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Racconti di Dominazione

Teresa

By 18 Agosto 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Non mi dilungo in descrizioni, come sono fatta lo scoprirete per gradi durante il racconto; quello che invece dovete sapere di me è che sono bruttina. Capiamoci, non sono proprio un cesso, ma sono come tante di quelle signore over 40 che potreste incontrare al supermercato, faccio l’impiegata e sono separata da diversi anni.
Da qualche tempo mi sono comperata un computer, col quale ho cominciato a navigare su internet e sono ben presto approdata su diverse chat per single tramite le quali ho incontrato alcuni frequentatori, col risultato di essere spesso scaricata dopo un primo incontro o di dover fuggire da soggetti chiaramente problematici ai quali non avevo nessuna intenzione di fare da mamma o da assistente sociale.
Nella mia vita ho spesso immaginato situazioni in cui gli uomini mi trattavano con modo rudi e spesso le mie masturbazioni erano accompagnate da fantasie di stupro, quasi sempre in branco.
Nelle mie serate passate a navigare mi sono sempre più addentrata nel mondo del sadomaso, leggendo avidamente sia i racconti che le storie di vita vissuta; ho cominciato a sperimentare su me stessa alcuni metodi di tortura, spesso mi applicavo delle mollette da bucato ai capezzoli o mi colpivo gambe e sedere con una cintura. Nonostante il dolore, mi accorgevo che tendevo ad aumentare sia il numero che l’intensità dei colpi, ma nonostante mi sia procurata talvolta qualche livido restava una forte insoddisfazione.
Man mano che mi addentravo nella selva di siti specializzati, la mia frustrazione nel vedere schiave bellissime che subivano tormenti aumentava e mi chiedevo spesso se qualcuno avesse mai degnato di un’occhiata una come me.
Poi ho scoperto alcuni siti amatoriali in cui donne mature e non propriamente ‘sode’ venivano maltrattate ed esibite e ho cominciato a immedesimarmi: il mio look è cambiato, ho cominciato a indossare biancheria più elegante e a vestire in modo un po’ più attillato, anche se in questo modo le mie forme morbide non venivano più nascoste.
Era divenuta la norma indossare calze, reggicalze, sandali, mettermi due mollette sui capezzoli e frustarmi mentre con l’altra mano mi masturbavo, fino a quando, un giorno, nonostante l’eccitazione montata, l’agognato orgasmo solitario non arrivò. Quasi presa dalla smania inoltrai di getto un annuncio su un sito, poi mestamente mi spogliai e me ne andai a dormire.
Il giorno dopo, in ufficio, durante la pausa pranzo, andai a leggere la mia email: avevo una sola risposta. Il testo recitava: ‘Ciao siamo Marco e Valeria, entrambi dominanti ma io sottomessa a lui, siamo due persone sane e con la testa sulle spalle, se sei disponibile a provare sia dolore che umiliazione, ti proponiamo una graduale conoscenza, da parte tua chiediamo serietà e disponibilità. Se la cosa ti interessa chiamami’ e di seguito un numero di telefono. Feci un rapido giro per l’ufficio per assicurarmi che fossero usciti tutti, poi, dopo aver consultato rapidamente su internet come fare a nascondere il numero chiamante, telefonai.
Mi rispose una voce femminile e giovanile, io da parte mia, evidentemente emozionata, dissi che chiamavo a seguito della email. Lei intervenne subito spiegandomi che non volevano avventurarsi in lunghe discussioni per email o telefono, per cui preferivano incontrarmi in un luogo pubblico e fare un po’ di conoscenza dal vivo. La cosa piacque subito, sentivo di potermi fidare e accettai, al che lei mi disse che per quel weekend sarebbero andati al mare, e che se avessi voluto avrei potuto raggiungerli, pranzare insieme ed avremmo avuto modo di conoscerci e di vederci, a tal proposito mi chiese se possedevo un bikini. Io rimasi un po’ titubante pensando che comunque si sarebbe trattato di un viaggio di circa tre ore e timidamente lo feci presente, ma lei mi fece immediatamente notare che mi aveva contattato con la sua email personale (solo allora mi accorsi che il mittente mostrava il cognome e l’iniziale del nome) e mi aveva dato il suo numero di telefono, mentre io non avevo fornito alcuna informazione su di me, mi disse che se veramente volevo partire col piede giusto avrei dovuto per lo meno fare un atto di buona volontà. A quel punto accettai pensando che in fondo non avrei avuto molto da perdere, al massimo mi sarei fatta un giro al mare a vuoto. Mi salutò e mi disse di chiamarla venerdì sera alle 20 in punto, disse anche che da quel momento in poi da parte mia sarebbe stata richiesta la massima puntualità. Ringraziai e ci salutammo.
Trascorsi il resto della settimana con la trepidazione di un’adolescente, venerdì pomeriggio presi mezza giornata di permesso e andai dalla parrucchiera e dall’estetista (non lo facevo da anni!) e poi andai a comperare un costume da bagno: è una cosa che odio! Devo confessare che fino a pochi anni fa ero sono una di quelle che, ai grandi magazzini, spaiavano i completi portandosi via le mutande di una taglia e il reggipetto dell’altra, per fortuna oggigiorno ci sono posti dove questa operazione è possibile senza ricorrere a manovre furtive, d’altra parte purtroppo ho il cosiddetto ‘culone’, cui non corrisponde seno altrettanto florido e, per dirla tutta ho bisogno di un reggipetto piuttosto contenitivo perché la forza di gravità è notevolmente più forte delle mie tette, per cui, se non riuscite a immaginare l’effetto di una tetta molle in una coppa preformata di una taglia di troppo, pensate a un’ostrica appoggiata ne guscio.
Nel camerino di prova l’euforia lasciò lo spazio alla depressine quando, guardandomi seminuda non potei fare a meno di notare come i miei capezzoli guardassero inesorabilmente verso terra, ma cercai di darmi d’animo e alla fine optai per un due pezzi nero non troppo castigato e un pareo semitrasparente che avrebbe comunque mascherato un po’ la piega di abbondanza che si formava proprio sopra l’elastico dello slip.
completai il tutto con un paio di zoccoletti col tacco che almeno non mi davano troppo l’aria da madre di famiglia.
