un giovane che stava sorseggiando da solo un aperitivo. Non distolse lo sguardo, impudicamente, quando fu scoperta. Non le era permesso rinunciare al gioco, una volta iniziato. Aveva sempre la sensazione che i suoi occhi la osservassero mentre giocava. Disobbedire alle regole… se lo avesse fatto non avrebbe potuto giocare più. Il biondo ventenne aveva gli occhi chiari, un colore azzurro come il cielo, arrossiva distogliendo lo sguardo dalla donna che lo fissava, come fosse stato un bersaglio per i suoi dardi. Sara aveva individuato una preda. Sorrise compiaciuta del suo potere seduttivo. Lei, così timida e pudica nella vita quotidiana, si scopriva particolarmente diversa, piacevolmente diversa. Si carezzò le lunghe e sinuose caviglie, offrendo allo spettatore un decolleté invidiabile, ben evidente sotto il fresco tessuto. Le mani salirono sulle gambe, come per scacciare irritanti pappataci che si volevano cibare del suo corpo. La mano sfiorava la sua pelle, delicata come la seta, appena abbronzata dai raggi caldi della località di mare; sentiva un dolce piacere, come le coccole che riceveva da piccola. Scostò la gonna di tela, salendo. La coscia era uscita dallo spacco adesso, pronta per essere apprezzata dal curioso vicino di tavolo. Come un animale che usciva da un lungo letargo, il suo corpo desiderava esporsi e rendersi disponibile, per essere preso in considerazione in tutta la sua bellezza. Sentiva il cuore battere mentre osava, amava provare quelle emozioni. Era Viva. Guardò l’orologio, era quasi l’ora di andare. La mano corse nel mezzo delle cosce accavallate. Aveva osato, mentre il giovane la fissava. Che birbante sono, pensò. Pagò il conto e si allontanò dal bar lasciando lo sguardo del giovane a seguire il movimento sinuoso del suo corpo. 

L’edicola era di fronte, sentì il rintocco del campanile della chiesa vicina, erano le 19 e 30. Si avvicinò, stava per chiudere. L’anziano commerciante riconobbe in Sara la descrizione fattagli da un uomo sconosciuto; il Maestro era stato molto minuzioso. Chi, meglio di lui, ne conosceva i dettagli. Tutti. 
Le disse: – Buonasera, mi scusi, lei si chiama Sara? – . La sventurata rispose annuendo. Novella monaca di Monza. Una nuova busta le veniva consegnata.
Il calore del sole sulla sua pelle si stava affievolendo. Vide lì vicino un piacevole giardino con una panchina deserta. Si mise a sedere, per apprendere come avrebbe passato la serata. Che cosa la aspettava adesso. Sorrise. Non l’aveva mai delusa. Non lo avrebbe fatto stasera. Il suo nome era in evidenza sulla busta. Sollevò il lembo incollato e n’estrasse il contenuto. Un nuovo foglio. Oltre alle solite istruzioni trovò l’angolo di una mappa contenuta in una piccola busta, un nome di donna era scritto dietro. Una caccia al tesoro, forse questo l’attendeva stasera. 
Lesse con attenzione le sue parole.
– Mia deliziosa Sara, stasera giochiamo. Dal tramonto all’alba. Adesso è ora di cena. Il ristorante dove ti delizierai il palato è – Il Divino – a pochi passi da questo giardino, dove adesso t’immagino seduta a leggermi – . Sollevando lo sguardo, Sara arrossì sorridendo, spesso si sentiva osservata da lui. Continuò la lettura. – Stasera sarà diverso dalle altre sere. Sarai molto silenziosa. Per tutta la cena. Ho già fissato il tuo menu, che troverai delizioso, saldato il conto e ovviamente prenotato a nome di Rosetta Spina, un nome inventato. Dovrai, quando entri, fingerti muta e far vedere quel pezzetto di carta che hai trovato nella busta con il nome che ti ho detto. Buon appetito, mia cara. Gli scampi e il vino saranno deliziosi, conosco i tuoi gusti – . Sorpresa ed eccitata dalle sue fantasie, si abbandonò alla follia di seguirle. Forse era Vivere, non era pazzia. 
