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Racconti di Dominazione

Penelope incantata (Parte I)

By 29 Marzo 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Come un tarlo che si è insinuato nella mia testa fino a rodermi il cervello, a non farmi sentire più mia, ma un automa nelle tue mani, che non solo influenzano e guidano le mie azioni, ma anche i miei pensieri, le mie parole, i miei gusti; oramai sono diventata te, sono una parte di te che vive staccata dal tuo corpo con il solo scopo di procurarti piacere, gioia, quel piacere e quella gioia che si deve provare quando si capisce che l’altra non è più un essere umano ma solo un oggetto, pronto a fare qualsiasi cosa tu gli ordini di fare, insomma quando l’altra parte è diventata la tua schiava.
Eppure non è stato sempre così, anzi, sono sempre stata molto sicura di me, dei miei pensieri, orgogliosa della mia libertà di essere una donna ‘autonoma’ sia nel lavoro che nella famiglia. Avevo un marito che mi adorava, due figli che erano la mia vita, un lavoro felice dove riuscivo a trovare quelle soddisfazioni, sia economiche che professionali, che mi permettevano di dichiararmi felice; poi si arrivato tu, un po’ più giovane di me, con la tua aria da ragazzino, la tua grande volontà nel lavoro e nella vita quotidiana, la voglia di emergere senza tralasciare niente al caso ed io li, a farti da contorno, ero la cartina di tornasole dei tuoi successi e della tua ascesa, tutto ciò che era tuo sembrava diventare mio, ma in realtà hai cominciato ad usarmi fin da subito, ed io stupida non l’ho capito, ci sono cascata come una bambina, tanto che le tue gioie sembravano le mie, erano le mie.
Lavorare gomito a gomito con te, dalla mattina alla sera, a settimane intere senza incontrare altri colleghi, condividendo tutto e pian piano tu hai cominciato a condividere anche il mio cervello, fino a non farmi pensare più ad altro che a te; eri il primo pensiero della mattina e l’ultimo della sera, quando ti vedevo provavo le farfalle nello stomaco, come un’adolescente, avevo paura di far trapelare ciò che stavo provando, non osavo più parlare di te in famigli e mi tenevo tutto dentro con grande paura che tutti potessero capire ciò che provavo, ma in particolare avevo paura che tu lo scoprissi e che potessi approfittare della mia debolezza, perché una cosa l’avevo capita, di fronte a te mi sentivo niente.

Poi è arrivata quella mattina, era un sabato, in ufficio non c’era nessuno, solo noi due per terminare un improvviso lavoro che aveva una scadenza imminente; sei arrivato qualche minuto dopo di me, mi hai salutato quasi senza guardarmi e ti sei messo alla tua scrivania; i minuti passavano tranquilli, ti guardavo lavorare, adoravo guardarti lavorare; ad un tratto ti sei voltato, mi hai guardato con un’aria strana che adesso ho imparato a conoscere e senza parafrasare mi hai detto:

– Vieni qua davanti a me e spogliati ‘

All’inizio non ho capito, o forse ho fatto finta di non capirlo, allora tu, alterando un poco la voce, hai ribadito:

– Quando ti do un ordine devi obbedire, senza esitare ‘

Allora mi sono alzata, non capivo cosa stavo facendo, ma comunque mi muovevo, mi sono posta davanti alla tua scrivania ed ho cominciato a togliermi il tallieur che avevo in dosso, tu intanto continuavi a telefonare e a prendere appunti, come se fossi da solo; mi sono tolta la giacca, la gonna e la camicetta, restando con il reggiseno e le mutandine, allora tu finalmente mi hai degnata di uno sguardo e ‘ interrompendo la telefonata ‘ ti sei rivolto a me con fare autoritario dicendomi di togliermi tutto, cosa che ho fatto.
Dopo quelle parole sei tornato al tuo lavoro, io sono rimasta in piedi, lì di fronte a te, tremate più per la tensione che per il freddo, sperando che tutto fosse un sogno, ma certa che invece era la mera realtà. Non una parola, non uno sguardo, continuavi nel tuo ordinario lavoro come se non ci fossi; ti è caduto un foglio, o forse hai fatto apposta a farlo cadere, solo allora mi hai ordinato di raccoglierlo e di portartelo, quando ti sono stata vicino mi hai preso per un braccio e mi hai tirata verso il basso, facendomi inginocchiare di fronte a te, ho capito cosa volevi o almeno ho creduto di capirlo, ma tu sei stato ugualmente molto esplicito:

