Skip to main content
Racconti di Dominazione

Suor Maria Benedetta

By 2 Gennaio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

+ Io Maria Benedetta, dell’Ordine delle Samaritane, comincio oggi in questo giorno di Sant’Edoardo questo mio diario di penitenza come prescritto dalla Madre guardiana. Ella ha esaminato la mia condotta nei primi tre mesi di permanenza al convento di Santa Giustina e mi ha trovata debole nell’esercizio del Divino Consiglio dell’Obbedienza.
La Madre si occuperà precipuamente della mia formazione e mi ha ordinato di riportare tutti i miei pensieri e le mie impressioni su questo diario che sarà da lei costantemente revisionato per verificare l’effetto delle sue lezioni sul mio animo.
Noi Samaritane dobbiamo infatti coltivare la virtù dell’obbedienza che dobbiamo in primo luogo al nostro Sposo Mistico. Questa obbedienza non &egrave diversa da quella che tutte le donne debbono al proprio sposo ma siccome il nostro Sposo &egrave il Signore la nostra deve essere perfetta.
Eppure per noi la strada dell’obbedienza &egrave ben più impervia delle donne secolari; esse, infatti, se mancano sotto questo aspetto, saranno ricondotte sulla retta via dal loro sposo che saprà correggerle e disciplinarle con mano ferma. Il nostro Sposo, invece, riserva il premio e la punizione per il nostro comportamento nell’altra vita. La sorella che avrà disobbedito al suo Sposo, sentirà sulla sua pelle i morsi del suo staffile di fuoco per l’eternità; siamo dunque noi stesse che dobbiamo brandire lo staffile terreno o affidarlo alle nostre sorelle per mantenerci sulla retta via. Nessuna penitenza ci deve spaventare, nessuna punizione di questo mondo &egrave più terribile di quelle riservate alle anime dannate.
+ Oggi ho appreso un’importante lezione: la via dell’obbedienza passa per quella dell’umiliazione personale. Solo se riusciamo a schiacciare il nostro orgoglio, sapremo obbedire in tutto ai nostri superiori e al nostro Signore. Del resto, anch’egli si &egrave umiliato per fare la volontà del Padre Suo, potremo essere noi da meno?
La Madre Guardiana ha imposto a noi novizie di rinunziare alle calzature e ci ha condotte scalze alla mensa dei poveri. Lì abbiamo pulito il pavimento inginocchiate a terra dopo il pasto e ci siamo cibate solo degli avanzi che abbiamo raccolto. Quando siamo tornate al convento abbiamo discusso dell’esperienza e la Madre Guardiana ha trovato che la mia rinunzia a cibarmi anche degli avanzi costituiva un grave peccato d’orgoglio.
Mi ha prescritto venti colpi di disciplina dopo il vespro subito prima di scrivere queste righe.
+ La Madre Guardiana si &egrave adirata con me. Ha voluto controllare personalmente se mi fossi impartita i venti colpi prescritti e non ha trovato la schiena segnata. Non ha quindi creduto che avessi usato la disciplina e mi ha duramente redarguita. Mi ha quindi condotta al cospetto delle altre novizie e, dopo aver spiegato loro la mia disobbedienza, mi ha ordinato di denudarmi completamente il torace. Sulle prime sono rimasta sorpresa e così anche alcune delle mie compagne ma poi la Madre ci ha spiegato che il pudore tra le sorelle non ha ragion d’essere ed &egrave figlio dell’orgoglio, che ci fa ritenere migliori di quello che siamo, e della superbia che, sul falso presupposto che il nostro corpo abbia un valore maggiore della polvere che calpestiamo, ne nega la visione agli altri come se fosse cosa preziosa.
Pienamente convinta della spiegazione, ho quindi prontamente obbedito alla Madre non senza però provare nel mio animo una profonda vergogna nel mostrare le mie nudità alle altre novizie.