Alla fine decisi che i trattamenti estetici e la lampada full-body che mi ero fatta martedì sera dopo la ricezione della convocazione mi avevano resa presentabile e alle 20 puntualissima chiamai Valeria.
Mi disse di presentarmi alle 10 del giorno successivo dandomi il numero del bagno e dell’ombrellone, mi disse anche di accomodarmi se loro non fossero ancora arrivati, che il bagnino aveva già avuto istruzioni in merito.
Alla mattina parti molto presto nel timore di essere in ritardo, per cui arrivai con largo anticipo e mi permisi anche una prima colazione in riva al mare, dopodiché con le gambe che tremavano un po’ per l’emozione un po’ per i tacchi a cui non ero molto abituata, mi avviai verso il luogo di incontro.
Appena giunta all’ombrellone indicatomi, non feci in tempo a posare la borsa e sfilare il vestito che il bagnino mi salutò, aprì l’ombrellone e mi consegnò una busta dicendo che era un messaggio da parte dei signori del 77.
Sul messaggio era scritto che sarebbero arrivati più tardi ma che io avrei dovuto stendermi in topless e aspettarli senza assolutamente muovermi di lì.
Ero imbarazzatissima, l’unica volta in cui mi misi a seno nudo fu per far contento il mio ex marito ma non resistetti una mezz’ora.
Comunque ero in ballo… per cui, a malincuore, mi tolsi il pareo, mi stesi prona e slacciai il pezzo di sopra, chiusi gli occhi e lasciai che la brezza mi tranquillizzasse un pochino.
Dopo circa un quarto d’ora arrivarono gli occupanti dell’ombrellone accanto. Impossibile non notarli: lui sui quaranta, abbronzato quanto basta, capelli corti e brizzolati e un fisico da dio greco. Per quanto riguarda lei invece era il classico tipo per colpa di cui avevo abbandonato la palestra dopo poco che avevo deciso di iscrivermi, pareva che avesse scritto addosso ‘invidiatemi’.
Pensai a come avrebbe potuti svolgersi il nostro incontro con quei due così vicini, e pensai che avrei potuto proporre di spostarci al bar in cui avevo fatto colazione che non mi era parso particolarmente affollato.
mentre ero immersa in questi pensieri lui si era sdraiato e aveva preso un giornale e una matita, probabilmente si dedicava all’enigmistica, mentre lei, girata verso di me, aveva abbandonato il top rimanendo in tanga ed ostentando un seno da calendario. Non avendo altro da fare mi misi ad osservarla, cercando di non essere sfacciata, cercando malignamente il segno di qualche cicatrice, ma dovetti amaramente constatarne l’assenza.
Era passata una mezzoretta quando lei si alzò e mi si avvicinò dicendomi semplicemente: ‘Ciao Teresa, adesso vai a sdraiarti accanto a Marco’.
Stavo per blaterare qualcosa, combattuta fra l’emozione, la vergogna e la sorpresa ma lei si portò il dito indice teso davanti alle labbra.
Feci per riallacciare il reggiseno ma il suo sguardo fisso mi fece capire che non avrei dovuto farlo, per cui lentamente mi alzai e andai a distendermi sull’altra sdraio: mi chiedevo se avessi dovuto rivolgere la parola a Marco, ma pensai che sarebbe stato megli stare in silenzio, feci per mettermi prona esattamente come ero prima, ma lei con un sorriso mi disse ‘nono, pancia in sù’.
mi sdraiai, non sapevo dove guardare, soprattutto quando lei mi sfilò gli occhiali da sole, poi si sedette sul bordo della sdrai leggermente girata verso di me e premette con la su anca contro la mia: fui veloce a lasciarle spazio.
Mi sorrise, mi raccontò qualcosa di loro e volle sapere di me, che lavoro facessi e le solite cose che ci si dice quando si fa conoscenza, poi, appena l’atmosfera si fu distesa mi chiese solamente: ‘sei pronta?’ risposi di si. Cominciò una lunga intervista sui miei gusti e le mie fantasie sessuali, io parlavo a voce bassa, nonostante con ci fossero persone immediatamente vicine, mentre lei discorreva come se fosse la cosa più normale del mondo. Raccontai così della mia inesperienza e delle poche cose che sapevo per averle provate da sola su me stessa.
Marco non aveva ancora fiatato.
A un certo punto accavallò le gambe e , per via della posizione, il suo piede finì poco lontano dal mio viso.
Marco disse solamente ‘Bacialo’.
Mi sporsi aventi e allungai un furtivo bacio sulla punta dell’alluce ritirandomi immediatamente e guardandomi intorno.
Lei allora disse ‘Ne abbiamo di strada da fare, ma se intendi cominciare sappi che questo è niente, per cui decidi se vuoi lasciarti coinvolgere o restare solo con le tue fantasie. Adesso vedi di farlo bene.’ Di nuovo allungai l collo e baciai il piede socchiudendo leggermente le labbra e sporgendo la punta della lingua come avevo visto fare in alcuni filmati’, sentii l’istinto di strizzare le gambe, chiusi gli occhi e non pensai a chi potesse vedermi. Lei spinse il piede fino a farmi di nuovo appoggiare la testa, aprii la bocca e lasciai che entrassero le dita, leccai e succhiai.
Lei lo tolse, si alzò e fece il giro della sdraio, prese un foglio che Marco le porgeva, me lo diede dicendomi di leggere ad alta voce.
Cominciai.
‘La candidata è di media statura, evidente sovrappeso, fisico trascurato e carnagione chiara. Lineamenti insignificanti…’
Alzai gli occhi e dissi ‘Ho immaginato subito che non sarei stata adatta…’ ma Valeria alzò una mano e disse ‘Leggi’.
‘I glutei e i fianchi sono flaccidi e la superficie dell’epidermide si mostra poco elastica e ta tratti gibbosa’ – mi sentivo sprofondare – ‘il ventre è prominente e molliccio, il seno cadente e rilassato, manca anche quel minimo di imponenza che potrebbe farla classificare come ‘giunonica’: si tratta in definitiva di un soggetto di scarso valore estetico.’