Si diresse verso il ristorante dal nome così autoritario; quanti riferimenti trovava al Maestro, quando ne viveva le fantasie. Un gran portone di rovere con dei vetri all’inglese la separava dalla squisita cena. Ruotò la maniglia d’ottone, finemente lavorata. Una gran sala con tanti tavoli. Fece vedere il foglietto al cameriere, che le fece cenno di seguirla. L’aspettavano. Il tavolo era stato apparecchiato per lei in un giardino all’interno del locale, molto fresco e accogliente. Sulla candida tovaglia di cotone, il ricamo di una D intrecciata con tralci di fiori risaltava alla luce di una candela. Una fresca rosa era immersa in un piccolo vaso. Rossa, come la passione. Il tovagliolo era piegato come un origami a forma di ventaglio. Il cameriere le portò una busta. Intuì subito chi poteva averla scritta. La aprì con impeto. Poche parole erano presenti sul foglio. – Buon appetito mia deliziosa Sara – . Quanto amava quello stucchevole aggettivo, ripetuto all’infinito. Come i – Chissà – che amava usare per portarla in secca, lei che amava tanto nuotare nel mare. Per portarla a sé con malizia e dolcezza. Nelle sue deliziose fantasie. Per farla vivere. 

Le portarono un aperitivo da sorseggiare, di cui gustò il frizzante sapore. Un buon prosecco accompagnato da sfogliatine calde appena sfornate. L’acqua era naturale, non gassata, ma le andava bene lo stesso. Del resto, non poteva parlare, non avrebbe saputo come esprimersi a gesti per cambiarla. La sala era poco frequentata, troppo presto per cenare in un luogo di mare. Solo due coppie ai lati della sala stavano cenando. Il cameriere portò una deliziosa campana d’ottone al suo tavolo. Sollevato il coperchio, un fumante piatto di tagliolini all’astice si presentò alla sua vista. Amava il pesce. Un Vermentino di Sardegna fece la sua comparsa sul tavolo, dopo essere stato versato con cura nel suo bicchiere dall’ossequioso cameriere sorridente in attesa di un suo cenno di assenso. La pasta era molto buona. La gustò con piacere lentamente, senza fretta. Non le era stato dato un limite per terminare la cena. Si guardò intorno; cominciava ad arrivare gente. Con le mani e le opportune pinzette, decise di gustarsi il cuore dell’astice. La polpa della sue chele. Amava mangiare i crostacei con le mani: una sublime emozione. Era come impastare con le mani la pasta frolla, per farne un dolce. Delizioso. Trovarsi piacevolmente sporchi di bontà alimentari. Le salviette al limone erano necessarie subito dopo, ne usò un paio per ripulirsi bene. Con cenno invitò il cameriere a portare via i resti. Le versò ancora vino; si promise di berne solo un altro ancora. Era già il secondo. Voleva essere abbastanza sobria, per la serata. Per gustarla appieno. Davanti al suo tavolo, una giovane donna, sola come lei, la stava sfiorando con gli occhi. La donna, castana, indossava una passata che carezzava i suoi capelli lisci che terminavano in un codino ordinato. Ai piedi sandali neri di cuoio, arricchiti da due sottili fasce di strass che le avvolgevano le dita. Alcuni piccoli braccialetti d’oro al polso destro. Vide una deliziosa maglietta verde, con il collo a barca, stampata con un fumetto giapponese. Aveva dei pantaloni attillati, poco sotto il ginocchio, di un colore abbinato verde chiaro a piccole righe. Violaceo era l’ombretto, applicato sopra due occhi castani da cerbiatta. Il collo era ornato da un girocollo formato da un doppio giro di perle, piccole perle anche ai lobi ed anelli con brillanti alla mano sinistra. La osservò nei particolari, come avrebbe fatto lui. Sulla sedia aveva posato una piccola borsetta nera di cuoio, sul tavolo un piccolo cellulare luccicante che s’illuminava di una luce azzurrina. Una donna carina, magra, una bella donna. Sorrise. 
Alzando gli occhi vide cosa aveva nel piatto la giovane donna: anche lei i tagliolini all’astice. Sorrise di nuovo. Passò qualche minuto, il cameriere portò il secondo. Entrambe si trovarono sul tavolo dei deliziosi gamberoni al forno. Si sorprese a sorridere di nuovo: lo stesso primo, lo stesso secondo. Gustati con piacere da tutte e due le donne, il resto degli scampi fu portato via dallo zelante cameriere. Un delicato sorbetto alle pesche bianche rinfrescò i loro palati, seguito da un flan di cioccolato e ricotta a chiudere la cena. Si guardarono entrambe, avendo notato gli stessi menu. Sorridendo. Il cameriere portò alla sconosciuta una busta. 

