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Racconti di Dominazione

Perversioni coniugali

By 3 Marzo 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Ho 50 anni, mia moglie – una vera “gnocca”, alta, slanciata, quarta di seno, capelli lunghi neri con riflessi corvini, occhi verde-azzurri, labbra carnose, pelle ambrata – dieci di meno. Purtroppo il matrimonio a molte coppie procura quel che io chiamo l'”effetto intorpidimento”. L’intorpidimento dei sensi, della voglia di fare sesso pure se la tua partner &egrave una strafiga. Si arriva, chi dopo pochi anni chi dopo dieci, come nel mio caso, alla noia; ci si comporta quasi come fratelli, come buoni amici. Ne parlammo, specialmente lei cercava di capire cosa ci stesse succedendo; alla fine accettammo la situazione cominciando una vita tranquilla, fatta di dolcezze e affettuosità ma priva di sesso.
In realtà di impulsi sessuali io ne avevo, eccome. Nel mio studio, fuori casa, passavo ore a guardare su internet filmini porno di tutti i generi; m’ero abbonato a non meno d’una decina di siti: quelli che più m’intrigavano erano del genere sadomaso e dedicati agli amanti delle corna. Mi masturbavo spesso guardando; mi eccitavo tremendamente immaginando come protagonista di quelle porcate, soprattutto nel ruolo di schiava, seviziata e umiliata, presa da più padroni contemporaneamente, la mia graziosa moglie. Io avevo il ruolo di spettatore, non intervenivo, guardavo e mi segavo. Tali fantasie mi procuravano degli orgasmi fortissimi con delle eiaculazioni abbondanti.
Ero sicuro che se avessi raccontato a Lorena, mia moglie, solo una parte delle fantasie, delle mie voglie perverse, si sarebbe scatenato un putiferio. Anni addietro avevamo toccato l’argomento “scambio” del compagno, sollecitati da una coppia di amici disinibiti, “abitu&egrave” di certi locali, ma Lorena s’era quasi incavolata non volendo più incontrare la coppia sbarazzina. Coppia che io, invece, invidiavo e che continuai a frequentare all’insaputa della consorte. Partecipai ai loro “partouze”, prima noi tre poi con altre coppie o con diversi singoli, delle “gang-bang” dove Mary, nome di battaglia, si faceva allargare e allagare tutti i buchi. Gli incontri avvenivano sempre in un’altra provincia; una volta, però, m’accorsi della presenza d’una persona conosciuta, un mio cliente, e, con una scusa, senza dare troppo nell’occhio, mi defilai.

La posizione sociale, il prestigio che godo sia attraverso la mia professione sia per alcune attività benefiche di volontariato e, non ultimo, il mio matrimonio, non potevano essere messi in pericolo da delle puttanate. Vivo in una piccola città bigotta dove bene o male tutti ci si conosce. Solo una mezza parola creerebbe uno scandalo spropositato e anni di sacrifici verrebbero annullati causa qualche pelo di figa.
Cercando di eccitarmi, fantasticavo mentre scopavo Lorena. Mettevo lei al posto di Mary. Per un po’ le scopate risultarono soddisfacenti ma l’immaginazione ad un certo momento non bastò più. Gradualmente, inesorabilmente, scivolammo nell’astinenza o, meglio, lei nell’astinenza io nell’onanismo.

