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Racconti di Dominazione

Tania e i suoi ragazzi

By 28 Febbraio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Quel giorno decisi di andare in centro da sola, e vaffanculo a tutte le amiche stronze che avevano qualcosa da fare. “Sono da sola” pensai “Posso rimorchiare”.
Così decisi di vestirmi da rimorchio: una gonna corta, anche se non eccessivamente, a pieghe, e una maglietta piuttosto scollata.
Mi presento, sono Tania, ho diciott’anni e sono sempre stata una bella ragazza: la mia quinta, il mio culetto sodo e il mio visetto da puttanella truccato come si deve facevano la loro figura.
Così, ingenuamente, me ne andai in centro convinta di poter trovare qualche ragazzo da adescare.
In realtà, quello era giorno di magra, così rimasi fino a tardi a girare a vuoto, annoiata, maledendo le amiche. Alla fine, giusto per ammazzare il tempo, decisi di farmi a piedi un pezzo fino alla metropolitana.
Quando mi resi conto di aver imboccato la strada sbagliata, ben lontana da dove dovevo andare e per di più deserta, era troppo tardi. Mi voltai, scocciata, per tornare indietro, e presi a camminare, ondeggiando un po’ sui tacchi, ignorando il gruppetto di ragazzi (saranno stati cinque o sei) sul bordo del marciapiede.
Loro, però, notarono me.
– Ehi, bellezza! – mi apostrofò uno. Io, ovviamente, mi fermai. Sono sempre stata una civetta, col fare un po’ da puttana, e avere dei ragazzi che mi guardavano vogliosi mi eccitava.
Se non avessi desiderato questo, mi sarei vestita da suora, non credete?
Così, mi avvicinai.
– Ehi. – dissi, notando che erano parecchio carini, con un sorriso seducente. Per un attimo mi passò per la mente di farmeli tutti, ma poi l’idea passò oltre: non ero così troia!
I ragazzi presero a chiacchierare, più amichevolmente e meno pesantemente di quello che mi aspettavo, e da stupida non mi accorsi della loro lenta ma decisa manovra di accerchiamento.
Dopo un po’ guardai l’orologio, e sfoderai un sorriso di circostanza.
– Si sta facendo tardi…è meglio che vada, ragazzi. Grazie per la…
– Ehi, tu non vai da nessuna parte. – disse uno, prendendomi per un braccio. Già da un po’ avevo cominciato a sentire una sensazione di disagio, e questo si acuì in quel momento. Un campanello di allarme mi risuonò nel cervello, ma era tardi, desolatamente tardi.
Li guardai spaventata.
– Dai, ragazzi, lasciatemi andare…
– No no, hai voluto fare la puttanella? E adesso ti adegui, dolcezza. – la strada era deserta, e non ci volle molto per trascinarmi in un vicolo isolato. Mi sbatterono per terra, mentre mi dimenavo. Avevo paura.
Mi costrinsero inginocchiata.
– Adesso, troietta, ti scoperemo bene, così impari ad andare in giro conciata così…sei proprio da sfondare tutta. – avrei voluto piangere, ma sentirmi parlare così mi eccitò.
Una delle mie fantasie ricorrenti era di farmi violentare da un gruppo di stalloni violenti, e forse si stava per avverare. Decisi, puttana come sono, di lasciarli fare. Scappare non potevo, meglio divertirmi, no?
Rimasi ferma, tremando piano, e uno mi afferrò per i capelli, facendomi inclinare il viso verso l’altro. Cominciarono a sbottonarsi i pantaloni, sotto il mio sguardo terrorizzato ed eccitato, e mi ritrovai circondata da cinque cazzi più grossi di quello che avrei immaginato.
Erano davvero grandi e quello di uno, Luca, era davvero enorme.
Senza troppe cerimonie, mi ritrovai con un cazzo infilato in bocca fino in fondo, e le mani impegnate a masturbarne altri due. Gli altri mi palpavano oscenamente, ridendo e facendo commenti.
Mi sentivo davvero una troia, e la cosa mi eccitava da morire: mi sentivo il cazzo fino all’esofago, e Luca mi scopava la bocca con ferocia, ridendo crudele.
Qualcuno mi alzò la gonna, strofinando le dita sulla mia fichetta attraverso le mutandine.
– Ehi, la troia è un lago! Si sta eccitando, questa puttanella, le piace! Vedrai quando ti sfonderemo, tesoro, sarai la nostra cagnetta! – disse uno ridendo sguaiatamente. E io ero sempre più eccitata e vogliosa.
Volevo i loro cazzi, volevo sentirmi riempire dalla loro sborra calda e bollente, mi piaceva che mi trattassero come una troietta.
Luca, afferrandomi per i capelli, mi tirò indietro il capo, mentre qualcuno mi infilava a forza due dita nella fighetta. Avevo la bocca aperta dalla quale colavano fili di saliva.
Luca, ridendo, mi sputò in bocca.
– Sei un cesso, una puttanella…ti si vedeva negli occhi che volevi farti scopare da tutti noi, troia! – bevetti il suo sputo, sentendo un fiotto di umori scendermi lungo le cosce, e lui mi rificcò il cazzo in gola fino in fondo. Intanto un altro, credo Fabio, mi aveva infilato due dita nel culetto.
Mi piaceva infilarmi le cose lì, dava una bella sensazione, e questa volta ancora più forte.