Sara notò che la busta della ragazza era stranamente familiare, sussultò pensando ad un possibile motivo. La giovane donna aprì la sua: – Sonia, spero avrai gustato la cena. Adesso prendi una sigaretta ed offrila alla sconosciuta, cui ti ho chiesto di sorridere durante la cena. Poi esci dalla sala e vai alla cassa a ritirare maggiori dettagli su quello che dovrai fare – . Sonia si alzò dopo aver preso borsetta e telefono. Si diresse verso Sara e le offrì una delle sue sigarette. Era imbarazzante desiderare di fumare, ma dover gesticolare un no grazie, non potendo parlare. Aveva promesso al Maestro che non avrebbe più fumato. Mai più. La ragazza uscì dalla sala, sorridendo. Una nuova busta fu portata a Sara. Repentinamente la fece sua, leggendola con ingordigia. Riportava le seguenti parole: 
– Mia deliziosa Sara, hai cenato silenziosamente appagando il tuo palato, hai conosciuto la dolce Sonia. Era la giovane donna che sorrideva verso di te. L’avrai notata sicuramente. Adesso vola. E’ la notte di San Lorenzo. Ti aspetta un concerto sotto un cielo illuminato da scintillanti candele. E’ il concerto del tuo gruppo preferito. Vibrerai tutta la notte, su quelle note. Per me. Mia dolce Sara – . Nella busta trovò il biglietto in tribuna centrale. Scoppiava di gioia. Uscì fuori, chiamò un taxi e si fece portare al concerto allo stadio vicino al mare. C’era ressa per entrare, ma sapeva che ne valeva la pena. L’odore di salmastro era ovunque: ai cancelli, sulle scale, in tribuna. Trovò il suo posto al numero che corrispondeva al biglietto, era il 77. Le gambe delle donne, diceva sua nonna giocando a tombola. Sia lei che il Maestro amavano le tradizioni, i vecchi sapori e le antiche storie da tramandare. Si sedette comodamente sulla poltroncina; era stata una delle ultime a prendere posto in tribuna. Controllò il cellulare, era acceso. Non aveva alcun messaggio. Chissà cosa avrebbe dovuto fare, dopo il concerto. Magari durante il concerto. Chissà. Dopo pochi minuti le luci bianche si abbassarono. Il buio fu totale. In cielo vedeva le stelle, la guidavano. Sorrise. Non aveva bisogno di esprimere un desiderio, aveva chi la guidava e le faceva vivere esaudendola ogni fantasia percorribile, osabile, che aveva scelto per lei. Un suono esplose, con mille luci colorate. Canzoni vecchie e nuove, i cui ritornelli conosceva amabilmente. Era come se le canzoni le fossero state dedicate e cantate solo per lei. Il concerto s’interruppe per una pausa di qualche minuto. Ne approfittò per alzarsi e recarsi al bagno. Aveva bevuto troppo vino ed adesso la sua vescica reclamava attenzione. Stava scendendo, uno squillo del telefonino la gelò. Solo un uomo, aveva quel numero. Il Maestro. Era un sms che lesse subito: – Sara manda questo messaggio al numero che segue 368/9754210: aspettami fra 15 minuti all’uscita del concerto. Dove c’è la cassa. Ovviamente, dovrai andare lì anche tu – . Fatto il messaggio, notò perché il numero era così familiare. Il suo era molto simile, 368/9754212. Curioso. I bagni erano in uno stato d’abbandono raccapricciante, come spesso si trovano nei luoghi affollati. Uscendo dal lungo corridoio, dirigendosi verso l’uscita vide Sonia che con passo svelto la precedeva. La trovò all’uscita, in attesa. Di lei. Anche lei al concerto. Anche lei guidata dal Maestro. Scoprì di non essere l’unica. Lo immaginava, ma non lo voleva. Era gelosa e possessiva. Del resto era Donna ed era una Femmina. Lo avrebbe voluto, caparbiamente, solo suo. La competizione con quella donna la stimolava. La tensione si sciolse nel sorriso. Per entrambe. Il concerto aveva ancora una pausa di dieci minuti. Si presentarono, ma in realtà si stavano studiando, appoggiate alla cancellata, per rubarsi vicendevolmente pensieri ed emozioni. Suonarono, all’unisono, i due cellulari. Come due diapason allineati. Entrambe avevano un messaggio. Sorrisero. Il Maestro aveva chiamato. 

