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Racconti di Dominazione

Momenti speciali

By 10 Febbraio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Il trillo del cellulare la riscosse dai pensieri in cui era immersa,
facendole accelerare il battito del cuore ed il respiro. In un attimo
tornò alla realtà, al motivo che l’aveva condotta in quella stanza
d’albergo a tanti chilometri di distanza.
Il lungo viaggio in treno, sebbene fosse stato appena decente, non
l’aveva stancata troppo. Rispose al telefono cercando di non far
trasparire quanto fosse ansiosa… quanto fosse eccitata.
La sua immagine, riflettendosi nello specchio sopra la cassettiera, le
rimandava un’immagine dolcissima, quasi che invece di una fredda stanza
d’albergo si trovasse nella sua casa, tra le cose che amava.
Era riuscita a farsi dare la stanza prima dell’orario stabilito ed
appena disfatta la valigia si era fatta una doccia calda per togliere
l’odore di “treno” che sentiva appiccicato addosso. Con la doccia era
scomparso anche quel residuo di stanchezza e si sentiva fresca e felice.

– Ciao. Sto arrivando, fatto buon viaggio?
– Abbastanza buono, sono riuscita anche a dormire… un po’. Fra quanto
pensi di essere qui?
– Tra dieci minuti, sono vicino.
– Allora ti aspetto… un bacio.
– Come ti troverò?
– Come vuoi tu. Però lo sai… voglio ballare.
A quelle parole, una specie di smorfia che nelle migliori intenzioni
sarebbe dovuta essere un sorriso gli piegò le labbra.
– A tra poco. “click”
La metropolitana correva veloce, divorando le poche fermate che li
separavano. Troppo veloce. I suoi pensieri si accavallavano uno
sull’altro in un crescere di sensazioni ed immagini senza nessuna
coerenza. Gli occhi oscillavano continuamente dall’orologio al cartello
che indicava la fermata successiva.
Sembrava un sogno.
Tutto correva veloce. Sembrava accelerato come in un vecchissimo film in
bianco e nero.
Anche il suo cuore batteva all’unisono con le immagini…….
Orologio… cartello… un torma di zingarelli che cercava la vittima
della mattina… cartello… orologio… un carabiniere in borghese
fissava il gruppetto. Riusciva sempre a riconoscerli al volo, serio ed
austero… orologio… fermata, gente che sale e che scende… puzza…
un barbone sale con un involto di cose lerce… orologio… sul vetro
del finestrino apparve per un attimo un riflesso impossibile. L’ombra
del suo viso sorridente accompagnato dal diffondersi dell’effluvio che
ben conosceva. Il suo profumo. Contrasto osceno col cattivo odore che
seguiva il poveraccio… il profumo… il suo profumo… potente ed
eccitante… forte da macchiar l’anima ed eccitante da incatenarla ad un
letto… occhi che sorridono e labbra che si muovono silenziose
sussurrando dolci parole… nessun suono forava la barriera dei
pensieri, neanche quello delle ruote d’acciaio che stridono sui
binari… il rumore dell’aria spostato dal treno… fortissimo… 110 dB
di pressione acustica che rende ciechi, isola come il silenzio assoluto.
Eppure tutto restava ai limiti della percezione. Presente ma
inconsistente… irrilevante. Orologio… cartello… ultima fermata…
un automa in più scende sulla banchina tra ventiquattrore lucide e
frettolose e zaini da spalla pieni di libri dall’incedere svogliato.
Il cellulare. Il numero.
– Eccomi, sono arrivato. “click”
A quella frase i battiti del cuore di Lei accelerarono ancora di più. Le
sembrava di aver fatto una corsa veloce e si costrinse a respirare
lentamente. Voleva riacquistare un minimo di autocontrollo.
Il leggero bussare alla porta della stanza la sorprese davanti allo
specchio. Era immersa in una specie di sogno ad occhi aperti. Spezzoni
di discorsi fatti al telefono, di mail e chat lette più volte si erano
sovrapposti a velocita’ vertiginosa all’immagine che le rimandava lo
specchio. Svaniti in un attimo a quel bussare cortese.
Ora era li.
L’aprirsi della porta regalò agli occhi di Lui la figura che aveva
atteso, la stessa immagine a cui aveva pensato così intensamente negli
ultimi giorni. La donna che ricordava con la chiarezza accecante di un
lampo al magnesio, che l’aveva indelebilmente stampata nella sua mente e
sulla sua pelle.
