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Racconti di Dominazione

Sei del mattino

By 15 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

La sveglia suona, puntuale, alle sei. Il sole deve ancora sorgere: &egrave sabato mattina, ma devo comunque alzarmi presto. Lei vuole così. Ho l’ordine di svegliarla alle dieci precise, e non ha alcun senso che io mi svegli all’alba. Ma lei vuole così. Mi vesto dell’unica cosa che mi &egrave concesso indossare: uno striminzito perizoma di lattice. I miei vestiti sono stati nascosti in un luogo sicuro e mi saranno restituiti quando il mio servizio sarà finito. Fa freddo, il marmo del pavimento mi lancia delle scariche gelide ad ogni passo, tremo, ma forse &egrave a causa del sonno. Fortunatamente &egrave giugno, qualche mese fa la situazione era molto più difficile.

Faccio una rapida colazione, ma &egrave troppo presto per avere fame e cerco soltanto di scaldarmi con il caff&egrave. Da quanto tempo sono in questa situazione? Ho quattro ore per pensarci.

Conobbi Rita all’incirca nove mesi fa. Era settembre. Chissà com’&egrave successo? Lei, una donna più vecchia di me, ricca di famiglia ma anche grazie al suo lavoro, single, bellissima ed elegante; io un giovane laureato e disoccupato. Una sera, ad una festa per non ricordo cosa, grazie ad amici comuni, ci trovammo a parlare in disparte. Parlammo per tutta la notte, infischiandocene della festa. Quando ci lasciammo, mi diede un bigliettino col suo numero di cellulare. ‘Chiamami.’ Lo disse in modo strano, senza ammiccamenti, senza doppi sensi, quasi un ordine. Un brivido mi corse lungo la schiena.

Da subito Rita mise le cose in chiaro: ‘Non aspettarti niente da me. Io mi prendo il tuo corpo per quanto ne ho voglia e poi ti mollo. Se ti va bene così, altrimenti quella &egrave la porta’. Mi innamorai all’istante. Per un mesetto circa mi usò, poi iniziai a capire che si stava per stancare. Dovevo fare qualcosa, non avrei mai resistito senza di lei. Una notte, dopo che mi aveva scopato e stava quasi per mandarmi via, le dissi: ‘Rita, a me non basta andare a letto con te. No, non fare quella faccia, non voglio chiederti la mano. Voglio essere molto di più di un marito o di un amante. Voglio essere il tuo servitore.’

Il suo volto s’illuminò di un sorriso maligno: ‘Ci penserò. Adesso vattene, voglio dormire’.

Il giorno seguente mi chiamò, dicendomi di andare a trovarla in ufficio. La trovai seduta alla scrivania che parlava al telefono. Con la mano mi indicò la sedia. Sedetti. Quando riagganciò si voltò verso di me e sorridendo disse: ‘Sai, mi trovo bene con te. Sei un bel ragazzo, giovane, colto, educato, di buone maniere. Ho pensato a quello che mi hai detto ieri. Ti faccio questa proposta: prendere o lasciare. Sei disoccupato. Io ti offro un lavoro: sarai il mio maggiordomo. Sarai regolarmente assunto e pagato. In cambio ti trasferirai a casa mia e sarai con me tutto il giorno e la notte, soddisfacendo qualsiasi mio desiderio. Avrai un periodo iniziale di tirocinio a paga dimezzata. Che ne dici?’

Come potevo rifiutare? Un lavoro! Ben pagato, per giunta. ‘Ci sto’.

Tirò fuori dal cassetto il contratto e me lo fece firmare. Dal giorno dopo fui il suo maggiordomo.

Mi diede una stanzetta a fianco della sua camera da letto, con un lettuccio, un comodino ed una luce. Il periodo di tirocinio fu molto faticoso: imparai molte cose, dalla cucina alla pedicure, dal rammendare vestiti al curare i fiori. Alla fine entrai a ruolo effettivo.