Avrebbero voluto sbirciare l’una quello dell’altra. In una sorta di ricerca dell’erba più verde. Per invidiarne una parola o una frase. Ma era lo stesso messaggio per tutte e due: – Dovete completare la mappa. Datevi da fare, mie deliziose allieve – . Sara si sentiva una scolaretta, quando la chiamava così. Tornava bambina. Tornava a scuola, con un Maestro deliziosamente speciale. E, guardando il sorriso di Sonia, capì che anche lei lo pensava. Completare la mappa. Sonia, all’uscita del ristorante, aveva ricevuto una busta. Conteneva delle indicazioni vaghe: – Sonia, questo frammento di una mappa, ti servirà per giocare dal tramonto all’alba con me. Conservalo – . La cercò nella borsetta e la mostrò a Sara, che cercò di completarla con il frammento che aveva lei. Mancavano dei dettagli importanti, si vedeva lo stadio, dove si trovavano sotto una deliziosa notte stellata, si vedeva il mare, ma il percorso evidenziato in verde non terminava. Mancava un terzo frammento. Erano dubbiose. Sapevano che, al momento giusto, un segno le avrebbe indirizzate dove andare e come muoversi. Tornarono al concerto, che stava ricominciando. Si scoprirono vicine in tribuna, piacevolmente. Ascoltarono la musica, rapite dalla magia del momento. Cercando nei testi delle melodie, una traccia, un dettaglio per trovare il terzo pezzo della mappa. La guida per il gioco sottile, che stavano vivendo. Adesso assieme. Nelle parole, del giovane gruppo, riferimenti infiniti alle emozioni che provavano, che vivevano. Sara ebbe la traccia in un testo, ascoltando il nome di una donna. Forse dovevano cercare una terza donna. Ma come ? Sorrise. Avrebbe dovuto avere il cellulare. E forse la casualità dei numeri così vicini era il segno. Compose il numero, scorrendo le dita sui piccoli tasti. 368/9754211. Era il numero fra il suo e quello di Sonia. Una voce suadente, le rispose. – Chi parla ? – . Sara, osò – Un’allieva del Maestro – , mentre il suo sguardo la cercava intorno. Sapeva, come una cacciatrice, che anche lei era vicina a loro due. Ed infatti un’altra giovane donna stava parlando vicino a loro. Udirono la sua voce, non solo al cellulare, quando disse – Lo sono anche io, il mio nome è Giulia – . Era accanto a loro, adesso. Il concerto, travolgente e carico di sensazioni, stava finendo. Cominciavano i bis. Canzoni dedicate a loro, che erano parte del pubblico. Condivise, come le attenzioni del Maestro, con chissà quante altre. Si sorpresero a sorridere, sull’ultima nota. Aspettavano un segno. Mentre la folla del pubblico si accalcava per uscire, Sara prese l’iniziativa per riunirsi fra loro e cercare la strada che dovevano percorrere, per il momento assieme. La mappa era la chiave. Ognuna pose il suo pezzo su un gradino. Facendoli coincidere. Cercando di farlo. La osservarono.