Non ero mai stata insultata in quel modo e leggere quelle cose a voce alta in mezzo a una spiaggia mi faceva venire voglia di alzarmi , appallottolare quel pezzo di carta, buttarglielo in faccia e girare i tacchi, ma nello stesso tempo non potevo, l’umiliazione mi strozzava e sentivo di sudare freddo, mi accorsi che la fica pulsava e che dovevo stringere le cosce, contemporaneamente sentivo il magone, ma continuavo a leggere.
‘Ha completa inesperienza e probabilmente scarsa consapevolezza del ruolo che la attende. L’impressione è che sia decisamente poco resistente al dolore e poco propensa all’umiliazione.
Il fatto che si sia lanciata in modo così repentino in una avventura del genere senza alcuna cognizione delle proprie responsabilità denota scarsa intelligenza e una buona dose di presunzione.
Se desidera comunque che ci degnamo di istruirla su suo ruolo di nullità, la candidata dovrà alzarsi, inginocchiarsi accanto a me e supplicarmi di farlo’.
MI alzai senza nemmeno rendermi conto di aver lasciato cadere il foglio, mi inginocchiai accanto alla sdraio, appoggiai i palmi delle mani sulle ginocchia e abbassai la testa e mi scoprii a dire: ‘Marco, so che una come me non dovrebbe nemmeno pensare di poter servire due persone come voi, ma ti prego, lasciami provare’.
Lei mi disse di stendermi prona, che Marco mi avrebbe spalmato la crema. Lo feci in preda allo stupore, mi sdraiai e sentii le mani di Marco che si appoggiavano alle spalle.
L’idea che lui mi toccasse mi eccitava da morire, lui spinse i palmi fino alle scapole e passò le dita sul davanti, lasciando i pollici sulle spalle e poi cominciò a massaggiare: mi sentivo in paradiso e dicevo a me stessa che non sarebbe potuta andarmi meglio.
Valeria intanto si era seduta a gambe incrociate di fronte a me e mi guardava.
Lui cominciò a stringere.
Io guardavo Valeria e lei guardava me, sentivo male ma capivo dalla sua espressione che dovevo resistere.
Le sue mani erano due morse e cominciai a gemere più piano che potessi, stringevo i denti e mi chiedevo per quanto avessi potuto trattenermi dall’urlare.
Mi lasciò dicendo a Valeria di portarmi a fare shopping.
Valeria mi prese per mano e, quando feci per ricuperare il pezzo sopra del costume, fu più svelta di me a coprirmi col solo pareo. me lo legò sul davanti lasciando che il mio seno si vedesse in trasparenza. Non mi permise di indossare gli zoccoli e mi trascinò dietro di se scalza e così combinata.
Parlava al solito, come se se stesse discorrendo del più e del meno e mi disse che per cominciare la mia resistenza al dolore poteva essere sufficiente ma che sarei dovuta progredire molto, soprattutto mi fece notare che la mia condizione mi imponeva l’umiliazione pubblica, per cui avrei dovuto liberarmi di ogni tabù, che loro come me non desideravano mettersi nei guai ma che io da parte mia avrei dovuto fidarmi ciecamente.
Mi sentivo al sicuro con lei, pensavo fra me che avrei fatto qualunque cosa mi avesse chiesto.
MI accorsi solo in quel momento di non avere con me la borsa coi soldi, ma mi disse di non preoccuparmi. Durante il giro di compere mi lasciai trascinare docile come un cagnolino, e alla fine gli acquisti furono: un paio di decoltee bianche di vernice col tacco a spillo altissimo, una minigonna a portafoglio grigia e un a camicia fucsia di seta semitrasparente. Una trousse per il trucco di colori sgargianti.
Tornammo in spiaggia e mi fu ordinato di indossare gli articoli acquistati, naturalmente senza reggiseno.
Valeria si dedicò con molta attenzione al mio trucco, Non potevo vedermi ma non osavo immaginare come sarei potuta essere.
A quel puntomi dissero: andiamo a pranzo, togliti gli slip. Non mi ribellai feci quello che dicevano e rimasi a culo nudo sotto la mini. Raccolsero le mie cose e non mi permisero portare la sacca, si vestirono e mi dissero di seguirli a pochi passi di distanza.
Sentivo gli occhi della gente puntati addosso, qualche anziano bagnante mi passava rasente, come per guardarmi meglio, altri invece allargavano la traiettoria girandomi intorno come se fossi appestata.
Proseguimmo per un lungo tratto sul lungomare. Valeria portava dei sandaletti con un tacco forse più alto del mio e incedeva con passo da fotomodella, io trotterellavo dietro cercando di stare in equilibrio, la mia attenzione era distolta dallo sciacquettio degli umori fra le grandi labbra e ogni tanto sentivo colare una gocciolina, ma non avevo cuore di controllare se fosse sudore o altro.
Arrivammo davanti a un ristorante con tettoia, Marco si voltò e mi fece segno di aspettare.
Mi fermai e li guardai entrare, dopo poco riapparvero seduti a un tavolo non molto lontano da dove ero, entrambi potevano vedermi. Arrivò il cameriere e prese le ordinazioni, poi cominciarono a pasteggiare come se io non esistessi.
Le persone si spostavano passandomi davanti, qualcuno borbottava qualcosa appena passato, alcuni ragazzini fischiarono e urlarono ‘complimenti’, io sentivo le gambe molli e avrei voluto scappare via.
Dopo un secolo uscirono, mi passarono davanti e io li seguii, sempre qualche passo indietro.
Voltato l’angolo mi diedero la borsa, mi dissero di non cambiarmi e tornare a casa così, mi avrebbero fatto sapere quando fosse stato il prossimo incontro.
Prendendo la sacca da spiaggia quasi la lasciai cadere: il braccio non reggeva. Non ricordo nemmeno se li salutai, mi diressi all’auto come un automa, partii e arrivai sotto casa immersa fra mille pensieri contrastanti. Entrando, il portiere mi salutò cercando di darsi un contegno ma chissà che cosa pensava. La cosa più terribile fu la salita in ascensore, accanto a una coppia che abitava al piano di sopra. Entrambi di solito mi sommergevano di parole, quel giorno conservarono un silenzio monastico.