– Ciao Piccola.
– Ciao.
– Come stai, tutto a posto?
– Tutto bene, e a te? Che bello rivederti.
– Si. Molto bello. Tu sei bella.
Discorsi banali riempirono la stanza per pochi minuti, mentre gli occhi
tradivano l’eccitazione repressa a stento, ma che a dispetto delle
parole tranquille accendeva la stanza di desiderio. Un modo per entrambi
di gustare quel momento. Cercavano di prolungarlo a dispetto del tempo
che fuggiva veloce.
Dovrai………. aveva letto, sta a te darle ciò che chiede, soddisfare
il suo bisogno di poesia e tenerezza.
Ed era così. Luci spente, tende tirate e due candele accese. La penombra
aiuta. Aiuta la mente a percepire il piacere, aiuta il desiderio a
scavalcare i pensieri. Due corpi abbracciati che ballano lentamente,
musica dolce in sottofondo. Bocche che si sfiorano teneramente senza
affondare l’una nell’altra… assaggiando ogni sfumatura di sapore. Il
gusto che risveglia i trascorsi. Rinnova i piaceri.
Mani che accarezzano senza volontà, incoscenti latrici di sensi pronti
ad esplodere. Costretti all’immobilita’ da una ragione sempre più
distante. Un attimo… ancora un attimo. La bocca di lui scende sul
collo di lei, ne segue la curva dolce verso la spalla. La lampo del
vestito di lana scende lentamente, mettendo a nudo una biancheria
finissima. Nella semioscurità il contrasto ne esalta le bianche forme
che sembrano tenderla allo spasimo. Il collo di lei si sposta verso
quelle labbra non potendo fermare oltre il desiderio. concedendo la resa
alla bocca affamata che vorrebbe si, dilaniarla fin nel cuore, ma che si
trattiene allo spasimo.
Si abbandonano ad un bacio leggero, assaporando con trasporto, una le
labbra dell’altro. Via via la pressione cresce, mentre le lingue
sembrano dimenticare la musica in sottofondano e diventano preda del
ritmo che il desiderio impone al cuore. Labbra schiacciate come se
volessero cibarsi d’esse stesse.
Le mani di lui le sfiorano le spalle e ne fanno scendere il vestito che
cade a terra, dimenticato in un attimo. La bocca continua ad assaporare
quel corpo mentre gli occhi non riescono a chiudersi… abbandonarsi,
lasciarsi andare… impossibile distogliere gli occhi da quella pelle
inguainata di seta scura, da quel profumo che si &egrave avvinghiato
all’anima. Le autoreggenti offrono uno spettacolo da mozzare il fiato,
e, le mani percorrono voluttuosamente quel corpo, completando col tatto
quell’immagine che la penombra parzialmente rivela e nasconde. Tatto ed
immagini, la musica ed il profumo del suo corpo… il suo sapore che
sboccia dirompente nella sua bocca completando il quadro. L’immagine del
tutto, racchiuso in quella stanza, che, ora non esiste più. Relegata
nella realtà che va pian piano scomparendo come nebbia sotto i raggi
infuocati della passione e del desiderio.
Sono le mani di lei ora che spogliano lentamente. Si divagano su quel
corpo esplorandolo attentamente. Bottone dopo bottone scompare in quella
nebbia anche la camicia. Solleva la maglietta con irruenza inaspettata,
mentre con la bocca comincia a divorargli i capezzoli. Affamata del suo
corpo e del suo odore. Un sorriso anima quella bocca, mentre dolci
parole si frangono come marea attraverso il tempo dell’io coscente. Lui
sente quella lingua arrivargli dritta nel cervello. Scava a fondo dentro
di lui, ne attraversa la dolcezza per strapparla dalla sua dimora.
– Dai, mettiamoci comodi.
– Vieni qui. Fammi sentire la tua bocca.
– Ti piace la mia bocca eh ?
– Mi piace da pazzi la tua bocca, mi piace come lo succhi, mi piace
vedere come scompare tra le tue labbra e cerchi d’ingoiarlo… la tua
lingua che gli gira intorno.