Mi sono quindi inginocchiata e ho posto le mani intrecciate sopra il capo, come mi ha ordinato di fare la Madre, e ho atteso in silenzio le sue giuste sferzate.
I colpi della Madre cadevano fitti su di me. Il mio corpo urlava e sentivo la mia pelle piagarsi ad ogni frustata ricevuta ma la mia bocca continuava a recitare le lodi di Nostro Signore e la mia mente restava concentrata sui dolori della Sua passione che avevo la possibilità di fare, in minima parte, intimamente miei. Non sono però riuscita ad evitare che dai miei occhi sgorgassero copiose lacrime.
Quando anche l’ultima frustata che la Madre ha avuto la bontà di infliggermi si &egrave abbattuta sul mio corpo spossato, l’ho sommessamente ringraziata e ho baciato le sue sante mani.
+ Questa mattina la Madre Guardiana &egrave venuta a trovarmi nella mia cella prima delle lodi. Ha voluto vedere i segni lasciati dalla disciplina sulla mia pelle e li ha sfiorati con le sue dita. La Madre mi ha chiesto se bruciavano molto e mi ha spiegato che sono i miei peccati a far bruciare quelle piaghe e che più gravi sono i miei peccati più quelle piaghe sarebbero state dolorose e più tempo avrebbero impiegato per guarire.
La consapevolezza di aver meritato la punizione, infatti, allevia il dolore
Le ho confidato che il dolore era talmente forte da non consentirmi di sdraiarmi sul dorso. La Madre ha concluso quindi che, nonostante la lezione ricevuta, il mio orgoglio era ancora troppo forte e che mi sarei dovuta sforzare di più nell’opera di mortificazione.
E’ stato quindi deciso che non partecipassi più ai pasti comuni in refettorio ma che dovessi elemosinare la cena all’ingresso dello stesso dalle consorelle.
Ho passato quindi tutto il tempo del pasto in ginocchio accanto alla porta con una tazza in mano: sono grata a tutte le sorelle che mi hanno donato un po’ del loro cibo che mi ha consentito di sostentare questo mio misero corpo ma soprattutto a quelle che non mi hanno degnato di uno sguardo o che hanno sputato nella mia tazza così contribuendo alla mia umiliazione e al miglioramento della mia anima.
Memore dei miei errori passati ho mangiato qualsiasi cosa le mie sorelle hanno avuto la bontà di regalarmi.
+ La Madre Guardiana mi ha lungamente interrogata ed ha trovato che i castighi e le pratiche di umiltà impartitemi abbiano giovato al mio carattere. Ha quindi stabilito di continuare su questa strada.
Mi ha chiesto di denudarmi il petto e di incrociare le mani dietro la nuca, cosa che ho prontamente fatto. Dopo avermi osservato per un po’, ha afferrato le punte del mio petto ed ha cominciato a torcerle . Il dolore era lancinante e, trattenendo a stento le urla, l’ho pregata di smettere ma la Madre mi ha detto che dentro il mio petto c’era il diavolo e che il dolore che sentivo era quello che provava il diavolo, toccato dalle mani di una vera suora. Mi ha anche spiegato che non sarei mai stata una buona suora se non riuscivo a scacciare il diavolo che c’era nel mio petto e, per aiutarmi, mi ha lasciato due mollette benedette.
Come prescritto me le sono messe proprio sulle punte del mio petto e le ho tenute su tutta la notte. La Madre aveva proprio ragione, il diavolo, al contatto delle mollette, era come se mi straziasse la carni con i suoi artigli.
Dopo un po’, peraltro, mi sono abituata a questo santo supplizio e non posso negare che, al momento di togliere le mollette, ho provato un così forte e dolce sollievo quasi da tremare tutta.
Le punte del mio petto, inoltre, sono rimaste dure ed erette e davano una strana sensazione al. tatto.