Finalmente mi rifugiai in casa, appena chiusa la porta andai in camera da letto e, dopo molti anni che non lo facevo aprii l’anta dell’armadio in cui era fissata uno specchio a figura intera per specchiarmi: di fronte a me c’era una troia da poco prezzo, sudaticcia e stravolta.
Caddi sulle ginocchia, portai una mano al seno e una alla fica, venni con un urlo, strinsi forte le cosce attorno alla mano e caddi sul pavimento tremando.
Mi risvegliai dopo pochissimo, per la stanchezza mi ero addormentata sul pavimento. Nonostante tutto ciò che era successo era da poco passato metà pomeriggio. Decisi di scuotermi, andai a fare una doccia. Sotto l’acqua i pensieri di quello che era successo mi tormentavano, pensavo soprattutto a Valeria. Non avevo mai avuto esperienze con donne, e le volte che ci avevo pensato erano state più per curiosità che per desiderio, ma l’idea del suo corpo mi martellava in testa, staccai l’irroratore della doccia e lo misi fra le gambe, regalandomi un nuovo orgasmo languido e rilassato.
Non feci in tempo a uscire dalla doccia che squillò il telefono: le mie amiche mi chiedevano se fossi uscita per un aperitivo; stavo per declinare l’invito poi pensai che non sarebbe stato il caso di passare la serata sola coi miei pensieri per cui accettai, per quanto piuttosto stanca.
Nel preparai mi accorsi di ave e due lividi sulle spalle, ricordo della stretta di Marco, ero tentata di mettermi una camicetta, poi mi ricordai di avere una canotta di corda con la spallina larga e decisi di mettere quella lasciando che il segno non fosse proprio in evidenza, ma spuntasse di tanto in tanto. se qualcuno mi avesse chiesto qualcosa avrei raccontato che si trattava di una tracolla pesante, ma in cuor mio amavo l’idea di mostrare i miei segni.
Completati il tutto con una gonna leggera e vaporosa verde oliva, un paio di infradito di cuoio in stile etnico senza tacco.
Le solite amiche, il solito quartetto al bar, aperitivi analcolici, Katia che raccontava del suo istruttore di palestra, Sonia (l’unica sposata delle tre) tesseva comiche descrizioni su come il marito riuscisse ad essere inetto nelle faccende domestiche, Melissa che la prendeva in giro dicendole che non era mai contenta: aveva voluto il maschio superdotato e poi pretendeva che facesse la colf. Melissa inoltre non mi staccava gli occhi di dosso, io non proferivo parola ma dal canto mio non smettevo di guardare lei. Aveva un abitino rosso rubino appena sopra il ginocchio e mi accorsi solo allora del fatto che avesse delle gambe piuttosto muscolose. Ai piedi un paio di scarpe nere di vernice open-toe, con un filetto rosso sui bordi e un tacco a cono altissimo. I capelli corti, nero corvino e il trucco vivace le davano un’aria molto aggressiva.
Dopo un po’ di chiacchiere ci salutammo e ognuna andò per la sua strada, ma Melissa mi bloccò dicendomi che avrebbe voluto parlarmi e mi chiese se fossi salita da lei. Accettai e in breve fummo a casa sua, mi sedetti sul divano.
Lei si sedette di fronte a me e ricominciò a parlare di frivolezze, mentre il mio sguardo percorreva il suo corpo, così diverso da quello di Valeria.
si alzò e mi si sedette accanto, prese il mio bicchiere vuoto e lo appoggiò sul tavolino dopodiché portando il suo viso a una distanza inconsuetamente ravvicinata dal mio mi disse ‘Guarda che so riconoscere gli sguardi che mi hai lanciato per tutto il tempo’. Io balbettai che si sbagliava, feci anche per alzarmi ma le bastò appoggiare dolcemente una mano sulla mia spalla per farmi desistere. Avvicinò ancora il viso: ‘Perché non ti rilassi un po’?’ Risposi: ‘Guarda…’ e non feci in tempo a dire altro che le sue labbra rosse erano già addosso alle mie. Serrai la bocca, ma la mano sulla guancia e la sua lingua che sporgeva appena un po’ mi fecero aprire la bocca e mi abbandonai al mio primo bacio saffico’. Non volevo che finisse, non osavo prendere fiato e non so per quanto tempo siamo rimaste attaccate. Quando si staccò sentii una sensazione di delusione, mi disse con un’espressione fintamente imbronciata: ‘Allora era il caso di fare tutte quelle scene? le bimbe come te ogni tanto si meriterebbero un ceffone…’ ‘Ti prego fallo’ risposi senza nemmeno pensare e ribadii subito ‘Fallo’. Mi esplose in faccia ma lo stupore lasciò immediatamente il posto all’eccitazione. Nemmeno il tempo di riprendermi e mi aveva afferrata per i capelli, Trascinato la faccia fin davanti alla sua scarpa e mi chiedeva ‘Ti piacciono tanto?’. Non risposi e per la seconda volta nella mia vita baciai il piede a una donna. Stavolta decisi di osare e, mimando alcuni filmini visti in rete baciai, leccai e strusciai la faccia fino a quando lei mi ordinò di salire.
Leccavo la gamba come pensavo che potesse far piacere a me e piano arrivai al suo pube. Lei scostò il perizoma e lasciò che la mia lingua si intrufolasse fra le labbra. Mi ero leccata le dita diverse volte durante le mie masturbazioni, ma scoprii solo in quel momento il sapore di una donna e mi piacque immensamente.