I tre pezzi coincidevano. Le linee rosse del taglio avvicinate fra loro, avevano formato un disegno coerente. Il tratto verde, il percorso adesso era chiaro. Sorrisero, scorgendovi casualmente una grande M. Sorrisero ancora, quando non pensarono che fosse così casuale. Il ristorante. Lo stadio. Excalibur, un posto delizioso dove divertirsi, era la prossima meta. Solo altre due, prima dell’alba. Come promesso. Ma erano sempre le 23 e 30. Guardando l’orologio Sara disse: – Abbiamo ancora tanto tempo per vivere la notte. Dal tramonto all’alba, ci ha promesso il Maestro, si sarà riferito al film di Quentin Tarantino dove deliziose donne affascinanti in un locale si trasformano in dolci vampiri assetati – . – Mi sento già molto diavolessa – aggiunse ridendo Sara. Guardarono Giulia. Era la più giovane. Mora di capelli che teneva raccolti aveva degli occhi atri come la notte. Altissima. Una pelle chiara di un colore più vicino al glicine che al bianco, quasi violacea, abbagliante, compatta. Deliziosamente vestita di un fourreau nero con una scollatura vertiginosa e le spalline ingioiellate. Un abito da sera, molto elegante. Era come inchiodata, mentre la guardavano, con quel profilo alto, il collo teso, sbilanciata e ondulante. Una spallina le scendeva sensualmente. Sembrava la Madame X esposta al Metropolitan Museum di New York. Sembrava una deliziosa vampira. Sussultarono. Decisero assieme come muoversi. La prossima tappa era l’Excalibur. Sarebbero state le prime ed entrare al locale, famoso per i suoi frequentatori abitualmente nottambuli. L’ingresso era deserto. Entrarono, le luci erano soffuse, solo al bar un ragazzo attraente si preparava per la serata. Giocando con le sue bottiglie e i misteriosi ingredienti speciali. Si avvicinarono, chiedendo qualcosa da bere. Le accolse con un sorriso. – Qualcosa di speciale, per tre donne deliziose e sole? – chiese. Sara rispose per prima: – Sì, grazie – . Le altre annuirono, timidamente con la testa. Il barman sparì dietro il bancone a fare le sue alchimie, per carezzarne il palato. Gli sgabelli erano alti ed i loro corpi si appoggiavano sopra con una dolcezza sinuosa. Le cosce penzolavano, le gambe avvolgevano la base dello sgabello, come fenicotteri rosa in cerca di equilibrio. Erano veramente deliziose. Il barman aveva terminato il suo capolavoro. Versò nei tre calici il liquido verdognolo, accompagnandolo da una scorza d’arancio. I salatini e le patatine avevano solleticato come stuzzichini l’attesa. Era buono, verdastro, ma buono. Il ragazzo si rallegrò con se stesso per averle soddisfatte. Come amava fare con le donne, specie se deliziose. A modo suo. La musica cominciava a permeare il locale. Un divano in un angolo, le accolse. Cominciavano ad entrare le prime persone. Decisero la strategia per la serata, di comune accordo. Avrebbero dovuto cercare il segno per poter trovare la prossima meta, che dalla mappa sembrava così vicina al mare. Per avere maggior successo si dovevano dividere. Applicando l’antica strategia romana – Divide et Impera – , avrebbero raggiunto lo scopo. Vivere. Ognuna avrebbe provato, da sola, a cercare la strada da percorrere. Un’alleanza le legava adesso: essere allieve del Maestro. Sara scelse un divano al centro del locale. Presto fu sommersa da richieste insistenti ed appiccicose, gentilmente rifiutate adducendo un’occasionale emicrania. Non gradiva i giovani che cercavano solo l’avventura di una notte. Cercava qualcosa che non era facile da trovare in un uomo. Le sue fantasie. E viverle donandosi. La musica era piacevolmente avvolgente e la melassa verdastra cominciava a fare il suo effetto. Invece che da una massa informe di giovani, si sentiva attratta da una ragazza seduta di fronte a lei. Silenziosamente, deliziosamente e compostamente seduta. 

I suoi occhi si posarono come un falco osserva il suo pasto. Aveva i capelli rossi che le arrivavano sulle spalle, sfiorandole. Occhiali avvolgenti scuri le nascondevano il colore degli occhi, che immaginava scuri. Le labbra si carezzavano piacevolmente fra di loro, bagnandosi con l’aiuto di una provvidenziale e sensuale lingua. I capelli, sulle tempie, erano corteggiati dalla mano sinistra. Avvolti sulle dita come fusilli da gustare, arricciandoli. Il pollice era ornato da un piccolo anello d’oro che le si fermava alla prima falange. L’anulare aveva un grande anello luminoso. I capelli venivano trascurati in favore di una deliziosa spalla che, nuda ed abbronzata da calde estati al mare, veniva nervosamente tamburellata e lambita. Indossava un top bianco a fascia dietro, per sorreggere il copioso seno e con due lacci incrociati davanti che abbracciavano il suo lungo collo. I pantaloni alla pescatora stampati con un motivo floreale mostravano sul lato sinistro una cavigliera d’argento. D’oro erano i braccialetti portati al polso. I piedi erano avvolti da sottili stringhe di cuoio che formavano una ciabattina infradito deliziosa, esaltando le unghie laccate di scuro. Giocava con il cellulare. Scrivendo o leggendo messaggi. Chissà. La vide cercare qualcosa nella borsa nera di tessuto. Era un fazzoletto. Mentre puliva gli occhiali, la fissò. Penetrandone lo sguardo, come se la volesse. Chissà. Era sempre stata curiosa delle donne e delle loro passioni. La giovane donna rispose alla sfida con un sorriso malizioso, leccandosi le labbra. Si chiese come sarebbe potuta finire la serata. E le sorrise. Prese il telefono e compose un messaggio anonimo. 