+ Questa mattina, durante l’ufficio mattutino, le sorelle e le novizie si sono accorte della situazione del mio petto che si vedeva anche attraverso la veste. Imbarazzata ho cercato di schiacciarlo con le dita ma la situazione &egrave solo peggiorata.
Dopo l’ufficio sono stata chiamata dalla Madre Superiora che mi ha duramente redarguita dicendo che non dovevo più permettermi di accarezzarmi i seni durante le funzioni. Sono trasecolata di fronte alle critiche della Madre. Ho subito spiegato che non oserei mai fare quello di cui mi si accusava e che si trattava di una pratica di mortificazione prescrittami dalla Madre Guardiana. La Superiora ha fatto subito chiamare la mia venerata Madre Guardiana la quale, con mia somma sorpresa, non solo ha negato tutto ma ha anche detto che mi aveva già in precedenza punita per questa mancanza e che non sapeva più come frenare la mia depravazione.
La Superiora mi ha guardata con un disprezzo e, senza aggiungere altro, mi ha ordinato di andare a prendere la riga di legno.
Con il cuore e la mente gonfi di dispiacere e disorientamento per il comportamento della Madre Guardiana, ho obbedito prontamente agli ordini ricevuti e, inginocchiatami davanti a Lei, Le ho porto lo strumento di disciplina richiesto.
La Madre Guardiana mi ha denudato il petto e mi ha ordinato di mettere le mani sulla testa ma la Superiora ha detto che, per una sgualdrina come me, era necessaria una punizione più dura. Mi hanno quindi ordinato di salire in ginocchio su una sedia e mi hanno legato le gambe ai braccioli. La Madre Guardiana mi ha poi legato i polsi dietro la schiena facendo risaltare i miei petti e mi ha legata allo schienale della sedia in modo tale che la causa dei miei mali sporgesse sopra la sommità.
La Madre mi ha poi battuto il petto con quella riga prima sulla parte superiore e poi anche sulle punte causandomi un dolore lancinante. I miei occhi si sono subito riempiti di lacrime ed ho urlato sino a perdere la voce pregando la madre di smetterla e mi sono agitata sulla sedia senza peraltro riuscire a liberarmi dai legacci.
Quando ormai pensavo che sarei morta di dolore e che la mia anima si sarebbe perduta, la Madre ha smesso di colpirmi, ha ordinato alla madre guardiana di slegarmi e di riportarmi nella mia cella e di essere per il futuro molto più dura con me.
Il solo contatto del mio petto martoriato con la stoffa dell’abito era doloroso ma, ciononostante, le punte continuavano ad essere dure ed erette. + La Madre Guardiana questa mattina &egrave venuta a trovarmi e mi ha spiegato che tutto quello che era capitato era stato per mettermi alla prova e che anche quell’esperienza faceva parte del mio cammino di crescita spirituale e che avrei dovuto ringraziarla.
Mi ha quindi ordinato di baciarle i piedi ed io mi sono subito gettata a terra coprendo di baci i suoi calzari e nettando con la mia lingua ogni sudiciume lì presente. Mentre ero intenta in questo santo e umile compito la madre si &egrave seduta e mi ha concesso di proseguire nella mia opera leccandole anche le gambe, cosa che io ho prontamente fatto giungendo sino all’inguine. A quel punto la madre guardiana mi ha afferrata saldamente per i capelli ed ha spinto la mia testa in mezzo alle gambe ordinandomi di continuarla a pulire per bene con la lingua anche lì. Io ho obbedito ed ho fatto del mio meglio leccando i suoi peli ma la madre mi ha detto che ero una buona a nulla, che così non serviva a niente e che dovevo spingere ben dentro la lingua. Nel contempo mi ha spinto il viso ancora più contro di sé ed ho sentito bagnato ed i forti odori che promanavano dal suo corpo. Mi sono sforzata ad obbedirle spingendo la mia lingua all’interno e cercando di pulirla il meglio che potevo ma la madre non sembrava ancora soddisfatta in quanto non accennava a diminuire la pressione e mi copriva di male parole. Diceva che ero una donna di strada da poche lire e che meritavo ogni frustata ricevuta. Ad un certo punto la madre mi ha premuto ancora più forte il viso contro l’inguine facendomi entrare con il naso dentro di lei e, contemporaneamente, mi ha stretto la testa tra le gambe e poi mi ha lasciata andare.