Dopo un po’, cominciai a sentire i suoi tremiti, ma lei, spingendo dolcemente la mia fronte si alzò e si spogliò. feci altrettanto e ci trovammo in piedi una di fronte all’altra, pronte per un nuovo bacio. Le sue mani percorrevano il mio corpo e le mie il suo, mentre le bocche non si staccavano. Mi spinse via fino a farmi cadere sul divano e mi si avventò addosso premendo la sua fica contro la mia, le gambe a forbice. spingeva e si dimenava e io cercavo di assecondare i massaggio. Mi ficcò la punta del piede in faccia e io prendendolo con due mani mi precipitai a leccarlo con devozione mante lei prendendomi per le gambe mi tirava a se. Le nostre fiche mulinavano, mi sentivo bagnata e viscida, i suoi sussulti mi annunciarono che stava per venire e io esplosi con lei. Avevo le lacrime aglio occhi, non ci tenevamo più e in breve scivolammo a terra con tutti i cuscini del divano.
Fu lei ad alzarsi per prima, il corpo di una quarantacinquenne non particolarmente alta, appena un filo di pancia, gambe snelle e muscolose, con un pochino si cuscinetti sull’esterno coscia.un seno florido e pieno, spalle alte e quel viso da mangiatrice di uomini (e di donne!).
MI portò sotto la doccia, ci lavammo e insaponammo, io stavo zitta, lei mi guardava con aria complice. Alla fine mi chiese se mi fossi fermata per cena; temevo un altro amplesso, ero distrutta, per cui proposi di scendere al ristorante orientale e così facemmo. Ci salutammo con un bacio sulla guancia, lei mi sussurrò all’orecchio ‘quando vuoi’ e si diresse verso casa sua.
Al rientro trovai la moglie del portinaio che spazzava le scale, alzò lo sguardo son espressione di chi la sa lunga, io mi vergognai e biascicai un frettoloso saluto a cui lei rispose con un sorriso malizioso; il marito, in cima alle scale invece mi guardò con l’espressione rassicurata di chi vede le cose tornare alla normalità (come si sbagliava!).
Quei due mi hanno mai smesso di sorprendere per la bassa statura, entrambi ben piantati e sulla cinquantina, una ‘pania da portinaio lui’ e un seno immenso lei, tanto che mi chiedevo se riuscisse a guardare a terra davanti a se.
All’ingresso, a completare il quadretto familiare il figlio appena adolescente che aveva ereditato la corporatura dei genitori, mettendoci anche del suo, visto che raramente lo si vedeva senza cibo in mano, seduto in guardiola che guardava il monitor (dopo alcuni episodi di criminalità avevamo fatto installare due telecamere nell’atrio e sul portone). La macchia fucsia che si vedeva era inconfondibile: il marmocchio stava riguardando il filmato del mio ingresso. Allungai il collo e lo vidi con una mano furtivamente fra le gambe, ma era talmente assorto che non si accorse di me.
Infilai l’ascensore sentendomi morire di vergogna: un ragazzino si eccitava vedendomi vestita come una battona; almeno stavolta non avevo compagni di salita.
Arrivai in casa col fiatone, seminai gli indumenti lungo il percorso e mi lasciai cadere sul letto con solo gli slip. Fino al mattino seguente la puttana era fuori combattimento. Domenica mattina mi svegliò il sole. Mi alzai e mi ritrovai in cucina a discutere con uno yoghurt di quanto era accaduto. Mi ricordai che Francesco aveva promesso di passare in tarda mattinata a collegarmi il nuovo home theatre in salotto. Francesco si occupa della manutenzione dei computer nell’ufficio in cui lavoro: ha ventiquattro anni, biondino con una faccia da bimbo furbetto e le spalle larghe. è la mascotte di noi vecchie babbione e ce lo coccoliamo in tutti i modi. Lui ci da del lei e noi ogni tanto ci divertiamo a metterlo in imbarazzo e farlo arrossire con qualche battutina. Lucia, una mia collega, ci aveva anche fatto un pensierino, poi un giorno, dopo aver visto una biondina mozzafiato che lo aspettava fuori da l lavoro accanto alla sua moto e gli era saltata al collo appena uscito, aveva abbandonato ogni speranza.
Beh quella mattina mi dissi che di figa ne avevo avuta abbastanza e volevo proprio vedere se fossi riuscita a far rizzare qualche cazzo. Misi un completo intimo di pizzo nero nero e sopra un vestito a vestaglietta di sangallo bianco con tantissimi bottoni sul davanti. Nulla di osceno, ma dai forellini si indovinava la biancheria. Inoltre omisi di allacciare i bottoni fino all’altezza dell’inguine. Finché stavo in piedi avevo un aspetto decoroso ma se mi fossi seduta sarei rimasta praticamente in mutande.
Francesco arrivò alle 10.30, maglietta, pantaloni corti di tela con l’elastico in vita e sandali: perfetto, qualora avesse avuto un’erezione penso che me ne sarei accorta.
Rifiutò la bibita che gli avevo offerto e si mise ad armeggiare coi cavi. io gli stavo appollaiata dietro, allungando di tanto in tanto il collo fingendo di curiosare. Lui era accucciato a terra e io, mettendomi di fianco, spinsi in avanti la gamba. Il sipario gli si aprì sulla destra, aveva la testa all’altezza delle mie mutandine, ma parve non accorgersene. Pensai fra me che ero davvero patetica, per cui arretrai e con la scusa di fare non ricordo cosa, mi andai a riallacciare il vestito, tornando col proposito di finirla con quella provocazione ridicola. Aveva quasi finito e doveva passare un cavo da sotto il mobile a sopra per cui mi chiese una mano. Io mi misi a quattro zampe e mi preparai ad afferrare l’estremità che mi avrebbe passato, ma proprio in quel momento sentii la sua mano che da dietro mi carezzava l’interno della coscia salendo. Saltai letteralmente sbattendo la testa contro il ripiano che la sovrastava e lui si ritrasse subito, appena riemersi dalla scomoda posizione lo vidi imbarazzato che mi diceva ‘Mi scusi, non so cosa mi sia preso…’ Gli risposi col sorriso migliore che sapevo fare e gli dissi che per me era un piacere che un bel ragazzo come lui si interessasse ancora alla mia vecchia fichetta. Sempre con l’aria imbarazzata mi ringrazio’, si scusò di nuovo e dopo una pausa buttò fuori tutto di un fiato: ‘Per dire la verità non si tratta della fichetta, ma sono mesi che vorrei prendere fra le mani il suo culo, mi premetterebbe almeno una volta di toccarlo?’