Ho ancora freddo. I primi raggi di sole entrano dalle imposte. Inizio la mia giornata di lavoro. Vado verso l’ingresso del grande appartamento. In terra ci sono il soprabito e i sandali col tacco di Rita, che raccolgo e metto al loro posto. Mi sposto in salotto. I cuscini del divano sono sparsi per la stanza. Sul tavolino di cristallo una bottiglia di vino quasi completamente vuota e due bicchieri rovesciati. Metto sul vassoio bicchieri e bottiglia, poi pulisco con uno straccio e porto in cucina. Torno in salotto e riassetto il divano. Apro le finestre per far cambiare l’aria. Rita non sopporta di svegliarsi e di sentire odore di fumo, pur essendo una fumatrice. E’ per questo che debbo alzarmi così presto: alle dieci la casa profumerà come se nulla fosse successo. Cerco il posacenere: lo trovo sotto il divano. Lo raccolgo, lo svuoto, lo lavo e lo rimetto al suo posto. Sento l’aria del mattino che mi solletica il corpo nudo. Rita ha eliminato da tutta la casa aspirapolvere e scope. Pulisco per terra con uno straccio, in ginocchio. Che freddo. Ora il salotto &egrave a posto. Giro un po’ per l’appartamento in cerca di qualcosa fuori posto. Mi sembra tutto in ordine. Vado in cucina, lavo i piatti di ieri sera e finisco di mettere in ordine. Rita la vuole splendida, non sopporta il disordine e lo sporco. Sono le nove. Fra un’ora devo svegliarla e per far passare il tempo accendo la tv in cucina. Che freddo. Le finestre sono spalancate in tutta la casa e questo perizoma non mi protegge per niente. Dieci meno un quarto. Preparo la colazione per Rita, chiudo tutte le finestre e vado con il vassoio in camera sua. Entro nella stanza buia e appoggio il vassoio. L’odore di sesso &egrave fortissimo. Apro la tenda e lascio che dalle imposte entri il minimo di luce possibile, per non disturbarla.

Rita &egrave stesa a pancia in giù, completamente nuda. I lunghi capelli neri sono sparsi sulle lenzuola nere. La pelle bianchissima risalta su quello scuro sfondo. Le gambe sono discostate e posso vedere il suo sesso. Di fianco a lei Alessandro &egrave completamente nudo, steso sulla schiena. Il lenzuolo copre le sue gambe fino a metà coscia, e il suo pene, in preda ad un’erezione mattutina, se ne sta rigidamente appoggiato al ventre. Lo spazio di lenzuolo nero tra loro &egrave fittamente macchiato di sperma.

Tocco Rita sulla spalla. ‘Che ore sono?’ mi chiede in un sussurro. ‘Le dieci’. Controlla sulla sveglia. Si scosta un attimo e sveglia Alessandro: ‘Alzati, devi andare. Muoviti. E tu, portami la colazione.’ So bene cosa devo fare. Poggio il vassoio sul suo grembo nudo, poi inizio a raccattare i vestiti di Alessandro in giro per la camera. Mi metto in piedi di fronte a lui, che intanto mugugnando si &egrave seduto sul bordo del letto. L’erezione &egrave ancora ben visibile. Gli passo gli slip, poi i calzini e tutti i vestiti. Mentre sono qui in piedi mi viene da pensare alla sera prima.

Ero in cucina che aspettavo Rita, quando verso mezzanotte il campanello squilla tre volte. Sapevo il significato. Mi alzai e accostai il portoncino di ingresso. Poco dopo la porta dell’ascensore si aprì e ne uscirono Rita e Alessandro, il suo nuovo amante, avvinghiati l’uno all’altra. Senza guardarmi si diressero verso il salotto, e intuii che Alessandro stava chiedendo spiegazioni a Rita. Rita non dava mai spiegazioni di nulla: i suoi amanti dovevano accettarla per com’era oppure potevano andarsene. E giuro che per quanto potessero sembrare loro strani i gusti di Rita, nessuno se ne &egrave mai andato. Entrai in salotto in attesa di ordini. Rita, cercando di tenere a bada Alessandro, mi disse di portare lo champagne e due bicchieri. Tornai con lo champagne. Non so come, ma era riuscita a farlo star calmo. Ora parlottavano e fumavano. Stappai la bottiglia e versai nei due bicchieri. Rita mi fece il gesto di mettermi da parte, ma non di uscire; potevo ancora servirle.