– Piace anche a me sentirlo, mentre mi preme sul palato… mentre scende
giù, più in fondo finch&egrave non lo sento troppo dentro…
Restarono un po in quella posizione, mentre le mani di lui si muovevano
su morbide curve ubriacandosi di seta, fino ad indugiare un attimo sui
fianchi per sfilarle il perizoma. I suoi occhi non riuscivano a
staccarsi da quel profilo che si muoveva su di lui, gonfiando e vuotando
le guance.
– Vienimi sopra piccola, cavalcami unpò.
Un sorriso malizioso di complicità animava il viso di lei, mentre
scendeva col suo corpo sul membro bagnato dalla saliva. Si penetrava
lentamente. Volava sentirlo scorrere dentro di se… lentamente. E
quando pot&egrave sedersi sul suo inguine piegando il viso per ricevere un
bacio i suoi occhi brillavano di piacere, per ciò che provava. Per ciò
che avrebbe provato tra poco, di nuovo.
Si muoveva piano senza sollevarsi. Sentiva il membro dentro di se
rispondere ai movimenti circolari delle sue anche mentre cercava di
accarezzarlo con i muscoli interni. Quella sensazione di pienezza la
faceva sorridere con gli occhi socchiusi. Lui le accarezzava i seni
cercando, ora, di abbandonarsi alle sensazioni. Era li. Gustava
delicatamente quelle sfere morbide e vellutate, cambiando repentinamente
carezza. Adesso li massaggiava vigorosamente schiacciandoli nelle palme,
e le sue dita le pizzicavano i capezzoli strappandole gemiti di dolore,
subito sostituiti da sospiri di piacere. O era addirittura altro… i
gemiti che sembravano di dolore erano veramente sofferenza? Alcune
domande prendevano corpo, in una parte della mente che restava lucida
anche in quel momento, nonostante il trasporto che sentiva. Non riusciva
mai ad abbandonarsi totalmente… dimenticare la realtà anche solo per
un momento e lasciarsi andare alle sensazioni.
Cos’era più forte? Il dolore o il piacere… l’eccitazione del momento
riusciva a veramente a cancellare le sensazioni dolorose facendole
sublimare in voluttuosi sospiri?
Tutte le domande rimasero senza risposta, lui stesso incapace di
razionalizzare il momento. La sua parte lucida andava via via
affievolendosi, ed in quel momento, non voleva lottare con se stesso per
tenerla vicino.
Aveva bisogno di abbandonarsi. Sentiva di doverle dare tutto quello che
poteva.
La guardava in continuazione, incapace di chiudere gli occhi per non
privarsi della vista del suo corpo. La sua espressione di piacere era
quanto di più eccitante potesse in quel momento desiderare.
La fece sollevare spingendola decisamente sui fianchi verso l’alto. Lei,
assencondando il suo movimento si tolse delicatamente, facendosi
scivolare al suo fianco. Un sorriso malizioso le ornò, come un intenso
belletto, gli occhi e la bocca. Mentre sentiva il sesso di lui
scivolarle fuori lo strinse coi muscoli godendosi la sua espressione
sorpresa a quell’ultimo “bacio”.
Sebbene il movimento fosse stato lento e piacevole, ebbe una sensazione
sgradevole. Sentiva distintamente la differenza di temperatura tra
l’aria della stanza e l’interno del sesso di lei. Sembrava che la
mancanza del contatto gli procurasse dolore. O forse no?
Egoisticamente, rendendosi conto d’esser fuori, la prima reazione fu
quella di ricacciarglielo dentro con forza e pompare selvaggiamente,
finche’ l’esplosione non l’avrebbe reso libero di tornare a parlare del
più e del meno.
Ma non poteva. Mentre la baciava sentiva le sue dita accarezzargli il
petto e la sua voce farfugliare su quanto era morbido e liscio. Il suo
petto era glabro, ed a molte donne non dispiaceva. Anzi. Se lo era
chiesto più volte nel corso degli anni ed era arrivato alla conclusione
che la pelle liscia e morbida risvegliava in ogni donna una specie di
senso materno. Pelle di bimbo, da sbranare di baci e carezze.
– Hai portato il tuo amichetto con te ?
– Si. E’ li nel cassetto.
– Prendilo. Ho voglia di giocare un po’.
Come in trance vide la sua mano avvicinarsi al cassetto e tirar fuori
prima una scatolina e poi un involto di panno rosso. Prigioniero di un
fotogramma.