In quel momento uno squillo destò l’attenzione del Maestro. Chi poteva essere, nessuno aveva quel numero tranne le deliziose allieve. Era certo non avrebbero mai osato chiamarlo. Chissà, forse qualcuno ha sbagliato a comporre, pensò. Poi lesse il messaggio: – Maestro la sua Sara vorrebbe trasgredire, solo questa volta, alla sua fantasia pensata per me. Posso corteggiare una donna e dopo tornare alla sua fantasia? – . Il Maestro rispose alla deliziosa allieva con un altro messaggio: – Sara, puoi farlo. Hai un’ora di tempo, non di più – Sorridendo, rimise il cellulare nella borsa. Il Maestro aveva detto sì. Poteva farlo. Solo per gioco aveva in passato corteggiato una donna. In chat, magari, coperta dall’anonimato. Sorridendo per le parole. A volte dolci. A volte impetuose. Voleva provare dal vero. Era curiosa. Molto. 
Sonia accettò con piacere di agire da sola. Amava farlo. Si sentiva una leonessa e come tale amava cacciare. E di giovani gazzelle era pieno il locale. Un gruppo di amici la fissavano, visibilmente alticci data l’ora e il posto, sorridendole stupidamente. Li ignorò. Non amava perdere tempo con chi non aveva nulla da donarle.

Rivolse la sua attenzione ad un uomo. Alto, imponente, con uno sguardo che la stava spogliando. Non voleva abbassare lo sguardo, non era da lei. Si sentiva nuda, le piaceva se trovava chi sapeva farlo con dolcezza. Maliziosamente, sottilmente. Sorridendo. Accontentò il suo ego maschile, fingendo un rossore ed abbassando gli occhi. Come le piaceva fare la gazzella, per poi mordere come un felino. Lentamente, piano piano, come una deliziosa tartaruga. Aveva occhi scuri come la notte. I capelli erano rasatissimi. Si piaceva. Si avvicinò a lei. Sorridendole. Certo di aver trovato la preda. La sua antilope. Sonia sorrise. Avrebbe cenato. Gazzella anche stasera. Le offrì da bere. Lei propose un Bacardi Breezer al lime. Tornò dal bar con due bicchieri della deliziosa bevanda. Sorseggiando le parlava delle emozioni del mare. Cercando di conquistarla con la dolcezza delle parole. Faceva lo smielato, ma lo scopo era uno solo. Conoscerla nel senso biblico. Volle dare un’altra possibilità all’uomo misterioso. Magari poteva riuscire a farla ridere. Quella era la cosa che faceva breccia nel suo cuore. Saper farla sorridere. Cercò di tirare fuori il suo lato ironico, se lo aveva. Provocandolo con le frasi, maliziosamente. Soffocando quel suo lato romantico, spesso così asfissiante. Ci riuscì. Si era sbagliata sulla sensazione iniziale. Ne era felice. Si fece trasportare dalle sue parole, così deliziosamente ironiche e maliziose, fra un sorriso ed un altro. La stava carezzando dove aveva meno difese, la sua mente. E amava cedere, piacevolmente. Poco a poco. Donandosi. 