Gemette, succhiando il cazzo di Luca, dimenandomi su quelle dita.
– Ragazzi, io me la voglio fare. – dichiarò Antonio, un altro della combriccola col cazzo non molto lungo, ma veramente largo. – Mi voglio fare il suo culetto. – disse, con un sogghigno sadico.
Io rabbrividii. Mi avrebbero sfondata…
Luca mi sfilò il cazzo di bocca di nuovo, ridendo.
– E io le sfonderò la fichetta, a questa troia! Ti piace l’idea, cagnetta? – io avevo paura, ero sconvolta da quel miscuglio di eccitazione e terrore, ma straordinariamente risposi.
– Sììì! Scopatemi! – uggiolai, guardandolo vogliosa. Scatenai una sequela di risate sguaiate, mentre i ragazzi mi sbattevano in faccia i loro cazzi duri come il marmo.
– Bene, allora ti sfonderemo, piccola zoccoletta. – disse uno, stuzzicandomi la fichetta con la punta della scarpa. Io gemetti, mentre un altro, brutalmente, mi tirò giù la maglietta, facendo uscire dalla scollatura le mie tette libere dal reggiseno.
– Niente reggiseno! Guardate che bocce, ragazzi! Me le scopo! – esclamò un altro.
Insomma, mi volevano scopare dappertutto…e io grondavo umori come la peggiore delle puttane, ansimando, agitandomi per accelerare la cosa. Volevo che mi scopassero, mi facessero male, mi riempissero di sperma bollente.
Mi tirarono su e presero a palparmi, schiaffeggiandomi il culetto.
– Non ti allarghiamo nemmeno, puttanella, ti scoperemo a secco. – dichiarò Antonio, sdraiandosi a terra. Io ero si una puttana vogliosa, ma non mi piaceva soffrire! Mi presero, mentre mi dimenavo per scappare, e a forza mi fecero sedere su quel cazzo larghissimo. Io urlai, mentre mi spaccavano il culo: era così grosso che niente poteva reggere il confronto. Rimase lì, immobile, piangendo, il culetto irrimediabilmente spaccato da quel cazzo enorme.
– Apri meglio le gambe, troia! – esclamò Luca, dandomi un calcio proprio sulla fighetta. Io gemetti, mio malgrado eccitatissima, e obbedii. Lui si chinò e, violentemente, me lo infilò nella fighetta, lacerandomi.
Mi fecero stendere, le gambe aperte, mentre gemevo e mugolavo senza ritegno a quella doppia penetrazione; uno si sedette letteralmente su di me, infilandomi il cazzo tra le tette, prendendo a fotterle senza ritegno, e un altro mi infilò il cazzo in bocca, cominciando a stantuffare nella mia gola come un pazzo.
Io mi sentivo piena, dolorante, usata, eppure una puttana: ne volevo di più, sempre di più, succhiavo, mi agitavo, mi spingevo ora contro uno ora contro un altro, succhiavo il cazzo che avevo in gola.
Alla fine vennero, e sentirmi riempire ovunque di sperma mi fece venire con un urlo godurioso.
Ovviamente, ognuno di loro volle provare il buco che non aveva provato, così mi ritrovai scopata almeno dieci volte consecutivamente da ogni parte.
Alla fine ero piena di sperma fino ai capelli, il culetto era tutto spaccato così come la fighetta, e io ero così sconvolta che nemmeno mi ricordavo il mio nome. Crudeli, i ragazzi mi fecero anche delle foto, mostrando il mio buchino oscenamente dilatato che colava sperma, la mia ari ada troia navigata e la bocca piena di sborra bollente.
Io non capivo più nulla, sapevo solo che volevo più cazzo, che volevo essere riempita ancora in ogni buco.
Mi fecero mettere alla pecorina, il culo verso l’alto: infilai due dita da un lato e due dall’altro e lo spalancai, aprendolo bene per loro, oggetto delle loro derisioni.
– Guarda che buco ha sta puttana! E’ enorme! Un cesso, ecco quello che sei, troia! – e allora, ultima umiliazione, mi pisciarono nel buco, umiliandomi e trattandomi come un vero cesso.
E io, lurida puttana, il viso premuto a terra in una chiazza di sborra, gemevo e sbavavo, implorando di più.
Se ne andarono, ridendo, e mi lasciarono lì finche non mi trovò la polizia.
MI portarono all’ospedale, sconvolti per le mie condizioni, ma io ovviamente rifiutai di esporre denuncia. I miei tre “violentatori” avevano dei filmati in cui li imploravo di fotterli, di impalarmi, di sfondarmi e riempirmi di sborra.
Alla fine, finii in cura da uno psichiatra…che sa curare molto bene la mia fame di sborra, e riempire molto bene i miei buchi affamati.
Grazie a loro, è uscita la mia vera natura, e li ringrazio per quell’esperienza incredibile: sono venuta tantissimo, e ormai il sapore della sborra, la sua consistenza nelle viscere mi ha assuefatta. Vivo solo con qualcosa infilato nel culo, e non ho mai voluto farlo tornare come prima: con il dottore ci sto lavorando, per ora dentro entra solo un braccio…
Non vedo l’ora di essere di nuovo violentata così…

Mi scuso se il racconto non è un granchè, ho scritto e pubblicato nell’impeto dell’eccitazione…
Ditemi cosa ne pensate!

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