– Fammi un pompino, ho voglia di godere ‘

Oddio, quante volte mio marito, che era stato fino a quel momento anche il mio unico amante, mi aveva chiesto di farlo godere con la bocca, ma netti erano stati sempre i miei rifiuti, tanto che lui adesso non osava più chiedermelo; ma in quel momento ero come ipnotizzata, il tuo ordine ha fatto scattare dentro di me come una molla che ha dato il via al meccanismo, ti ho quindi slacciato la patta dei pantaloni ed ho tirato fuori il tuo sesso turgido e già ben duro, tu hai alzato appena la mia testa facendo una leggera pressione sul mio mento e sei infilato dentro la mia bocca senza tanti complimenti spingendoti fino in fondo, quasi da farmi soffocare. Ho iniziato il mio lavoro, sperando di essere all’altezza, tu intanto hai continuato a telefonare, come se non accadesse niente, solo per un attimo ti ho sentito sussultare credendo nell’imminente eiaculazione, ma mi sono sbagliata.
Tutto oramai durava da diversi minuti, le ginocchia mi facevano male e poi tu era come se fossi da un’altra parte, ad un certo memento mi hai preso sotto un’ascella, mi sono staccata dal tuo sesso e mi hai fatto alzare, poi ti sei alzato anche tu, mi guardavi ancora con quell’aria strana, poi hai ordinato ancora:

– Mettiti bocconi sulla scrivania, facendo attenzione a non sciupare i fogli che ci sono sopra ‘

Ho eseguito il tuo ordine, ben sapendo cosa mi stava aspettando, non ho esitato un attimo e non ti ho detto che non ero mai stata sodomizzata prima, ma tu sembrava che lo avessi capito, mi hai infilato un dito nella vagina e con gli umori che mi stavano bagnando mi hai umettato l’ano, poi hai preso il tuo membro, lo hai intinto nella mia vulva per qualche secondo, facendomi provare un fiume di piacere, e subito dopo, senza non qualche fatica, sei entrato dentro di me, proprio lì dove nessuno aveva mai osato perchè io lo avevo impedito.
Ho urlato di dolore, credevo di impazzire, ma tu non ci ha fatto caso, mi hai solo detto che mi ci sarei abituata ed infatti è stato così, dopo qualche minuto il dolore è sparito per fare spazio ad un tenue piacere, che però si è interrotto nel momento in cui tu hai eiaculato violentemente.
Sei rimasto ancora qualche secondo dentro di me, poi sei uscito e mi hai ordinato di pulirti, io ti ho chiesto un fazzoletto, allora tu mi ha detto che potevo farlo con la bocca, cosa che ho fatto.
Dopo questo, mi sono alzata e mi sono diretta verso i miei vestiti, ma tu mi hai fermato e sempre con il tuo fare autoritario mi hai ordinato:

– Da lunedì quando vieni in ufficio o comunque quando sarai con me, non dovrai portare biancheria intima, poi comprati un vasetto di lubrificante, altrimenti rischi di soffrire troppo (quella è stata la frase più gentile della mattina), poi non occorre che te lo dica, da oggi dimenticati tuo marito ed eventuali altri amanti, fai come credi, ma non li devi toccare e neanche loro ti devono toccare, neppure con un dito, inoltre un’ultima cosa, ma non per questo meno importante, quando siamo da soli e specialmente in questi momenti in cui ti uso, ti devi rivolgere a me dandomi esclusivamente del ‘lei’. ‘

Ho raccolto i miei vestiti, lasciando sul pavimento mutandine e reggiseno, mi sono diretta in bagno, mi sono lavata come ho potuto, mi sono rivestita e rassettata alla meglio e poi sono uscita; tu non eri più li, c’era soltanto la mia biancheria intima, che ho raccolto e riposto nella borsa. La tua assenza ‘ forse non casuale ‘ ha fatto sì che potessi capire quanto mi pesasse la tua mancanza, in quel momento ero come senza aria, mi sentivo persa, ascoltavo ogni rumore o presunto tale con la sola speranza che tu rientrassi, solo allora ho percepito con la dovuta esattezza il baratro in cui mi stavo perdendo, ma non ho fatto nulla per tentare di uscirne fuori, anzi ‘ quasi con testardaggine ‘ mi ci sono buttata dentro ancora più a capofitto, o forse sei stato tu a farmi fare tutto ciò.

