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Racconti di Dominazione

Padrone

By 7 Agosto 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei’
Sempre tra le prime ad arrivare ormai Rossana era conosciuta da tutti i vigilanti notturni. Le piaceva la sensazione di muoversi tra gli ampi corridoi dell’azienda quando era tutto in silenzio o con solo vaghi suoni che provenivano da lontano. Si sentiva bene nel sapere che aveva tutto il tempo per andare alla sua postazione ed iniziare la sua routine mentre non c’era nessuno sul piano con lei, le sembrava che tutto quello spazio enorme suddiviso in tante postazioni con paraventi a metà altezza le appartenesse, lo sentiva suo e man mano che arrivavano i colleghi nella sua mente era come se lei concedesse loro di prendere posto.
Arrivata nel suo angolino, come ogni mattina, la accoglieva la foto di Momo che con la zampa sembrava spingere il vetro per voler uscire da quella finestrella e coccolare ancora un po’ la sua padrona che lo ha lasciato addormentato sulla poltrona in soggiorno. Un sorriso per tutte le coccole che si sono scambiati e la giornata può cominciare. Accende il computer, apre i cassetti e prende la cancelleria personale. Tranne che per i fogli ha sempre comprato da sé ciò che le serviva per lavorare, le &egrave sempre sembrato giusto in quel modo.
Mentre controlla l’email aziendale passa Claudia
‘Anche stamattina mi hai battuto!’
con un sorriso solare la sua vicina di cubicolo le da il suo buon giorno. Rossana si volta
‘Sai com’&egrave, vivendo da sola ho tutto il tempo per organizzarmi e riuscire a vincere tutti i giorni la nostra gara a chi &egrave la più stacanovista’.
Anche se molto diverse le due si considerano buone colleghe, non che abbiano mai parlato di molto al di fuori del lavoro o che siano uscite a bere qualcosa ma si trovavano simpatiche l’una l’altra nonostante Claudia avesse vent’anni in più, un marito e due figli quasi adolescenti.

Al ritorno dalla pausa pranzo, veloce e semplice per non sentirsi a disagio di essere al lavoro e non lavorare veramente, nel momento di riprendere dai cassetti tutte le sue cose trovò anche un biglietto piegato in due che era sicura prima non ci fosse. La carta spessa e ruvida era inusuale, aprendolo, con caratteri fiorati, vi trovò stampato:

All’uscita lascia la matita sulla scrivania.
Padrone

Pensando fosse uno scherzo si alzò in piedi e si guardò attorno ma non c’era nulla di insolito, nessuno che rideva o che era sul punto di farlo. Sapeva che gli altri la consideravano un po’ ingessata, sempre sulle sue e che dava poca confidenza e probabilmente quello era un tentativo di qualcuno di farla inserire di più o magari solo per prenderla in giro. Non aveva importanza, era fatta in quel modo e non le importava. Fece cadere il biglietto nel cestino e riprese il suo lavoro.
Al termine della giornata nel sistemare la sua postazione, quando prese tra le mani la sua matita personalizzata con le immagini di gattini le passò per un breve istante in mente la frase sul bigliettino e poi quella firma così assurdamente autoritaria, con un sorriso tirato sulle labbra ripose tutto nel cassetto, prese la borsa ed uscì.

‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei’
I tacchi bassi continuarono a suonare mentre Rossana voltava l’angolo per prendere l’ascensore. Sempre la prima ad arrivare a lavoro, il silenzio della stanza la rilassava e la faceva sentire a proprio agio mentre attraversava il lungo corridoio per arrivare alla sua postazione senza il bisogno di fare un minimo di conversazione con i colleghi, lei era la nuova, anche se ormai era stata assunta da due mesi ed erano ancora tutti interessati a capire che tipo fosse.
Arrivata nel suo angolino, tutto era in ordine, tutto era pulito come lo aveva lasciato lei. I suoi occhi per abitudine andarono alla fotografia di Momo, nella cornice di legno dipinto non c’era più il suo gatto ma un foglio bianco con una scritta. Non capendo cosa stesse succedendo si avvicinò per guardare meglio. Riconobbe subito i caratteri fiorati del giorno precedente:

Sai cosa devi fare per riavere la foto.
Padrone

Prese in mano la cornice e dovette rileggere perché tutto le sembrava così assurdo. Cos’era, un riscatto? La fotografia in cambio della matita? Chi si poteva divertire con uno scherzo del genere?
‘Stamattina pensavo di riuscire a vincere io ma sei arrivata di nuovo prima di me!’
la voce di Claudia la fece sobbalzare e si girò tenendo la cornice contro il petto per non far leggere il biglietto, l’imbarazzo sarebbe stato eccessivo
‘Tutto bene? Mi sembri scossa…’
‘No no, tutto apposto’ per caso, dopo che sono uscita ieri pomeriggio hai visto qualcuno nella mia postazione?’
‘Mi pare di no, ti hanno preso qualcosa?’
‘No’ c’&egrave tutto, solo mi sembra che qualcosa sia stato mosso’ magari &egrave solo una sensazione…’
il suo sorriso nervoso chiuse la conversazione.
Appena Claudia scomparve dietro al divisorio si affrettò ad aprire la cornice e togliere il bigliettino. Si guardò intorno per vedere se ci fosse qualcuno a divertirsi alle sue spalle ma nella stanza c’erano solo Claudia e lei. Gettò il bigliettino nel cestino e ripose la cornice nel cassetto, prese il necessario per iniziare a lavorare e con la testa annebbiata dalla situazione iniziò la sua giornata.

Per tutto il giorno fu distratta da quei bigliettini, continuava a pensare e ripensare a ciò che c’era scritto e cercava di capire chi dell’ufficio potesse essere stato. Prima di andare via, chiuso tutto e rassettato tutto rimase per qualche istante seduta sulla sua sedia rigirandosi tra le mani la matita. Che cosa stupida! La matita non costava molto e la foto la poteva far stampare di nuovo ogni volta che voleva ma con gli orari del lavoro sarebbe stata una scocciatura andare fino al negozio mentre a casa aveva una confezione piena di matite.
Lasciò la matita sulla scrivania davanti al computer, prese la borsa ed uscì.

La mattina seguente arrivò al lavoro ancora prima del solito, voleva vedere la foto al suo posto, ma soprattutto avrebbe guardato in tutte le postazioni per cercare la sua matita e quindi trovare il burlone che si divertiva in questo modo idiota e poi gliene avrebbe dette di tutti i colori, anche davanti a tutti, lei non era tipa da trattare in quel modo!
Con passo svelto arrivò nel suo angolino, Momo era tornato a spingere il vetro della cornice, era al suo posto, come sempre, non dentro il cassetto dove aveva lasciato la cornice il giorno precedente. Almeno &egrave ordinato, pensò. Ma la cosa che la spiazzò fu vedere la matita sulla scrivania proprio dove l’aveva lasciata lei. La furia che l’aveva spinta lì così presto di colpo svanì e si sentì quasi svuotata. Si abbandonò sulla sedia ed iniziò la sua solita routine, scherzò come al solito con la sua vicina ma nel momento di prendere la sua cancelleria dal cassetto, proprio sopra le penne trovò un nuovo bigliettino piegato in due

Spezzala.
Padrone

Un comando e la solita firma. Che sciocchezza, pensò, ma stavolta invece di gettare il biglietto come aveva fatto con i due precedenti lo ripiegò e lo ripose nel cassetto dove lo aveva trovato.
Durante il giorno, quando le capitava di aprire quel cassetto le veniva da sorridere pensando a quanto gli ultimi tre giorni le sembrassero così insoliti rispetto a tutti quelli ripetitivi dei due mesi in cui si trovava lì. Smettendo di pensarlo come uno scherzo idiota ora quei biglietti le sembravano un gioco, ok, un poco inquietante ma perché no, fino a che era in certi limiti poteva benissimo partecipare. Quel giorno aveva già portato un’altra matita nell’eventualità che non sarebbe riuscita a ritrovare quella del riscatto, era già una perdita considerata, così alzandosi in piedi per controllare se ci fosse qualcuno a guardare mise la matita con una metà sporgente dalla scrivania e vi si poggiò. Cedette facilmente con un suono sordo ma sembrava che nessuno lo avesse notato. Abbandonò i due tronconi dove il giorno precedente aveva lasciato la matita integra e dato che il suo orario era terminato andò a casa. ‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei’
Quella mattina era più sorridente del solito. Le sembrava che andare al lavoro avesse un motivo in più, non che prima ci andasse senza voglia, era sempre stata una ragazza diligente, sempre fatto tutto quello che le si chiedeva di fare ma la storia del gioco le sembrava che aggiungesse qualcosa alla giornata, delle sfide imprevedibili che cominciavano a stuzzicare la sua immaginazione.
Arrivata alla sua postazione era tutto come lo aveva lasciato lei, tranne per il fatto che non c’era più la matita spezzata. Che siano state le signore delle pulizie? Possibile. Questo la rattristò come se dopo il suo impegno e sapendo di aver fatto tutto a dovere non avesse superato la prova, ma forse c’era ancora qualche speranza. Andò al cassetto dove aveva trovato l’ultimo biglietto sperando ce ne fosse un altro per continuare il gioco, lo aprì ed invece del biglietto trovò un piccolo piatto bianco in ceramica sopra al quale era disposta una salvietta in lino grezzo al centro della quale c’era un piccolo bottoncino di colore scuro. Guardò più attentamente, era una caramella tra il blu ed il viola. Timorosamente allungò la mano per afferrarla, era morbida, l’avvicinò al viso e ne sentì il profumo intenso di mirtilli. Macchinalmente mise la caramella in bocca, al contatto con la lingua si sprigionò tutto il sapore, i suoi pensieri rimasero sospesi per qualche istante e quando ripresero, tornarono ad un’estate della sua adolescenza, ricordava bene il caldo ed il mare, la caricatura della rana sul pacchetto di quelle caramelle e la prima volta che gustò il loro sapore, così diverso da tutte le altre caramelle, erano subito diventate le sue preferite. Anni dopo aveva provato a cercarle nei negozi ma nessuno ne aveva ed aveva finito per pensare che non venissero più prodotte e smise di cercarle. Invece ora ne stava mangiano una. Come poteva essere possibile? La provenienza era quasi scontata, lo stile di presentazione poteva essere solo di chi le lasciava i biglietti, ma come faceva a sapere di quelle caramelle?
Con aria sognante, seduta sulla sedia, rispose con un sorriso all’arrivo di Claudia, aspettò che la caramella svanisse del tutto nella sua bocca prima di iniziare a lavorare ma per tutto il giorno l’accompagnò il ricordo di quell’estate così spensierata.

‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei’
Se fosse possibile il ticchettio dei suoi tacchi nell’atrio dell’ufficio sembrava un suono gioioso. La settimana precedente si era conclusa con un sapore familiare, inaspettato e soprattutto che considerava suo personale. Chi aveva cominciato quel gioco o la conosceva molto a fondo tanto da venire a conoscenza dei suoi gusti da adolescente oppure per un caso fortuito aveva usato proprio la marca giusta.
Con questi pensieri, senza quasi accorgersene, arrivò al suo angolino. Tutto in ordine, come sempre, ma ormai la sua routine era cambiata. La prima cosa fu andare al solito cassetto, un respiro profondo prima di aprirlo e per cercare di fare la cernita tra tutti gli obbiettivi che durante il fine settimana aveva pensato che sarebbero stati i probabili da trovare in ufficio il lunedì e poi con un gesto deciso ma lento aprì il cassetto. C’era una scatola di cartone laccato rosso e sopra di essa un bigliettino piegato in due. Non aveva mai pensato che ci sarebbe stato qualcos’altro oltre al biglietto, con attenzione sollevò la scatola con ancora il bigliettino sopra, la poggiò sulla scrivania e si sedette per ammirare ancora e cercare di capire dall’esterno cosa potesse essere. Preso il biglietto tra le mani scoprì la scritta Gai Mattiolo sul scatola. Quel nome le era familiare ma non afferrando subito un collegamento diresse le sue attenzioni al biglietto. Dispiegandolo trovò la scritta

Indossalo.
Padrone

Incuriosita, sollevò il coperchio della scatola ed arrotolata al suo interno c’era una stoffa disegnata, sfiorandola con le dita le sembrò seta tanto era soffice e liscia. Non aveva mai avuto una cosa del genere, aveva quasi paura a toccarla. Con cura la tirò fuori e lasciando che si sciogliesse da sé vide che era un magnifico foulard, decisamente costoso ma che non corrispondeva al suo stile. Dopotutto, forse, questo ‘Padrone’ non la conosceva poi molto. Ma più guardava quella stoffa delicata e più le veniva voglia di sentirla sulla pelle. Con un gesto lento la fece scivolare intorno al collo, era soffice e leggera, più di quello che si aspettava dalla seta. La sensazione di avere la pelle protetta ma senza sentire il peso o l’impedimento di ciò che la proteggeva era unico, le piaceva.
‘Ti sta d’incanto…’
Fu l’espressione di Claudia quando la vide
” Grazie”
le rispose Rossana un poco imbarazzata mentre accarezzava il regalo intorno al suo collo. Le piaceva la sensazione di accarezzare qualcosa di così liscio, sui polpastrelli percepiva come una leggera scossa mentre scivolavano senza impedimento.
Andò in bagno per guardarsi allo specchio, era meraviglioso, non si aspettava che le stesse così bene. Guardò la sua immagine sorridente al di là del vetro e convinta nel tenerlo al collo tornò alla sua postazione.
Rimase raggiante tutta la giornata. Di tanto in tanto con una mano andava a sfiorare quella stoffa leggera per assicurarsi che fosse ancora al suo posto e per avere quella sensazione al tatto così nuova.
Prima di uscire si sentì in obbligo di ringraziare lo sconosciuto, prese un post-it e con la sua grafia veloce scrisse:

Ti ringrazio per il prezioso regalo.
Chi sei?
R.

Sghignazzante come un’adolescente alla prima cotta prese la borsa e tornò a casa.

La mattina seguente, ancora tutta eccitata per il regalo e per avere finalmente la possibilità di conoscere l’identità di chi le aveva cambiato gli ultimi giorni, quasi volò per i corridoi con il suo nuovo foulard al collo. Andò dritta al solito cassetto, un foglietto piegato in due le aprì la bocca in un sorriso enorme. Era fatta, finalmente avrebbe scoperto chi fosse.

Sei ancora una cucciola e per questa volta ti perdono.
Non parlare se non ti viene ordinato.
Padrone

Cadde sulla sedia completamente abbattuta per quel rimprovero. Le era parso che con il regalo quell’assurdità del ‘Padrone’ ed i toni autoritari erano solo uno scherzo di chi non aveva il coraggio di parlare viso a viso e che si fosse inventato quella sorta di gioco per rompere il ghiaccio. Nessuno fa un regalo del genere a chi tratta in quel modo e poi cosa aveva mai fatto lei di così grave?! Aveva ringraziato. Aveva chiesto chi fosse, era forse un peccato mortale? Con una lacrima trattenuta a stento nell’angolo dell’occhio si decise che quel foulard lo avrebbe tenuto come risarcimento per tutto quello che le stava facendo passare lo sconosciuto.
Le fu difficile concentrarsi sul lavoro per tutto il giorno. ‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei’
Si sentiva dal tono spento della sua voce che quell’augurio non le avrebbe cambiato l’umore di una virgola. I giorni in cui arrivava felice ed anche un po’ eccitata a lavoro, i giorni in cui un biglietto semi anonimo le mutava completamente la giornata sembravano lontani anni nel suo passato ed invece non era neanche conclusa la settimana che si era aperta col biglietto di rimprovero. Lo aveva gettato come gli altri, ma lo aveva ripescato dal cestino della carta ed ora lo portava sempre con sé, di tanto in tanto lo riprendeva, a volte rileggeva, a volte recitava a memoria ciò che c’era scritto, sempre con un’aria colpevole. Era colpa sua se il gioco si era fermato, ci sarebbe potuta arrivare lei stessa che Padrone stava a significare che era solo lui che poteva avere iniziativa ed invece lei era uscita dallo schema ed ora tutto era finito.
Con questi pensieri arrivò alla sua postazione. Neanche la foto di Momo riusciva più a farle alzare l’angolo delle labbra in un accenno di sorriso. Ora la sua unica preoccupazione, il suo pensiero era trovare di nuovo un bigliettino. Guardava ogni mattina nel solito cassetto, provava a cercare anche negli altri cassetti, tra i fascicoli, dietro le cose, dappertutto, senza riuscire a trovare nulla. Controllava anche dopo la pausa pranzo, quando tornava alla sua postazione, cominciò a controllare ogni volta che tornava nel suo angolino, anche se si era allontanata per pochi minuti. Non riusciva a fare a meno di cercare quel pezzettino di carta, quelle lettere fiorate con un nuovo ordine.
Aveva sempre al collo il foulard, lo accarezzava spesso, lo annusava anche cercando di percepire ancora il profumo di quando era nuovo nella scatola ma ormai era quasi del tutto scomparso, soppiantato dal suo stesso profumo. Aveva provato a non indossarlo più, ma la sensazione della pelle del collo nuda ed esposta non le piaceva più, si sentiva più protetta sapendo di averlo al collo.
Era sabato, mezza giornata prima del week end che già le appariva desolato. Macchinalmente, quasi senza speranza andò al cassetto, lo aprì e finalmente trovò un bigliettino. Quasi non ci credeva, pensava che fosse stata la sua voglia di trovarlo là che glielo faceva vedere ed invece c’era. Lo prese, era intimorita da un altro rimprovero ma al tempo stesso era felice di avere di nuovo il contatto con Padrone. Annusò la carta prima ancora di aprirla, sapeva di buono e in cuor suo già sapeva che dentro c’era scritto qualcosa di buono. Lo aprì

Mai più capelli legati.
Padrone

Finalmente! Era felice, quasi estatica nel ricevere di nuovo una frase del genere. Stava sorridendo da così tanto che ora gli zigomi cominciavano a farle male. Con gli occhi fissi sulla scritta alzò senza pensare la mano destra, la portò in cima alla nuca e infilando l’indice tra le spire dell’elastico lo tirò via lasciando che i capelli le cadessero sulle spalle, li sentì tintinnare come pioggia fine sulla camicetta. Gettò senza cura l’elastico nella spazzatura, si sedette ma rimase a fissare il foglietto a lungo.
Le piaceva avere i capelli lunghi, le davano un senso di femminilità tipica dei tempi passati, ma fin dall’università si accorse che erano poco pratici per una vita movimentata così li teneva raccolti per la maggior parte del tempo, sciogliendoli solo per uscire la sera o per gli appuntamenti col ragazzo’ quel bastardo, bugiardo, traditore. Ormai erano quasi due anni da quando lo aveva cacciato a calci fuori dalla sua vita. Con quell’ultimo sforzo quasi strappò via anche il suo cuore e da allora non si sentiva più in vena di far risaltare la sua femminilità, l’unico maschio della sua vita era Momo ed a lei stava bene così.
Ma ora c’era quell’ordine, non sarebbe stato troppo difficile da seguire e poi non voleva più ricevere un rimprovero, era sempre stata una ragazza diligente e non ne aveva mai ricevuti, neanche da piccola. Anche se ormai era grande il rimprovero ricevuto l’aveva abbattuta completamente, era nervosa, non sapeva cosa fare, non sapeva come poter stare meglio ma ora, col nuovo biglietto, tutto era tornato sereno, si sentiva sollevata, quasi felice.
All’uscita dall’ufficio non andò a casa, bensì dal parrucchiere, l’altra comodità di tenerli legati era che poteva trascurarli più a lungo ma ora non poteva più essere così e poi, sì &egrave vero, voleva fare piacere a Padrone, voleva che dimenticasse che era stato costretto a sgridarla.

‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei’
Chissà se il vigilante si sia accorto del cambiamento di Rossana. A lei non importava, a lei importava solo di seguire il gioco, seguire gli ordini e fare in modo che Padrone non la sgridasse più. Era felice, si vedeva, si sentiva dalla voce, lo si percepiva dalla sua sola presenza. I capelli sciolti ondeggiavano ad ogni suo passo, di tanto in tanto le accarezzavano le guance e per lei quella rappresentava la carezza di Padrone, le piaceva la sensazione e la faceva sorridere ancora di più. Si sentiva bene, anche se prima d’allora andare a lavoro senza legare i capelli le sembrava di presentarsi in disordine ora invece non le importava, si sentiva comunque a suo agio nel percorrere gli uffici rivelando di nuovo parte della sua femminilità.
Arrivata alla sua postazione salutò con un sorriso la foto di Momo e poi si diresse subito al solito cassetto. Per tutto il week end, mentre si abituava alla ritrovata libertà dei suoi capelli, mentre si specchiava in continuazione chiedendosi se la nuova acconciatura sarebbe piaciuta a Padrone, aveva fantasticato su cosa poteva contenere il nuovo bigliettino, ma più di tutto voleva essere elogiata, aveva ubbidito immediatamente, aveva fatto di più di quello che le si chiedeva, voleva dimostrare di essere diligente e desiderosa di continuare il gioco.
Aprì il cassetto, nessun biglietto, ma c’era di nuovo il piattino con il tovagliolo di lino grezzo. Riconobbe subito cosa c’era sopra. Come quando spezzò la matita ricevette una caramella, ora anche, ma erano tre, rosse, sempre quelle della confezione con la rana, il lampone, il suo gusto preferito, quello che teneva da parte per gustarlo alla fine. Ne prese una, l’annusò e ricordandone perfettamente il sapore la mise in bocca e la lasciò sciogliere completamente.
Era felice, era appagata, si sentiva capita ed apprezzata, del resto qualcuno aveva cominciato tutto quello, conosceva i suoi gusti e voleva valorizzarla coi suoi regali. Prese un’altra caramella, si rilassò sulla sedia ed iniziò a lavorare un po’ più tardi del solito. ‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei’
Da qualche giorno non era più la prima ad arrivare in ufficio, il che la disturbava un poco ma non le importava più molto. Era la chiusura del trimestre e tutto l’ufficio era in subbuglio e molti erano costretti ad arrivare prima per poter consegnare in tempo i propri rendiconto. Per la prima volta da quando aveva iniziato a lavorare era stressata, doveva lavorare in fretta e con precisione, senza delle vere pause. Padrone non si faceva sentire, si sentiva un po’ triste per questo, accarezzava spesso il foulard e si diceva che comunque stava bene anche senza quel gioco, che poi lei non aveva fatto nulla di male, anzi, l’ultima volta era anche stata premiata e che quindi non era colpa sua se non andava avanti, sospirava e si intristiva sperando che non fosse tutto finito.
Arrivata nel suo angolino, come tutte le mattine, andò al cassetto, lo aprì non aspettandosi nulla ma sul fondo trovò qualcosa di pesante avvolto in una stoffa rosa. Lo tirò fuori e le sembrava proprio fosse una bottiglia al cui collo, per tenere chiuso il sacchetto, c’era un nastro a cui era appeso un foglietto, uguale a tutti gli altri che aveva ricevuto.
Finalmente, pensò, dopo tutto questo tempo di nuovo un segno di Padrone, era felice, dall’incarto le sembrava che fosse un regalo e quindi aspettare pazientemente senza scrivere ancora lei stessa dei biglietti aveva pagato. Aprì il bigliettino

Tre manciate in acqua calda.
Padrone

Non capiva. Non importava in quel momento, sciolse con cura e lentamente il nastro. L’incarto si aprì da solo come una corolla e rivelò la bottiglia in vetro dalla bocca larga. All’interno c’era come della finissima ghiaia rosa, l’etichetta diceva ‘Sali da bagno’. Oh, pensò, mai avuti’ Tolse il tappo in sughero, il profumo di rosa e gelsomino l’avvolse con forza, era inebriante, le servì tutta la sua forza di volontà per riporre nella confezione la bottiglia e metterla nella borsa prima di cominciare a lavorare.

Arrivata a casa era distrutta, la giornata era stata nuovamente pesante ma il suo animo era leggero. Quello nella sua borsa era il primo regalo che non aveva potuto usare immediatamente, era qualcosa che poteva usare solo in casa e dovette aspettare per tutto il lunghissimo giorno prima di seguire le indicazioni del biglietto. Posò la borsa, prese la bottiglia ed andò subito in bagno. Tolse le scarpe che non sopportava più, rilesse il bigliettino per sicurezza ed aprì l’acqua calda. Da quando si era trasferita nell’appartamento aveva sempre pensato che fare la doccia in una vasca da bagno era la cosa più scomoda del mondo, troppo ingombrante, il bordo da scavalcare ogni volta e la tenda che puntualmente sgocciolava in terra. Invece ora aprì completamente la tenda e la appiattì per bene contro il muro. Mentre l’acqua continuava a sgorgare fragorosamente dal rubinetto si spogliò e ripose gli indumenti nel cesto dei panni sporchi, il foulard per ultimo, lo piegò con cura e lo lasciò in bella vista sul ripiano degli asciugamani da dove ne prese uno pulito che lasciò cadere a terra vicino la vasca. Dall’acqua si alzava un sottile strato di vapore, immerse una mano, perfetta, proprio la temperatura che piaceva a lei. Prese la bottiglia, la stappò e annusò di nuovo il contenuto fino a riempirsene i polmoni. Versò attentamente nel cavo della mano i sali e poi li lasciò cadere nella vasca per tre volte, come diceva il bigliettino, immerse la mano fino a toccare il fondo e scosse l’acqua per farli sciogliere completamente.
Il livello dell’acqua le sembrava giusto, la temperatura perfetta ed il profumo invitante, si decise ad entrare. Immerse un piede, poi l’altro ed i polpacci tesi già le facevano meno male. Si sedette lentamente osservando il livello dell’acqua che saliva senza andare oltre il livello di pericolo di allagamento del bagno. Fece scivolare i pollici sulla nuca per raccogliere i capelli ed evitare di bagnarli.

‘Mai più capelli legati’

Le tornò in mente una delle richieste di Padrone, aprì le mani e lasciò che i capelli si sciogliessero di nuovo sulla pelle nuda della schiena. Se non li legava tanto valeva bagnarli completamente per tenerli composti, lasciandosi scivolare nella vasca si immerse completamente con gli occhi chiusi e senza la fretta di prendere di nuovo fiato, l’acqua era così calda ed accogliente, come le coperte calde in una fredda giornata invernale. Riemerse e con le mani lisciò i capelli per sistemarli, appoggiò la testa al bordo e chiuse di nuovo gli occhi per godersi appieno quel momento.
Il vapore caldo che si alzava dall’acqua portava con sé il profumo di rosa e gelsomino, si sentiva meglio, le piaceva quella fragranza e ne respirava a pieni polmoni. Ogni respiro però, correndo sulla pelle nuda e bagnata del petto la raffreddava e lei muovendo sinuosamente la mano si portava dell’acqua a riscaldare quella parte esposta. Accarezzandosi la pelle nuovamente calda trovò che i capezzoli inturgiditi dal freddo non avevano affatto perso il proprio gonfiore, sorresse i seni tra le mani e con le dita continuò a stimolare quei due bottoncini sensibili. Dalla sensazione al basso ventre sapeva il motivo per cui i capezzoli erano ormai ben ritti, incrociando e stringendo con forza le cosce sentiva il suo sesso pulsante e voglioso. Con un respiro liberatorio immerse la mano destra e la fece scivolare più in basso dell’ombelico, giù attraverso i peli pubici fino a trovare il clitoride, per un istante perse il respiro e strinse forte il capezzolo che aveva ancora le attenzioni dell’altra mano.
Il calore dell’acqua ed il suo profumo sembravano averla ubriacata, sapeva di essere pronta, fece scivolare l’indice tra le pieghe soffici della sua carne. Entrando dentro sé stessa riconobbe come frutto del suo desiderio e non dell’acqua tutto intorno a lei quella sensazione di viscosità che le circondava il dito. Andò dritta ed immediata a quel punto magico che’ ancora una volta le prese il respiro e le fece contrarre tutti i muscoli nel tentativo di controllarsi.
Sentiva già le gote in fiamme e che il respiro le si faceva sempre più affannato, quel punto &egrave sempre lì e lei si &egrave chiesta ogni volta come sia possibile che i suoi ragazzi non lo avessero mai trovato. Accarezzandosi con il massimo dell’amore per sé stessa aveva la convinzione che Padrone invece lo avrebbe trovato subito e che con la Sua mano tra le gambe lei si sarebbe sentita appagata, ma la mano di un uomo come lui doveva sicuramente essere più forte e decisa della sua così, cercando di figurarsela, premette anche il medio all’entrata del suo sesso fino a farlo scivolare dentro a raddoppiare il piacere. Ma non sarebbe stato soltanto da dentro che le avrebbe dato piacere, sapeva che si sarebbe sentita felicemente sopraffatta dalla sua presenza e così iniziò a massaggiarsi il clitoride con le pressioni del palmo.
Chiuse gli occhi e dipinse nella sua immaginazione quell’uomo che le avrebbe dato piacere in quel modo così totale e mentre pensava questo la sua mano continuava a stimolarla, le gambe ormai spalancate per accogliere tutta la forza della sua passione. Sentiva la testa girare per il caldo, i respiri troppo frenetici e per i movimenti ritmati della mano. Sull’orlo del piacere contrasse le dita per sfiorare di nuovo quel punto così intimo e sensibile e l’onda di appagamento che ne scaturì si estese a tutto il corpo scuotendola dal profondo.
Negli istanti successivi rimase immobile a godersi gli ultimi istanti di annebbiamento dei pensieri, immerse un poco il viso nell’acqua calda per rinfrescare i tizzoni ardenti dei suoi zigomi. Si abbandonò completamente al relax dell’acqua che la cullava stingendola nel suo abbraccio, stanca, distrutta ma appagata. ‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei’
Dopo i giorni frenetici per la chiusura del trimestre era di nuovo tornato tutto alla normalità. Era la prima ad arrivare in ufficio e le piaceva la sensazione di essere sola in un posto così grande che poteva considerare tutto suo, almeno fino a quando non arrivavano i colleghi, ma la cosa che più la spronava al mattino era la possibilità di avere un qualche tipo di contatto con Padrone. Tutto era partito come gioco ed ora invece le sembrava che quello sconosciuto in qualche modo la conoscesse, ma che anche la comprendesse più a fondo di quello che altri potessero fare.
Arrivata alla sua postazione salutò con un sorriso la foto di Momo e si diresse al solito cassetto, abitudine ormai consolidata che se anche non vi trovava nulla di nuovo al suo interno le piaceva questa sorta di rito mattutino. Lo aprì. Giorno fortunato, c’era una scatola chiusa da un nastro di raso, sotto al quale era appoggiato un biglietto piegato

Indossalo e lascia il tuo nella scatola.
Padrone

Sorrideva. Un nuovo regalo. Tanti ultimamente e quindi compiti semplici da svolgere. Sciolse con cura il nodo ed aprì la scatola lentamente. Rimase affascinata dal pregio della stoffa, dalle finiture elaborate’ poi si riprese e chiuse di colpo il coperchio. Era in ufficio e quello nella scatola era un reggiseno, che vergogna se qualcuno l’avesse vista! Si guardò attorno per constatare di essere ancora da sola. Nessuno, per fortuna. Guardò di nuovo la scatola come se riuscisse a vedere attraverso il coperchio, cercava di capire cosa fare, rileggeva il bigliettino e sapeva che a differenza dei sali da bagno questo compito lo poteva svolgere lì, anzi doveva farlo, doveva lasciare il suo reggiseno al posto di quello che le aveva dato Padrone. Il suo istinto le diceva di farlo, la ragione cercava ogni sottigliezza per impedirglielo, nel frattempo si guardava attorno per controllare se qualche collega fosse arrivato.
Cedette all’istinto, lo avrebbe fatto, ma non lì nella stanza comune. Prese la scatola, la mise nella borsa e si diresse verso il bagno. Mentre camminava cercava ancora di trovare delle scuse per non farlo, per trovare un appiglio per sorvolare su quella parte del gioco. Che Padrone fosse uno di quei maniaci che comprano intimo usato su internet?! Assurdità, non poteva concepirlo, se fosse solo quello che senso avrebbe dare in cambio un altro reggiseno, per di più costoso. Nulla, proprio nulla le sembrava si potesse appuntare. Quello era un regalo ed in più aveva l’ordine di lasciare in cambio qualcosa, il suo intimo di sicuro era molto meno costoso, alla fin fine era un guadagno da parte sua…
All’improvviso le tornarono in mente tutte le facce interrogative delle commesse dei negozi quando chiedeva loro dei reggiseni e quelle piacevolmente colpite dei suoi ex una volta nuda davanti a loro, la sua mano istintivamente si infilò nella borsa e iniziò a farsi strada nel coperchio della scatola. Ma non lì, non poteva, era ancora in corridoio.
Fin dalla pubertà, appena il suo corpo cominciò a cambiare, notò che le attenzioni dei compagni nei suoi confronti erano cambiate, le accennate forme di donna che si andavano pian piano formando, sempre più generose erano il punto focalizzante degli sguardi dei maschi, perfino uomini dell’età del padre la guardavano in quel nuovo modo strano, lussurioso, morboso che la facevano sentire sporca al solo accorgersi dei loro pensieri. Così cominciò a vestirsi in modo poco appariscente a cercare di nascondere le forme, le stingeva, le dissimulava curvando le spalle, tanto che ora, anni dopo, le commesse nei negozi di intimo si interrogavano silenziosamente se la taglia che lei dava era giusta. Era giusta, sì, ma nessuno lo sapeva, per questo aveva timore che anche Padrone si confondesse.
Arrivata in bagno, profumo di detersivi e splendore su tutte le superfici, meglio del suo bagno a casa. Andò dritta all’ultima porticina per il water, chiuse la porta ed abbassò la tavoletta, poggiò la borsa, tirò fuori la scatola. L’aprì lentamente.
Il raso di un celeste chiaro era finemente ricamato, tono su tono, motivi floreali a coprire completamente le coppe, le sembravano abbastanza capienti. Tirò fuori dalla scatola il reggiseno, cercò la targhetta. Non c’era. La sua impressione era giusta, nessuna marca, nessun simbolo, cuciture e ricami perfetti, era artigianale! Profumava di nuovo, lo avvicinò al petto, lo poggiò sotto i seni, sembrava della giusta taglia. Sorrise.
Uno dopo l’altro aprì tutti i bottoni della camicetta rivelando il suo reggiseno ‘normale’ che assolutamente sfigurava alla presenza dell’altro. Tolse la camicetta e slacciò il reggiseno, anche se grandi i seni erano sodi e stavano su naturalmente. Abbassò le braccia e lasciò scivolare via il suo intimo. Prese l’altro, quasi massaggiandone la stoffa, accarezzandola per sentire lo stacco netto tra il raso ed il ricamo. Lo portò sotto il seno, lo tirò un po’ più su facendolo scivolare sulla pelle della pancia. Accolse come un guanto la sua femminilità. I gancetti si incontrarono perfettamente dietro la sua schiena, lo allacciò. Neanche le spalline erano da regolare, perfette. Perfetto tutto, ora che lo aveva indosso ne apprezzava ancora di più la fattura. Lo accarezzava, le piaceva, sentiva persino i capezzoli da sotto la stoffa che si inturgidivano.
Si ricordò di essere a lavoro e non poter seguire ciò che quel calore al basso ventre le suggeriva di fare. Infilò la camicetta senza abbottonarla, prese il suo reggiseno e lo piegò per metterlo nella scatola, quando però scostò la carta velina rimase perplessa. C’era dell’altro da parte di padrone. Stessa stoffa, stessi ricami, lo prese. Un paio di slip, no, culottes brasiliane. Le vedeva, le toccava, ma sembrava non capire cosa farne poi, senza pensarci, come se il corpo si muovesse da solo, cominciò a tirarsi su la gonna fino a che non riuscì facilmente ad infilarci sotto le mani. Due dita si infilarono nell’elastico degli slip ed li portarono in basso, fino alle ginocchia. Era strana la sensazione di non avere nulla sotto la gonna, ma ora era più importante la sensazione degli slip che erano caduti alle caviglie. Tenendosi e con cura li sfilò dai tacchi, li piegò e li ripose nella scatola. Facendo attenzione a non rovinare il regalo di Padrone infilò le culottes un piede dopo l’altro e poi le tirò su facendole scivolare sulla pelle delle gambe, sempre più su, spinse la gonna in alto per riuscire ad indossarle. Che strana sensazione, non aveva mai indossato culottes brasiliane, si sentiva sia avvolta che esposta ma decisamente le piaceva di sapere che in quel modo era più provocante per il regalo di una persona che non aveva mai visto o che comunque non sapeva chi fosse ma che sembrava conoscere i suoi gusti e riusciva a spingerla verso cose nuove ma che una volta scoperte le piacevano.
Aveva voglia di aprire la porticina così com’era con la camicetta sbottonata e la gonna alzata fino alla vita per riuscire a specchiarsi nel grande specchio sulla parete opposta del bagno, sapeva di essere sola, ma non aveva così tanto coraggio. Aveva la mano sulla maniglia e gli occhi bassi a guardare i seni salire e scendere sotto i respiri profondi. Ancora un attimo di indecisione poi il pudore prevalse e si rivestì a dovere. Confezionò il pacchetto da lasciare a Padrone e lo mise nella borsa.
Un’ultima controllata all’abbigliamento ed uscì, si guardò allo specchio, tutto apposto. Guardò con più attenzione focalizzandosi sul seno, sapeva che era grande ma sapeva anche di riuscire a dissimularlo bene, Padrone invece lo sapeva ed apprezzava, non sapeva se apprezzava davvero ma secondo lei non poteva essere altrimenti. E se quel regalo stava ad indicare di valorizzare di più la sua femminilità? Del resto tutti i regali fin ora ricevuti sembravano avere come scopo quello di valorizzarla e farla sentire bene. Si guardò attentamente allo specchio e cominciò a tirare in dietro le spalle, a spingere il petto in fuori, o meglio, a portarlo dove doveva essere. Si girò di tre quarti, era voluttuoso, ma le sue forme abbondanti erano sinuose sul suo corpo e si trovò bella. Dopo tanto tempo e tante insicurezze quell’istante le sembrò quello in cui finalmente si accettava.
Uscì dal bagno, erano ormai arrivati tutti in ufficio, camminava fiera e felice nel corridoio e tra i colleghi, vedeva molti di loro girarsi e guardarla con apprezzamenti appena trattenuti. Non le dispiaceva più, non le importava, sapeva che questa metamorfosi era dovuta da una persona e lei dedicava a quella stessa persona il riconoscimento che stava ottenendo da quegli sguardi.