Aveva il fiatone come se fosse avesse fatto una lunga corsa e, quando si &egrave ripresa, mi ha detto di non fare parola con nessuno di quello che era successo.
+ Da quel giorno sono passate ormai alcune settimane senza che abbia avuto il tempo di scrivere nel mio diario di penitenza. La madre guardiana ha convinto le sorelle che per il mio risanamento morale &egrave necessario il lavoro all’aria aperta e mi conduce personalmente tutti i giorni a coltivare un pezzo di terra isolato appartenente al monastero.
Passo la mia giornata dissodando la dura terra sotto la stretta vigilanza della Madre e della sua sferza; non appena mi distraggo dal lavoro, la Madre mi batte duramente con la sferza sul petto o sulla schiena che, durante il lavoro, restano sempre nudi in qualsiasi condizione climatica.
Alla fine della giornata (e spesso anche durante le pause del lavoro) mi inginocchio davanti alla madre, bacio le sue sante mani e la sua santa sferza e poi le bacio i piedi, le gambe e l’inguine come l’altra volta.
Temo però che questo esercizio non sia utile in quanto la madre continua a dire che sono solo una donnaccia e che, cercando di salvare la mia anima, perderà la sua.
+ Questa mattina, non appena siamo giunte al campo, mi sono gettata ai piedi della madre e le ho detto che non volevo essere più una donnaccia, che volevo essere una brava suora e salvare la mia anima. L’ho pregata in ginocchio con le lacrime agli occhi di aiutarmi, mi sono denudata il petto e le ho porto la sferza chiedendole di battermi più forte che poteva per scacciare il demonio da me e dicendole che non mi importava se sarei morta dal dolore.
La madre ha preso la sferza dalle mie mani ed ha cominciato, senza profferire una parola, a battermi forte come mai prima; io piangevo, urlavo e mi dimenavo ma la ringraziavo per ogni frustata e la pregavo di continuare. Quando non pensavo di farcela più, la madre ha buttato via la sferza mi ha afferrata per i capelli e mi ha baciata infilandomi la lingua in bocca. Con la mano libera mi ha alzato la gonna ed ha preso ad accarezzarmi in mezzo alle gambe. Alla sensazione di dolore straziante del mio petto si &egrave aggiunto un piacevole calore che andava montando sino a prendere come il sopravvento. Ad un certo punto nella mia mente &egrave come se fosse scoppiato un fuoco d’artificio che mi ha portato lontano da me in un mondo di beatitudine.
La Madre mi ha spiegato che quella sensazione era frutto del mio vero pentimento e che se avessi perseverato su questa strada l’avrei provata anche altre volte, poi mi ha di nuovo concesso di baciarle i piedi e l’inguine.
+ Da quando la Madre mi consente di provare quelle sensazioni paradisiache sento che la mia vita e le mie pene hanno finalmente un senso. E’ un chiaro segno del Signore: mi sta dicendo che grazie alla penitenza e all’umiliazione posso salvare la mia anima e mi concede di vedere brevi sprazzi di paradiso. Ora lavoro nel campo con più lena e sopporto meglio tutte le punizioni e le sferzate che mi impartisce la Madre. Spesso le chiedo di battermi con più vigore per meglio meritare la Sua ricompensa. Nella mia cella, la sera, prima di abbandonarmi al sonno mi accarezzo il petto e l’inguine ed ho scoperto che anche grazie al mio tocco riesco a raggiungere il paradiso. Forse questo significa che anch’io sono finalmente diventata una brava suora?