Svuotarono la bottiglia, si alzarono diretti verso la camera da letto. Alessandro reggeva molto meno l’alcol, oppure Rita era stata semplicemente più furba di quel galletto che credeva di portarsela a letto. Li seguii, come mi era stato insegnato durante il periodo di tirocinio: dovevo seguire Rita ovunque, per non farle mancare niente. Mi misi in un angolo della stanza ad attendere nuovi ordini.

Alessandro era eccitatissimo. Tentava di spogliarsi il più velocemente possibile, ma non ci riusciva. Rita lo stava deridendo per questo: in un attimo fu nuda e sopra di lui. Lo baciò con passione e lo spogliò di tutti i vestiti. Guardandolo negli occhi, distese un braccio all’indietro e schioccò le dita verso di me. Aprii il cassetto alla mia destra e ne tirai fuori due lunghe corde, che delicatamente poggiai sul palmo della mano ancora protesa dietro la schiena. Alessandro non capì subito, la sua mente era ottusa dall’alcol e dall’eccitazione. Ma quando si scoprì il polso destro legato al letto, ebbe un sussulto. Rita non si scompose, afferrò il sinistro e legò anche quello. ‘Non temere, non ti mangio mica’ disse per tranquillizzarlo. Scese con la testa lungo il busto di Alessandro, che già pregustava la sensazione del pene nella bocca di quella donna meravigliosa. Ma Rita scese oltre il pube in estasi, e si girò. Con la seconda corda assicurò saldamente le gambe al letto. Si girò nuovamente: ‘Adesso sei mio, faccio quello che mi pare col tuo corpo e tu puoi solo subire’. Alessandro le disse di liberarlo subito. Rita gli piazzò un ceffone in pieno volto che gli fece girare la testa. ‘Non sei nelle condizioni di dettare ordini, non so se te ne sei accorto!’ Era calma. Una calma che fece paura anche a me. In quel momento mai e poi mai avrei voluto essere al posto di quel povero ragazzo.

Rita stava sopra di lui: decise che per quella sera l’aveva spaventato abbastanza e non voleva rischiare che il terrore influenzasse l’erezione. Si chinò ed iniziò un lento e caldo pompino. Alessandro si calmò. Potevo vedere il sesso di Rita pulsante e bagnato. Assolutamente visibile, rasato tra le cosce candide. Adesso anche lei voleva la sua parte. Sempre rimanendo sopra di lui, si girò dandogli le spalle, indietreggiando fino ad appoggiare il clitoride sulle labbra di Alessandro. ‘Fammi godere, ragazzino’. Lui ci mise tutto l’impegno possibile e Rita apprezzò molto, contorcendosi e mugolando come una gatta lussuriosa. Stava per venire, e allora si alzò da quella posizione che così tante soddisfazioni le aveva dato, stendendosi a fianco del suo amante sudato, con il volto bagnato degli umori della sua donna. Rita si accese una sigaretta e mi fece cenno di procedere. Dal cassetto estrassi un preservativo. Apri la confezione e mi avvicinai al letto; mi chinai su Alessandro e gli infilai il profilattico sul pene. Rita, senza buttare via la sigaretta, si sedette sopra di lui ed iniziò cavalcarlo con calma. Continuava a fumare e a guardarlo. Finita la sigaretta allungò la mano dietro la schiena porgendomi il mozzicone. Lo presi tra le dita e mentre cercavo di non scottarmi vidi che come posacenere aveva usato il petto di Alessandro. ‘Sei fortunato: di solito non sono così buona, e la sigaretta la spengo dove ho buttato la cenere’. Tornai al mio posto. Rita ora stava scopando Alessandro sempre più forte, il letto saltava e si spostava avanti e indietro, assecondando le poderose spinte del bacino di Rita. Era incredibile quella donna: sapevo cosa volesse dire trovarsi sotto di lei. Una vera furia, che smaniava e gridava e sudava e godeva. ‘Se vieni adesso ti ammazzo’ gridò al povero Alessandro, in preda ad un piacere che non aveva mai provato in vita sua: il piacere della sottomissione. Ma alla fine non seppe resistere e venne, nonostante l’ordine. Si contorceva in preda agli spasimi. Rita si alzò e, per niente irata, si avvicinò al pene. Con molta cura sfilò il preservativo senza far cadere nemmeno una goccia di sperma. Si stese, mettendosi comoda, e si fece cadere il seme sul petto, sul collo, in bocca. Con l’altra mano si stava toccando tra le gambe e, appena la prima goccia di sperma toccò la punta della lingua, venne. Stava stesa, sfinita, il preservativo vuoto e floscio sul ventre.