Dalla scatolina emerse una cordicella a cui erano attaccate ad
intervalli regolari delle palline color oro.
Prendendole in mano vide il sorriso complice di lei.
– Che carine. Ti piacciono ?
– Si. Sono… molto eccitanti.
-Fammele provare. Voglio vederle muoversi dentro di te.
Così dicendo accennò il gesto di farla voltare, ma lei, anticipandolo,
si mise in ginocchio sul letto. Lui, con la bocca, seguiva la linea
della spina dorsale facendola fremere. Riusciva davvero a sentirla
“vibrare”, non era immaginazione come aveva creduto in passato. Riusciva
quasi a vedere la pelle alzarsi quando vi avvicinava le labbra.
Arrivò con studiata lentezza al solco tra le natiche, e, mentre usava la
lingua per umettarle il buchino esposto, con la mano le accarezzava il
sesso. Aveva delle grandi labbra enormi. Sporgevano in fuori come i
petali di un’orchidea. Un fiore rosso, stupendo e lascivo. Gli aveva
dato sempre una sensazione strana sentire le mani riempirsi di quella
carne morbida e umida.
Faceva ruotare la lingua, lentamente, sentendolo dilatarsi
progressivamente sotto le piccole spinte che ogni tanto dava verso
l’interno. Cercava di lasciare quell’ingresso il più umido possibile.
Fece entrare la prima pallina sentendo un po’ di resistenza alla
penetrazione, non aveva voluto usare le dita proprio per non farla
dilatare troppo. Erano le palline che dovevano prepararla. Entrarono
dentro di lei una dopo l’altra, mentre la schiena di lei si inarcava
verso l’alto, cercando se possibile di offrire ancora di più le terga.
La testa in basso e le cosce divaricate davano una vista eccitante come
non mai. Le sue natiche spalancate dalla posizione mettevano in mostra
il filo delle palline che le usciva da dentro ed il sesso esposto e
dilatato dall’eccitazione sempre più forte. I petali di quel fiore erano
rossi di brace ed alla luce tremolante delle candele si striavano di
carminio vivo, dove la sua eccitazione era colata lungo le
labbra…lentamente il gioco continuava mentre la lingua agevolava le
piccole penetrazioni inumidendo il percorso… ormai solo l’anello
finale sporgeva… impugnandolo saldamente accentuò i baci sulla schiena
di lei che forse inconsciamente spostava il sedere da un lato all’altro
anticipando lo strappo dell’uscita.
Cominciò a tirare con piccoli strappi. Cercava di non far uscire le
palline in successione cercando di farle premere verso l’interno dello
sfintere per qualche colpo invece di tirarle fuori di forza… una dopo
l’altra. Ad ogni fuoriuscita una specie di urletto accompagnava il
buchino che si richiudeva sul filo, la sua schiena ormai si muoveva
sempre più violentemente, il respiro era sempre più affannato e l’ultima
pallina la gettò in avanti sul letto, cadendo bocconi in avanti.
Non darle tregua, si disse, non farla “raffreddare” .
Preso l’involto lo sciolse ed un membro di gomma di dimensioni generose
venne fuori.
-Bagnalo un po’, e poi vienimi sopra. Voglio vedere quanto riesci a
prenderne.
– Ti piace guardare &egrave?
– Non tutto. Mi piace guardare te. Mi piace vederti spingere
all’indietro, guardarti mentre ti accarezzi… come riesci a dilatarti
quando ti penetro.
Quel sorriso tenerissimo le aleggiava ancora sulle labbra mentre, con
gli occhi fissi in quelli di lui, prendeva dalle sue mani il fallo di
gomma e lo avvicinava alla bocca. Cercava di eccitarlo anche con piccoli
gesti. Il linguaggio del corpo non esprimeva altro che lussuria, il
desiderio prepotente di godere e far godere l’uomo con i suoi movimenti,
le sue parole e con tutto il suo corpo. Cominciò a succhiarlo
continuando a fissarlo negli occhi, quegli occhi che scintillavano di
gioia riconoscendo l’eccitazione di lui che cresceva di minuto in
minuto. Dopo averlo bagnato con la saliva si mise carponi sopra di lui.