+ Quando ho raccontato alla Madre (&egrave da tempo che non revisiona più il mio libro di penitenza) questo mio ultimo pensiero, non si &egrave mostrata affatto d’accordo. Mi ha detto che &egrave un peccato di superbia e che quello che avevo fatto mi era stato certo suggerito dal diavolo. Anch’egli &egrave infatti in grado di suscitare quel tipo di sensazioni. Mi ha detto che era molto delusa da me ma non disperava di salvare la mia anima con l’aiuto della Madre Superiora.
Sono stata quindi condotta nella stanza della Madre Superiora. Appena entrata mi sono inginocchiata davanti alla sua Santa persona mentre la Madre Guardiana esponeva il mio caso disperato. Quando la Madre Guardiana ebbe finito di esporre le mie sconcezze, la Superiora si alzò e mi si fece incontro, alzò un braccio come per colpirmi ma poi disse che non meritavo neppure di essere schiaffeggiata e che se, nonostante le punizioni ricevute seguitavo a comportarmi come una lurida sgualdrina, voleva dire che non erano state sufficienti e che, da quel momento, avrebbe provveduto lei stessa.
Una volta lasciata la stanza della Superiora sono stata condotta da Mastro Enzo, il maniscalco del convento, il quale ha forgiato uno stretto anello di ferro con cui mi ha cinto la caviglia sinistra. Strano uomo questo mastro Enzo. Il suo sguardo su di me era diverso da quello delle altre consorelle, pieno di odio e di disprezzo. Mastro Enzo mi guardava con bramosia come le donne secolari guardano gli abiti ricamati ed i gioielli. Mentre lavorava per ferrarmi la caviglia, faceva scivolare la sua mano ruvida sulla mia gamba sino a tastarmi il posteriore sotto la veste bisbigliandomi oscenità. La Madre Guardiana non faceva alcun commento ed io, non sapendo come comportarmi, ho lasciato fare. Quando però sono stata nuovamente condotta al cospetto della superiora, la Madre Guardiana le ha detto che, anche in quell’occasione, con il mio comportamento lascivo, avevo indotto nel peccato anche Mastro Enzo. La Santa Madre ha detto solo che aveva in serbo per me un trattamento che mi avrebbe fatto passare la voglia di comportarmi così.
La Madre Guardiana mi ha poi condotta in quella che chiamava la cella di punizione: una stanza senza finestre e senza mobili. La madre ha collegato l’anello della mia caviglia ad una corta catena murata nel pavimento e mi ha ingiunto di attendere lì in preghiera la mia punizione.
Il mattino dopo sono stata condotta nel chiostro dove erano riunite tutte le sorelle. La Madre Superiora era ad una estremità del corridoio accanto alle sorelle del capitolo, io ero in ginocchio all’altra estremità in compagnia della Madre Guardiana e di Mastro Enzo.
La Madre Superiora ha annunziato alle sorelle che avevo peccato tentando carnalmente Mastro Enzo e, dato che la mia anima era talmente sudicia, la Madre aveva determinato di espellermi dal convento. Mossa a pietà per me aveva poi deciso di consentirmi di vivere in un angolo del cortile dietro la cucina dove si tengono le immondizie come l’ultima delle serve.
Ha poi disposto che la ringraziassi per la sua generosa decisione strisciando in ginocchio e leccando il pavimento fino ai suoi piedi.
Mastro Enzo mi ha quindi afferrato bruscamente le braccia e me le ha legate dietro la schiena e poi con uno spintone mi ha gettata a terra. Mi sono poi messa in ginocchio e, volto il mio viso a terra, ho iniziato a procedere leccando il pavimento del chiostro in direzione della Veneranda Madre. La posizione che tenevo nell’incedere, non potendomi sostenere con le mani, era estremamente affaticante ma tutte le volte che staccavo la lingua dal pavimento subito giungeva una crudele staffilata a colpire le mie terga, le mie cosce o financo le piante dei miei piedi.