Allora mi avvicinai al letto, presi il profilattico e lo buttai. Sciolsi Alessandro e mi misi in attesa di ordini. ‘Vai pure, non mi servi più per stasera’. Andai a letto. Dopo qualche ora avrei dovuto alzarmi.

Alessandro ha finito di vestirsi. Sa che non ha il tempo di fare niente, se non di prendere la porta e uscire. Lo accompagno, richiudo la porta e torno da Rita. E’ ancora alle prese con la colazione. ‘Apri la finestra e vai a prepararmi un bagno caldo’. La camera s’illumina del sole di giugno. Non fa più freddo come quattro ore prima. Apro la porta del bagno, accendo la luce e aspetto che l’acqua del rubinetto diventi calda al punto giusto per poter mettere il tappo alla vasca. Nel momento in cui chiudo il tappo, Rita entra. E’ completamente nuda. Si siede sulla tazza e urina. Mi avvicino e quando ha finito si alza. Mi inginocchio e con la lingua pulisco i residui. La vasca &egrave piena al punto giusto e vi si immerge, chiudendo gli occhi ed assaporando la sensazione di rilassatezza. Esco dal bagno e ritorno in camera. Tolgo le lenzuola sporche e vado a gettarle tra la roba da lavare. Più in fretta possibile prendo altre lenzuola pulite e rifaccio il letto. Devo tornare in bagno; mi metto nuovamente di fianco alla vasca, in ginocchio. Ad un suo cenno del capo, mi infilo uno di quei guanti di spugna che si usano al posto della spugna vera e propria ed inizio a passarlo sul suo corpo. Solleva una gamba, che io massaggio lentamente dalla coscia alla caviglia. Ora solleva l’altra gamba. Adesso mi rivolge la schiena. Tutto il corpo &egrave pulito. ‘Basta così!’ Mi tolgo il guanto e corro a prendere il suo accappatoio. Si alza in piedi ed io l’aiuto ad indossarlo. Esce della vasca poggiando i piedi sul tappeto di spugna. Mi inginocchio e con un asciugamano passo sui piedi e le caviglie. Le porgo le pantofole di spugna. Mentre usciamo dal bagno mi chiede che giorno &egrave oggi. ‘Sabato, signora.’ ‘Bene, giornata della bellezza.’ ‘E’ così, signora.’ Prima che lei arrivi al letto, mi affretto a stendere sopra le lenzuola pulite alcuni asciugamani, perché non si bagnino. Rita si accomoda sui cuscini. Guarda fuori dalla finestra per vedere il colore dell’estate imminente. Le porto il pacchetto di sigarette ed il posacenere. Si mette una sigaretta tra le labbra e poi si sistema su un fianco, appoggiando la testa sul palmo della mano e tenendo il posacenere tra il seno ed il bordo del letto. ‘Vai a rimettere a posto il bagno e poi torna qui.’