‘UH come potrei lasciare insoddisfatto un tale ammiratore?’ – risposi – ‘Aspettami solo un momento’. Sparii nella mia camera, mi levai velocissimamente il vestito e gli slip e indossai un perizoma (si, li fanno anche della mia taglia!) e mi ripresentai così. ‘Il mio culo adesso è a tua disposizione, fanne quello che vuoi’ gli dissi. Lui lentamente, come se si trovasse davanti a una meraviglia, mi girò intorno prese dal basso le mie natiche a mani aperte e sollevando cominciò a impastarle. Lasciai cadere la testa all’indietro e lui fu velocissimo a baciarmi il collo: stavo entrando in estasi. le sue mani si spostavano lentamente, si fermavano, stringevano e accarezzavano, poi lo sentii abbassarsi, e con lui si abbassava il perizoma fino al momento il cui il suo viso fu all’altezza giusta per cominciare a baciarmelo. Per l’eccitazione le gambe si piegarono, mi ritrovai nuovamente carponi, le braccia e il viso appoggiate sulla seduta della poltrona mentre sentivo le sue mani che allargavano le natiche e la lingua che si avventurava nel solco. Dopo una breve esplorazione la punta della lingua approdò al buchetto e cominciò a muoversi in modo circolare. Era la prima volta che me lo facevano e pensai che fosse una delle cose più piacevoli del mondo. Mugloavo e gemevo, ma mi fermai improvvisamente quando sentii che col dito stava cercando di entrare. Gli dissi che non l’avevo mai fatto (non era vero, mio marito una volta aveva voluto provare ma mi aveva fatto male e io non avevo mai più voluto farlo). Lui mi disse ‘Mi lasci continuare ancora un po’, se diventa fastidioso smetto’ – Mi faceva impazzire che mi desse del lei anche in quel momento, sospirai e lo lasciai fare, più per non deluderlo che perché ne fossi convinta. Il dito si muoveva piano e veniva continuamente umettato, la sensazione era strana, forse fastidiosa, ma anche terribilmente eccitante. La mia fica aveva cominciato a pulsare e a rilasciare liquidi in gran quantità.mi sentivo bagnatissima, ma lui non la degnava della minima attenzione. Invece sentii chiaramente che lo spessore nel culo aumentava: aveva inserito un secondo dito, e si era subito fermato, come per assicurarsi che fossi pronta, con un mugolio da vera troia gli feci capire che poteva andare avanti, e lui lo fece, le dita scivolavano avanti e indietro e io non credevo che fosse così facile aprirmi. seguì un terzo dito e di nuovo la preparazione, poi il pollice s allungò verso l’altra fessura rendendomi veramente felice e portandomi al massimo dell’eccitazione. Proprio allora sparì tutto, il vuoto lasciato così repentinamente venne preso dal suo cazzo che spingeva, Nonostante tutto l’ingresso fu doloroso, urlai, ma quando lui si fermò non so cosa mi prese, il desiderio di sentirmi violata era più forte del dolore per cui gli strillai: ‘Non ti preoccupare sfondami’. Credo che a quel punto non ci abbia più visto: cominciò a menare colpi di reni e pacche vigorose sul culo intanto mi apostrofava: ‘Prendi brutta troia rotta in culo’ ‘fattelo sfondare’. Io stringevo i denti e mi scoprii anche a piangere, ma non volevo e non potevo fermarlo. Portai entrambe le mani al clitoride e cominciai a tormentarlo senza pietà come lui stava facendo col mio povero buchetto. Fino a quando non lo sentii venire dentro accasciarsi su di me. L’improvviso sollievo dal dolore fece si che tutti i miei sensi si concentrassero sulla fica e dopo altri due colpi di mano venni.
Si sfilò piano e fece per ricomporsi, gli porsi i kleenex che tenevo sul tavolino del salotto e mi ripulii anche io, raccogliendo mescolati sangue e umori. Lui con aria contrita mi disse che gli dispiaceva di avermi fatto male, ma lo rassicurai sul fatto che avevo goduto moltissimo e gli dissi che mi sarebbe piaciuto se un giorno avesse voluto farlo di nuovo.
Questo parve rinfrancarlo e quando se ne andò mi salutò con la consueta giovialità salvo chiedermi, con aria da monello colto in flagrante, di non dire nulla al lavoro.
Nonostante sembrava che tutto si fosse placato, il culo cominciò a farmi di nuovo male e avevo lo stimolo di andare in bagno ogni cinque minuti. Allarmata chiamai Melissa raccontandole tutto ma mi sentii rispondere ridendo che era normale che la prima volta fosse così, di rivolgermi a un medico se il giorno dopo non fosse passato e soprattutto di chiamarla la prossima volta che avessi avuto un’occasione così appetitosa.
Improvvisamente il pensiero corse a Marco e Valeria: il giorno prima li avevo implorati di poter essere la loro schiava e adesso li stavo tradendo: cosa avrei dovuto fare? dirglielo? scusarmi? e se non mi avessero più voluta?
Guarda caso squillò il cellulare proprio in quel momento: Valeria! – ‘Pronto ciao sto tornando ora dal mare sei sola?’ e senza nemmeno aspettare la risposta: ‘Vengo a prendere un caffè da te verso le tre’. Le chiesi se dovevo prepararmi in qualche modo ma lei fu categorica: voleva vedermi esattamente come ero in casa quotidianamente.
Mi sentivo un po’ imbarazzata; in questi giorni caldi la mia divisa domestica è: slip, t-shirt extralarge e ciabatte, ma ubbidiente mi sarei fatta trovare così.
Alle tre ero sul balcone, aspettando con ansia, ma non avrei pensato che sarebbe andata così: una Ferrari rossa si fermò esattamente davanti al portone e subito sbucarono dalla portiera le gambe chilometriche di Valeria. Dalla portiera del passeggero però scese una persona che non era Marco.
Quando suonarono alla porta mi trovai di fronte lei in un miniabito di denim che la fasciava come un guanto e una ragazza minuta, capelli mori lunghi e lisci portati con la frangetta, occhi grandi e scuri, indossava una canottierina striminzita sotto la quale le tettine erano spinte quasi in gola da un pushup strettissimo. Jeans a vita bassissima da cui spuntavano i laccetti del g-string e ciabattine infradito: l’emblema della teenager, ma più bella.