Il mio cammino era faticoso come quello di Nostro Signore sul calvario e, come Lui, sono più volte caduta colpendo con il viso il pavimento del chiostro. Subito però mi rialzavo in ciò incitata dalle vergate che cadevano su di me.
Le sorelle assistevano attonite alla mia penitenza e sentivo i loro sguardi soffermarsi sulle piaghe del mio posteriore e delle mie gambe. Nel mio cuore sentivo la gioia di essere lo strumento di una sì vivida lezione di castità: le mie sorelle potevano vedere su di me quale mercede spetta alle peccatrici, le mie lacrime che bagnavano il pavimento davano il metro delle sofferenze delle anime corrotte dal peccato.
Con questi pensieri sono infine giunta ai piedi della Madre superiora che ho diligentemente baciato e lavato da ogni lordura con le mie lacrime e con la mia lingua; la stessa cosa ho fatto con la santa mano che reggeva lo staffile che aveva guidato il mio cammino.
Una volta terminata la punizione la Madre Guardiana mi ha condotta alla mia cella dove ho preso le mie cose e le ho portate nel locale delle immondizie dove mi attendeva Mastro Enzo che ha assicurato l’anello della mia caviglia ad una lunga catena che mi impediva di contaminare con la mia presenza gli ambienti del convento lontani dalla mia dimora definitiva.
+ La mia vita al convento si &egrave finalmente stabilizzata: il mio compito &egrave quello di riporre le immondizie che vengono qui accumulate in bidoni che vengono asportati una volta alla settimana dai contadini della vallata.
Nessuna suora viene più a visitarmi neppure per portarmi il cibo, che, del resto, ricavo dagli avanzi trovati nell’immondizia. Solo alcune volte vedo Suor Angelica, la preposta alle cucine, che controlla che lavori regolarmente e si incarica di battermi con il suo bastone se non lavoro con sufficiente lena.
Gli stessi contadini che vengono a ritirare i bidoni per darli da magiare ai loro animali non sanno del mio stato e sono convinti che sia una zingara sorpresa a rubare nel convento e condannata ad espiare così le sue colpe.
Del resto, ormai, le mie vesti sono ridotte a stracci luridi ed il colore della mia pelle non &egrave più distinguibile sotto lo spesso strato di sporco accumulato.
Credo, comunque, che essi abbiano ragione: che differenza c’&egrave tra me ed una ladruncola sacrilega? Anch’io ho introdotto la mia anima impura nel recinto del convento ed ho cercato di rubare quanto di più sacro esista: la sua santità.
Pienamente meritata &egrave quindi la penitenza che subisco e che qui ritrascrivo nel mio diario (non più rivisto da nessuno) a monito di me stessa.