Sto pulendo la vasca degli inesistenti residui lasciati da Rita. Il pene mi viene duro intravvedendola stesa languidamente sul letto, con le gambe scoperte, i piedi che si muovono lentamente, la mano che ritmicamente porta la sigaretta alla bocca. Ho finito con il bagno e torno da lei. Si accorge della mia erezione. Sorride un po’. Oggi &egrave di buon umore. E’ capitato che mi insultasse o mi punisse molto severamente per essermi presentato davanti a lei con un’erezione in corso. ‘Vai a prendermi la vestaglia con i fiori e le pantofole col tacco’. Vado all’armadio e prendo quello che mi ha detto. Torno davanti a lei, che nel frattempo si &egrave alzata. Le tolgo l’accappatoio e l’aiuto ad indossare la vestaglia. Mi metto in ginocchio, sfilo le pantofole di spugna e le porgo quelle con il tacco, altissimo e sottilissimo. Naturalmente non le indossa abitualmente, ma oggi &egrave sabato, ed il sabato mattina &egrave dedicato alla bellezza. ‘Andiamo.’ Esce dalla camera e si sposta verso la terrazza che al mattino &egrave rivolta verso il sole. Ricordo che la prima volta in cui vidi questa terrazza rimasi sbalordito dalla grandezza, per un appartamento nel centro città. Avevo sottovalutato la ricchezza di questa donna.

Si &egrave stesa sulla poltroncina reclinabile lasciando che i raggi del sole accarezzino il viso e le spalle. ‘Portami del th&egrave freddo con ghiaccio e i telefoni.’ Vado in cucina e verso una bottiglia di th&egrave in una caraffa di cristallo, che metto insieme con un bicchiere sopra un vassoio. Poi prendo il telefono portatile ed il cellulare. Torno in terrazzo e lascio tutto sopra il tavolino vicino alla poltroncina, a portata di mano di Rita. Riempio il bicchiere di th&egrave. ‘Bene, puoi cominciare’.

Vado a prendere tutto l’occorrente ed inizio il mio abituale lavoro del sabato. Di fianco a me c’&egrave la borsetta con tutto il necessario. Inizio togliendo lo smalto nero dalle unghie dei piedi. Questo &egrave il momento di tutta la settimana che preferisco: posso stare in ginocchio senza temere niente, tenendo in una mano il piedino candido della mia signora. Lo devo solo pulire, ma per me &egrave una delizia vederlo ritornare immacolato, lasciare per qualche tempo quell’aria arrabbiata ed altera che lo smalto gli conferisce. Finito con le unghie dei piedi inizio con quelle delle mani. E’ un momento molto intenso, poche volte durante la settimana posso stare così vicino al viso di Rita. Posso sentire il suo respiro caldo e profumato, posso vedere il seno che si alza e si abbassa. Ora tutte le unghie sono prive di ogni traccia di smalto. Prendo la limetta e inizio dalle mani. Ogni sabato, a questo punto, mi torna alla memoria la volta in cui Rita aveva invitato due amiche per la giornata della bellezza.

Rita quel sabato mattina non volle fare il bagno come era suo solito e mi disse che di lì a poco sarebbero arrivate due amiche per la giornata della bellezza, e che io avrei dovuto servire loro come servivo la mia signora. La cosa mi spaventava molto, temevo soprattutto la vergogna di farmi trovare praticamente nudo davanti a due sconosciute; ma ero anche eccitato per quell’esperienza che indubbiamente avrebbe lasciato il segno.