Spesso, oltre ai siti web porno, frequentavo delle chat; una in particolare, suddivisa per aree geografiche e per “gusti”. Anche lì chattavo con cultori del sadomaso o cornuti o aspiranti tali. Una sera “incontrai” un certo “Master One” che mi chiese se mai avessi partecipato a sessioni S/M. Gli avevo già raccontato delle mie fantasie, di mia moglie contraria al sesso non convenzionale, quando mi invitò, senza tanti preamboli, a partecipare a ciò che il suo gruppo, composto da padroni, padrone con relativi schiavi e schiave, organizzava in un casolare sperduto dell’Appennino romagnolo. Il luogo era abbastanza lontano dalla mia residenza, addirittura fuori regione, tra l’altro, su sua assicurazione, avrei potuto assistere senza farmi vedere. Mi anticipò che tra le schiave c’erano una o due mie concittadine da poco acquisite. L'”arruolamento” consisteva nel far innamorare perdutamente la persona, renderla dapprima schiava sessualmente dell’amato, poi veniva il resto. Avrei visto come si piega la volontà di una femmina e come la si rende totalmente schiava, in particolare schiava del sesso.
Non potevo rifiutare. L’offerta era troppo allettante. Avrei persino pagato. Mio unico impegno, un silenzio tombale e, se avessi riconosciuto qualcuno, avrei dovuto dimenticarmene al più presto. Solo chi entrava a far parte del gruppo come padrone, poteva usufruire in qualsiasi momento dei servigi degli schiavi i quali sottostavano volontariamente ad una serie impegnativa di regole.
Fortuna volle che mia moglie dovesse stare due giorni da un’amica ammalata. Erano proprio i giorni in cui si sarebbe tenuto il festino sadomaso. Non dovevo ricorrere a pietose bugie per assentarmi. La salutai allegramente mentre saliva sul taxi per la stazione. Nel primo pomeriggio balzai sulla mia auto, mi aspettavano tre ore di viaggio, quasi tutta autostrada, poi, affidandomi al navigatore, avrei percorso parecchi chilometri su strada sterrata fino ad un casolare disperso in una valletta chiusa. Lì il paradiso per me, l’inferno per qualcun altro.
Non era ancora estate ma la temperatura alta faceva fumare l’asfalto. Quando vidi le prime propaggini dell’Appennino, cominciai ad eccitarmi immaginando quanto di più perverso la mia mente potesse offrirmi. Ma la strada era ancora lunga, il traffico intenso. I tornanti e le salite cominciarono ad essere rilevanti. Seguivo scrupolosamente quanto indicato dal navigatore: altri tre quarti d’ora su strade bianche. Il paesaggio bellissimo, aspro, roccioso ma intervallato da piccoli prati in forte pendenza e da boschetti di lecci e conifere, mi rimandava a qualcosa di primitivo, selvaggio. Finalmente l’ultimo tratto: la stradina si stringeva sino a divenire un budello; le ramaglie ai lati sfregiavano la carrozzeria, ma non me ne importava; ecco l’ombra della stretta valle. All’improvviso, dopo una curva a gomito, il casolare. Un uomo con fucile da caccia, passamontagna calato sul viso, con al guinzaglio un cane lupo ringhiante, mi fece segno di posteggiare a lato di un piccolo rustico, forse una vecchia porcilaia. Scesi. Mi ordinò, ringhiando quasi come il cane, di entrare nel rustico, di spogliarmi completamente lasciando lì cellulare, portamonete, tutto. Dentro non v’era che una cassapanca nella quale riporre gli indumenti. Tolti calzini e scarpe, misi un paio di nuovi zoccoli ortopedici, giusto del mio numero, confortevoli. L’uomo comparve sulla porta porgendomi un sottocasco nero da motociclista, lo indossai ed uscii un po’ titubante, nudo. Seguii l’energumeno e fu solo nel breve tragitto verso il casolare, che mi diedi dell’imbecille. Potevo essere caduto in una trappola. Forse erano dei malavitosi che compivano rapimenti ed estorsioni, ricatti. Maledii la mia “libido” però, ormai, era troppo tardi.

Entrai dall’ingresso principale che introduceva ad un largo ma corto corridoio. Due porte su ciascuno dei due lati. Venni sospinto oltre la prima a destra. Una larga sala con pavimento in cotto sconnesso, un grande tavolo di legno con attorno uomini e donne, chi in piedi, chi seduto, tutti rigorosamente nudi tranne che per i cappucci, le maschere in cuoio e in latex. Impossibile carpire una qualche idea sulle fattezze dei visi. Molti i corpi tatuati. Qualcuno denunciava un’età avanzata, altri erano sodi, robusti, palestrati. La maggior parte degli uomini, in tutto otto, avevano il cazzo eretto e due, in particolare, di dimensioni notevoli. Le donne erano cinque, due avevano un corpetto in latex con fori all’altezza dei seni, i quali mostravano d’essere ben sodi sebbene di buona taglia, per il resto indossavano delle autoreggenti con scarpe di vernice nera dal tacco altissimo. Pube completamente rasato, le bocche ben truccate come quel poco che riuscivo ad intravvedere degli occhi. Qualcuna agitava un frustino. Fu proprio una di queste che mi si avvicinò, cominciando a toccare con la punta dello strumento, lo scroto, poi l’uccello. Di colpo smisero tutti di parlare. La dama si presentò come Padrona Velvet e, percuotendomi leggermente sulla cappella, mi ridicolizzò per le dimensioni del pene. Sono un normodotato, in quella circostanza però, intimorito dalla compagnia e dal non sapere che fine avrei fatto – pensieri catastrofici si sommavano a quelli pornografici – il mio amico s’era ritirato come la lumaca nel guscio. Padrona Velvet mi ordinò di allargare le gambe e di masturbarmi di fronte alla combriccola; il cazzetto cominciò a sussultare, allora la signora si avvicinò, porse in avanti il bacino e fece in modo che le labbra della sua fica depilata sfiorassero la mia cappella. Mano a mano che il cazzo si rimodellava, lei spingeva in avanti. Mi scostò la mano con cui mi segavo e fece entrare la cappella nella fica che sentivo ben bagnata. Mi ordinò di stare fermo. Afferrò lo scroto e lo tirò verso il basso lentamente ma con decisione. Il cazzo era ormai gonfio, violaceo, avrebbe voluto proseguire verso l’interno ma con scatto felino Padrona Velvet mise termine all’operazione di inturgidimento. Dal fondo, all’estremità del tavolo mi diede un sarcastico “Ben arrivato” Master One. Mi presentò agli astanti come un marito infedele e desideroso d’essere cornificato assistendo al tradimento della coniuge. Una delle padrone, Madame Valery, con fare ironico ipotizzò che facilmente mia moglie m’avesse già cornificato, sicuramente insoddisfatta delle mie prestazioni da minidotato e che altrettanto sicuramente avrei passato in futuro parecchio tempo a masturbarmi non tanto guardandola o immaginandola ma sapendola certamente fottuta in mille modi da enormi cazzi. Le parole di Valery mi umiliavano ma al contempo il cazzo si irrigidiva ancor di più, suscitando l’ilarità generale. Un’altra padrona si avvicinò, mi ordinò d’aprire la bocca e mi sputò dentro. Non provai schifo, anzi … La padrona commentò, rivolta a Master One, che oltre ad essere un vero cornuto avrei potuto benissimo diventare uno schiavo, ne avevo l’indole. Master One ribatt&egrave che dopo l’esperienza avrei potuto decidere. In ogni caso m’era dato di assistere come spettatore solo quella volta. In seguito avrei potuto partecipare ma da schiavo, schiavo della ragazza, si vedeva ch’era molto bella e giovane, che m’aveva sputacchiato in bocca.