Mi venne presentata come Cristina, studentessa del secondo anno di università. Aveva l’aria di un cagnolino fedele, seguiva Valeria con sguardo adorante.
Valeria mi salutò come di consueto, fece le reciproche presentazioni e poi volle che le mostrassi la casa, facendo spesso domande sul mio stile di vita quotidiano, poi a un certo punto disse ‘Ora però devo fare pipì’.
Cristina si inginocchiò appoggiando il sedere sui talloni, le mani sopra le ginocchia, la testa rovesciata indietro e spalancò la bocca al massimo.
Avevo visto cose del genere solo su internet, ma successe qualcosa di diverso: Valeria le disse ‘Sciocchina siamo ospiti qui per cui andrò a farla nel water’. La accompagnai in bagno, le offrii un asciugamano pulito e feci per uscire ma lei mi fermò. Sollevò il vestito: sotto non portava nulla, come avevo immaginato non vedendo segni di elastici, si sedette e urinò come se non ci fossimo né io né Cristina, quindi fece per alzarsi e le bastò guardare la ragazza perché lei si inginocchiasse velocemente a pulirla con la lingua.
Avevo pensato spesso che tra i compiti di una schiava questo sarebbe stato quasi certamente richiesto per cui, vincendo lo schifo iniziale, mi era capitato, dopo aver pisciato, di passare il dito nella fessura e portarlo alla bocca. Avevo raggiunto la convinzione che ce l’avrei potuta fare e glielo dissi. Lei mi guardò con aria stupita, come se avessi detto un’enormità e mi rispose ‘Ma non hai capito niente, questo per una schiava è un premio’.
Abbassai lo sguardo e mi ripromisi di non fare altre gaffe.
Ci sedemmo in salotto, Valeria aveva questa capacità di passare dal gioco di ruolo a una conversazione del tutto normale.
Fu allora che presi coraggio e raccontai tutto d’un fiato in maniera confusa ciò che era successo da quando ci eravamo lasciati, inframezzando fantozziane richieste di perdono fino a quando non venni interrotta: ‘Teresa, tu non sei una schiava, al momento sei solo uno sgorbio insignificante. Se un giorno avrai il privilegio che agogni, ti verranno date delle regole e verrai punita severamente per averle violate, per adesso le tue scuse non mi interessano, ma voglio che mi racconti con calma partendo dall’inizio tutto quello che è successo’. Tirai un sospiro e mi accinsi a cominciare ma venni di nuovo fermata. ‘Spogliati’ mi disse e io ubbidiente lasciai cadere ogni indumento sul pavimento poi mi disse di stare in piedi e di tenere le mani dietro alla schiena, assolutamente immobile.
A quel punto mi fece ricominciare.
Durante il racconto, per via dell’imbarazzo, mantenere la postura era una tortura terribile, avrei voluto muovermi, schermirmi col corpo e sfogare la tensione d quel momento. Invece ero nuda, immobile, raccontavo e spesso lei mi fermava per chiedere spiegazioni estremamente particolareggiate. Sentivo il sudore che che colava a goccioline. Mi entrava negli occhi ma non potevo muovere le mani e non avevo il permesso di distogliere lo sguardo da lei.
Arrivai esausta alla fine del racconto. lei si alzò con aria soddisfatta e riprendendo la solita aria cordiale da convivio amichevole, come se io non fossi stata nuda davanti a lei mi disse: ‘Sai… ti meriti un regalino, la mia infermiera verrà da te domani alle 20, fatti trovare digiuna da pranzo, adesso andiamo, ciao’. Le accompagnai alla porta senza assolutamente pensare che ero nuda, le salutai e richiusi dietro le spalle, feci per tornare a rassettare in salotto ma la mia mano era già in mezzo alle gambe: qualcosa di ben più urgente richiedeva la mia attenzione.
Lunedì, al ritorno dal lavoro, non stavo più nella pelle. Mi chiedevo cosa sarebbe successo, fino a quando, alle 19,30 suonò il campanello. Conoscendo la mania di Valeria per la puntualità pensai che si trattasse di uno scocciatore, e cominciai a pensare a una scusa per mandare via chi si fosse presentato, aprii la porta e mi trovai davanti Cristina che mi salutò con un gran sorriso. Vestita da collegialetta: camicia, gonnellina e ballerine. Rimasi così sorpresa nel vederla che quasi mi dimenticai di farla entrare. Mi spiegò che aveva un ruolo di supporto in quello che sarebbe successo, non volle dirmi di cosa si trattava ma si lasciò scappare che sarebbe stata un’esperienza forte ma appagante.
Parlando con lei scoprii che frequentava con profitto il secondo anno di università, che veniva da un paese distante e che conviveva con due studentesse, con le quali però non si trovava molto bene per il fatto che si trattava di due signorine di buona famiglia con molti grilli per la testa e nessun voto sul libretto; recentemente i servizi per Valeria e marco la impegnavano, e se voleva mantenere una buona media, aveva a necessità di una situazione più tranquilla. Alle 20 in punto la porta suonò di nuovo, andai ad aprire e mi trovai di fronte un donnone alto almeno un metro e ottanta. Portava i capelli tagliati a spazzola, biondissimi, aveva spalle larghe e un fisico imponente. Salutò con aria distaccata e cominciò a guardarsi intorno , fino a quando, vista la penisola del divano, vi si diresse marciando. Aveva una grossa valigia lunga, sembrava la custodia di quelle pianole elettriche che si usavano tanti anni fa. Aprì il cavalletto fissato su uno dei lati e poi scoperchiò la valigia. Ne estrasse una specie di tappetino con cui coprì il divano e un cuscino gonfiabile fatto come una mezza botte che appoggiò sopra il telo.
Rivolgendosi a me mi disse ‘spogliati’ io ubbidii e lei mi fece appoggiare con la pancia sul quel cuscino, ero sdraiata, pancia in giù, ma avevo il bacino sollevato e il culo ricolto verso l’alto.
