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Racconti di Dominazione

Piacere obbligatorio

By 3 Dicembre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Piacere obbligatorio

I corpi erano poggiati sulla schiena, l’addome assicurato alle panche disposte a semicerchio, le braccia tese oltre la testa, le gambe forzate a V con i piedi sospese ad alte staffe…

In ginocchio tra le cosce di ciascuna, una donna, esperta, lambiva con ritmo lento, esasperante, il sesso delle punite. E ognuna portava, scritto su un pannello luminoso, il numero di orgasmi che formavano la sua punizione. Tutti i numeri avevano due cifre, qualche volta anche tre…

E i seni, spesso larghi, dai capezzoli alti, non erano nel frattempo dimenticati: perché ancora lentamente, insaziabilmente, altre ancelle ne traevano spasimi. E le punite debolmente si divincolavano, tentavano di sottrarre le carni gonfie a quel piacere che non conosceva pietà, che penetrava nel loro corpo come miele caldo.

Gli umori macchiavano le mani delle altre inservienti, addette ad accarezzare i lembi del sesso delle punite, mentre la lingua della capo-posto ne stimolava senza tregua l’interno infiammato e le clitoridi tese allo spasimo. Ad alcune anche i lobi delle orecchie erano torturati tra le dita delle assistenti, o l’interno delicato delle cosce massaggiato con una costanza che non conosceva interruzioni, o il collo tormentato con sapienza nei punti più sensibili…

Dalle inservienti addette ai seni si esigeva una lunga preparazione, che rendesse le loro mani capaci di far gemere le punite alla prima carezza sulla carne tesa. E i seni stessi erano sottoposti ad un trattamento preliminare: riscaldati, suscitati, quando ancora le punite attendevano il loro turno nel vestibolo; e in piedi, le braccia assicurate dietro la schiena ad anelli poderosi, già offrivano le mammelle nude alle carezze.

Sessanta minuti prima che la punizione cominciasse le ancelle si avvicinavano alle prescelte. E ne massaggiavano lentamente, delicatamente i seni. Ne baciavano leggermente le punte. Ne cercavano i primi gemiti. E attendevano che le punite cominciassero a contorcere il bacino, ne saggiavano la vulva ancora protetta dal tessuto sottile degli slip (altro indumento non era concesso nel vestibolo). Se era già umida, se già fremeva, la vulva veniva liberata dalla sua protezione, e la punita condotta alla sua panca; altrimenti, le carezze sui seni riprendevano di lena.

Alla panca, la punita fatta stendere con le mani assicurate sopra la testa e le cosce divaricate e sollevate, la capo-posto si accoccolava davanti alla vulva e cominciava il suo lavoro. E in tutto il tragitto i seni non erano certo dimenticati, perché insieme alla punita, accanto a lei, camminavano le ancelle e ne accarezzavano la carne gonfia. La maggior parte delle punite aveva i seni rotondi, pesanti, i capezzoli già tesi.

Alla panca le inservienti addette ai seni cominciavano un lavoro più certosino, più insistente: sapendo a menadito le mammelle della punita, sfruttando le informazioni preziose che avevano raccolto interrogando uno ad uno gli uomini che l’avevano conosciuta. Dita tracciavano cerchi leggeri intorno al capezzolo, mani raccoglievano nel loro cavo o massaggiavano con intenzione i seni, bocche succhiavano, lingue leccavano traendo le punte turgide allo spasimo.

Mentre la lingua della capo-posto, senza tregua, lavorava la vulva, e le altre inservienti accarezzavano le labbra maggiori, la clitoride, il monte di Venere, il perineo, l’interno carnoso delle cosce. La mani erano instancabili, e tracciavano un disegno senza fine sulla carne.

I gemiti delle punite si rincorrevano l’un l’altro; lo spasimo, l’orgasmo di una accendeva, esasperava gli spasimi delle altre. Ad alcune, di cui si sapeva che non sapevano resistere a quella stimolazione ulteriore, neppure il solco delle natiche, neppure la rosa dell’ano erano risparmiati alle carezze sapienti…

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