+ Ier sera, dopo il vespro, &egrave giunta nel mio ospizio una giovane novizia che, dopo avermi svegliata spingendomi con il calzare, mi ha chiesto chi fossi e se era vero che ero anch’io una novizia condannata ad una simile punizione per espiare la mia malvagità. Io confermai tutto e chiesi il motivo di quella visita. La novizia mi disse che non condivideva la decisione della madre in quanto pensava che non fosse possibile salvare il demonio che era in me e che meglio avrebbe fatto per la sicurezza di tutte loro a scacciarmi dal convento e a vendermi come schiava di fatica a qualche mercante ma che voleva accertarsi di persona del mio grado di pentimento. Ciò detto mi ordinò di sdraiarmi a terra e, alzatasi la veste, mi orinò sul viso. Io accettai di buon grado questa penitenza, tentando anche di bere il liquido che mi veniva versato addosso. Mano a mano che il flusso perdeva di intensità mi avvicinavo alla sua fonte per non perderne neppure una goccia e, alla fine, come mi aveva insegnato la Madre Guardiana, provvidi a pulire con la mia lingua l’orifizio da dove proveniva questa pioggia benedetta. Mentre compivo questo compito pietoso la novizia ansimava, probabilmente colpita dalla mia umiliazione. + Le visite di questa pia sorella si sono ripetute negli ultimi giorni durante i quali sono giunte a visitarmi e a correggermi anche altre novizie. Orsola, la novizia che per prima mi aveva umiliato, continuava con foga la sua opera di pietà urinandomi addosso e battendomi con la disciplina, le altre si limitavano ad urinarmi addosso quando Orsola aveva finito. Al termine, per gratitudine, pulivo a tutte l’inguine e, quando facevo ciò, erano tutte commosse sino alle lacrime per la mia umiliazione. Ringrazio il Signore per avermi mandato questi candidi angeli di bontà per purgare la mia anima dai molti suoi peccati. + Io frate Angelo da Vimercate Ordo Predicatorum, inquisitore della Diocesi di Milano, prima di affidare all’archivio vescovile quest’atto del processo nei confronti delle esecrande sorelle del Monastero di *** intendo dare contezza ai posteri che dovessero leggere questo documento dell’atto di giustizia che si &egrave compiuto circa le vicende quivi narrate e per esplicitare la ragione di scelte che, almeno per quanto riguarda Suor Maria Benedetta, si allontanano da quanto previsto dai sacri canoni.
– Suor Teresa Maria, madre guardiana del Monastero, per i gravi crimini commessi &egrave stata lungamente interrogata ed ha mostrato verace pentimento. Non potendo, però, questo Tribunale rischiare che la suddetta commettesse nuovamente atti consimili con grave periglio per la sua e le altrui anime ha segretamente deliberato ed eseguito di soffocarla nel sonno.
– Suor Virginia, Madre Badessa del convento, &egrave stata sottoposta a sindacato sul suo operato ed &egrave stata trovata manchevole di discernimento e vigilanza; &egrave stata quindi destituita e trasferita ad altro monastero.
– Alla novizia Orsola Fornaro, che ha condotto le altre nelle condotte riprovevoli più sopra descritte, &egrave stata preclusa in perpetuo l’assunzione dei sacri voti ma, per giovamento dell’anima sua e per evitare turbamento nelle menti del popolo, dopo aver subito la dovuta penitenza di cinquanta nerbate, &egrave stata trattenuta nel medesimo monastero come conversa. Saranno le pie sorelle che ben conoscono la sua pravità a controllarne i comportamenti per il futuro e a sottoporla all’opportuna disciplina.
– Le novizie Caterina Di Michele, Sara Benedetto, Barbara Bonomo, Cristina Montagna, Federica Brevi che hanno seguito la Fornaro nelle sue perversioni, stante la loro giovane età, ed il pentimento dimostrato sono state trasferite in altri monasteri dopo aver subito la medesima penitenza della loro istigatrice.
– La Sorella Maria Benedetta &egrave stata fisicamente ispezionata e trovata intatta. Il sottoscritto, dopo aver letto il presente documento, l’ha inoltre lungamente interrogata ed ha trovato la sua anima integra ma il suo intelletto gravemente infettato dalle idee instillatele da Suor Teresa Maria. Dopo lunga meditazione, ho concluso che l’eradicazione di dette idee avrebbe messo seriamente in pericolo l’anima e la fede della prefata che, d’altro canto, proprio a causa di esse, non poteva più vivere in un istituto di vita consacrata senza grande periglio per l’ordine e la disciplina dello stesso.
Ho quindi deliberato per la salvezza della sua anima e per il bene della Chiesa di tenerla al mio personale servizio e di continuare così ad esercitala nelle virtù dell’umiltà e dell’ubbidienza.
Prego il Signore che mi dia la forza di continuare in quest’opera di carità senza cadere nelle tentazioni che hanno perduto la Sorella Teresa Maria.

Leave a Reply