Agli occhi dell’uomo si offriva uno spettacolo micidiale. Il sesso di
lei rimaneva aperto dalla posizione che sembrava fatta apposta per
mettere in evidenza le grandi labbra che assomigliavano davvero ai
petali di un’orchidea. La fiamma tremolante della candela poi, coi suoi
giochi di luce ed ombra, dava al tutto un immagine da sogno,
riflettendosi sulla superfice umida d’umori del suo sesso.
Non sapendo resistere a quel frutto maturo a due dita dagli occhi poso’
la bocca sulla clitoride succhiandola come se fosse un lattante
affamato. la schiena di lei, inarcandosi, rivelo’ che il contatto le
dava sensazioni forti, e più mugolava più lui succhiava forte, finch&egrave la
lasciò di colpo per prenderle il fallo di gomma dalle mani.
– Dammi il tuo amichetto, vediamo come si comporta.-
– Ti piace giocare eh ?-
– Mi piace giocare con te.-
Avvicinò il fallo facendone aderire la punta alle piccole labbra, che,
cedettero subito sotto la spinta leggera. Davanti ai suoi occhi tutto si
svolgeva come se il suo io coscente si fosse completamente estraniato
dal momento. Vedeva il fallo entrare lentamente nel sesso di lei
centimetro dopo centimetro finch&egrave non rimase fuori altro che lo spazio
per le dita che lo impugnavano. Stesso movimento al contrario… usciva
stancamente. Lucido d’umori, finch&egrave non rimase che il glande dentro.
Una spinta forte, decisa. Tutto dentro di lei in un colpo,
costringendola a sussultare violentemente in avanti, mentre un lamento
di dolore si smorzò subito in un sospiro di piacere. Forte solo come lei
sapeva fare.
La schiena si spostò di nuovo indietro spinta dalla sua volonta’ di
farsi riempire fino in fondo da quell’organo che sentiva dentro.
– Fammi giocare un po’ col tuo buchino.
Le disse, senza tuttavia aspettarsi una risposta, sapeva benissimo quale
sarebbe stata.
Mentre riprendeva a leccarlo sentiva le sue cosce abbassarsi leggermente
per divaricare ancora di più le natiche. Dopo un ultimo bacio la penetrò
leggermente. Lo vedeva entrare senza troppa resistenza.
Il tocco lieve che le fece sentire all’inizio si trasformò quasi subito
in una spinta vigorosa che la fece si, urlare tra i denti, ma che non la
spostò di un solo millimetro dalla sua posizione. lo voleva dentro.
Nella maniera più forte che lui sarebbe riuscito a sostenere.
Il membro finto scorreva dentro di lei fluidamente, senza farle provare
il momento di stop tra entrata ed uscita. Il movimento non era lento e
le sue dimensioni dovevano sicuramente crearle delle sensazioni molto
forti, visto che il leggero ansimare era aumentato di tono. Lo vedeva
scorrere vicinissimo ai suoi occhi.
-Dio. Come riesci a dilatarti. Mi sembra quasi incredibile.
Le disse mentre sfilava il membro e vedeva il suo buchino restare
dapprima allargato per poi richiudersi lentamente su se stesso con delle
piccole contrazioni.
Non resisteva più. La fece girare sulla schiena e portò le sue gambe
sulle spalle. La penetrò col fallo finto davanti facendolo entrare per
tutta la lunghezza. La penetrò anche da dietro, facendo aderire la base
del fallo contro il suo pube. Ad ogni affondo del suo membro
corrispondeva una pressione anche sul fallo finto. Mentre scorreva
dentro di lei riusciva a sentire distintamente le nervature che ornavano
la gomma del membro, come se la sottile membrana che separava i suoi
morbidi anfratti, si fosse assottigliata ancora di più dalla posizione.
– Ahi, cosi’ me la sfondi.
Disse lei tra un sussulto e l’altro, mentre il suo ansimare diveniva
sempre più violento, sempre più forte…. respirava ormai senza
controllo. Ogni espirazione forzata corrispondeva alla pressione di un
affondo dentro di lei.
– Ti piace sentirti piena &egrave?
– Dio se mi piace. Mi sento dilatata in modo incredibile, e mi stai
riempiendo tutta… ti sento aderire su tutte le pareti.
Sentir parlare mentre faceva l’amore era una delle cose che lo
eccitavano di più.
– Dimmi cosa sei.
– Cosa vuoi sentirmi dire?
– Voglio sentirti dire che sei una troia. La mia troia.
– Ti piace sentirlo dire? O ti piace dirlo?