Il mattino seguente, nel solito cassetto, ritrovò l’intimo che aveva lasciato il giorno precedente e le sue caramelle preferite. ‘Buon giorno’
‘Fino ad adesso non &egrave stato un granché’ praticamente uno schifo’
Cercando di far presto e bagnando dappertutto con l’ombrello fradicio passò con un mezzo sorriso davanti alla guardia giurata. Era in ritardo, un terribile ritardo per i suoi standard, con quel diluvio i trasporti pubblici avevano di nuovo dato il loro peggio. In ascensore cercò di darsi una sistemata ma non c’&egrave poi molto da fare quando si &egrave mezzo inzuppati, le porte si aprirono di fronte al capo che la fissava mentre lei cercava di staccarsi in qualche modo i capelli dalla faccia, dall’espressione che gli vide riflessa nello specchio sapeva già che il capo aveva equivocato, lei non era una di quelle smorfiosette che si guarda e si pettina ad ogni specchio incontrato, ma dalla situazione non sembrava proprio.
‘Le pare questa l’ora di arrivare in ufficio?’
tuonò lui
” &egrave che’ le strade sono bloccate”
balbettò qualcosa lei
‘Non &egrave una ragione valida. Al lavoro!’
Proprio una bella giornata! Ci mancava anche che il capo la riprendesse. Si vergognava, anche perché quel rimprovero lo avevano sentito quasi tutti ed ora la fissavano mentre si dirigeva nel suo angolino. Mai quella strada le era sembrata così lunga. Che poi fino a quel giorno era sempre arrivata in orario, anzi, molto prima degli altri, ma per quello nessuno la elogiava, per una singola volta che arriva in ritardo non le avevano neanche dato la possibilità di spiegare. Frustrata e paonazza in viso per la brutta figura si sedette alla sua scrivania.
‘Tranquilla, mettiti al lavoro che non &egrave successo nulla’
la voce di Claudia dall’altra parte del divisorio la scosse da quello stato di torpore dove i pensieri le turbinavano incontrollati nella testa. Era vero, si fece forza ed iniziò a lavorare più duramente del solito, senza nessuna distrazione, dritta filata fino all’ora di pranzo. Solo allora si accorse di non aver ancora controllato il cassetto che usava per comunicare, o meglio, che Padrone usava per comunicare con lei. Lo aprì. Ecco, lo sapeva, giornata pessima! C’era dentro qualcosa, una scatola quadrata e lei la vedeva solo ora, neanche quell’operazione sciocca le era riuscita quella mattina. Si guardò in torno per vedere se c’erano occhi indiscreti nei paraggi, l’ufficio era semi vuoto, prese la scatola e lesse il biglietto che l’accompagnava

Indossalo.
Padrone

Semplice, diretto, come sempre, un modo che le lasciava poca scelta ma che le piaceva. Diede un’altra occhiata intorno ed poi aprì la scatola, al centro c’era una spessa striscia di cuoio grezzo con degli inserti ed una fibbia in metallo. Troppo grande per essere un braccialetto, pensò lei, poi come folgorata dalla giusta intuizione si portò la mano al collo. Non poteva essere, si disse, Padrone’ quella parola le diede la sua risposta, chi si firma Padrone naturalmente poteva regalare quegli oggetti. Ed ora, cosa doveva fare lei? La giornata già la faceva sentire uno schifo non le andava proprio di rischiare un’altra punizione da Padrone. Risoluta si alzò, mise il pacchetto nella borsa ed andò verso il bagno, ma non quello dell’ufficio bensì quello al piano di sotto dove c’era l’archivio e che quindi era sempre deserto. Infatti già dal corridoio silenzioso sapeva che non avrebbe incontrato nessuno, ma per sicurezza, controllo per bene che non ci fosse nessuno in bagno. Chiuse a chiave la porta che dava sul corridoio ed andò verso il grande specchio, posò la borsa sul ripiano del lavandino e tirò fuori la scatola con timore, come fosse di cristallo e lei potesse romperla. La poggiò con delicatezza vicino la borsa, la aprì e rimase a fissare il contenuto. Si guardò allo specchio per chiedersi se ne era davvero sicura, annuì titubante e sciolse il foulard, poggiandolo senza curarsene troppo nella borsa. Prese il collare con timore, più lo avvicinava al collo e più il groppo allo stomaco si stringeva, lo poggiò sulla pelle calda ed il freddo degli inserti in metallo le provocarono un brivido che le si propagò per tutta la schiena. Rimase immobile, morse il labbro che non smetteva di tremare, guardando in basso cercava di calmare il respiro affannoso che gonfiava ritmicamente il suo petto dove i capezzoli cominciavano a notarsi da sotto i vestiti. Quando il suo calore riuscì ad avvolgere anche il collare riuscì a muoverlo per poterlo allacciare, la parte interna era ruvida e solo ora notava il forte odore di cuoio naturale. La differenza con il foulard di seta era netta, si guardò allo specchio per allacciarlo, c’era un solo foro, lo chiuse, era stretto ma riusciva a respirare. Non si sentiva più sé stessa, il respiro tornò affannoso e la sua mente si riempì di pensieri che non riusciva ad afferrare.
Un rumore dal corridoio la fece trasalire, non voleva essere vista in quello stato, il primo istinto fu quello di prendere il foulard e coprire il collare, lo annodò e lo sistemò in fretta per non far vedere la striscia di pelle al di sotto. Prese la borsa e quasi scappò dal bagno, quando tirò la porta la trovò chiusa, l’aveva chiusa lei a chiave! Scoppiò a ridere per la situazione, si era fatta prendere dal panico per nulla, non si sentiva neanche più nulla. Pensandoci non sentiva neanche più il fastidio del collare, tornò allo specchio per controllare se si vedesse da sotto la seta e poi uscì dal bagno e terminò la sua giornata lavorativa.

Tornata a casa si sentì distrutta, dopo il rimprovero del capo non si fermò un attimo e lavorò più duramente del solito ed ora sentiva tutto il peso di quello che aveva fatto. Si fermò davanti lo specchio nel corridoio per vedere quanto dalla faccia si capisse la sua stanchezza. Aveva proprio bisogno di una dormita, pensò tra sé. Sciolse il foulard e sorrise, per metà giornata aveva indossato quel collare e nessuno si era accorto di nulla, non aveva visto nessuna espressione strana, nessuna faccia interrogativa o divertita. Tolse anche quello, si aspettava la leggera sfumatura più rossa sulla pelle che la ruvidezza della pelle grezza le aveva lasciato, ma non era nulla di irreparabile. Si sentiva troppo stanca per tutto, persino di mangiare, così andò in camera da letto e si mise a dormire.

Quando riaprì gli occhi era ancora buio, solo la luce della Luna rischiarava un po’ la stanza. Ancora mezzo assonnata si guardò intorno, aveva lasciato i vestiti a terra, ma non le andava proprio di alzarsi e metterli a posto, girò ancora gli occhi, c’era qualcosa di strano, una figura che non capiva cosa fosse, quando pensò che potesse essere una persona scattò all’indietro per cercare di allontanarsi. Quella figura rimase immobile. Era davvero un uomo, spalle larghe e possenti, non riusciva a vedere il viso ma le sembrava fosse squadrato. Perché non si muoveva? Era sveglia del tutto e non si era solo immaginata quella figura? Riprese il respiro che la paura le aveva tolto e si rilassò un minimo per cercare di mettere a fuoco la situazione. Se fosse davvero una persona, vedendola sveglia avrebbe dovuto fare qualcosa, scappare o altro, invece se ne stava immobile nella semi oscurità. Se fosse un ladro o qualcuno che le volesse fare del male sarebbe andata come pensava e se invece fosse Padrone? Lui sì, non si sarebbe scomposto al suo risveglio.
Fantasticando in questo modo non si accorse che l’uomo si era mosso ed aveva disteso il braccio verso di lei. Una grande mano forte le si chiuse sull’avambraccio, sentiva la pressione di ogni dito che la teneva saldamente ma senza farle del male. L’uomo la tirò verso di sé come se lei fosse una bambola di pezza senza peso, la portò in corridoio, tenendola per il braccio come una bambina che segue il padre e per la possenza del suo corpo poteva essere così, lei cercava di sbirciare i tratti per cercare di riconoscerlo, per cercare almeno di vederlo in viso, ma era troppo buio e non ci riusciva. Arrivati davanti la porta di casa, il corridoio era completamente al buio, lui si fermò, si girò di fronte a lei e a colpo sicuro prese il collare da sopra la cassettiera dove lei lo aveva lasciato e le cinse il collo. La scarica di brividi la percorse ancora una volta come era successo a lavoro e’ si svegliò veramente questa volta.
La stanza era in ordine come al solito ed il vestito era a terra come nel sogno, ma ormai il sole la rischiarava, si girò per cercare quell’uomo, non lo vide, portò la mano al collo, niente collare. Era stato solo un sogno allora. Si alzò per andare a fare colazione, ma invece di andare in cucina andò verso la porta d’ingresso, si guardò allo specchio, sul collo c’era solo l’ombra del segno del giorno precedente, sorrise, prese il collare e lo indossò. I suoi occhi non mentirono quando ammise a sé stessa quello che in fondo già sapeva, era Sua. ‘Buon giorno’
‘Buon giorno a lei!’
Era radiosa, ormai erano passati diversi giorni da quando Padrone l’aveva ricompensata con un’intera confezione delle sue caramelle preferite, ricompensa per aver messo il collare, ma questo non spiegava il motivo per cui lei lo togliesse solo per lavarsi e per dormire ma che comunque al mattino era la prima cosa che indossava appena aperti gli occhi. In ascensore, sola come al solito, si specchiava e si piaceva. I capelli lunghi le scendevano sciolti quasi fino a metà schiena, le spalle con un po’ di abitudine erano aperte e tese senza più la voglia di nascondere i suoi seni prosperosi, ma la cosa che la allietava più di tutte era il sapere di avere un segreto al collo celato sotto un sottile strato di seta ma che nessuno notava.
Camminava con passo deciso facendo suonare i tacchi sul duro pavimento mentre si avvicinava alla sua postazione. Non c’era ancora nessuno in ufficio, non che le importasse, avrebbe comunque fatto quella camminata da passerella con tutti gli occhi addosso, non si sentiva più in soggezione per il giudizio degli altri, non le importavano più i pensieri lussuriosi che poteva provocare, perché ora lei si sentiva appagata sapendo che Padrone la apprezzava e la valorizzava per quello che era.
Arrivò al suo angolino ed andò subito al cassetto. C’era un biglietto piegato, nient’altro. Lo prese e lo aprì sapendo già di trovare un ordine.

Lascia la porta socchiusa ed aspettami alle 18 bendata ed in ginocchio in corridoio.
Padrone

Due sentimenti corsero paralleli e la attanagliarono. Finalmente avrebbe conosciuto Padrone, da soli loro due, avrebbero potuto parlare e lei’ lei’ l’altro pensiero si fece strada e sovrascrisse il primo, non aveva abbastanza tempo per prepararsi, per presentarsi al meglio, voleva andare dal parrucchiere, dall’estetista, ma non poteva uscire in anticipo dal lavoro, era in scadenza di contratto e voleva che glielo rinnovassero, cosa che non sarebbe accaduta se prendeva un pomeriggio libero senza preavviso. Le salì l’ansia di non riuscire a prepararsi come aveva pianificato da tempo quando fantasticava su un loro possibile incontro, mentalmente escludeva una voce della lista per poi riprenderla quando toglieva qualcosa di più lungo ed impossibile da realizzare.
‘Sempre la prima ad arrivare.’
La voce di Claudia la fece saltare, si girò e nascose dietro la schiena il biglietto.
” Già…’
rispose Rossana, ma finita di dire quell’unica sillaba si accorse che il minimo d’ordine che aveva fatto nei suoi pensieri svanì del tutto lasciandole una tabula rasa.
‘Qualcosa non va? Ti vedo pensierosa.’
‘No no, tutto apposto”
Dentro di sé si malediceva e malediceva la sua collega per aver interrotto i suoi pensieri, era sicura che senza quella spinta di adrenalina che aveva avuto alla prima impressione si sarebbe dimenticata qualcosa di fondamentale.
Si sedette, lasciando intendere a Claudia che avrebbe cominciato a lavorare subito affinché la lasciasse in pace, così fu e lei poté riprendere i suoi pensieri, ormai rovinati e da ricostruire dalle fondamenta e senza slancio.
Per tutto il giorno fu distratta, continuava a guardare l’orologio, ricontrollava la lista delle cose da fare nella mezz’oretta che aveva dal suo tipico orario di rientro a casa e l’appuntamento, riguardava l’orologio e non era passato neanche un minuto. Era una follia! Aveva un milione di cose da fare ed era bloccata lì, più pensava e più le saliva l’ansia.
Quando scoccarono le 17 scattò come una molla, aveva già sistemato la sua scrivania, prese le sue cose e si diresse verso l’ascensore alla velocità massima che i tacchi le permisero. Per tutto il tragitto in autobus fissò l’orologio scoccare i secondi troppo lentamente. Arrivata a casa per prima cosa tolse le scarpe per muoversi più in fretta, per quanto era fortunata, invece della mezz’ora che aveva previsto aveva solo venti minuti. Niente doccia, non ce l’avrebbe mai fatta, passò in bagno solo per buttare nel cesto dei panni da lavare la camicetta che si era sfilata mentre camminava e per irrorarsi di profumo. Troppo! Dall’armadio in camera da letto prese una camicetta bianca che poteva andar bene con la gonna scura che indossava, la infilò e chiuse solo un bottone giusto per non farla muovere troppo, gli altri li avrebbe sistemati dopo. Andò in salotto, come mai lei che &egrave di solito così ordinata ora invece le sembra che tutto fosse fuori posto?! Prendendo a destra e a manca oggetti da mettere a posto o da far sparire dietro l’anta di un armadietto si fece strada verso la cucina, la guardò e le venne voglia di chiudere la porta a chiave e far finta che quella porta affacciasse sul nulla, era pulita e rassettata ma per lei era come vedere il cassetto dei calzini del padre’ Tolse dalla vista tutto quello che nella sua mania e frenesia momentanea le sembrasse fuori posto. Guardò l’orologio. 5 minuti! Come era possibile?! Cosa aveva fatto per tutto quel tempo? Guardò fuori dalla finestra per vedere se qualcuno che potesse essere Padrone fosse sotto il palazzo. Nulla. Corse in camera e prese tutto quello che sembrava portasse disordine e lo buttò nell’armadio, rassettò il letto, corse in bagno, spruzzò altro profumo e si spazzolò i capelli. Che disastro! Non riusciva più a pensare ad altro che non fosse una tragedia. Si abbottonò la camicetta e per la fretta saltò un bottone e dovette ricominciare da capo. Guardò l’orologio. Era tardi! Andò alla finestra, nessuno, e se fosse già entrato nel palazzo? Lei lo doveva aspettare in corridoio. Corse alla porta d’entrata, infilò di nuovo le scarpe, abbassò la maniglia e lasciò uno spiraglio aperto. Fece un passo in dietro e si inginocchiò a terra con qualche lamentela da parte della gonna.
Il cuore le andava a mille, sentiva pulsare tutto il corpo, il respiro corto ed affannato tentava ogni volta di strappare un bottone alla camicetta. In ginocchio era scomoda ed i tacchi di certo non aiutavano, lei guardava fissa lo spiraglio della porta aspettando che si allargasse. Una folgorazione, le tornò in mente il bigliettino, si doveva ancora bendare. Si guardò attorno per cercare qualcosa, con difficoltà cercò di alzarsi, rinunciò quando capì di poter usare il foulard che aveva al collo. Del resto stava per incontrare Padrone, non era necessario tener celato il collare. Annodò la stoffa e le si fece buio.
Che ora era? Quanto tempo era passato? Le sembrava un’eternità. Cercava di stare attenta ad ogni rumore che provenisse dalla porta. Il ronzio dell’ascensore più di una volta, la lasciò senza respiro mentre lentamente sorpassava il suo piano e continuava a salire lentamente. Se qualcuno del suo pianerottolo avesse visto la sua porta socchiusa e avesse provato ad entrare per sapere se andava tutto bene l’avrebbe trovata lì in ginocchio, bendata e con un collare, avrebbe dovuto cambiare appartamento per la vergogna.
Un rumore di passi cadenzati, dapprima lontani e poi sempre più vicini, le fece rizzare le orecchie. Sembrava che qualcuno stesse salendo le scale, gradino dopo gradino, quando si fermò era sicura che lo aveva fatto davanti al suo portoncino. Era Padrone, ne era sicura. Attraverso la stoffa della sua benda vide la luce aumentare e poi le arrivò un soffio d’aria gelida addosso. Fremette, non era mai stata così agitata, aveva paura che muovere un singolo muscolo avrebbe rovinato tutto. Un passo più vicino e la porta si chiuse. Rimase immobile, sentiva la presenza di qualcuno davanti a lei ma rimaneva in silenzio, rimase pietrificata nonostante il dolore alle gambe per la posizione scomoda. I passi ricominciarono, si allontanavano da lei, andavano verso la sua camera, entrarono e tacquero di nuovo. Cosa stava succedendo? Aveva una voglia matta di togliersi la benda e correre in camera ma la paura di una punizione di Padrone non le fece neanche girare la testa in quella direzione, era paralizzata e tesa.
I passi ripresero, si avvicinavano, si fermarono davanti a lei. Le sembrava che insieme al profumo di muschio che ormai aleggiava riusciva a percepire il calore di un corpo, poi una mano le si poggio sulla testa e accarezzandole i capelli toccò la sua guancia infuocata. Non ci credeva, era tutto reale, non lo stava sognando, sospirò come per prendere il tempo prima di parlare ma la voce profonda dell’uomo che le stava davanti la colse di sorpresa