Nei giorni seguenti ho eseguito i tuoi ordini, non ho indossato più biancheria intima quando venivo in ufficio ed ho trovato tutte le scuse possibili per non concedermi a mio marito (amanti non ne avevo mai avuti); tu invece sembrava che avessi rimosso ciò che era accaduto, il tuo atteggiamento nei miei confronti era di assoluta indifferenza, quasi di disprezzo, solo un giorno ‘ eravamo casualmente da soli ‘ ti sei avvicinato, mi hai infilato la mano sotto la gonna per verificare se portavo qualcosa sotto, poi ti sei subito ritirato dandomi un buffetto, dicendomi un ‘brava’ che era tutto un programma.

Poi è arrivato quel biglietto appuntato ad una pratica, perentorio mi ordinavi: ‘Ore 15,30, puntuale, aspettami ”; il resto della mattina è corso via veloce, non mi hai mai rivolto la parola se non per motivi futili di lavoro.
Vista l’ora dell’appuntamento ho deciso di non tornare a casa per pranzo e ho telefonato per comunicare la cosa in tua presenza, confermandoti così che non sarei mancata, tu invece, alla tua ora, te ne sei andato come al solito. Sono arrivata sul posto con qualche minuto di anticipo, anche tu sei stato puntuale, una tua prerogativa, mi hai fatto salire sulla tua auto e sei partito verso la collina.
Non una parola all’inizio, guidavi nel traffico lento cittadino con accuratezza e decisione, poi ‘ quando siamo stati fuori dalla città ‘ ti sei degnato di rivolgermi lo sguardo e la parola:

– Sono contento che tu abbia accettato di essere la mia cagna, perché solo questo sarai per me; sarai lo strumento del mio piacere e forse non solo del mio, l’unica cosa che ti garantisco e che non ti farò mai del male, non ti picchierò e non ti frusterò, ma userò il tuo corpo a mio piacimento finchè anche la tua anima non sarà mia al punto che riuscirai a capire i miei pensieri ed anticiperai le mie voglie, sono convinto che sarai una cagna perfetta ‘

Ascoltai la tua ‘dichiarazione’ in silenzio stupendomi dell’eccitazione che mi stavano dando le tue parole, non erano frasi, ma carezze che inebriavano il mio corpo e la mia anima, forse te nei sei accorto, hai infilato allora la tua mano sotto la gonna fino a raggiungere la mia vulva grondante di desiderio, mi hai penetrato con un dito violentemente ed hai cominciato a masturbarmi; ho raggiunto così il mio primo orgasmo con te, l’ho gridato senza ritegno, dichiarandoti il mio amore e la mia sottomissione, pregandoti di non abbandonarmi, di non farmi diventare una cagna randagia.
Siamo quindi giunti a quel casolare, poco distante dalla città ma ben isolato, hai lasciato la macchina sul retro, siamo scesi, ti ho seguito giù per una scaletta di pietra e mi hai fatto entrare in un locale poco illuminato posto al piano seminterrato, forse una vecchia stalla o cantina. Ho subito notato la tappezzeria, un largo camino acceso, dei cuscini per terra ed un puff fatto a cubo.
E’ trascorso qualche istante in cui sei stato in silenzio, poi con quell’aria che oramai avevo cominciato a conoscere hai iniziato a dare i tuoi ordini da padrone:

– Spogliati e aspettami qua, in piedi ‘ dopo di che te nei sei uscito.

Ho eseguito i tuoi ordini, sono trascorsi minuti interminabili, durante i quali sono rimasta in piedi davanti al focolare, sentivo la tua presenza, ma non ti vedevo, capivo che mi stavi guardando, spiando, ma non sapevo da dove né come, poi finalmente sei ricomparso indossando un’ampia vestaglia a camera, mi hai presa per un braccio e mi hai avvicinato a te; ho sentito subito il tuo sesso turgido che si incuneava fra i lembi del tessuto e che puntava il mio ventre, ho sentito il tuo alito profumato avvicinarsi al mio volto e le tue labbra che si sono posate sulle mie per un bacio mozzafiato. Mi hai poi spinta per le spalle verso il basso, ordinandomi di inginocchiarmi, io ho obbedito ed ho ricevuto il tuo dono nella mia bocca, che si è aperta senza paure.
Hai spinto con violenza fino in fondo seguendo un ritmo incalzante, poi mi hai fatto alzare e mi hai fatto posare a pancia in giù sul puff li vicino, sapevo cosa mi stava aspettando, ero io che lo volevo a quel punto e mi sono inarcata di più affinchè tu mi penetrassi con più facilità:

– Hai messo la vasellina ? ‘ mi hai chiesto, quasi con rispetto
– Non importa, me lo infili con forza e goda di me, tutto ciò che mi fa è solo gioia ‘ ecco finalmente te lo avevo detto e tu non hai avuto remore, mi hai infilzato con la tua asta, violentemente, ma con una dolcezza indescrivibile, ho urlato di dolore e di gioia al solito momento e ti ho incitato a pompare più forte, a lacerarmi a farmi soffrire, perché ero la tua serva e non avevo diritto ad alcun piacere.
E’ iniziata allora una danza inaspettata, con il tuo sesso che si incuneava nel mio meandro che piano piano aveva cominciato ad accoglierti facendo subentrare al dolore il godimento; come in macchina ho cominciato a gridare il mio piacere, dimenandomi come una serpe, le tue mani mi torcevano i seni ed i capezzoli, la tua bocca cercava la mia in baci sempre più profondi, ti imploravo di non smettere di continuare a farmi godere come stavi facendo; poi ti sei staccato da me e mi hai ordinato di rimettermi in ginocchioni, quindi sei di nuovo entrato nella mia bocca, con spinte furenti mi hai riempito fino alla gola del tuo sesso, ancora poche spinte ho pensato ed infatti è stato così, un flotto salato mi ha investito e tu mi hai obbligato ad ingoiarlo tutto.

Mi hai riaccompagnato alla mia auto che oramai era sera inoltrata, avevo paura perché non sapevo come giustificare il mio ritardo a casa, tu non avevi questi problemi, non nè hai mai avuti; mi hai fatto scendere dalla macchina senza dirmi una parola, solo all’ultimo momento mi hai toccato un seno da sopra la camicetta, facendomi sobbalzare ancora dal piacere.
Quando sono giunta a casa mi sentivo sporca, forse lo ero davvero, sono corsa subito in bagno ed ho fatto una doccia; mio marito all’inizio non mi ha detto nulla, solo durante la cena ha accennato qualcosa a riguardo del mio ritardo. Quando ci siamo coricati, invece, ha ripreso l’argomento in maniera più esplicita, facendomi capire che aveva dei sospetti sul mio comportamento, io l’ho rassicurato e mi sono addormentata, tanto ero stanca, ma quella sera è stata l’inizio della fine del mio matrimonio.
Quante volte ‘ in seguito – mio marito mi ha cercato, mi ha implorato, ma io ‘ come anestetizzata dal mio amore per te ‘ l’ho rifiutato, fino a sputargli in faccia che non solo non volevo più, ma non potevo più fare l’amore con lui, visto che ero diventata la tua cagna e non volevo disobbedire ai tuoi ordini.

Le settimane che seguirono furono la conferma della mia sottomissione, sia fisica che psichica; durante l’orario di ufficio mi rivolgevi la parola solo per motivi di lavoro e solo raramente le tue parole riguardavano i nostri rapporti personali; con una certa puntualità invece arrivavano i tuoi ordini mediante i soliti biglietti per i nostri incontri pomeridiani, che adesso avevano assunto la frequenza pressoché settimanale. Oramai avevo cominciato a capire i tuoi pensieri e prevenivo le tue voglie, ti piaceva di solito usarmi nell’ano per poi finire nella mia bocca, ma non disdegnavi certo la mia vagina anche se la mia bocca continuava ad essere il luogo dove preferivi rilasciare il tuo seme. Solo chi ha provato una simile condizione penso possa capire quale fosse il mio stato d’animo, mi sentivo giorno dopo giorno sempre più tua e sempre meno mia, oramai ogni mio gesto era finalizzato alle tue voglie, il modo di vestirmi al mattino, il profumo che indossavo, il fatto che mi ero rasata il pube solo per il fatto che durante una penetrazione ti ha disturbato la presenza dei peli; addirittura un sabato mattina, ancori soli in ufficio, mi hai detto che avevi voglia di vedermi godere, quindi mi hai fatto spogliare e mi hai obbligato a masturbarmi davanti a te; l’enorme vergogna che ho provato per un’azione che non praticavo più da quando ero una ragazzina non ha sopito certo il mio orgasmo che anche in quel caso è stato devastante.
Avevo cominciato anche a capire le tue reazioni, le vibrazioni del tuo sesso che erano preludio al tuo orgasmo e quindi il veloce distacco da te per riceverti nella mia bocca o quando avevi voglia di usarmi sia nell’ano che nella vagina, era forse quello il momento più bello; oramai anche la sodomizzazione non mi provocava più dolore, ma solo piacere e normalmente, nonostante la tua apparente noncuranza, riuscivo a raggiungere anch’io i miei orgasmi, che erano sempre più intensi e profondi, come sempre più senza inibizioni erano le mie reazioni e le mie parole.