– Mi piace sentirtelo dire. Se lo senti.
– Sono la tua troia.
– Ridillo.
– Troia. Si, sono la tua Troia.
Le sue parole ed i suoi gemiti l’avevano stravolto del tutto. Cercava di
assorbire tutte le sensazioni che lei provava, cercando di leggere nelle
sue espressioni, rese ancor più voluttuose dalla penombra della stanza.
Un movimento convulso delle natiche di lei fecero uscire il pene dalla
sua sede, quell’improvviso distacco gli diede modo di allentare un
attimo la tensione.
– Ti piace davvero sentirti riempire? Disse sfilandole il mebro di
gomma.
– Si. Sai benissimo quanto mi piaccia. Mi piace sentire quanto riesco a
dilatarmi.
i cuscini, fino a quel momento testimoni muti degli avvenimenti, fecero
la loro comparsa nel gioco. li spostò sotto il sedere di lei alzandole
il bacino… costringendola ad inarcare la schiena. Iniziò ad
accarezzarla sulle labbra aperte. Con la bocca le titillava la clitoride
mentre le dita della sua mano entravano ed uscivano da lei. Chiuse le
dita unendole tra loro e le spinse. Penetrarono senza fatica per un bel
tratto.
Intuendo ciò che lui stava per fare, lei, rovesciò la testa
all’indietro. Con i capezzoli tra le dita l’incitava a spingere di più.
Ad entrare di più.
Era ipnotizzato da quello che faceva. Vedeva la sua mano scomparire
centimetro dopo centimetro dentro di lei. La muoveva piano, lentamente.
Anche se l’eccitazione spingeva ai limiti la consapevolezza, la paura di
lacerarla era comunque presente.Faceva forza per far entrare le nocche.
” Un’altra spinta” diceva tra se” un’altra spinta e basta, non posso
farla affondare tutta” .
Come se lei gli leggesse dentro, con un sospiro più forte ed un
movimento del bacino, fece in modo di penetrarsi a fondo.
Con gli occhi ormai fuori dalle orbite, lui, vedeva la propria mano
immersa fino al polso nel sesso di lei. Un morbidissimo ed umido guanto
lo avvolgeva completamente. Una sensazione tattile gradevolissima lo
riempiva a tal punto che ciò che stava facendo gli appariva
normalissimo, e non un gioco teso all’esasperazione.
Ruotava la mano dentro di lei mentre con la lingua continuava a
titillarle la parte più sensibile. Lei gemeva senza controllo. Il suo
sguardo, che prima aveva impresso negli occhi di lui, ormai vagava da un
punto imprecisato sopra le sue spalle al soffitto. La bocca semiaperta
cercava di prendere più aria.
Tolse la mano per tornare al gioco di prima. Il fallo rosa, di gomma
trasparente, fece di nuovo la sua comparsa, ma invece di farsi strada
poco a poco le entrò dentro con violenza. Entrava ed usciva da di lei
con scatti veloci. Ogni penetrazione aveva un sottofondo d’aria che
usciva, come se il membro comprimesse l’aria dentro di lei per farla
uscire dalla bocca forzatamente.
La fece voltare e mettere in ginocchio, e mentre il membro finto le
scivolava fuori, riprese a sodomizzarla con forza. Sembrava che
infierisse contro un nemico, tale era la forza che metteva nelle spinte.
Aveva volutamente abbandonato ogni controllo. Sembrava che ogni spinta
dentro di lei fosse l’ultima della sua vita.
Sentiva l’orgasmo montargli dentro come la marea. Lentamente, all’inizio
sembra solo una vaga sensazione di calore che parte dal ventre per
espandersi all’intorno… aumenta con forza finch&egrave non udì il suo urlo
spezzare i sussurri che fino a quel momento si erano succeduti. Era
sempre stato atipico nel suo modo di provare… di “sentire” l’orgasmo,
Non tratteneva nulla di se.
Seppure fosse coscente che, avrebbero potuto sentirlo in metà albergo,
lasciò quel pensiero razionale ai limiti della coscenza… lasciando
scaricare l’aria del suo petto con la stessa violenza con cui vuotava il
suo corpo dentro di lei. Si era aggrappato forte ai suoi fianchi, e
strinse, inconsciamente, in maniera tale che le avrebbe sicuramente
lasciato dei segni vistosi che dal rosso si sarebbero trasformati
sicuramente in bluastri
– Dio come mi piace sentirti godere così.