Ad un cenno di Master One, si alzarono. Percorremmo il breve corridoio sino a superare un portoncino che dava su un grande stanzone non pavimentato ma con terra battuta. Aveva le dimensioni un po’ più ridotte di un campo da tennis. Notai subito una croce di sant’andrea sulla parete di fronte all’ingresso, gogne di varia altezza sparse un po’ ovunque, tre quattro cavalletti, uno dei quali in metallo con la sommità ben tagliente, quasi una lama, dei cunei di varie dimensioni, alcuni sui cavalletti; lungo una parete anelli di ferro cementati al muro, catene, tre quattro tavoli in legno e in ferro con cinghie, carrucole che pendevano dalle travi lignee a capriata, armadi che immaginai contenessero altri strumenti di tortura, scaffali con dildi enormi, fruste di ogni tipo, flagelli, gatti a nove code, due braceri pieni di tizzoni ardenti e sopra, ad arroventarsi, delle pinze; delle curiose palle di metallo scuro di varie dimensioni, da quelle di una boccia a quelle da antico cannone, batterie d’auto munite di cavi con morsetti, dei trasformatori elettrici. Nemmeno le camere di tortura della santa inquisizione, pensai, forse erano state, a parte l’elettricità, tanto ben munite.
Padrona Velvet mi fece segno di entrare in uno degli armadi. Posto all’estremità, in un angolo dello stanzone, adeguatamente orientato, munito di seggiolino che poteva alzarsi ed abbassarsi velocemente, la parte dotata di larga feritoia stava sulla schiena del mobile, ero in grado d’osservare comodamente tutto lo spazio circostante. La Padrona volle che indossassi un paio di guanti in spesso cuoio la cui parte interna era caratterizzata da sporgenti sottili punte; li fissò strettamente oltre i polsi e li chiuse con dei lucchettini. Mi spiegò che così non avrei potuto masturbarmi. Indicandomi un foro ben sotto la feritoia, avrei dovuto infilarvi lo scroto e il cazzo, se mi fosse diventato duro: qualche buco di culo, qualche figa, qualche bocca o delle mani mi avrebbero fatto sborrare oppure avrei sborrato da solo tanto mi sarei eccitato. La particolarità consisteva che per infilare il cazzo nel foro, avrei dovuto abbassarmi senza vedere, in tal modo, dalla feritoia chi mi stava facendo il lavoretto. Poteva essere chiunque, maschio o femmina, schiava o padrona. Nel caso di schiavi o schiave, sarebbero stati torturati mentre mi facevano sborrare. Inutile dire che avevo già l’uccello alla massima estensione.

Per proseguire attendo vostre eventuali mail di commento. Gradite soprattutto quelle di coppie S/M con entrambi portati alla sottomissione o con lui felicemente cornuto.
blackwind_2000@yahoo.com

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