Poi arrivò quell’ordine, sempre scritto su un biglietto allegato ad una pratica da svolgere: ‘Questa sera, ore 20,30, vieni su da te’, non una parola di più, oramai bastava così. L’ordine mi stravolse, come avrei fatto a giustificare a mio marito l’uscita notturna, ero decisa a ribellarmi, ma quando mi avvicinai a te e vidi il tuo sguardo che sembrava mettesse a nudo la mia anima, mi sentii morire e la mia sottomissione prese il sopravvento, in qualche modo avrei fatto, sarei comunque venuta con te.
A casa infatti dissi che sarei andata ad una cena di lavoro della quale mi ero dimenticata, non so se mio marito ha creduto a quella storia, ma al momento non me ne fregava proprio niente, quindi mi preparai con cura, scegliendo un tallieur bleu che indossai senza camicetta, restando praticamente nuda sotto quel leggero indumento.
Guidai con cura per arrivare al solito casolare, non c’ero mai venuta da sola, ma oramai conoscevo bene la strada; quando arrivai era già buio, parcheggiai nel solito spazio sul retro del fabbricato, notai che la tua auto non c’era e che erano illuminate le finestre del piano sovrastante rispetto a quello dove di solito mi portavi. Non sapevo cosa fare, ma mi feci coraggio e questa volta salii invece che scendere, provai ad aprire la porta, ma questa non si apriva, dovetti fare comunque del rumore, infatti da li a poco sentii che qualcuno armeggiava con la serratura; la porta si aprì e comparve una signora anziana con addosso un piccolo grembiale bianco ricamato, si presentò:

– Ti stavo aspettando, sono Lara (era la tua governante, la donna che ti aveva praticamente cresciuto), puoi dare pure a me i tuoi abiti ‘

Rimasi in silenzio, probabilmente la guardavo con aria strana, incredula, cosa significava tutto questo, ma lei non si perse d’animo e con tono più deciso mi disse ancora:

– Forse non hai capito, spogliati e dammi i tuoi abiti, poi mettiti lì, vicino al tavolo, lui arriverà fra poco ‘

Solo allora mi accorsi che nella stanza attigua, un ampio salone illuminato, oltre ad un divano molto grande, c’era una tavola apparecchiata per una sola persona; feci qualche passo avanti, lasciai cadere a terra la borsetta, poi mi tolsi la giacca del tallieur facendo uscire il mio seno, che da quando ti avevo ‘incontrato’ sembrava aver ripreso vigore, restai qualche attimo così, porsi la giacca a Lara che la ripiegò sul braccio, senza mostrare la minima traccia di disagio, subito dopo mi tolsi anche la gonna, restando così de tutto nuda, lei, oltre alla gonna raccolse anche le scarpe, quindi si girò ed andò in un’altra stanza, probabilmente un guardaroba, a depositare i miei abiti, io invece mi diressi vicino alla tavola apparecchiata e mi fermai accanto alla sedia; solo allora mi accorsi che per terra, sopra un tappeto dal pelo folto, c’era l’apparecchiatura per un’altra persona, la tua cagna avrebbe mangiato lì, vicino a te.
Restai ad attenderti ancora per non so quanti minuti, che sembrarono eterni, poi sentii delle porte aprirsi e chiudersi, dei passi che si avvicinavano e delle voci in cucina, tu che parlavi alla tua governante; finalmente facesti il tuo ingresso nella sala da pranzo, come al solito avevi in dosso la tua vestaglia, alla mia vista non dicesti nulla, ma sotto le vesti il tuo pene sussultò e cominciò la sua normale reazione, mi bastò quel gesto sia come saluto, sia per ricompensarmi della vergogna avuta poco prima con Lara.
Ti mettesti seduto, subito dopo arrivò Lara con un vassoio da portata e iniziò a servirti, quando ebbe terminato ti domandò cosa doveva fare con me, allora tu ti voltasti e mi facesti segno di accucciarmi lì vicino a te dove c’era apparecchiato.
Vidi i vostri occhi che mi squadravano, quei quattro passi mi sembrarono un’eternità, durante i quali mi passò davanti tutta la nostra storia, pensai di fuggire, ma non ne ebbi il coraggio, quindi mi accucciai, proprio come se fossi il tuo cane, presi il piatto e lo porsi a Lara che lo riempì.
Mangiammo in silenzio, tu parlavi con Lara, che fra una portata e l’altra rimaneva nella stanza in attesa di ordini; sembrava che per entrambi io non esistessi, solo ogni tanto mi facevi una carezza sulla nuca o mi passavi qualche piccolo boccone dei tuoi. La mia vergogna era al massimo, non credevo che tu fossi pronto a farmi subire anche questo, ma in particolare non credevo che io fossi pronta a subire tutto ciò, invece lo subivo, quella tua voce, anche solo ascoltata, era per me una sinfonia e quelle carezze erano un fiume di amore che mi percorreva il corpo e l’anima, ripagandomi di tutto e facendomi provare un’eccitazione sconsiderata.
Finì il pranzo, tu ordinasti a Lara di portarti un liquore, lei uscì dalla stanza, solo allora mi guardasti, mi accarezzasti su una guancia e mi dicesti:

– Questa è la tua serata, quando tornerai a casa non sarai più la stessa, perché sarai mia e solo mia per sempre e io per te sarò tutto, l’unica ragione per la quale vivrai ‘

Non nego che quelle parole mi abbiano fatto paura, ma quella carezza mi tranquillizzò, poi rientrò Lara con il tuo liquore, lo sorseggiasti con cura, prima però ti eri scostata la vestaglia, il tuo pene turgido ne era uscito fuori, io capii cosa volevi, mi avvicinai e lo ingoiai come tu volevi che facessi, quello ‘ pensai ‘ sarà il mio liquore.
Invece non fu così, dopo un po’, mi facesti smettere, mi prendesti sotto le ascelle e mi facesti alzare, poi mi coricasti sul tavolo, che nel frattempo era stato sparecchiato e cominciasti ad accarezzarmi su tutto il corpo, all’inizio quasi con noia, poi sempre più intensamente, le tua mani andavano dal mio pube ai miei capezzoli, li insistevi anche con la bocca, succhiandoli e mordendoli, a volte anche con violenza; era un massaggio sempre più veloce, le tue dita mi penetravano, mi titillavano, mi profanavano, così la tua bocca ed in me l’eccitazione cominciò a salire vertiginosamente, tanto che ad un certo punto mi sembrò di non essere più dentro di me, ma di essere uscita fuori dal mio corpo per librarmi nell’aria, di volteggiare sopra quella figura di donna che si dimenava su quel tavolo in preda a quell’eccitazione bestiale.
Iniziai a supplicarti di prendermi, avevo voglia di te, ma quelle suppliche sembrava che tu non le sentissi, quella tortura a me dava un piacere fisico inaudito, a te un piacere psichico unico, anche in quel momento eri il mio padrone. Non capivo più niente e le parole che mi uscivano dalla bocca pian piano si tramutarono in preghiere, sempre più esplicite, ti imploravo sempre di più e sempre con meno ritegno, oramai sembrava che non riuscissi che a implorarti di scoparmi, di chiavarmi, di incularmi, di fare di me quello che volevi, bastava che tu mi penetrassi, perché io non ero più mia, ma solo tua, ero la tua cagna.
Solo allora riuscii ad alzare la testa, vedendo nell’angolo opposto a quello dove eravamo noi, la tua Lara che guardava con ciglio rispettoso, le tue imprese, i nostri occhi si incrociarono e mi sembrò di intravedere una sorta di sorriso di commiserazione, ma forse fu solo la mia immaginazione, cercai di calmarmi, ma non ci riuscii, le tue carezze ed i tuoi baci diventarono sempre più ardenti e le mie conseguenti azioni e le mie parole sempre più esplicite, la presenza di Lara non era un problema, io ero solo uno strumento e tu mi stavi usando come ed alla presenza di chi volevi, me lo avevi già accennato.
Ad un tratto mi girasti bocconi e mi facesti scendere dal tavolo finchè non toccai con i piedi il pavimento, forse la mia ora era arrivata, pensai, ed infatti ti liberasti della vestaglia e mi trafiggesti nell’ano con la tua verga; iniziò allora il tuo balletto, ti alternavi fra il mio lui e la mia lei, con una facilità estrema, come se infilarsi una lama nel burro ed io non riuscivo a trattenerti dentro di me, conoscitore com’eri del mio corpo, quando ti accorgevi che stavo per raggiungere il culmine subito sgusciavi via per penetrarmi nell’altro orifizio. Pensai che il mio supplizio fosse finito, invece non era che iniziato, urlavo come una matta, se prima ti imploravo adesso non so cosa ti dicevo per far si di convincerti a restare un pò di più nel mio corpo e farmi raggiungere l’apice del mio piacere, ma tu sembravi di ghiaccio, sembravi il gatto che gioca con il topo, mi trafiggevi a ripetizione noncurante delle mie grida e delle mie imprecazioni, poi ti irrigidisti un attimo, passasti da mio ano alla mia vagina e dopo pochi colpi mi irrorasti del tuo seme, era la prima volta che degnavi la mia vulva del tuo sperma, il cui calore aumentò i miei spasmi fino a farmi raggiungere un orgasmo mai provato prima, durante il quale gridai al mondo tutto il mio piacere e la mia gioia, con le parole più crude che possano esistere e durante il quale rinnovai la mia sottomissione a tutte le tue voglie, arrivando perfino a dirti che avevi il diritto di uccidermi, se lo ritenevi giusto, cosa che pensavo e penso ancora oggi.
Ti staccasti da me, e ti mettesti a sedere sul divano lì vicino, mi facesti cenno di raggiungerti, mi facesti accosciare ai tuoi piedi ed io, memore delle tue voglie, ti presi il membro in bocca per ripulirti dallo sperma appena uscito. Ti leccavo con avidità, forse solo quello era il momento in cui ti avevo in pugno, in cui tu perdevi ‘ solo per qualche istante ‘ il predominio sulla mia persona; era un’operazione che facevo con cura, perché tu mi avevi ordinato di fare così e io non vedevo altra strada che quella, ma quella sera accadde qualcosa di diverso, sentii il tuo membro che cominciò a riprendere consistenza e piano piano ridiventare sempre più duro, capii che la mia serata non era ancora finita e mi preparai a viverla fino in fondo.