‘Sei stata brava. Fatti trovare pronta domani alle 22.’

Dapprima sentì soltanto il suono di quella voce, era da molto che se la immaginava ed ora che l’aveva finalmente sentita la sua immaginazione le sembrò così povera. Era profonda, dura e severa ma in qualche modo rassicurante, faceva perfetto specchio alla personalità di Padrone. Quando la sua mente smise di fantasticare e soffermarsi su cose così velleitarie si accorse che c’era anche un messaggio in quel suono, quando lo capì sentì il rumore del portoncino chiudersi. Padrone non le stava più accarezzando la guancia, non ne sentiva più la presenza. Improvvisamente si sentì sola, abbandonata e nello sconforto pronto a sfociare in disperazione. Tolse la benda, non le avrebbe più pesato un’eventuale punizione se era per lenire questo stato. Non c’era nessuno, era sola. Tentò di slanciarsi verso la porta per inseguire Padrone ma era stata per troppo tempo in ginocchio che le sue gambe non la ressero e cadde a faccia in avanti riuscendo a proteggersi solo all’ultimo istante. Si sentiva una fallita abbandonata, una lacrima già le solcava il viso.
Dopo qualche minuto riuscì ad alzarsi, si affacciò per le scale ma non c’era nessuno, neanche un minimo suono. Andò alla finestra per guardare in strada, niente anche lì. Aveva solo voglia di rannicchiarsi sul letto e sfogare il pianto che stava trattenendo a stento, quando attraversò la soglia della camera rimase senza parole. Sul letto, affianco a della stupenda lingerie avorio, era steso con cura un abito blu scuro in velluto lucido, a terra, ai suoi piedi delle scarpe in raso dello stesso colore. Non sapeva se ridere o piangere. Aveva un appuntamento con Padrone! Quella notte dormì sul divano. Non aveva voglia di spostare i regali di Padrone, anche per paura di rovinarli, li avrebbe dovuti indossare per uscire con Lui! Semplicemente aveva chiuso la porta per evitare che Momo andasse a dormirci sopra, cosa che aveva fatto anche al mattino dopo essersi preparata per andare in ufficio. Era sabato, solo mezza giornata di lavoro, quindi aveva tempo per prepararsi al meglio, per evitare inconvenienti prima ancora di iniziare a lavorare aveva telefonato all’estetista ed alla parrucchiera per prendere appuntamento. La cosa che le risultò difficile fu dover togliere il collare, non era più abituata a stare senza ma per tutto il tempo lo tenne nella borsa dove andava ad afferrarlo e tastarlo in continuazione.
Il pomeriggio passò nei preparativi, era agitata, molto, ma questa volta riuscì a fare tutto, però aspettò solo l’ultimo momento per indossare i vestiti che le aveva lasciato Padrone il giorno precedente. Si guardò nel grande specchio in camera, il vestito era bellissimo, con una scollatura quadrata ed aderente fino alla vita da dove poi scendeva un ampia gonna a pieghe. Mancava solo l’ultimo tocco. Slacciò il collare e lo ripose con cura sul comodino, prese il chocker abbinato al vestito che aveva trovato in una scatolina e lo indossò. La medaglietta dorata pendeva esattamente al centro della gola e le piaceva come spiccava sull’abito scuro. Era pronta, prese un cuscino ed andò alla porta, la socchiuse e si inginocchiò su di esso, prese il foulard e si bendò come il giorno prima.
Non passò molto prima che sentì quei passi cadenzati risuonare nella tromba delle scale. Si avvicinavano, Padrone si avvicinava, oggi finalmente lo avrebbe visto, gli avrebbe parlato. Le arrivò dell’aria gelida addosso e si irrigidì ancora, sentì un passo e la porta chiudersi, le mani di Padrone le accarezzarono i capelli, le era vicinissimo, ne sentiva il calore ed il profumo muschiato. La tensione della benda si allentò e mentre le scivolava sul viso lui le disse

‘Questa non &egrave più necessaria.’

lei teneva gli occhi bassi per abituarsi alla luce, quando finalmente iniziò ad alzarli di fronte a lei c’era un uomo in completo scuro che le porgeva una mano per farla alzare. Lo guardava in viso, non lo conosceva, non sapeva chi fosse, le era sufficiente riconoscere in lui Padrone. Prese la mano e si alzò. Con quei tacchi era alta quasi un metro e ottanta ma per guardarlo negli occhi doveva alzare lo sguardo solo di poco, non era come nel sogno, non era talmente alto da farla sembrare una bambina, ma quegli occhi, così profondi, incutevano timore, al limite della paura reverenziale, anche l’atteggiamento deciso e calmo faceva aleggiare intorno a lui un’aura di rispetto. Era più grande di lei, ma non riusciva a stabilire di quanto, il suo corpo era forte, si intuiva anche con tutti i vestiti addosso ma in lui c’era anche quel modo di fare esperto che si acquisisce solo con l’età.

‘Andiamo.’

Le prese sottobraccio e la condusse alla porta. Lui prese le chiavi, lui diede le mandate alla serratura, lui mise le chiavi in tasca e lei a guardare imbambolata. Scesero per le scale, con i tacchi alti non era un’impresa facile per Rossana ma Padrone non forzava l’andatura, la teneva sottobraccio e la sosteneva. Usciti dal palazzo una macchina li stava aspettando, l’autista aprì la portiera, lei entrò e si spostò sull’altro lato per far posto a Padrone.
Il tragitto in macchina sembrò irreale, Rossana non aveva neanche mai preso un taxi, non sapeva se poteva parlare apertamente davanti all’autista e così lasciò che tutte le domande che aveva accumulato da tempo le turbinassero in testa aspettando che qualcuno interrompesse il silenzio per permettere anche a lei di parlare, ma non avvenne. La macchina sfrecciando sotto i lampioni si diresse fuori città.
Era tutto come un sogno, non si rendeva neanche conto di dove fosse o per quanto avessero viaggiato, seguiva con lo sguardo le luci nella notte ed aveva timore di guardare gli altri due uomini che condividevano la sua stessa macchina. Si fermarono di fronte una villa, l’autista aprì a Padrone che dopo essere sceso tese la mano a lei per aiutarla ad uscire.
Si incamminarono sottobraccio verso l’ampia porta d’entrata che era aperta ed illuminata, ad aspettarli c’era un cameriere. Allora era un ristorante, pensò Rossana. L’enorme sala con i tavolini riccamente apparecchiati era vuota, c’erano solo loro tre. Il cameriere li condusse ad un tavolino vicino la vetrata che affacciava sulla vallata e dopo averla fatta accomodare sparì dietro un angolo.
Si guardava attorno un po’ in ammirazione un po’ per domandarsi il motivo di quella solitudine, il ristorante era bellissimo e curato eppure era vuoto, mentre vagabondava con lo sguardo incontrò quello di Padrone che la stava fissando, lei sorrise imbarazzata ed abbassò gli occhi, non sapeva cosa fare. Per fortuna arrivò il cameriere con la prima portata a spezzare quel momento, ma non avevano ordinato’ o si era distratta così tanto? Mangiò in silenzio e con la testa china, si sentiva gli occhi di Padrone addosso e quando si azzardava a sbirciare in alto lo trovava a guardarla. Aveva la testa che le faceva male per tutte le domande che voleva fare ma che quando alzava gli occhi le si fermavano in gola, quando per l’ennesima volta i loro occhi si incrociarono lei era pronta ad abbassarli di nuovo ma lui con voce calma e profonda le disse

‘Parla pure, hai qualcosa da chiedermi.’

Erano state le prime parole da quando erano usciti da casa ed erano tutto ciò che aspettava ma in un certo senso aveva ancora timore di parlare così, nell’agitazione se parlare o meno, parlò con voce acuta e velocemente, quasi a sovrapporre una parola con la successiva
‘Chi sei? Come mi conosci? Perché hai iniziato questo gioco? Dove porta tutto questo?’
Rimase un attimo in silenzio e sentì quel silenzio riecheggiare in tutta la sala e si vergognò infinitamente, non riuscendo più a guardare Padrone abbassò di nuovo gli occhi sulla tovaglia di cui ormai conosceva perfettamente la trama fine.
Passò qualche istante, poi arrivò la voce di Padrone ad avvolgerla

‘Guardare al passato fa rimanere bloccati a ciò che non &egrave più. Guardare al futuro &egrave legarsi alla limitatezza della propria immaginazione. L’unica opzione &egrave il presente. Dimmi, ti piace essere qui ed ora?’

Rossana aveva alzato gli occhi e quella domanda le era stata posta fissandola dritta in faccia. Non pensò a come rispondere, lasciò che la bocca parlasse al posto suo
‘Sì’ ma non &egrave vivere alla giornata che ti permette di affittare un intero ristorante di lusso il sabato sera…’
Ascoltò le sue parole come fosse una spettatrice, solo dopo si accorse che potevano risultare offensive, stava per piegare di nuovo la testa quando vide un sorriso sulle labbra di Padrone

‘Vivere il presente non significa arrivare fino al prossimo tramonto, significa sentirsi vivi in ogni singolo istante e fare ciò che si desidera, i frutti raccolti sono i più deliziosi. Su un’altra cosa ti sbagli, non ho affittato il ristorante. &egrave mio.’

Era affascinata da quell’uomo e da quelle parole. Continuava a sentirsi in soggezione ma allo stesso tempo si sentiva bene.
La cena finì, il cameriere li accompagnò all’uscita dove trovarono l’autista ad aspettarli vicino alla macchina. Il nuovo, silenzioso, tragitto li riportò al punto d’origine, proprio sotto l’appartamento di Rossana. Come prima, Padrone la aiutò ad uscire dalla macchina e la prese sottobraccio, l’autista gli porse un pacchetto ed entrarono nel palazzo. Salirono dalle scale, sempre rispettando l’andatura di lei, lui aprì il portoncino e lo richiuse alle loro spalle lasciando le chiavi sul mobile lì vicino.
Sempre in silenzio la accompagnò in camera da letto. Lei era un fascio di nervi, non sapeva cosa sarebbe accaduto ma allo stesso tempo si lasciava guidare senza fare resistenza alcuna. Si fermarono ad un passo dal letto e lui la fece girare. Erano davvero vicini, Rossana sentiva il calore del corpo di quell’uomo a pochi centimetri da sé, quando riuscì ad afferrare il coraggio per muoversi con le labbra verso di lui se lo vide quasi sparire dagli occhi. Si era accovacciato, lei lo guardò perplessa, poi lui posò delicatamente la mano sulla caviglia di lei che assecondando i suoi movimenti sfilò una scarpa e poi l’altra. Padrone tornò in piedi ed ora lo sguardo di lei vagava nella regione non ben definita tra le clavicole ed il collo di lui, ora sì che lo sentiva ergersi indefinitamente alto. La afferrò dalle spalle e la fece girare, con una mano le spostò i lunghi capelli da un lato e con l’altra afferrò la chiusura lampo e cominciò a farla scendere lungo la spina dorsale. Più che spogliarla sembrava accarezzarla attraverso la stoffa. Aperto completamente il vestito la aiutò a sfilare delicatamente le braccia dalle maniche, senza fretta, sfiorando appena la pelle tiepida di lei. Il vestito si afflosciò sui suoi fianchi e lui dolcemente lo fece scendere finché non cadde a terra.
Rossana sentiva con tutta la pelle esposta la presenza di quell’uomo dietro di lei che sicuramente la stava accarezzando con gli occhi, le piaceva quello sguardo, le pareva che la apprezzasse, che non la vedesse come un mero corpo ma come era veramente e questo la faceva sentire a suo agio.
Due dita le si poggiarono tra le scapole, la percorse un brivido, le dita scesero e si fermarono quando incontrarono il reggiseno, lei sospirò e la tensione intorno al suo busto diminuì di colpo. Le dita non la toccavano più.

‘Girati.’

Quella voce profonda le vibrò dentro e l’accese tutta. Si girò, labbra umide, zigomi in fiamme, sguardo in alto a cercare i suoi occhi, quando si incontrarono sentì che le spalline del reggiseno le stavano calando facendolo infine cadere senza suono sopra il vestito. Lui si abbassò di nuovo sempre tenendo gli occhi in quelli di lei che lo videro inginocchiarsi e senza distogliere lo sguardo fece andare le mani a colpo sicuro sui fianchi di Rossana proprio sull’elastico delle culottes, lo afferrò e lo tirò in basso. La stoffa scese lentamente sulle gambe tornite e quando il suo sesso venne esposto sentì il respiro di lui che le ghiacciava gli umori che la bagnavano, sentì quel brivido risalirle la spina dorsale ed incendiarla di desiderio dal di dentro. Quando l’intimo fu alle sue caviglie Padrone tornò in piedi davanti a lei, per tutto il tempo non avevano smesso di guardarsi, lei sentiva il proprio desiderio crescere e moltiplicarsi ad ogni istante passato, bramava che la toccasse invece di sentire centellinato il tempo in cui le loro pelli si incontravano. Lui portò le mani dietro il collo di Rossana, come per abbracciarla ma invece di trarla a sé slacciò il chocker. Ora era nuda, completamente, tutta la sua pelle era alla mercé degli occhi di Padrone.
Lui si allontanò di un passo lasciandola bloccata ed irrigidita sul posto, prese la scatola che gli aveva consegnato l’autista, l’aprì e usando solo gli indici tirò fuori una vestaglia da notte di seta avorio. Tornò da Rossana

‘Alza le braccia.’