– Qualche giorno morirò venedo. Fammi riprendere fiato un attimo o
dovrai portarmi in rianimazione.
Ma nonostante le sue parole l’aveva voltata e con la lingua aveva
iniziato a leccarla tra le cosce. I suoi gemiti leggeri, risuonarono di
nuovo nella stanza.
– Fammi sentire le mani. Le tue mani sul mio corpo.
Un gioco. Un gioco che l’aveva, altre volte, lasciato perplesso e con la
paura di esagerare… di lasciarsi prendere. Era da troppo tempo
abituato ad avere un controllo “particolare” sulle sue mani. Sapeva
benissimo cosa potevano fare.
E mentre la lingua continuava, con impegno, il suo lavoro, le mani
iniziarono a tormentarle i seni. Ora schiacciandoli con forza, ora
accarezzandoli dolcemente per tutta la loro circonferenza. Le dita, un
momento, torcevano delicatamente i capezzoli e l’attimo dopo li
strattonavano verso l’alto. Il ventre di lei si agitava sempre più
forte, come se cercasse di penetrargli col sesso la bocca. Colpi.
Sculacciate sempre più forti si susseguivano, ora sulla parte delle
natiche che riusciva a colpire da quella posizione, ora sui seni che
assorbivano i colpi proiettandosi ai lati del corpo di lei.
Dolore e piacere, mormorava quasi inconsapevolmente lei.
– Continua. Continua. Fammi sentire le mani. Le “tue” mani su di me.
– E’ questo che vuoi ? Dimmi! Dimmelo! E’ QUESTO CHE VUOI?
Così dicendo aveva iniziato a colpirla sul viso. Ogni schiaffo sembrava
girarle il viso come ad una bambola di pezza.
Una mano continuava a toccarla. La clitoride era gonfia e pronunciata
come non l’aveva mai vista. L’eccitazione l’aveva resa sensibilissima,
e, quando la colpì tra le gambe con la mano aperta un vero urlo di
piacere sconvolse la stanza.
Vedendo che il suo sguardo era diventato vacuo sotto le percosse si rese
conto che stavano oltrepassando i limiti. Si erano sporti troppo sul
baratro.
– Torna piccola. Torna da me. Sei troppo fuori.
Dolcemente, accarezzandole il viso con tenerezza.
– Ritorna piccola.
Il suo respiro affannato scese di frequenza lentamente. I teneri baci e
le dolci carezze avevano sortito l’effetto voluto.
tornò con la testa tra le sue cosce, Rimanendo come sempre stupito alla
vista del suo sesso. I petali dell’orchidea erano gonfi e color rosso
scuro verso l’esterno, rosso vivo nella parte interna. Il contrasto di
colore la faceva apparire come una ferita aperta.
Continuò a leccarla dolcemente mentre sentiva le mani prendergli i
capelli per schiacciargli il viso sul sesso come se invece di dolcezza
ora desiderasse di nuovo la forza. Aperta la bocca il più possibile
cercò di riempirsela con tutta la carne che poteva contenere. Le sue
grandi labbra gli riempivano la bocca come un morbido pene. Erano
enormi. Succhiava con forza facendo un rumore di risucchio che, alle sue
orecchie, sembrava particolarmente osceno ed eccitante. Sentiva
l’agrodolce muschiato del suo sapore riempirlo pian piano, finch&egrave non ci
fu altro odore… altro sapore che non fosse quello… altro contatto
che non il sesso nella sua bocca… altro suono che le sue grida che si
facevano via via più forti.
Ora urlava. Urlava veramente. in ondate sempre crescenti il suo tono
aumentava di volume.
Venne nella sua bocca inondandolo d’umori. La sensazione dovette essere
talmente forte che le sue mani, che prima lo tiravano a se, lo spinsero
via allontanandolo, come se volessero allontanarsi da quelle sensazioni
talmente forti da essere addirittura insopportabili.
Rimasero abbracciati per un po’ sotto la coperta, godendo del calore
reciproco.
La luce delle candele danzava sui muri come se con le sue movenze
volesse accompagnare il ritmo del respiro dei due amanti che si
ricomponeva lentamente.
Una mano accarezzava, delicatamente, una schiena vellutata.
Labbra sfioravano altre labbra… dolcemente.

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