E infatti fu così, ricominciasti ad usare il mio corpo come solo tu sai farlo, accarezzandone e palpandone ogni centimetro, leccando con cura e dedizione ogni angolo ed ogni meandro e penetrando con la tua verga in ogni orifizio a tuo piacimento ed io mi dimenavo come una forsennata, gridando la mia eccitazione come un’indemoniata e pregandoti di finirmi, ma il tuo divertimento ed il tuo piacere era proprio quello, martoriarmi fino al limite del godimento per poi lasciarmi sospesa, mentre tu avevi tutto ciò che desideravi, una serva che rispondeva ad ogni tua richiesta che adesso era tua non solo nel corpo, ma anche nell’anima, quei momenti non li avrei più scordati, sarebbero rimasti indelebili nella mia mente ed avrebbero condizionato tutta la mia vita futura.
Continuasti nella tua opera finchè ne fosti sazio, usando qualsiasi mezzo per portarmi dove tu volevi, nei pochi momenti di lucidità vedevo Lara che non si era mossa dalla sua posizione ed assisteva in silenzio a tutta la scena, ma oramai ogni vergogna (sempre che ci fosse stata) era sparita e io continuavo a gridare, ad implorarti come se fossimo da soli; ad un certo punto mi ordinasti di girarmi (mi stavi sodomizzando con inconsueto furore) e mi piantasti la tua verga in bocca fino a farmi quasi soffocare, continuasti a muoverti come se questa fosse un orifizio comune ed infine mi donasti il tuo seme caldo, che inghiottii e poi ti riversasti sul divano, la tua corsa era finita.
Dentro di me bruciava ancora l’enorme eccitazione che mi avevi provocato, forse ti guardai con aria interrogativa, mi bastò comunque il tuo sguardo, oramai sapevo leggere anche i tuoi pensieri, la mia mano andò al mio ventre, cercò ciò che sapeva e cominciò il suo movimento convulso fino all’imponente orgasmo, che solo apparentemente mi ero data da sola, ma non era così, oramai ero una parte di te e quindi quel godimento non era il mio, ma il tuo.
Mi accasciai al suolo sfinita, non so quanto tempo rimasi così, come svenuta, quando aprii gli occhi vidi che tu non eri più lì, sentii dei passi, era Lara che portava i miei vestiti, mi disse di metterli; avrei avuto bisogno di andare in bagno e di riassettarmi almeno il viso, ma lei mi disse che non era possibile, tu stavi dormendo e lo scroscio dell’acqua ti avrebbe svegliato, quindi obbediente mi rivestii e me ne andai da sola, così come ero venuta.
Avevo un gran dolore alla testa, meno male che l’aria fresca della notte inoltrata (erano quasi le tre) mi svegliò e riuscii a guidare con la dovuta attenzione; guardandomi allo specchio retrovisore mi accorsi di come ero ridotta, ma la cosa non mi preoccupò, a quel punto sapevo quale era il destino che mi aspettava.
Durante il tragitto verso casa mi passò davanti agli occhi tutta la mia vita, ripercorsi la mia gioventù, il mio innamoramento con quel ragazzo molto più grande di me che poi diventò mio marito, il mio matrimonio, la nasciata dei miei due figli (una figlia ed un figlio più piccolo di due anni), la mia sicurezza nella vita, il mio lavoro, il fatto che il sesso non avesse per me mai assunto un’importanza particolare, tant’è che mio marito era stato, fino a quando non ti avevo incontrato, il mio unico amante ed i rapporti con lui erano stati sempre molto canonici, senza alcun tipo di variazioni nonostante le sue continue richieste.
Poi sei arrivato tu, cambiandomi totalmente la vita, mi hai preso corpo, cervello e anima, mi hai fatto fare cose che non avevo mai sognato di fare, ma il fatto più importante era che non solo che adesso le subivo, ma desideravo di farle, mi sembrava di non poter più vivere senza subire tutte quelle umiliazioni, perché mi facevano sentire viva, perché adesso io vivevo solo attraverso il tuo piacere.
Si effettivamente quella sera non me la sarei più dimenticata, come tu avevi pronosticato, la mia dedizione e la mia sottomissione nei tuoi confronti forse non avevano raggiunto l’apice (solo adesso posso dirlo), ma solo il fatto che adesso mi sentivo, oltre che calma e rilassata, anche estremamente felice e viva mi fecero capire qual’era oramai il tuo ruolo nella mia vita, in quei momenti decisi il mio futuro e fu una decisione irrevocabile.