Lei eseguì, lui lasciò che la stoffa morbida che le aveva sospeso sopra le ricoprisse il corpo. Con un gesto elegante le fece uscire i capelli da sotto la vestaglia e con una carezza amorevole sul viso la fece stendere sul letto. Rossana si lasciava guidare, completamente devota al volere di lui ma non riusciva a capire perché la stava comprendo con le coperte e perché fosse ancora vestito, non aveva visto quanto lo desiderasse? Quando era inginocchiato davanti a lei non aveva sentito il profumo del suo desiderio?
Lui le accarezzava il viso e le sorrideva, per un attimo si fece buio per lei, quando riaprì gli occhi lui era ancora seduto sul letto ad accarezzarla, attimi di buio si susseguirono sempre più frequentemente e sempre più a lungo ma i suoi occhi si riaprirono sempre sulla figura di Padrone’ del suo Padrone’
L’ultima volta che li riaprì la stanza era al buio e Padrone di spalle stava uscendo dalla porta. Quando si svegliò la luce che entrava dalla finestra le indicava che il giorno era già iniziato da molto. Senza neanche guardare, tirò fuori dalle coperte il braccio e prese a colpo sicuro il collare sul comodino, lo portò al collo, era freddo contro la pelle ma lo indossò senza esitazione. Rimase per qualche istante ferma nel letto, aspettando che il collare raggiungesse la sua temperatura, non aveva voglia di uscire da quel posto caldo ed avvolgente. Il solo pensiero che quelli fossero i primi segni della pigrizia la fecero scattare seduta gettando le coperte sul fondo del letto. Con calma si alzò, il pavimento era ghiacciato, lei con indosso solo la vestaglia di Padrone era intirizzita ma sembrava non dargli importanza.
Per andare in cucina passò dal salotto, la luce che entrava dalla grande finestra era troppo accecante per lei che si era appena svegliata ma poteva percorrere quel tratto ad occhi chiusi, distese una mano e quando sentì di essere arrivata allo schienale della poltrona in pelle lo accarezzò dirigendosi verso la cucina.
L’odore della pelle era intenso, non era diminuito minimamente da quando settimane prima, il giorno dopo essere andata a cena con Padrone lui gliel’aveva fatta consegnare da due fattorini, persino di domenica’ Se li ritrovò fuori dalla porta a metà mattinata con la poltrona imballata ed un bigliettino, lei che non sapeva nulla, visto il bigliettino cominciò a capire, quando gli chiesero dove poggiarla le bastò leggere ad alta voce cosa c’era scritto nel bigliettino che intanto aveva aperto

In salotto, davanti la finestra.
Padrone

Ma quell’ultima parola, la firma, era solo per lei e la tenne segreta.
Mentre ricordava tutto questo aveva riscaldato una tazza di latte ed era tornata in salotto. Si inginocchiò sul grosso cuscino ai piedi della poltrona ed iniziò a sorseggiare la sua colazione. Momo desideroso di attenzioni e di coccole le si sdraiò di fronte, ultimamente lo aveva trascurato, aveva troppe cose per la testa, anche ora del resto lo accarezzava distrattamente.
Da quella posizione poteva vedere sopra il tavolo da caff&egrave davanti al divano dove due giorni prima Padrone le aveva lasciato una carta di credito, sapeva che non era un caso dato che qualche ora prima era scaduto il suo contratto di lavoro e non le era stato rinnovato, ma lei non faceva tutto quello per avere dei soldi in cambio da Lui e non si era nemmeno avvicinata a quella carta.

Come ogni sera ormai, dopo una cena veloce rassettava tutto, si vestiva elegante, lasciava il portoncino socchiuso ed aspettava inginocchiata l’arrivo di Padrone. Da quando avevano cominciato ad incontrarsi solo poche volte l’attesa era stata vana.
Passi cadenzati a quell’ora potevano essere soltanto di una persona, ma Rossana rimaneva col fiato sospeso fino a quando la porta non si apriva a rivelarle il suo ospite e solo in quel momento il suo cuore riprendeva a battere regolare. Lui entrava, chiudeva la porta e solo dopo dava segno di averla vista, le si avvicinava e le accarezzava la testa ed il viso, le offriva la mano come appoggio per rialzarsi e la conduceva in salotto. Una routine consolidata ma che la faceva sentire bene, i gesti anche se ripetuti non erano vuoti e sentiva che le attenzioni che riceveva erano piene di significato.
In salotto si fermavano vicino la finestra, ad un passo dalla poltrona e lui cominciava a spogliarla, non c’era bisogno di usare parole ed il fruscio dei vestiti che venivano tolti era l’unico suono udibile. Padrone la sfiorava appena e lei trasaliva ogni volta che le loro pelli entravano in contatto come implorando per averne di più ed i suoi occhi languidi cercavano di penetrare quelli fermi di lui senza però fare breccia.
Spesso le lasciava indosso soltanto il collare ma quella sera aveva un ennesimo regalo. Aprì una scatola senza fregi e ne tirò fuori un vestito in cotone color panna. Come in un ballo che conoscevano entrambi i loro movimenti erano coordinati e lei alzò le braccia senza ordine, lui le infilò il vestito e mentre lei abbassava le braccia lui lo sistemava calzandolo a dovere. La gonna larga a pieghe che partiva da metà coscia saliva comodamente verso i fianchi dove la stoffa si faceva più aderente diventando praticamente un bustino, i fitti bottoncini ricoperti della stessa stoffa cominciavano poco sopra l’ombelico e lui, uno dopo l’altro, li chiuse con cura e senza fretta. Arrivato sotto la linea dei seni con l’addome ormai fasciato alzò lo sguardo per guardarla negli occhi, lei era affascinata da quello sguardo, dai modi così sicuri e fermi, si sentiva intimorita ma protetta dalla sola sua presenza, a volte anche solo sapere che fosse reale. Lui senza dar nessun avviso le infilò una mano nel vestito per alzarle ed accomodarle meglio uno dei grossi seni nel vestito, lei colta alla sprovvista, sentendo quella mano calda afferrarle la carne e farle strofinare il capezzolo contro la stoffa, non poté far altro che lasciar andare un gemito ed abbassare il viso quasi imbarazzata. Lui senza scomporsi ripeté l’operazione anche con l’altro seno, lei cercava di calmarsi respirando affannosamente ma percepiva ogni respiro più caldo del precedente, i suoi capezzoli erano turgidi e premevano forte contro la stoffa che li stringevano, lui senza dargli peso continuò ad abbottonare il vestito fino ad arrivare alla scollatura tonda.
Prendendola per mano la indirizzò al cuscino vicino la poltrona, lei si inginocchiò prontamente e lui si accomodò al suo posto, sulla poltrona comoda in pelle, come fosse un trono. Rossana poggiò la testa sulla gamba di Padrone, desiderava quel contatto per tutto il giorno, quel cuscino, quella poltrona erano diventati il suo posto preferito, di tutto il mondo. Era lì dove riusciva a percepire il profumo di lui anche quando era sola, era lì che le si consolidava dentro questa esigenza profonda di averlo vicino. Lui intanto le carezzava e le disciplinava i lunghi capelli con le dita. Il mondo al di là di quella finestra sarebbe anche potuto sparire, non le importava, il bordo del solo mondo che le importava era fatto delle loro pelli.
Era felice, spensierata ma non del tutto appagata. Da quando tutto era cominciato, da quando aveva percepito realmente la personalità di Padrone, aveva avuto voglia di congiungersi a lui. Quando la spogliò la notte del loro appuntamento era pronta ad accoglierlo dentro di sé, di fondere i loro calori e da allora, tutte le sere che si presentava da lei, che puntualmente la spogliava completamente lei era sicura di mostrare anche la sua anima a nudo e di rivelare tutta la sua voglia di lui, di essere sua, posseduta in ogni suo lembo di carne. Ma lui non dava segno di nulla e lei era un po’ intimorita nel fare la prima mossa, ma lui non si faceva problemi a farle regali costosi, a spogliarla, a lasciarle una carta di credito, senza dire nulla, dando per scontato che lei non si sarebbe opposta, che accetti tutto, che non chieda altro. Ma lei non dava peso a tutto quello, le cose erano solo cose e non l’avevano mai attrata, quello che voleva lei, dal più profondo era il contatto fisico con lui, prolungato, fantasticandolo infinito, ma lei stasera se lo sarebbe preso da sola.
Ruotando la testa per guardare lui negli occhi portò la mano sul ginocchio di lui e velocemente la fece scivolare sui pantaloni per farla arrivare al cavallo. Un istante in più e sarebbe arrivata, ma lui le afferrò con forza il polso e si alzò di scatto sbilanciandola e spingendola verso terra. Rossana stava per alzarsi ma non riuscì neanche a poggiarsi con le mani a terra che Padrone le afferrò il collo premendo il collare contro la pelle e tenendola bloccata contro il pavimento.

‘Ferma!’

La mano di lui non la spingeva a terra con forza ma la teneva bloccata senza possibilità di movimento, era spiazzata, da quando lo aveva incontrato mai una volta aveva pensato che sarebbe potuta finire in quel modo, era paralizzata, fisicamente da quell’uomo che con una sola mano riusciva a trattenerla e mentalmente, non riuscendo a capire cosa sarebbe successo. E poi la voce di lui, così profonda, così spaventosa. Poi all’improvviso la lasciò mettendosi in piedi, lei non aveva il coraggio di muoversi e neanche di girare la testa, sentì soltanto che Padrone alzava di peso la grande poltrona in pelle e la spostava, quando tornò da lei, accovacciandosi vicino le picchiettò con il dorso della mano un fianco

‘Alza il sedere.’

un attimo di indecisione, non capiva come fare, aveva la guancia e la spalla sinistra contro il pavimento freddo e le ginocchia sotto di sé, se provava ad eseguire l’ordine sentiva un dolore acuto alla schiena. Padrone le picchiettò di nuovo sul fianco, lei lentamente, mantenendo la testa a terra, cominciò ad alzare il sedere e contemporaneamente a spostare indietro le ginocchia, il dolore per quella posizione era sopportabile e Padrone la lasciava muovere in quel modo.

‘Basta così.’

Si fermò.

‘Mani ad afferrare le ginocchia.’

Eseguì senza esitazione. Sentiva il peso gravare tutto sulla spalla che cominciava a farle male, respirò profondamente per controllare il dolore ed il desiderio di muoversi.

‘Da adesso in poi, quando ti dirò ‘In posizione!’ ti dovrai mettere così.’

La sua voce era tornata calma e controllata, voleva guardarlo in viso per capire se tutto era tornato apposto ma da quella posizione riusciva solo a vedergli le scarpe. Le girò attorno, andando nel suo lato cieco, sentì il risvolto della gonna caderle sulla schiena e l’aria che lambiva il suo sedere nudo

‘Sai cosa succederà ora?’

Era una domanda’ doveva rispondere’ aveva la testa vuota. Mugugnò un no ma in quello stesso istante capì, chiuse gli occhi e’ Un colpo, forte quasi da farla stendere a terra. Strinse i denti per non urlare dal dolore. Sentiva la natica sinistra pulsare ed un calore che cominciava a spandersi. Quando fu sicura che non avrebbe urlato fece uscire il fiato, era finito, riusciva a controllarsi, aprì gli occhi, la visione era distorta dalle lacrime. Un altro colpo, forte come il primo, ma sull’altra natica. Bloccò l’urlo appena in tempo, sentiva il calore avvolgerla da entrambi i lati, riaprì gli occhi e sentì le lacrime calde bagnarle il viso, riprese fiato. Un altro colpo a sinistra, esattamente dove era stata colpita prima, il dolore era molto più intenso e pungente. Non riuscì neanche a respirare che arrivò un nuovo colpo a destra ma stavolta non trattenne l’urlo.
Aveva la mente annebbiata, non sapeva neanche se l’urlo era davvero uscito dalla sua bocca o se i vicini avessero sentito, percepiva soltanto che era passato abbastanza tempo e che un altro colpo stava per arrivare, provò a contrarre il sedere ma da quella posizione non riuscì, sentì Padrone muoversi, serrò labbra e palpebre. Invece della sculacciata sentì l’avvolgente mano di Padrone poggiarsi con delicatezza sulla pelle sensibile del suo sedere ed accarezzarla. La differenza tra ciò che si aspettava e ciò che ricevette era così tanta che scoppiò in un pianto liberatorio, lui continuò ad accarezzarla e consolarla col suo tocco delicato, lenendo il dolore e calmando il suo animo.
Quando smise di singhiozzare un nuovo colpo le mozzò il fiato. Aveva sperato che fosse tutto finito ed invece Padrone cominciò di nuovo con colpi secchi e cadenzati, alternati sui due lati, lei non si preoccupava più di trattenersi, sapeva di aver sbagliato e che quella era la sua punizione e l’accettò tutta affidandosi a Padrone.
Quando finalmente terminò era esausta, la gola le faceva male, sentiva le gambe deboli e cadde col fianco sul cuscino. Dopo tanto ritornò a vedere il viso di Padrone, era come se lo vedeva dopo settimane, tanto le era mancato, gli sorrise, lui aveva sempre lo sguardo serio ma si chinò su di lei

‘Ce la fai ad alzarti?’

porgendole una mano. Rossana annuì anche se non ne era sicura ed infatti dovette affidarsi più delle altre volte al suo sostegno. Una volta in piedi sentì le gambe intorpidite ed il sedere gonfio e pulsante, non sentiva di potersi fidare del suo equilibrio. Padrone tirò fuori dalla tasca un fazzoletto in stoffa e con cura le asciugò il viso dalle lacrime che lo avevano ricoperto, lei sorrideva, l’ultima volta che era successa una cosa del genere era da bambina con suo padre.
Padrone la prese per mano e la portò in camera da letto, la spogliò di nuovo ma stavolta le tolse anche il collare, le fece indossare la vestaglia in seta e la mise a letto, la coprì e nell’uscire spense la luce. Sta andando via, pensò tristemente Rossana, più della punizione fisica era il fatto che la sua serata con Padrone era già finita che le faceva più male. Sentì l’uscio chiudersi, era andato, lasciandola sola, sveglia, al buio a riflettere su ciò che aveva fatto. Era già mezza mattinata, il sole che entrava dalla finestra del bagno era intensa. Tirò fuori la mano dall’acqua della vasca color latte per controllare le grinze sui polpastrelli. Poteva stare un altro po’.
Quanto era passato da quando aveva perso il lavoro? Settimane? Forse era già un mese’ Il tempo passava senza che lei se ne accorgesse. Fino all’anno prima sarebbe stata una cosa impensabile, lei che programmava tutto, anche con due o tre mosse in anticipo, sempre ligia al dovere, sempre indaffarata a fare qualcosa, ora invece era placidamente immersa nella vasca da bagno, senza pensieri, in pieno orario di lavoro. Da quando non le avevano rinnovato il contratto non aveva neanche pensato di cercarne un altro, aveva dei risparmi, viveva con quelli, anche se stavano per finire e magari avrebbe davvero iniziato ad usare la carta di credito che le aveva lasciato Padrone, ma ora non voleva pensarci, ultimamente non pensava a nulla. Si dedicava solo al riposo, come non aveva mai fatto in vita sua, affrontava le giornate con calma quasi flemmatica. Aveva cominciato a curare di più il suo corpo ed il suo aspetto. Un’altra occhiata ai polpastrelli, era ora di uscire. Si alzò e sgocciolando sul pavimento uscì dalla vasca. Mangiare sano, senza fretta e fare un minimo di attività fisica regolarmente cominciava a mostrare i primi miglioramenti allo specchio, o forse era solo autosuggestione da quando sapeva che c’era qualcuno che l’apprezzava davvero?
Ancora umida si spalmò la crema idratante su tutto il corpo, la pelle soffice e pallida era liscia come seta. Controllava di raggiungere tutti i punti del corpo guadando dove arrivavano le dita affusolate su cui spuntavano le unghie lunghe, il suo nuovo vezzo per aumentare ancora la sua femminilità.

Aveva da poco finito di asciugare i capelli quando sentì suonare alla porta, pensava fosse la signora del piano di sotto che le riportava Momo, visto che da qualche tempo lo trascurava così tanto che cercava rifugio da lei. Si infilò l’accappatoio di spugna, prese dalla mensola il collare e lo cacciò nella piccola tasca, anche quando non poteva indossarlo non se ne separava mai, poi andò ad aprire.
Rimase spiazzata ed allibita. Non era la vicina. Era Padrone. Lì. Di mattina. Era stato costretto a suonare al campanello. Non lo aveva aspettato come al solito. Era confusa, non sapeva cosa fare, la mano in tasca si era stretta con forza al collare, nel frattempo stava imbambolata di fronte all’uscio con lui che la guardava fisso. Dopo un attimo durato indefinitamente, fece un passo indietro, senza neanche preoccuparsi di prendere il cuscino, su cui di solito aspettava la sera, si inginocchiò a terra e tirò fuori il collare per indossarlo. Lui nel frattempo era entrato ed aveva chiuso la porta. Quando stava per circondarsi il collo con la striscia di cuoio le bloccò il polso. Pensava di averlo deluso, di aver fatto qualcosa di male, non aveva il coraggio di guardarlo, invece le prese di mano il collare ed inginocchiandosi davanti a lei, con molta calma e facendo attenzione ai lunghi capelli, glielo mise. Era la prima volta’ di sera glielo toglieva quando la metteva a letto, non glielo aveva mai messo. Un calore intenso ed una gioia immensa le si palesarono sul viso. Il suo Padrone le aveva messo il collare.
Lo guardava felice, non lo aspettava, era stata una sorpresa averlo lì, aveva sempre pensato che restasse troppo poco con lei. Le porse una mano per aiutarla ad alzare, ci si appoggiò e si tirò su. Era ancora in accappatoio, di solito lo accoglieva vestita in modo migliore, ma lui sembrava non dare peso a questa mancanza.
Si diressero verso l’angolino di mondo dedicato solo a loro due. Si sedette sulla poltrona e lasciandola in piedi le disse con voce profonda

‘Vieni a stare da me. Hai mezz’ora, prendi il necessario.’

Aveva capito bene? Le aveva appena detto che sarebbe andata a casa di Padrone? La faceva trasferire da lui? Davvero?! Pensava che non sarebbe mai arrivato quel momento. Ogni singola cellula del suo corpo era felice. Con un gesto della mano la dispensò e lei scattò subito in camera da letto.
Dieci minuti più tardi era già di nuovo al suo fianco. Aveva indosso uno dei vestiti che le aveva regalato ultimamente, stoffa leggera di un verde bottiglia che faceva risaltare la carnagione chiara, in una mano aveva un foulard e nell’altra una grossa valigia.

‘Hai preso tutto?’