Mi disse che era necessario che facessi un clistere e io raggelai. Avevo usato spesso supposte e microclismi, ma un vero clistere me lo avevano fatto solo da ragazzina, in occasione dell’operazione di appendicite e lo ricordavo con terrore. Pensai che se volevo diventare una schiava avrei dovuto sopportare ben altro per cui a malincuore attesi il supplizio.
Cristina si era spogliata ed era rimasta in un completo intimo di pizzo impalpabile, le sue tettine guardavano dritto avanti e i capezzoli sembravano armi puntate, si sedette accanto alla mia testa e cominciò ad accarezzarmi dolcemente i capelli.
Sentii che l’infermiera spalmava qualcosa di cremoso intorno all’ano, muoveva le dita intorno e lo massaggiava al perimetro, poi lentamente un dito si infilò, leggero. Mi contrassi, ma mi rilassai immediatamente, mano a mano che quel massaggio continuava. Il movimento era lento e naturale e io ero rapita da quel nuovo massaggio, le dita divennero due, ma entrarono senza alcun problema, data la dilatazione, poi sentii allargare ancora.
Inserì la cannula e io me ne accorsi solo perché sentii che penetrava molto più in profondità delle dita. Il liquido era già stato scaldato, in quella specie di laboratorio alchemico contenuto nella valigia e mi sentii riempire le viscere con solo una lieve sensazione di fastidio iniziale. Man mano che il liquido entrava lo stimolo però si faceva sempre più forte. Lo dissi ma lei rispose calma ‘non ancora’. La pancia era tesa come un tamburo e si gonfiava sempre più. Lei mi disse ad un certo punto che potevo svuotarmi.
Andai di corsa in bagno e mi liberai finalmente, mi ripulii e poi tornai, con ancora un po’ della sensazione di dover evacuare. Ricominciò la stessa cosa di prima, quando inserì di nuovo la cannula sussultai, ma lei mi tranquillizzò: si tratta di una lavanda decongestionante per eliminare il senso di irritazione. Durò molto meno e in effetti questa volta tornai indietro dal bagno con una sensazione meravigliosa di liberazione e di pulizia.
Mi rimisi nella solita posizione.
Lei versò un po’ d’olio sull’osso sacro, che colò lentamente lungo la schiena, le sue mani calarono in un massaggio lento ed energico che partiva dalle natiche ed arrivava alle spalle.
Io presto mi lasciai cullare solo dal massaggio, persi di vista Cristina, il luogo dove mi trovavo e sentivo solo le mani che mi massaggiavano.
La vichinga smise il massaggio e disse ‘ora sei abbastanza rilassata, cominciamo’.
Ricominciò ad armeggiare col mio buchetto: le dita entravano ed uscivano, ruotavano, allargavano. Io mi eccitavo sempre di più all’idea che mi stessero allargando. Lei prendeva da quella valigia dildoes e plug di varie forme e di dimensioni sempre maggiori e io non credevo ai miei occhi quando vedevo oggetti mostruosi e poi li sentivo infilare apparentemente senza fatica. Cristina mi accarezzava, mi asciugava il sudore, mi baciava dolcemente quando la penetrazione diventava particolarmente impegnativa e io sentivo la carne aprirsi. Ogni tanto il dolore si faceva sentire, ma, sia per l’eccitazione, sia per l’abilità di chi manovrava gli attrezzi, il passo successivo della dilatazione aveva successo e io mi abituavo alla nuova dimensione. Usò falli, divaricatori, coni, fino al momento in cui sentii che stava per entrare qualcosa di immenso. Cacciai un urlo, ebbi l’impressione che mi stessero macellando.
Cristina mi strinse le mani e mi baciò appassionatamente, poi spostò una mano sulla mia fica e cominciò a masturbarmi. L’oggetto continuava a premere e io ficcai la faccia contro un cuscino del divano e urlai a squarciagola. Sentivo il mio grido lontano ed attutito e improvvisamente l’oggetto passò e sentii che il calibro era notevolmente diminuito. Lei disse semplicemente ‘Bene, la mano è passata, adesso dobbiamo proseguire l’allenamento’. Sentii che la mano si faceva più grande: stava facendo il pugno, e poi sentii che cercava di uscire e il mio sfintere si allargava di nuovo. Era meno doloroso dell’ingresso, a mi sentivo aperta a dismisura. La mano non usciva mai del tutto, si apriva la strada e poi veniva risucchiata, avanti e indietro. Il dolore era quasi scomparso, la masturbazione di Cristina si faceva insistente e ossessiva. Il pugno si muoveva ritmicamente. Venni e non mi accorsi nemmeno che la mano era stata estratta.
Quando feci per alzarmi le gambe non mi reggevano; Cristina mi accompagnò in bagno e mi fece la doccia, coccolandomi meravigliosamente. Uscii in accappatoio e l’infermiera aveva già raccolto ogni cosa. La ringraziai, e lei mi disse che l’appuntamento sarebbe stato l’indomani alla stessa ora. Mi diede una pomata e si raccomandò che la spalmassi bene dentro e fuori sia la sera stessa che il mattino successivo.
Quando guardai l’orologio non potevo credere che fossero passate ben tre ore. Offrii a Cristina una cena fredda, e chiacchierammo ancora un po’, mi offrii di riaccompagnarla ma lei mi disse che era già stato predisposto tutto per il suo rientro. L’autista di Marco sarebbe passato a prenderla. La salutai e immediatamente scrissi un sms di ringraziamento a Valeria. Mi chiamò quasi subito e mi disse che le faceva moto piacere sapere che tutto fosse andato bene. Le dissi anche che Cristina mi piaceva molto e che se non aveva nulla in contrario le avrei offerto di stare da me per lo meno fino a che non avesse trovato una soluzione migliore. Lei mi disse che non aveva niente in contrario. Salutai e mi preparai per la notte. Mentre mettevo la pomata non riconoscevo il mio buco: cedeva alla pressione delle dita e pareva che ci potesse passare qualunque cosa. Non vedevo l’ora di collaudarlo con Francesco e a quel pensiero mi masturbai nuovamente.

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