Arrivai a casa che erano le tre abbondanti, da basso vidi che era tutto buio e quindi sperai che fossero tutti a letto; appena entrata, cercando di fare il minimo rumore possibile mi sono diretta in camera da letto, mio marito era ancora sveglio, mi ha guardato mentre mi toglievo l’abito osservando quindi le condizioni in cui mi trovavo e che non nascondevano niente circa le mie ore appena trascorse, il suo sguardo era interrogativo, ma comunque non ha detto una parola, allora io, come avevo deciso in macchina, gli ho raccontato la verità:

– Si e vero, non sono stata ad una cena aziendale, da diversi mesi sono diventata la cagna di un mio collega ‘ proprio così gli ho detto ‘ lui mi usa, mi chiava e mi incula come e quando vuole, come è accaduto questa sera, ma la cosa non mi fa schifo, anzi, sono lusingata del piacere che provoco e di conseguenza di quello che lui fa provare a me, tu fai come credi, ho capito che questa è la mia vita e ho deciso di continuare a viverla fino in fondo, costi quel che costi ‘

Mio marito restò in silenzio, si alzò dal letto, andò in bagno, quando rientrò, piangendo, mi implorò di ripensare a ciò che stavo facendo, non si potevano buttare via quasi venti anni di matrimonio per una storia che non poteva avere senso, sicuramente la mia era solo un’infatuazione e lui mi avrebbe perdonato passando sopra a tutto, ma la mia risposta fu forse ancora più decisa:

– Io sono la cagna del mio padrone, sono io che l’ho deciso, nessuno me lo ha imposto, ed al momento che ho deciso di diventarlo ho anche deciso di obbedire ciecamente ai suoi ordini; lui mi ha ordinato che non posso toccare altro uomo se non in sua presenza come nessun altro uomo può toccarmi, quindi neppure tu mi puoi toccare, neanche con un dito, è inutile allora che mi implori, io non posso più scopare con te e poi guarda è meglio che te lo dica, in tutti gli anni del nostro matrimonio tu non mi hai fatto provare un decimo di ciò che io ho provato questa sera, come puoi pretendere che cambi idea. ‘

Queste parole mi provocarono un effetto inaspettato, il mio corpo fu invaso da un’insolita e furente eccitazione, allora mi misi a sedere sulla poltroncina che era nella nostra camera, allargai le gambe ed iniziai a masturbarmi, lì di fronte a mio marito, ma come se lui non ci fosse; durante la masturbazione ripetevo il tuo nome, ansimando e muovendomi come un’ossessionata, fino a raggiungere un orgasmo che quasi mi fece svenire e durante il quale ti dichiari di nuovo la mia completa dedizione.

Mio marito mi guardò perplesso, poi si vestì ed andò via, lo rividi alcuni mesi dopo, in Tribunale, durante la separazione; fu una giornata triste, quasi venti anni di matrimonio venivano cancellati dalla tua supremazia su di me, ma io in quel momento mi sono sentita veramente felice, perché solo con te ho trovato la mia libertà di donna, la libertà di essere usata come e quando vuoi tu, padrone mio.

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