Annuì. Da molto tempo oramai, da quando i regali si cominciavano ad accumulare, aveva comprato quella valigia rigida con la chiusura a combinazione, appositamente per riporre quelli che in quel momento considerava i propri oggetti più cari. Non sarebbe entrato nessuno in camera sua, ma perché rischiare che inavvertitamente qualcuno potesse vedere la sua nuova sé stessa? Quella valigia, come la poltrona di pelle ed il cuscino ai suoi piedi racchiudevano tutto il significato di ciò che era diventata, l’opposto di quello che tutti si aspettavano da lei che era sempre stata la prima della classe, sempre studiosa, assennata, logica, indipendente. A guardare bene però, non era cambiata davvero, per tutta la vita aveva cercato la sicurezza e la stabilità, un luogo sia esterno che interno che potesse riconoscere come suo personale e nel quale tornare ogni qual volta ne sentisse bisogno. Con la sua carriera accademica e poi lavorativa, sperava di riuscire a costruire quel suo angolino di mondo poi però, come essere colta senza ombrello da una nuvola passeggera o forse da un tifone, nella sua vita era entrato Padrone ed inconsciamente, intorno a lui, aveva riconosciuto quel posto che aveva sempre voluto. Quindi in quella valigia c’era tutto quello di cui aveva bisogno ora.
Andarono verso l’uscio, si fermò davanti lo specchio per indossare il foulard a coprire il collare e poi uscirono. Padrone chiuse la porta e mise le chiavi in tasca. Lo guardava così affascinata e felice, sentiva che stava per cominciare per lei una nuova vita e che il tempo trascorso fin ora con Lui era solo servito a prepararla per questo grande passo.
Le prese di mano la valigia, provò a protestare per non lasciare che fosse lui a portare il bagaglio ma la folgorò con lo sguardo e non le lasciò alcuna forza per opporsi. Scesero le scale con calma, lei al suo fianco, sotto braccio, come l’unica volta che erano usciti. Fuori dal portone li stava aspettando l’autista davanti alla macchina. Padrone gli passò la valigia, lei provò a stendersi per prenderla lei stessa e non lasciarla nelle mani di uno sconosciuto ma Padrone la tenne saldamente a sé e dovette assistere a come la sua preziosa valigia scomparisse nel bagagliaio della macchina. Avrebbe preferito mille volte tenerla sulle sue gambe per tutto il tragitto piuttosto che non vederla affatto.
Salirono in macchina e partirono, non si girò a guardare indietro, alla sua vecchia vita che terminava in quel luogo ed in quel momento, era semplicemente felice e pensava soltanto al tempo in più che avrebbe trascorso insieme al suo Padrone.
La città sfilò in fretta al di là dei finestrini e presto si trovarono in spazi aperti, con sempre meno traffico. Entrarono in un cancello in ferro battuto e dovettero attraversare una strada sotto la volta di alti alberi prima di fermarsi di fronte ad una villa monumentale.
Lo stupore per tutto quello sfarzo era paragonabile solo alla proposta di andare a vivere lì. Attonita seguì Padrone che intanto aveva ricevuto la valigia dall’autista. Pochi gradini li portarono davanti l’uscio dove c’era ad aspettarli il maggiordomo.
‘Ben tornato a casa Signore.’

‘Grazie Alfredo.’

Con un mezzo inchino l’uomo si sporse verso il bagaglio ma stavolta appena Padrone lasciò la presa Rossana fu pronta a riprendere la valigia. Il maggiordomo diede uno sguardo interrogativo al padrone di casa che scuotendo la testa gli fece accettare di lasciare che la nuova arrivata facesse ciò che volesse. Felice di aver vinto quella battaglia e non accorgendosi di essere stata aiutata da poteri più forti, tornò al fianco del suo Padrone.
La villa era magnifica, enormi spazi decorati con gusto maschile con molte parti in pietra e legni scuri. Il pavimento sembrava di marmo color crema. Dall’atrio si diramavano tre corridoi, loro presero quello a sinistra, tutte le porte erano chiuse, non riuscì a sbirciare al loro interno per vedere cosa nascondessero così tante stanze in quella che era una sola parte di tutta la villa.
Il corridoio terminò con un nuovo spazio aperto, c’erano delle scale in legno che portavano al piano superiore ed un mobile con tante ante quadrate poggiato contro la parete opposta.

‘Siediti.’

Indirizzandola verso un divanetto senza schienale. In quel momento si accorse che il pavimento era diviso a metà: la prima parte nello stesso marmo dell’entrata e la seconda metà in parquet ed il divanetto poggiava a cavallo tra le due, a fare da ponte. Si sedette nella parte con il marmo, le si accomodò di fianco, quasi fossero alla pari’ un fremito le salì per la schiena. Senza darle peso, Padrone si slacciò le scarpe e se le tolse, lo guardava senza capire, si alzò ed andò a riporre le scarpe in uno degli scomparti del mobile e poi tornò da lei.

‘Girati.’

Per un attimo non capì l’ordine, se avesse voluto farla alzare e poi girarsi glielo avrebbe detto’ non l’avrebbe neanche fatta sedere. Poggiando le mani sulla seduta cominciò lentamente a ruotare su sé stessa, quando il piede destro stava per superare la linea tra marmo e parquet le afferrò delicatamente una caviglia alzandogliela e continuò ad assecondare i suoi movimenti fino a farla fermare di fronte a lui con entrambi i piedi staccati da terra.
Le piaceva sentire quelle mani che l’afferravano a le guidavano, aveva una voglia matta di aprire le gambe e mostrare tutta la sua voglia, ma col tempo aveva imparato a controllare questi suoi impulsi scoprendo che quei contatti, fatti come Padrone voleva, erano più preziosi dei doni che aveva nella valigia al suo fianco. Con calma, quasi accarezzandola le sfilò le decolté e le permise di poggiare di nuovo i piedi a terra. Mentre teneva le scarpe con due dita le porse la mano per farla alzare, afferrò la valigia e tenendosi a lui si mise in piedi.

‘In questa casa c’&egrave la regola: sulla pietra con le scarpe e sul parquet o scalza o con le pantofole che trovi qui.’

ed aprì uno sportello più grande per mostrarle il contenuto.

‘Il tuo scomparto personale e quello lì in fondo, il più basso.’

Le restituì le scarpe per fargliele mettere a posto. Diligentemente eseguì, anche se era il posto più scomodo, quello più in basso, il più lontano possibile dalle scale, era felice, aveva un posto riservato solo per lei in quella bellissima casa. Con un sorriso smagliante gli tornò al fianco e poi salirono al piano superiore.
Anche se ormai era abituata a camminare scalza la sensazione calda del parquet era molto meglio del pavimento freddo di casa sua. Le esplose una felicità dentro, ora era quella la sua casa, la casa di Padrone, lei ora viveva con lui!
Aprì una porta e la invitò ad entrare. La stanza, adattandosi alle proporzioni della villa, era enorme. Grande quasi quanto l’intero suo vecchio appartamento. Appena entrati c’era un salottino, spaziando lo sguardo a destra si trovava un letto a baldacchino e due porte. Camminava lentamente, cercando di creare una familiarità con il posto, le sembrava tutto magnifico, nuovo e splendente. Dalle grandi finestre entrava tanta luce che l’attirarono per sbirciare fuori. L’ampio balcone affacciava su un giardino sul retro della villa che finiva dove ricominciavano gli alberi.

‘Quella mettila qui.’

Padrone le indicò una delle porte, l’aprì e ci trovò dentro un’intera stanza armadio, corredata di tutto: poltroncine, specchio angolato, due file di vestiti a vista di svariati colori e fogge. Era già sicura che erano tutti della sua taglia. Era senza parole, si sentiva in una favola non sapeva se continuare a ridere od iniziare a piangere dalla gioia.
Uscì dall’armadio allibita, non sapeva che dire. Padrone le indicò l’altra porta. Un bagno faraonico: doccia, vasca idromassaggio, rubinetteria scintillante. Imbambolata, con la mente vuota, non sapeva cosa fare.

‘Ti lascio ambientare nella tua nuova stanza. Se ti serve qualcosa chiedi ad Alfredo.’

Senza che se ne accorgesse le scomparve da davanti gli occhi. Come ‘tua’? Non ‘nostra’? Le venne il panico, corse di nuovo nell’armadio. Lo girò da cima a fondo, aprì tutte le ante, tutti i cassetti, ovunque, ma c’erano solo abiti ed accessori da donna. Non poteva essere vero, tornò nella stanza per cercare un’altra porta che magari portava ad un guardaroba maschile. Girò su sé stessa, una, due, tante volte’ un po’ per le vertigini ed un po’ per lo sconforto cadde ginocchioni a terra. La stanza era tutta lì. Non avrebbe dormito con Padrone. Tirò fuori un braccio dalle coperte ed a tentoni cercò il collare, dopo qualche tentativo andato a vuoto fu costretta ad aprire gli occhi. Non si era ancora abituata’ Casa nuova, stanza nuova, lenzuola nuove e morbidissime’ spingendosi leggermente oltre raggiunse quella striscia di cuoio grezzo e la indossò senza attendere oltre. Anche se l’interno era ancora ruvido non sentiva più il fastidio delle prime volte ed il freddo degli inserti in metallo l’aiutava a svegliarsi, ma non per questo uscì dal letto; rimase ancora un poco a poltrire sotto le coperte calde. Sulle tende tirate, i segni rettangolari della luce del sole erano ben marcati, quella luminosità diffusa era perfetta al risveglio. Lentamente scivolò fuori dal letto, il parquet era caldo al tatto, con passi appena accennati arrivò alla finestra ed aprì le tende. La luce sommerse l’intera stanza e per un attimo rimase accecata, man mano che si abituava riuscì a riaprire gli occhi. La giornata era magnifica, aprì il vetro per sentire il cinguettio degli uccelli che in città sono solo un miraggio lontano. Insieme ai suoni dal boschetto dietro la villa, le arrivò anche una ventata di aria fredda che la fece intirizzire tutta. Era ancora nuda, come Padrone l’aveva messa a letto la notte prima ma sopportava bene quella brezza rinvigorente, del resto, negli ultimi tempi, si era abituata a stare nuda in casa, anche se raffinati e di gran pregio, i vestiti addosso a volte le davano fastidio. Anche se per lei non ci sarebbe stato nessun problema a stare nuda tutto il giorno pensava di mettere a disagio la servitù e quindi, per le sue gite esplorative della villa indossava un vestitino attillato che le dava un minimo di sostegno al grosso seno dato che non voleva portare nessun intimo.

Aveva appena finito di prepararsi per andare a colazione quando, come al solito, senza bussare entrò nella sua stanza Padrone, con in mano una scatola.

‘Sul letto. In posizione.’

Lasciò cadere quello che aveva in mano ed eseguì immediatamente l’ordine. Ricordava bene cosa significasse ‘in posizione’, dopo quell’unica sera in cui glielo aveva mostrato ed infilato a forza in ogni fibra del suo corpo non era più stato necessario prendere quella posizione, non aveva più fatto nulla di male’ anche ora non aveva fatto nulla di male’ almeno volontariamente’ Nonostante questo eseguì senza protestare, era sua, doveva affidarsi a Lui ed accettare il Suo giudizio.
Si inginocchiò sul letto, tenendo il sedere ben alto poggiò il viso e le spalle sul letto, afferrò le ginocchia con le mani ed aspettò trepidante il primo colpo, essendo sicura di poterlo sostenere senza dover chiudere gli occhi.
Con molta calma le si avvicinò, poggiò la scatola al suo fianco, ma lei non riusciva a vederne il contenuto. Un alito di vento le indicò di essere già col sedere scoperto, prese un respiro profondo preparandosi al colpo ed invece sentì le dita di Padrone che le si poggiavano delicatamente tra le natiche. Significava che non sarebbe stata punita? Anche perché non sapeva proprio cosa avesse fatto di male’
Lui intanto le divaricò le natiche, non che non l’avesse mai toccata così a fondo, ma non lo faceva neanche così spesso e comunque lei si eccitava per ogni suo tocco, figuriamoci uno così vicino alla fonte di piacere. Sentì qualcosa di freddo ed umido poggiarsi contro il buchino del suo culetto, non capiva cosa fosse, non sapeva cosa fare’ Padrone continuava ad insistere su quel punto, stava anche premendo con più forza. Il suo respiro divenne più agitato, non sapeva cosa fare, davvero’ non sapeva se dire di no, se spiegare in qualche modo che’ Una spinta più decisa la fece mugolare.

‘Non hai mai fatto sesso anale?’

No! Diavolo no! Le era sempre sembrato così sporco, impuro fino nel profondo e poi’ ne aveva paura, paura delle conseguenze disastrose e vergognose che aveva letto su internet. Ma come poteva dire tutto questo? A Padrone’
‘No”
Fu tutto quello che riuscì a far uscire.

‘Rilassati. Non farà male.’

Facile dire una cosa del genere. Una volta aveva persino litigato di brutto con un suo ex che voleva a tutti i costi prenderla in quel modo. Sentì che le mani di Padrone si staccarono per un attimo da lei e già sperava che avesse rinunciato, speranza vana quando sentì che dell’altro liquido le si posava tra le natiche e pian piano le colava verso la vagina calda. Con un dito le raccolse quella goccia e gliela spalmò per bene intorno al buchino. Ci sapeva fare’ nonostante l’idea non la allettasse proprio si sentiva eccitata. Lasciò andare un po’ della tensione e Padrone utilizzò quell’oggetto freddo per continuare a stimolarla. Decisamente grosso ma sicuramente eccitante come scivolava così facilmente tra le pieghe della sua carne. Quando quell’oggetto si scaldò glielo poggiò di nuovo sul buchino ma senza più muoverlo, semplicemente premendolo.

‘Rilassati.’

Sì, ora era più facile rilassarsi. Fino a quella mattina non l’aveva mai stimolata così tanto che ora si sentiva molto più che eccitata ed in quello stato sentiva la sua testa leggerissima, senza pensieri e quindi senza ostacoli.
Cominciò a sentire il suo buchino dischiudersi, era ancora titubante ma la mano calda di Padrone poggiata sul suo sedere per allargarle le natiche continuava ad eccitarla. Pian piano quell’oggetto le stava entrando dentro, lo sentiva crescere e crescere in dimensione, senza smettere. Per un paio di volte ebbe uno spasmo ed il suo buchino si richiuse ricacciandolo indietro e facendo ripartire tutto il processo da capo. Non sapeva quanto ancora doveva crescere il diametro o quando ancora a fondo dovesse andare, doveva unicamente affidarsi al suo Padrone che sicuramente stava facendo tutto quello per un motivo.
All’improvviso sentì il suo buchino richiudersi e quell’oggetto entrarle dentro in fretta. Impaurita pensò che fosse successo qualcosa di irreparabile, per un attimo provò a muoversi ma sapeva che Padrone non le avrebbe perdonato una disobbedienza.

‘Abbiamo finito. Vai pure a specchiarti.’

Sentì qualcosa di curioso accarezzarle le cosce. Come?! Doveva specchiarsi con quel coso dentro? Non era pericoloso tenerlo lì? Era strano, aveva questo qualcosa dentro, sensazione mai provata. Lentamente iniziò a mettersi a quattro zampe, sentiva solo un po’ di fastidio per avere qualcosa dentro, ma non le faceva male. Si mise in ginocchio, le natiche avevano qualcosa in mezzo, mosse la mano per capire cosa fosse. Morbida, pelosa, lunga. Si girò per quanto poté per riuscire a vedere cosa fosse, sembrava una cosa, attaccata a’ tirò e di tutta risposta sentì l’oggetto dentro di sé muoversi un poco. Sì, era attaccata a quel coso. Padrone era tranquillo e la scrutava attentamente. Andò nella stanza armadio davanti al grande specchio angolato.
Quella che le scendeva tra le gambe e la solleticava ad ogni passo era una coda, anche se attaccata più in basso rispetto a dove ce l’hanno gli animali’ Era di pelliccia a pelo lungo, color biondo ramato, proprio come lei.

‘Ti sta bene.’

Il complimento le arrivò dalle spalle, si girò di scatto e mentre la sua nuova coda le accarezzava la pelle delle cosce dandole dei piccoli brividi, le sembrò di vedere felicità negli occhi di Padrone che poi si ricompose

‘Tienila finché te lo dico io.’

Se ne andò, non provò neanche a seguirlo, sapeva che di mattina e spesso anche di pomeriggio era impegnato, rimase davanti lo specchio, con il lembo del vestito tirato su per vedere meglio il nuovo accessorio. Si stava abituando alla sensazione. Le piaceva il colore, era il suo colore, come se fosse davvero la sua coda. Era lunga fino alle ginocchia, spuntava abbastanza dal suo vestitino estivo ma senza essere eccessiva.
Da ragazza composta e assennata com’era le sarebbe stato impossibile tutto quello, invece ora, completamente affidata alle cure di Padrone si sentiva decisamente meglio, senza pressioni di alcun tipo, non le importava più cosa potessero pensare gli altri, si sentiva libera. Uscì dalla stanza per andare a colazione.

Era placidamente inginocchiata al suo posto con la coda ben stesa dietro di lei quando nel tardo pomeriggio tornò Padrone.

‘Sul letto. In posizione.’