Finalmente arrivarono. La prima era una donna bionda, dell’età di Rita, molto alta, con un seno particolarmente prosperoso. L’altra era una donna più matura, sui quarantacinque-cinquant’anni, con i capelli rossi e due gambe splendide. Erano entrambe bellissime: mi si strinse un nodo alla gola quando iniziai a pensare che avrei potuto frugare tutto il loro corpo totalmente indisturbato. Ma ancor più mi eccitava l’idea che quelle due donne fossero venute a trovare Rita con l’unico scopo di provare me. Ero un oggetto, una specie di nuovo elettrodomestico che Rita faceva provare alle amiche.

Andammo in soggiorno, e qui le tre donne si misero comode. Io avevo con me tutto il necessario. La donna più giovane, Marina, non pareva molto interessata a quello che dovevo farle. Mi ordinò soltanto di ridarle lo smalto sui piedi. Mentre ero chino di fronte a lei, l’altra amica di Rita, Luisa, mi guardava con un interesse particolare. Non ascoltava nemmeno le altre due. Quando finii con il primo piede alzai gli occhi per chiedere se il mio lavoro fosse stato di gradimento, ma Marina non mi guardava nemmeno: lei e Rita si stavano baciando con passione, Rita aveva le gambe divaricate e Marina muoveva una mano tra le sue cosce. Rimasi interdetto, non sapevo come comportarmi. ‘Continua! Cos’hai da guardare?’ Mi infastidì non poco prendere ordini da Marina, ma Rita non era certo in grado di dirmi alcunché. Terminai in modo sbrigativo di dare lo smalto a Marina e mi misi in attesa di ordini. Luisa mi guardò ammiccando e chiese a Rita: ‘Posso rubartelo? Tanto voi due siete impegnate e non credo vi interessi molto di lui.’ Rita, gemendo di piacere, riuscì a dire soltanto: ‘Fai quello che vuoi.’ Luisa si alzò e con un cenno del capo mi indicò la terrazza. La seguii fuori; si stese sulla poltroncina che di solito occupava Rita e mi misi di fianco in attesa di sapere quello che avrei dovuto fare. ‘Massaggiami i piedi.’ Mi inginocchiai davanti a lei e sfilai i sandali col tacco. Iniziai il massaggio con tutto l’impegno di cui ero capace e Luisa apprezzò molto. Sollevò l’altra gamba e mi appoggiò il piede sulla faccia. Non mi aveva ordinato di smettere col massaggio, per cui tentai di continuare, anche se era molto difficile rimanere impassibile. ‘Smettila con quelle mani, stupido, e leccami il piede.’ Mai ordine fu più gradito. Afferrai l’altro piede per la caviglia e, in preda all’estasi, feci quello che mi chiedeva. Ormai era lucido della mia saliva. ‘Basta così.’ E senza dire altro rimise entrambi i piedi nei sandali. ‘Sai, ho appena divorziato.’

‘Mi dispiace molto, signora.’

‘A me no. Non sono mai stata meglio.’ Sollevò la vestaglia che Rita le aveva prestato, scoprendo le gambe lunghe e sode. ‘Toccale: senti quanto sono lisce.’ Passai la mano con delicatezza. ‘Avanti! Toccale bene. Vedo che ti piacciono.’ Mi lasciai andare toccandole con vivo desiderio. ‘Non ho bisogno che mi depili le gambe.’ E dicendo questo sciolse la cintura della vestaglia, che si aprì lasciando scoperto il pube. Era un cespuglio fittissimo di peli lunghi e neri, incredibilmente esteso. ‘Vedi quanto sono pelosa qui? Al mio ex marito piacevo così. Ma adesso che lui non c’&egrave più ho voglia di cambiare. Tu cosa mi consigli?’

‘Che ne dice di un mutamento radicale, un taglio netto col passato?’

‘D’accordo, mi affido alla tua fantasia.’