Giulia, intanto, stava in disparte. Altezzosa. Nessuno era interessante per lei. Aspettava, gustandosi un succo di arancia ben fresco. Ignorando gli sguardi e le richieste incessanti. Guardava divertita le due compagne di avventura che stavano cedendo alla passione di una notte. Ricordando le sue. Così deliziosamente inconsuete. Così particolari. Ma non amava parlare della sua vita privata. Mai. Viveva la notte. E sapeva volare, come nessun altro. Aveva conosciuto per caso il Maestro e gli era rimasta amica e amava giocare con lui a carte scoperte. Era come una sua sorella. Nient’altro. L’aveva scelta quella sera. Per guidare le altre alla trasgressione. Solo per quello. Sorrise, pensandolo. Vide Sara avvicinarsi alla donna sconosciuta. Ne era attratta, gli occhi la tradivano. Ed anche le mani, passate mille volte fra i capelli. Presero qualcosa da bere assieme, ridendo fragorosamente. Si stavano scoprendo poco a poco. L’una curiosa dell’altra. Era molto esperta Giulia, di donne e non solo. Anche Sonia si stava divertendo, la osservava mentre come una gatta giocava con il topolino. Per cibarsene. 

Il Maestro era intanto alle prese con un rebus, proposto da una nuova deliziosa sconosciuta. Il premio era allettante. Amava la sfida. Il tempo per risolverlo era limitato e questo lo attirava molto. Il termine era stato fissato per l’inizio dell’autunno. Quando le foglie, diventate rosse, sarebbero cadute. I rami spogli avrebbero evidenziato la sua scelta. A cui pensava, adesso, incessantemente. Scosse la testa piano, cacciando il pensiero. Come avrebbe fatto una tartaruga, si rifugiò nel suo guscio. Amava farlo quando si sentiva scoperto nelle emozioni. Era il momento di farle andare sulla spiaggia. Per farle Vivere. Forse per l’ultima volta. Ma faceva ancora tanto caldo. Chissà. Inviò a Giulia un messaggio. Erano le 2 e 30 del mattino, il tempo era volato. Lesse, intuendo il contenuto: – Recupera le due fanciulle, mia cara Giulia. Sai dove condurle – . Recalcitranti le condusse fuori dal locale. Si stavano da poco divertendo, autonomamente. E stavano apprezzando la gioia della libertà, con piacere. Senza saperlo. Quello era lo scopo del loro Maestro. Educarle a Vivere. Come usignoli, le aiutava a crescere e a volare. Per lasciarle libere, se pronte. E Giulia lo aiutava, a volte, osservando e giudicando se erano pronte per volare da sole. 
La spiaggia era poco lontana. Si spostarono a piedi. Guidate dalle stelle che brillavano nel cielo e dalla Luna. Una Luna deliziosamente piena. Negli occhi di Giulia, vedendola, si formò una lacrima. Ricordi e rimorsi furono fugati, subito, per non piangere. Le altre la seguivano. Raccontandosi la loro avventura, sorridendo ed indugiando nel racconto. Arrivarono vicino al mare. Il vento caldo della notte le aveva sospinte sulla riva. Una barca abbandonata. Sui ciottoli del mare. Vicino una torretta. Alta. Da cui usciva una musica. Ed una flebile luce. Un posto delizioso dove vivere. Dove sognare. Sfiorarono l’acqua con le mani. Era calda. Non c’era nessuno intorno. Un guizzo negli occhi di Sara che propose il bagno di mezza estate, sotto le stelle, sotto la luna. Si spogliarono. Avvolte da una notte stellata si erano donate al mare, per essere libere. Sotto l’occhio curioso di una luna sorridente. Tornando a riva incrociarono una donna che stava giocando a fare la sirena. Un costume nero, sgambato incrociato dietro le spalle la copriva. Era Patrizia, un’amica di Giulia. Sorrise imbarazzata, vedendola nuda. Sulla spiaggia si rivestirono, per evitare sguardi indiscreti e si misero a parlare. Trovarono dei pezzi di legno e li accesero. Il falò sulla spiaggia creava una sorta d’intimità fra le amiche conosciutesi per caso. Cominciarono a trovare a cercare interessi comuni e a cantare vecchie e nuove canzoni. Ridendo. Sentendosi libere. Libere di Vivere.
Non sapevano quale altra meta prevedeva la mappa, aspettavano un messaggio. Un segnale.
Che non arrivò quella sera. Mai. 
Il Maestro. Stanco. Impegnato nel suo rebus. Si era addormentato. 
Solo lui aveva immaginato dove mandarle. 
Giulia sospirò. Chissà che cosa avrà fatto. Pensò. Pensando alle sue notti che la aspettavano.
Sara e Sonia parlarono gioiosamente fra di loro.
E Patrizia, Patrizia non c’era più. Era sparita.

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