Ubbidì. Era felice che fosse tornato, anche se un po’ le dispiaceva che le avrebbe tolto la coda, durante il giorno si era abituata ad averla, quando inavvertitamente si poggiava alla base sentiva l’inserto muoversi leggermente dentro di lei dandole quella sensazione di piacere mista all’intrusione nel suo corpo che l’aveva lasciata con una flebile eccitazione costante.
Le si avvicinò, le scoprì il sedere, le alzò la coda facendogliela poggiare lungo la spina dorsale. Pausa. Ne sentiva i movimenti ma non riusciva a capire cosa stesse facendo. Qualcosa le toccò le grandi labbra e senza altri preamboli iniziò ad entrarle dentro. Caldo, rigido, sapeva cosa fosse, o almeno lo sperava, rimase immobile per non rovinare tutto. La afferrò saldamente dai fianchi e la tirò a sé fino a quando sentì che si poggiava contro il suo basso ventre. Le era entrato fino in fondo, con decisione, lo sentiva che le si sfregava dentro, soprattutto sentiva che l’inserto nel sedere rendeva tutta quella zona più stretta, più sensibile. Cominciò a muoversi dentro di lei, finalmente! Dentro e fuori con ritmo e forza, finché non fu abbastanza bagnata da farlo scivolare facilmente permettendogli di aumentare il ritmo. Le stringeva i fianchi con decisione, sentiva le sue mani calde entrarle nella carne morbida per muoverla a suo piacimento.
Una scossa, poi un’altra, la mente perse ogni contatto. Il piacere ormai le si era sparso in tutto il corpo. Un’altra scossa. Non era stato un caso, lo aveva trovato! Non sapeva neanche come il suo corpo stava reagendo a tutto quello, a quel piacere intenso che la scuoteva ed inebriava ogni volta che le toccava quel punto specifico. Aprì gli occhi, aveva le mani sotto il petto per resistere ai colpi di Padrone, sentiva le gambe tremarle dall’amplesso imminente. Il ritmo aumentò e non poté far altro che urlare dal piacere una, due, tre’ tante volte fino a che non esplose perdendo completamente il controllo del corpo andando a tremare dal piacere stesa sul letto.
Quando si riprese non sentiva più un briciolo di controllo sui muscoli, si sentiva soltanto creta nelle mani di Padrone che la mise a quattro zampe con le gambe leggermente divaricate. Pensò che sarebbe ricominciata quella tortura piacevolissima, invece sentì l’inserto muoversi ed il buchino allargarsi di nuovo, con facilità inaspettata le rimosse la coda, senza il minimo dolore. Se ne sentiva svuotata ma più leggera. Senza indugiare oltre la penetrò di nuovo. Sensazione diversa, forse più intima ma di sicuro non diminuì la forza del desiderio. La possedé totalmente avendo ormai trovato il suo punto debole, la stuzzicava portandola verso un altro orgasmo. Sentiva la vigoria dei suoi colpi che la scuotevano tutta facendole balzare con forza i seni che riuscirono persino ad uscire dal vestito ed essere liberi di dondolare.
Ansimavano entrambi, lei di più, i colpi si sentivano netti sia nell’aria che nella carne, era in fiamme. Nel momento in cui stava per venire sentì le mani di Padrone stringerla con ancora più forza e poi le contrazioni del pene che le regalavano il seme. Fu un attimo e venne anche lei, per la seconda volta in pochi minuti. Si fermò in cima alle scale e rimase in ascolto. Poco prima aveva sentito delle voci arrivare dal piano di sotto. La villa in genere era sempre così silenziosa che sentire delle voci l’aveva incuriosita. Eccole di nuovo. Sembravano urla lontane ma non riusciva a distinguere le parole. Si guardò attorno per vedere se c’era qualcuno della servitù a cui chiedere ma non vide nessuno. La curiosità era tanta, scese metà dei gradini e rimase ancora in ascolto ed in effetti si sentirono altre di quelle urla. Scese fino in fondo alle scale e rimase nascosta dietro la colonnina del corrimano ad aspettare ancora quelle voci. Le parve di sentire il timbro di voce di Padrone. Voleva capire perché fosse così arrabbiato e di soppiatto si incamminò verso l’angolo che congiungeva quella stanza con il corridoio. Quando sentì il freddo del pavimento sotto un piede si fermò ricordandosi che avrebbe dovuto mettere le scarpe, però un urlo irato la fece trasalire e d’istinto andò ad appiattirsi contro il muro in cerca di protezione. Rimase immobile in ascolto per capire se fosse stata scoperta o che altro avesse fatto cambiare così tanto la voce di Padrone ma non riusciva ancora ad afferrare le parole. Voleva andare avanti, avvicinarsi ancora, ormai era a piedi scalzi sul marmo’ tanto valeva continuare in quel modo, capire in fretta cosa stava succedendo e poi tornare di corsa al piano superiore.
Si affacciò titubante sul corridoio e lo vide vuoto, tutte le porte chiuse, tranne una che era socchiusa da cui usciva un cono di luce

‘Sei un incompetente!’

La voce di Padrone veniva proprio da lì. Evidentemente stava discutendo con qualcuno, probabilmente di lavoro. Non sentiva nessun altra voce’ forse era al telefono. Magari lei sarebbe riuscita a farlo calmare. Si avvicinò a quella porta senza far rumore.

‘Ammetti che sei un inetto!’

Era davvero furioso.
‘Ma io”
Rossana si paralizzò lì dov’era, c’era qualcun altro nella stanza’ Rimase ad ascoltare ma fece istintivamente un passo in dietro.

‘Ammetti che non sai fare nulla, anche un bambino farebbe meglio di te.’

‘Non”

‘Cosa? Non sei capace di prendere un appuntamento, scriverlo su un’agenda o leggere la tua scrittura? Cosa NON sai fare?’

La rabbia nella voce di Padrone aveva raggiunto l’apice. Chiunque avesse di fronte stava cercando di contraddirlo, un pazzo, solo un pazzo lo avrebbe fatto. Si incuriosì e si avvicinò all’apertura della porta per vedere chi avesse così poco rispetto del suo Padrone.
In confronto al corridoio in cui era, la stanza era molto più luminosa e non mise subito a fuoco. Sembrava un ufficio, con portadocumenti, libri, una scrivania. Dietro la scrivania’ Gli occhi di Padrone la fulminarono in un istante, sapendolo così agitato non aveva la forza di fare nulla, qualunque cosa sarebbe stata quella sbagliata. Quegli occhi profondi e fermi le guardavano dentro, la tenevano bloccata sul posto. Si alzò ed andò verso di lei con la furia dipinta in volto, non sapeva cosa fare, le arrivò ad un passo di distanza, ancora al di là della porta e senza dire una parola ma neanche senza distogliere gli occhi da lei richiuse la porta lasciandola nel corridoio.
Sentiva che doveva fare qualcosa, anche solo pensare qualcosa ed eseguirla ma la sua mente era completamente vuota dallo shock.

‘Sei licenziato!’

Il tuonare di quelle parole la ridestò, l’unica cosa che riuscì a pensare fu di scappare e lo fece immediatamente e di corsa, letteralmente con la coda fra le gambe che le accarezzava inopportunamente le cosce. Per la paura andò direttamente in camera sua, al suo posto sul cuscino vicino la poltrona, mettendosi autonomamente in punizione ed aspettando quella vera di Padrone.

L’attesa fu estenuante, il tempo sembrava scorrere più lentamente del solito, nella sua testa si dipinsero tutti i modi in cui sarebbe stata punita. Avrebbe accettato tutto, qualunque cosa purché le permettesse di stare ancora vicino a lui’
Infine arrivò, serio come al solito ma ancora arrabbiato, si vedeva palesemente dai suoi movimenti rigidi. Senza dire una parola le si avvicinò, lei abbassò gli occhi sapendo si essere nel torto, la afferrò dal collare senza cura e la trascinò per la stanza. Cercava di stare al passo ma andare carponi in quel modo le stava facendo male alle ginocchia, sentiva anche il dolore del collare che le stringeva la pelle soffice del collo.
La portò in bagno, come fosse una bambola di pezza la alzò da terra facendole superare con il busto il bordo della vasca idromassaggio e per un attimo sembrò attenuarsi la sfuriata. Era appesa in quel modo sul bordo, la testa a poggiare sul fondo ed i piedi ancora a terra, rimase immobile per il terrore nonostante sentisse l’addome troppo compresso da quella posizione. Ansimava, già piangeva, non l’aveva mai visto così arrabbiato, lei che voleva farlo calmare alla fine aveva solo peggiorato le cose. Le afferrò la coda, fece appena in tempo a rilassare l’ano che se la sentì strappata via per poi cadere sonoramente a terra. Immediatamente sentì abbattersi sul suo sedere uno schiaffo e poi un altro. Li sopportò a malapena senza urlare ma già sentiva la pelle arderle per i colpi.

‘Tu. Sei. Una. Lurida. Ti. Avevo. Detto. Che. Avresti. Dovuto. Indossare. Le. Scarpe. Per. Camminare. Sul. Marmo. Per. Colpa. Tua. Le. Governanti. Devono. Pulire. Di. Nuovo.’

Ogni parola era sottolineata da uno schiaffo sul sedere, sempre più forte. Urlava dal dolore, per quello che poteva si teneva aggrappata per non scivolare troppo sotto la forza di quella mano, ma non si dimenava, era giusto ricevere tutta la sua punizione. Il suo sedere era così rosso e pulsante che le sembrava avesse perso la sensibilità, ma in realtà il dolore, acuto e bruciante era costante.
Quasi strappandoglielo di dosso, le tolse il vestito e nuda com’era, senza nessuna cura la afferrò da una caviglia e la fece capitombolare nella vasca. Cominciò a bagnarla con in soffione, anche l’acqua le faceva male sulla pelle ma prima ancora di riuscire a capire se fosse calda o fredda, quando stava per urlare dal dolore il getto le riempì la bocca con acqua ghiacciata dandole quasi la sensazione di affogare.
Stava gelando oramai, l’unica nota positiva era sentire un leggero sollievo al sedere. Con una spugna la lavò con cura, lei stava immobile nella vasca cercando di tremare il meno possibile ma sentiva la sua mandibola non rispondere più al suo comando di stare ferma e tremava spasmodicamente. Terminato il lavaggio le mise addosso un telo da bagno per asciugarla. La pelle ghiacciata ed intirizzita all’estremo la sentiva così sensibile e delicata che le sembrava crepitasse sotto le cure di Padrone che però sembrava essersi calmato ed ora si stava prendendo cura di lei nel modo più dolce possibile, tamponandole appena la pelle per portarle via tutta l’umidità.
Non ancora del tutto asciutta, la prese in braccio
‘No”
riuscì a pronunciare nonostante le labbra non smettessero di tremare
” La sto bagnando tutta”
Le sorrise? Era un sorriso quello che gli aveva visto sulle labbra?

‘Non importa.’

Con cura la poggiò sul letto.
‘Scusi”

‘Non &egrave con me che ti devi scusare, ma con chi &egrave costretto a lavorare di più per colpa tua.’

Mugolò annuendo. Era vero, si era comportata davvero male.
Si sentiva stanca e spossata, infreddolita fin dentro le ossa e pronta ad addormentarsi, ma quando Padrone le slacciò il collare, zuppo anche lui, cercò di richiamare tutte le sue forze per afferrarlo dai polsi. Lui la guardò incuriosito, gli sarebbe bastato così poco per liberarsi da quelle mani tremanti.
‘Voglio essere utile’ Posso fare quel lavoro”
Non riuscì a dire altro. La guardava attentamente, aveva capito di cosa stesse parlando anche se non era stata esplicita. Serio come al solito le disse

‘Ne sei sicura? Lo sai che se mi deludessi in quello perderesti tutto, anche quello che hai adesso.’

Annuì. Stare vicino a Padrone era tutto ciò che desiderava, aveva finalmente trovato un posto dove sentirsi sicura e protetta, ma sentiva di non dare abbastanza in cambio, di non dimostrare quanto fosse riconoscente di tutto quello. Non avrebbe fallito, sapeva che impegnandosi avrebbe potuto fare qualunque cosa ed in più avrebbe passato altro tempo con Lui.
La osservava per capire quanto fosse seria e determinata, ma alla fine cedette.

‘Quando si lavora si pensa solo a quello. Niente coda o altro ed il collare solo se gli altri non lo possono vedere. Vestita per bene, con intimo e tutto come si deve.’

Annuì felice.

‘Dovrai essere aggiornata entro lunedì. Ora riposati.’

Non riuscendo più a resistere abbandonò le braccia lungo i fianchi e lasciò che Padrone finalmente le togliesse il collare bagnato e le rimboccasse le coperte.

Ore dopo, quando stava studiando tutta la documentazione più recente per la prima volta scoprì quale fosse il Suo nome, ma lo tenne dentro di sé, non lo bisbigliò neanche. Per lei sarebbe sempre stato Padrone. Prima di quel pomeriggio pensava che non sarebbe più tornata in quel luogo. Invece eccola qui, proprio sotto il palazzo del suo ultimo lavoro.
Testa alta e schiena ben dritta mentre nel suo tailleur aderente e scarpe alte precedeva Padrone e gli apriva la porta.
‘Buon pomeriggio.’
‘Buon pomeriggio a lei.’
Sorrise giovialmente alla guardia giurata che non parve riconoscerla, in un certo qual modo la cosa le fece piacere, lei stessa si sentiva diversa, sia nell’aspetto ma soprattutto nell’atteggiamento, quando era vicina a Padrone la sua ansia, il suo bisogno di controllare tutto, semplicemente sparivano e senza quel peso si sentiva libera e profondamente riconoscente. Nel suo ruolo di assistente personale aveva trovato un modo per dimostrare la sua gratitudine, lo accompagnava ovunque, si prendeva cura di Lui fin nei minimi particolari sia dal punto di vista lavorativo che personale.
Arrivarono nel suo vecchio ufficio ed andarono direttamente alla stanza del capo, avevano un appuntamento per discutere degli investimenti di Padrone. Il suo vecchio capo all’inizio non la riconobbe, anche perché stava concentrando maggiori attenzioni al cliente importante, mica alla sua segretaria, ma quando si accorse chi era non disse nulla, fece solo un sorrisetto e si misero a lavoro.
Finita la riunione, mentre si dirigevano all’ascensore, si sentì chiamare
‘Rossana? Sei tu?’
Girandosi vide Claudia, la sua vecchia vicina di cubicolo con un’espressione interrogativa
‘Ciao Claudia, come stai?’
e si avvicinò per salutarla.
‘Tutto bene. Quando prima sei passata non ti avevo riconosciuta’ Sei diversa’ Stai molto bene’
Arrossita per i complimenti si fermò a chiacchierare un poco, anche se non sarebbe mai tornata indietro dalla sua vita attuale, le mancava un poco quel tipo di leggerezza.
‘Mi &egrave dispiaciuto quando non ti hanno rinnovato il contratto’ Ma vedo che hai trovato un buon lavoro”
Ammiccando verso Padrone che era arrivato davanti all’ascensore. Si girò in quella direzione e vedendolo così teso capì.
‘Ciao. Devo andare.’
Tagliò corto con Claudia e si incamminò in fretta per ricongiungersi a Padrone. Più si avvicinava e più sentiva l’aura austera che emanava, guardava dritto davanti a sé la porta dell’ascensore, aveva il pugno stretto.
” Scusi”
Bisbigliò appena cercando si giustificarsi. Non diede segno di accorgersi di lei, entrò nell’ascensore che intanto era arrivato al loro piano e si fermò rigido al centro della cabina. Si dovette appiattire contro le pareti per entrare anche lei e non sfiorarlo, le sembrava una mina pronta ad esplodere al minimo contatto.
Erano soli, l’ascensore stava scendendo.

‘In ginocchio!’

Un ordine, secco e preciso. Lì, in pubblico. Lui che le aveva esplicitamente detto che quando si lavora non si pensa ad altro, ma capiva la sua rabbia e si inginocchiò immediatamente. Davanti a lei c’era il pugno stretto con tanta forza da far sbiancare le articolazioni, era fermo, ma lo sentiva vibrare di rabbia e sapeva di esserne la causa.
Guardò in basso iniziandosi a pentire di essersi attardata per parlare con Claudia, se qualcuno fosse entrato nell’ascensore probabilmente, anzi no, sicuramente sarebbe rimasta lì inginocchiata aumentando la sua umiliazione. Arrivarono direttamente al piano terra, dopo che si aprirono le porte Padrone le comandò:

‘Andiamo!’

Era ancora arrabbiato, era ovvio dall’intonazione della sua voce e dal fatto che scattò subito in avanti lasciandosela alle spalle. Fece il possibile per raggiungerlo, ma con i tacchi alti era un problema e si ricongiunse a Lui solo davanti alla macchina.
Il viaggio fu surreale, il silenzio era oppressivo. Da quando lo aveva deluso non l’aveva ancora guardata, era una situazione straziante per lei. Avrebbe voluto prostrarsi ai suoi piedi, supplicare il perdono con quanta più forza avesse nel corpo ma sapeva che farlo in quel momento, in quel luogo, avrebbe solo peggiorato le cose. Con tutta l’agitazione che covava dentro riuscì a malapena a stare seduta ferma al suo posto.
Arrivarono dritti a casa. Di nuovo non l’aspettò e si diresse subito dentro. Le sembrava di non far altro che rincorrerlo per scusarsi senza però riuscire a raggiungerlo. Liberatasi dei tacchi riuscì a correre al piano superiore e lo vide entrare nella sua stanza, quando entrò anche lei lo trovò vicino al letto. Si avvicinò lentamente, per tutto quel tempo aveva pensato solo a raggiungerlo, non aveva ancora deciso cosa gli avrebbe detto. Quando gli fu davanti abbassò gli occhi intimorita e non vide arrivare lo schiaffo. In pieno viso, forte. Si sentì senza forze e cadde sul letto.
La guancia le pulsava, sentiva migliaia di aghi conficcarsi nella pelle e bruciare. Piangeva silenziosamente. Le sembrava di morire dal dispiacere, dall’umiliazione di aver meritato uno schiaffo sul viso, solo i singhiozzi la scuotevano dall’immobilità.

‘Che senso ha essere la mia assistente personale se sono Io che devo aspettare te? Eh?!’