Andai a prendere la mia schiuma da barba ed il mio rasoio. Delicatamente cosparsi il pube di Luisa con la schiuma. Dopodiché iniziai. Volevo raderla completamente, con delicatezza, senza farle male. Quando ebbi finito, mi ordinò di metterle uno specchio tra le gambe. Era felicissima del suo nuovo look. Continuava a guardare la sua vagina liscia e bianca, eccitandosi. Posò una mano sulla mia testa e mi spinse il volto proprio sopra il mio lavoro. ‘Leccala!’ Da quanto non lo facevo più! Rita mi usava solo per i lavori domestici, aveva i suoi amanti ed io da quando lavoravo per lei non avevo più avuto alcun rapporto. Mi eccitai subito e sentivo che anche lei era eccitatissima. La sua vagina era bagnata come mai avevo sentito in vita mia. Leccavo con intensità, finché venne schizzandomi la faccia con un spruzzo fortissimo. Si alzò a sedere e mi leccò la faccia. Riprese fiato, poi iniziò a toccarmi il pene duro. Fece scivolare giù il perizoma e mi ordinò di alzarmi in piedi. Teneva il cazzo in mano, stringendolo, e se lo mise in bocca. Cominciò a succhiarlo rumorosamente, mugolando e sorridendo. Si stese come prima, con le gambe aperte. ‘Scopami.’ Mi inginocchiai di nuovo. Presi le sue gambe e le sollevai poggiandomele sulle spalle. La penetrai. Scopavo con tutte le forze. Afferrai le sue caviglie e allontanai le gambe dal mio corpo: volevo che di me sentisse soltanto il pene duro, bagnato nella sua vagina. Poi non resistetti e iniziai a succhiarle l’alluce destro. Lei gridava e si dimenava, godeva come una matta. Bloccai l’orgasmo all’ultimo istante, mi misi in piedi e l’aiutai a risollevarsi. Diedi due colpetti con la mano e venni inondando la faccia di Luisa. Piena di sperma intorno alla bocca, intorno agli occhi, sulle guance mi afferrò per il collo e mi tirò giù. Ci baciammo scambiandoci i nostri liquidi frutto dell’orgasmo.

‘Sei stato fantastico. Perché non vieni a lavorare per me?’

‘Non posso. Io lavoro già per Rita.’

‘Quella &egrave una ragazzina. Ti pago il doppio di quello che ti paga lei. E dovrai anche scoparmi, cosa che Rita non vuole.’

‘Mi dispiace. Non posso.’

‘Ascolta: quella lì si stancherà di te, quindi prendi il mio numero, e quando Rita ti molla chiamami.’

Nascosi il biglietto nel cuscino.

Ho finito di limare le unghie. Adesso inizio a depilare le gambe, lunghe, di bronzo dorato. Molto lentamente finisco. Rita scosta la vestaglia e apre le gambe per lasciarmi depilare il suo pube.

‘Perché lavori ancora per me?’

‘In che senso?’

‘Lo so che ti piaccio. Forse sei anche innamorato di me. Non capisco perché ti sottoponi a queste umiliazioni continue. Come puoi sopportare di vedermi andare a letto con altri?’

‘Non c’&egrave paragone tra me e loro. Ho visto non so quanti uomini passare di qua, e mai uno restare. Solo io. Solo io ti posso vedere sempre, in ogni momento, posso annusare l’odore della tua biancheria, solo io so cosa ti piace fare dopo pranzo, solo io ti conosco veramente.’

‘Vedi: io credevo che quando mi chiedesti di essere il mio servitore fosse un gioco e che poi te ne saresti andato. Invece sei ancora qui. Mi dispiace ma ti licenzio. Mi sono stancata di questo gioco e di te.’

Mi sento strano. Pensavo che avrei sofferto molto. Invece no. Niente. In fondo lo sapevo: prima o poi si sarebbe stancata. Indosso nuovamente abiti civili, faccio la valigia e scendo in strada. Sono sul marciapiede e penso a cosa fare. Il mio conto in banca &egrave pieno: per mesi Rita mi ha pagato lo stipendio che io non ho mai usato perché non mi serviva. Vedo un telefono pubblico. ‘Pronto?! Ciao Luisa, sono io. E’ ancora valida la proposta di lavoro?’

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