Prendendola con forza per un braccio la ruotò mettendola prona sul letto e la bloccò mettendosi sopra di lei. Le faceva paura quella mancanza di cura nei suoi confronti, piangeva e si sentiva soffocare. Sentì le mani di Padrone poggiarsi a metà della schiena e poi un crepitio improvviso della giacca che si squarciava.

‘Questi vestiti non ti servono se non vuoi fare il tuo lavoro!’

e con un altro strappo le aprì anche la camicetta. Le sembrava un animale inferocito, non sapeva cosa fare, rimase immobile sperando che tutto finisse in fretta. La strattonava con forza, la muoveva come se non avesse peso, le strappò anche la gonna e le calze prima di girarla supina. Non ancora appagato le strappò del tutto i vestiti da dosso, aveva gli occhi iniettati di sangue, non lo riconosceva più.
‘Sc’ Scusi”
Le lacrime ed i singhiozzi non si placavano. Era pentita, non lo avrebbe fatto più’ Per tutta una vita aveva cercato di costruirsi un posto sicuro e quando Padrone gliel’aveva donato lei semplicemente si era allontanata, senza permesso, dal suo posto vicino a Lui. Sentiva ancora pungerle la guancia e poi i leggeri graffi che le aveva procurato ogni volta che le strappava qualcosa le cominciavano a pulsare.
Era nuda, sul letto, con Lui sopra, ma non c’era nulla di erotico in tutto quello, la guardava con disprezzo e lei non faceva altro che piangere ed implorare il perdono. Le si piegò sopra, avvicinandosi al viso, con le mani le raggiunse il collo.

‘Questo non ti serve più.’

Le sussurrò con rabbia. Quando sentì che le stava slacciando il collare le sembrò di impazzire. Con tutta la forza che aveva gli afferrò i polsi cercando di fermarlo
‘NO! NO! La prego”
Cercava di divincolarsi per proteggere il suo collare.

‘Ferma!’

Le si gelò il sangue e diventò una statua. Aveva questo enorme potere su di lei. Tenendola bloccata solo con lo sguardo fisso, con tutta calma le slacciò il collare e tirandolo glielo fece strusciare sulla pelle morbida. Era incapace di qualunque pensiero, si sentiva svuotata, un contenitore vuoto. Quando non lo vide più nella stanza andò nel panico, scattò in piedi e corse in corridoio per vederlo entrare nella Sua stanza da letto. Corse da lui, nuda com’era, facendo rumore con i calcagni sul parquet ma arrivò troppo tardi, aveva già chiuso la porta a chiave.
‘La prego’ Non me lo porti via”
non voleva neanche sapere cosa significasse il fatto che si fosse ripreso il collare.
” Mi dia un’altra possibilità”
Batteva con forza i pugni sulla porta, urlava disperata, ma da dentro la stanza non sentì alcun suono, come se non ci fosse nessuno, ma lo aveva visto entrare proprio lì.
Per ore intere cercò di farsi aprire, promettendo di tutto, chiedendolo con forza o con più calma. Quando semplicemente finì le energie si accovacciò davanti la porta e si addormentò.

Quando si risvegliò si ritrovò nel suo letto’ quello a baldacchino nella villa di Padrone. Si sentiva spossata e quando provò a tirarsi su si accorse di essere senza forze e di avere dolore ovunque.

‘Riposati ancora.’

La Sua voce era calma, finalmente. So girò verso di Lui e gli sorrise.

‘La scorsa notte hai preso troppo freddo ed ora hai la febbre alta. Riposati.’

Si era avvicinato e si era seduto sul letto. Lo guardava con le lacrime agli occhi, non capiva ancora bene cosa fosse successo, ma era sicura di non essersi scusata abbastanza. Distolse lo sguardo un attimo per vergogna, sul comodino vide il suo collare. Cercò di afferrarlo ma Padrone la precedette.

‘Lascia, te lo metto io.’

Il cuore le si scaldò di felicità, non aveva parole. Poco dopo aver indossato il collare si sentì nuovamente debole e pian piano si addormentò di nuovo. Era raro che uscissero a quell’ora tarda, in più questa volta poteva portare il collare a vista, era un’occasione speciale. Quando la macchina si fermò non uscirono subito, Padrone prese la scatolina quadrata che si era portato da casa e ne tirò fuori una lunga striscia di cuoio con un grosso moschettone ad un estremo. Era davvero quello che pensava lei?! Le si avvicinò al collo e con cura circondò il suo collare con il moschettone. Il freddo del metallo e l’intero oggetto già la stavano eccitando. Il semplice fatto di non potersi allontanare, di essere legata e obbligata a seguirlo le stavano facendo venire in mente tante fantasie.
Uno strattone al guinzaglio la riportò nel mondo reale. Non sapeva dove fosse, Padrone semplicemente la stava invitando ad uscire dalla macchina. Uscì con tutta la classe che il suo abito suggeriva ed esaltava. Il suo vestito attillato di un rosso cupo aveva scollatura e spacchi generosi, senza essere eccessivi, sufficienti a sottolineare la sua femminilità.
Camminava lenta e sensuale, un passo dietro Padrone, come conveniva a chi era a guinzaglio, guardava dritta davanti a sé, aspettando un nuovo ordine, non le importava sapere se ci fosse stato qualcun altro a vederla sfilare in quel modo.
Entrarono in una porta in un vicolo, li accolse un uomo di mezza età in giacca e cravatta.
‘Signore, mi scuso per averla disturbata’. la ringrazio di essere venuto”
Sembravano conoscersi, ma l’uomo sembrava in soggezione per una qualche colpa. Nel frattempo continuarono a camminare

‘Lui &egrave ancora qui?’

‘Sì’ e come al solito”
Si fermarono di fronte ad una porta, Padrone prese le chiavi ed aprì. Mentre le tolse il guinzaglio le disse

‘Vai al tuo posto e spogliati.’

Un po’ confusa per l’ordine, fece un passo nella stanza e sentì la porta chiudersi alle sue spalle. Sembrava un camerino’ era un camerino’ Un divanetto, delle poltrone, uno specchio per truccarsi, un armadio, un grande cuscino a terra. Ecco il suo posto. Tolse le scarpe e le allineò con precisione vicino il cuscino, mentre abbassava la zip del vestito si guardava intorno incuriosita. Che posto strano, era proprio come si immaginava fosse un camerino di uno studio televisivo ma senza i rumori che provenivano dal palco. Nel frattempo era rimasta in lingerie, dello stesso colore del vestito, ma non sembrava essere impensierita di spogliarsi in un posto sconosciuto, del resto era un ordine. Ripose con cura il vestito e poi tolse anche l’intimo. Il collare no, quello non lo avrebbe mai tolto, si inginocchiò guardando verso la porta ed aspettando di vedere entrare Padrone. Non dovette attendere molto, per un attimo scorse anche gli occhi di quell’uomo che si spalancarono nel vederla nuda in quel modo, lo prese come un complimento ed il suo animo si allietò ancora di più.
Padrone andò dritto all’armadio e ne tirò fuori due completi in pelle appesi a grucce, cercando di figurarseli indossati, ne scelse uno e le si avvicinò.

‘In piedi.’

Eseguì prontamente, le piaceva quando la vestiva. Iniziò col farle indossare un tanga succinto, poi una specie di reggicalze, sempre in cuoio, che stretto in vita con una cinghia le contornava i fianchi seguendo le curve femminili del suo corpo. Altre cinghie lo fissavano saldamente alle cosce e poi rimasero a penzolare altre strisce verso il basso. Con cura le mise anche un mezzo bustino, l’interno delle capienti coppe era rivestito di un tessuto morbido e fu piacevole ed erotico al tempo stesso quando le accomodò i seni al loro interno. Era fatto su misura per lei, le calzava perfettamente, glielo strinse fino a farle perdere il respiro ma si abituò in fretta all’abbraccio oppressivo del cuoio. Degli stivali con il tacco a spillo altissimo si unirono alle cinghie del reggicalze a completare questo look aggressivo rispetto a tutto quello che le aveva fatto indossare fino ad allora.

‘Vai a specchiarti.’

e con un gesto la indirizzò verso lo specchio. Camminò lentamente per non cadere dai tacchi. L’immagine fu davvero forte, non pensava di poter avere quell’aspetto con tutto quel cuoio e quelle fibbie di metallo addosso. La pelle naturale era dello stesso colore del suo collare ed istintivamente portò la mano ad accarezzarlo.

‘Sì, l’ho fatto fare con la stessa pelle.’

Rispose alla domanda che aveva solo pensato. Lo sentiva avvolgente, al limite dello stretto, ma era confortevole. Padrone le si avvicinò da dietro, spostandole i lunghi capelli si fece strada fino al collare e la mise di nuovo al guinzaglio.

‘Andiamo.’

Certo, non l’aveva portata fin lì solo per farla specchiare.
Percorsero il dedalo dei corridoi fino ad arrivare dietro le quinte, la luce rossa e fioca permetteva appena di distinguere le forme degli oggetti. Salirono una scala, arrivarono al palco in tavolato. Il sipario era chiuso. Padrone la condusse vicino la poltrona messa al centro di quello spazio vuoto

‘In ginocchio.’

Forzando la resistenza del cuoio eseguì l’ordine, le si sedette affianco.
Le pesanti tende si aprirono velocemente, lo spazio al di là era molto luminoso e dovette distogliere lo sguardo per abituarsi a quella luce. Si sentì tirare dal guinzaglio per rivolgere il viso verso la platea. Non c’erano posti a sedere, solo una grande sala suddivisa con dei separé, ognuno dei quali sembrava puntare verso di loro. Le tornò in mente la disposizione del suo vecchio ufficio, ma questi non erano cubicoli, c’era molto spazio, in ognuno c’erano due persone che sembrava non si fossero accorte che il sipario fosse stato aperto.
Da destra a sinistra, ovunque spaziasse la sua vista sembravano tutti occupati. Un Master ed un sub, maschi o femmine, senza preconcetti su chi avesse quale ruolo. C’erano catene, corde, lattice e cuoio, fruste, frustini, aghi ipodermici e tanti altri modi per dar piacere’ e poi, nell’aria, l’inconfondibile suono dei colpi, seguito da urla sommesse.
Non aveva mai assistito ad uno spettacolo simile, si sentiva già scaldata dalla voglia. I suoi occhi andavano da una coppia all’altra, cercando i pregi da ognuna e provando di fissare i particolari più eccitanti. Una coppia però l’aveva colpita in una strana maniera: lui con solo degli slip di cuoio era un Master palestrato con un grosso tatuaggio tribale che andava dalla spalla al petto, lei, completamente nuda, prendeva i colpi dati con nessuna cura in maniera sommessa, quasi distaccata, come se non fosse davvero lì.
Le luci nella stanza lampeggiarono, reagirono tutti a quel segnale lasciando in sospeso ciò che stavano facendo, rendendosi un minimo presentabili e poi mettendosi in riga di fronte al palco.
Padrone si alzò e tirando il guinzaglio fece mettere in piedi anche lei, con calma scesero dal palco ed entrarono anche loro nella zona illuminata. Gli camminarono davanti, come fossero generali all’ispezione dell’armata. Oltre che per i segni sul corpo, i sub si riconoscevano per lo sguardo basso, Rossana invece era incuriosita e guardava tutti. I loro vestiti, i loro atteggiamenti, quel posto, tutto la eccitava. Le sembrava che il suo Padrone in qualche modo fosse anche il loro Padrone e che dovevano portargli rispetto mentre lei aveva anche il privilegio di condividerne la casa.
La fece fermare, le si mise di fronte e le disse, in modo che sentissero anche gli altri

‘Scegli chi vuoi, fai quel che vuoi.’

E le rimosse il guinzaglio. Tutta quella libertà la metteva in soggezione, era da tanto che non prendeva scelte di quel tipo. Confusa si guardò intorno e guardò anche tutti i presenti, non sapeva proprio cosa fare. Tornò a guardare Padrone che le annuì fiducioso, solo in quel momento si mosse senza ben sapere cosa avrebbe fatto o se lo avrebbe fatto bene. Si fermò davanti alla coppia che l’aveva colpita, il Master tatuato sorrise, tutte le altre coppie fecero un passo indietro. A pochi passi di distanza raggiunse un tavolino dove c’erano poggiati vari oggetti per il sadomaso, non sapeva proprio cosa scegliere, non sapeva neanche l’utilizzo di alcuni, finché non le venne la giusta ispirazione e prese un grosso strap-on e lo indossò.
Con calma tornò dalla coppia sotto gli occhi incuriositi di Padrone. Quel coso tra le gambe le oscillava da una parte all’altra in maniera oscena ma i suoi passi lenti davano l’impressione che avesse tutto sotto controllo.
‘In ginocchio.’
Dopo averlo sentito tante volte ora era lei a pronunciarlo. La sub, intimorita, ubbidì subito.
‘Ho detto, in ginocchio!’
Rivolgendosi direttamente al Master che con lo sguardo annoiato guardò verso Padrone per ricevere la conferma e poi si inginocchiò anche lui di mala voglia. Fece un passo verso di lui
‘Lecca.’
La sub, sentitasi presa in causa si frappose tra Rossana ed il proprio Master, con una mano prese lo strap-on e se lo portò alla bocca. La fermò prendendole il viso con una mano appena aprì la bocca.
‘Guardami”
impaurita non alzava gli occhi, dovette forzarla con la mano. Nei suoi occhi c’era tutta la delusione per non aver ubbidito a dovere ed anche il prefigurarsi della punizione, invece Rossana le sorrise.
‘Non dicevo a te. Tu puoi rialzarti e fare un passo indietro.’
Non capendo cosa stesse succedendo, strisciò indietro sulle ginocchia e poi si alzò andandosi a mettere vicino gli altri spettatori. Rivolgendosi di nuovo al Master
‘Tu. Lecca.’
Il sorrisetto che aveva divenne un ghigno.
‘Scordatelo.’
Cos’era? Stava cercando di minare la sua autorità? Quella che le aveva dato Padrone? Per un attimo si fissarono negli occhi, anche se inginocchiato si vedeva che era una persona forte.
‘Come preferisci”
Lui già sorrideva soddisfatto, lei invece indicò due Master che erano rimasti indietro.
‘Bloccatelo.’
La assecondarono senza esitare. Sentendosi stretto da mani forti le urlò contro
‘Sei solo una cagna, senza questi due non faresti nulla. Leccatelo da sola, lo so che ti piace.’
Mentre cercava di divincolarsi. Gli girò attorno come se avesse perso interesse in lui. Passò di nuovo in rassegna gli altri rimasti, per quello che aveva in mente andavano bene anche dei sub, l’importante era che fossero abbastanza forti
‘Bloccategli le caviglie.’
Ubbidirono, naturalmente.
‘Sei una puttana!’
Le urlò contro.
‘Ed ora faccia a terra. Lasciategli il culo in alto, mi raccomando.’
Già se la rideva. Fecero esattamente come ordinato. Quella posizione prona, vista dall’esterno, le metteva un’enorme energia di controllo, cominciava a piacerle. Gli si avvicinò e gli abbassò gli slip, ovviamente era senza un pelo anche lì, come per il resto del corpo
‘Sei solo una puttana! Lasciatemi che gliela faccio vedere io!’
‘Avresti dovuto leccare quando te ne avevo dato l’opportunità”
Piegandosi le poggiò la punta dello strap-on sull’ano.
‘Sei una troia!’
ed urlò dal dolore quando cercò di affondargli dentro. Lo schiaffeggiò per farlo stare fermo, cavolo se le piaceva’ Spinse ancora ed ancora tra le urla del ‘poveretto’ fino a quando non riuscì a fare breccia nello sfintere. Le ci volle molta forza ed aveva il fiatone, ma la parte più difficile era fatta. Lui sembrava si fosse acquietato, ma quando lo afferrò per bene, infilandogli le unghie nella carne dei fianchi, immaginandosi cosa sarebbe successo iniziò ad urlare di nuovo. Non gli dava più peso, era presa dalla sua frenesia, mettendoci tutta la sua forza e sfruttando anche il peso lo penetrò sempre più affondo. I gemiti gutturali erano interrotti solo dalle imprecazioni. Era piegata su di lui, ci stava mettendo tutto il suo impegno, i capelli lunghi e sciolti la celavano agli sguardi degli altri, tranne da Padrone, che la vedeva distintamente che rideva mentre maltrattava quel culo.
Arrivata in fondo le sembrò che fosse finito il divertimento e semplicemente slacciò lo strap-on e glielo lasciò dentro. Senza guardare nessuno per capire la loro impressione si diresse direttamente da Padrone, gli si inginocchiò difronte e lo guardò aspettando un comando, invece le accarezzò il viso e le rimise il guinzaglio, con uno strattone la fece mettere in piedi e senza dire una parola la condusse fuori dalla stanza. Per i corridoi vennero raggiunti dall’uomo che li aveva accolti

‘Non &egrave più il benvenuto.’

‘Sì signore.’
Parlavano di qualcosa come se fosse già stato stabilito in precedenza. Intanto continuavano a camminare spediti, Rossana faceva fatica a tenere quel ritmo senza cadere dai tacchi. La porta nel vicolo si aprì e le buttò addosso tutta l’aria fredda della notte. Si accorse di essere sudata nel suo completo di pelle. Arrivarono subito alla macchina, entrarono, non sapeva cosa aspettarsi, le sembrava che fossero fuggiti dal teatro, forse per colpa sua? Per quello che aveva fatto a quel master? Che secondo lei non meritava neanche la M maiuscola’ Sarebbe stata punita?
Si sentì tirare con decisione dal guinzaglio, assecondando quella forza si ritrovò faccia a faccia con Padrone, le venne in contro per gli ultimi centimetri e la baciò. Dritta sulle labbra, con passione. Molta passione. Le servì più di qualche attimo per capirlo, poi si abbandonò anche lei in quel bacio. Il loro primo bacio.

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